#ERRECI MAGAZINE 7-2024

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IN QUESTO NUMERO

L'editoriale

La foto-frase

Come un padre

Giovani Testimoni...

...fuori dal "coro"

Intervista a...

Enrica Musto

In viaggio...

Torino, dai Savoia a oggi

Attualità:

La Sacra Sindone

AB... Cittadini

Santi e tradizioni:

Sant’Ubaldo

e i Ceri di Gubbio

La giornata internazionale

della Famiglia

In biblioteca

Piccoli consigli...

Didattica digitale

Propaganda 2024

Primaria

Secondaria

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APRILE - GIUGNO 2024 - N 7 #SPERARE: #SPERARE: IL CORAGGIO IL CORAGGIO DI CREDERCI DI CREDERCI

L'editoriale... LA SPERANZA, TRA PRESENTE E FUTURO

La speranza, un faro luminoso nelle tempeste della vita, è il tema centrale di questo numero della nostra rivista

Affrontare la speranza nel contesto scolastico invita insegnanti e studenti ad esplorare una dimensione profondamente radicata nella condizione umana, che abbraccia aspetti tanto psicologici e antropologici, quanto culturali e storici. La speranza si presenta come un ponte tra il presente e il futuro, un motore che spinge l'individuo e le comunità a superare ostacoli, difficoltà e momenti di crisi.

Approfondire il tema della speranza permette di illuminare come, attraverso i secoli e nelle diverse culture, gli esseri umani abbiano trovato nella speranza la forza per affrontare le avversità e perseguire un domani migliore In tutto questo la Religione cattolica ha molto da dire.

Nel dialogo didattico, infatti, la speranza può essere esaminata come un fenomeno antropologico, esplorando come essa si manifesti nelle varie tradizioni religiose, nei riti, nelle festività e nelle pratiche spirituali

È possibile analizzare le narrazioni, miti, leggende e testi sacri che narrano di speranza, di promesse e di attese, evidenziando come questa dimensione abbia sempre guidato l'umanità verso l'alto, verso l'aspirazione a un mondo migliore.

Anche dal punto di vista artistico e letterario, la speranza ha ispirato innumerevoli opere. Sul piano storico e sociale, inoltre, la speranza emerge come catalizzatore di cambiamento, motore di rivoluzioni e di movimenti che hanno lottato per la giustizia, la pace e l'uguaglianza.

In ambito pedagogico, infine, trattare il tema della speranza consente di incoraggiare gli studenti a riflettere sul proprio futuro e sulle proprie aspirazioni, stimolando un atteggiamento proattivo e positivo di fronte alle sfide della vita. È anche un'occasione per promuovere il dialogo interculturale e il rispetto delle diverse visioni del mondo, sottolineando come la speranza sia un sentimento universale che unisce l'umanità nella sua diversità e nella sua ricerca comune di significato e di felicità

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La foto-frase

Ogni volta che ognuno di noi compie un atto eticamente buono partecipa al dono che Dio ci fa del suo essere eterno, del suo essere un Dio eternamente vero, giusto, buono in assoluto, del suo essersi mostrato tale nella verità, nella fedeltà, nell'amore e nella giustizia di Gesù. Carlo Maria Martini

#ERRECIMAGAZINE |

La voce degli insegnanti

Anno 2 | N. 7 | a.s. 2023-24

© 2024 | La Spiga, Gruppo Editoriale ELi info@gruppoeli.it - www.gruppoeli.it

© 2024 | San Paolo Edizioni sanpaoloedizioni@stpaulus it www.edizionisanpaolo.it

Direttore responsabile: Diego Mecenero

Direttore editoriale: Carmine Picariello

Redazione: Salvatore Bimonte, Cinzia Favorito, Monica Fontana, Serena Gelli, Maurizio Grassi, Valentina Lazzaro, Diletta Lombardi, Gianluca Miele, Giovanni Nerbini, Sonia Pierotti

Progetto grafico e impaginazione: Gruppo ELi

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Come un padre...

S.E. MONS.

GIOVANNI NERBINI

VESCOVO DI PRATO

LA SPERANZA NON È UN SENTIMENTO PER INGENUI

“È lei (la Speranza), quella piccina, che trascina tutto Perché la Fede non vede che quello che è. E lei vede quello che sarà. La Carità non ama che quello che è.

E lei, lei ama quello che sarà”. È solo un piccolo passaggio del celebre e straordinario scritto di Peguy che canta la Speranza, anche se la sua originale riflessione sembra non trovare grande eco nei cristiani di oggi per molti differenti motivi. Nel tempo di avvento abbiamo riascoltato più volte la suggestiva profezia di Isaia: “Egli (il Signore) sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra” (Is 2,4)

Come invertire una realtà tanto compromessa e soprattutto come cambiare il cuore degli uomini ancora così determinati nel coltivare sogni di potere di sopraffazione, di distruzione e morte?

La chiave per comprendere ce la offre Papa Francesco: “E la nostra speranza ha un volto: il volto del Signore risorto, che viene «con grande potenza e gloria»” (Mc 13,26)

La speranza non è un sentimento per ingenui; non è una fuga dalla realtà ma una persona, quella di Gesù su cui fissare lo sguardo. È Lui risorto che cambia le sorti della storia, facendola convergere in un destino di pace. Egli che ha vinto il nemico ultimo e più grande dell’uomo, la morte, saprà pure trasformare i cuori degli uomini.

Alla luce di quello che è accaduto in questi due ultimi anni si rimane perplessi e ci si domanda come interpretare questo passo e se possa essere preso seriamente in considerazione Ma sarà davvero possibile che si giunga ad una pace universale?

Se in mezzo a noi dominano distruzione e guerra in Lui c’è la pace e quindi: “abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33)

Come e quando questa vittoria si realizzerà non ci è dato di sapere, ma questa parola spinge ogni credente a riposare nella certezza che Dio guida la

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storia personale e collettiva e chi ha fede è chiamato a coltivare la speranza e a conformare il proprio modo di pensare, di agire, di vivere alla promessa del Vangelo. Il penultimo capitolo del Libro dell’Apocalisse ci offre questa visione: “E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c'era più” accompagnandola con le parole: “E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»”. Paolo nella lettera ai Romani fa una affermazione diventata uno slogan: “Spes contra Spem” cioè sperare contro ogni speranza, rimanere fermi nella certezza che quello che è promesso si compirà nonostante appaia vero il contrario

Giorgio La Pira è stato un uomo di grande speranza ed ha fatto di questo invito a sperare il senso del proprio impegno politico per la pace e per esso ha pagato il caro prezzo dell’incomprensione e della derisione. Era solito usare una immagine davvero bella e significativa, quella del fiume Un fiume – era solito ripetere –va inevitabilmente, inesorabilmente verso il mare

A volte il suo percorso diventa tortuoso e sembra rallentare o addirittura invertire il suo itinerario, ma non è così Un credente è chiamato a prendere Dio sul serio dando alla sua “speranza” spessore e concretezza L’esempio forse più originale e luminoso di questa disposizione ce lo offre S Teresina di Gesù bambino

Prima di entrare in Carmelo si era sentita particolarmente “vicina” ad un famoso criminale: Henri Pranzino, condannato a morte per triplice omicidio del quale non si era mai pentito. Ella aveva pregato ed offerto la S. Messa per lui sicura di metterlo in contatto con il sangue di Cristo e certissima che alla fine della sua vita Gesù lo avrebbe perdonato e salvato, anche se lui non si fosse pentito e confessato Non dubitava della MISERICORDIA INFINITA di Gesù. Ebbene rimase folgorata leggendo che Pranzini, salendo sul patibolo dove sarebbe stato giustiziato, ad un tratto colto come da una improvvisa folgorazione, aveva afferrato il crocifisso che il sacerdote gli presentava e aveva baciato per tre volte le sante piaghe

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Giovani Testimoni...

SPERARE, IL CORAGGIO DI CREDERCI

Credo che, almeno una vota nella vita, abbiamo sentito o raccontato la storia “Le 4 candele”: la candela della Pace, della Fede e dell’Amore si spengono pian piano, perché nessuno nel mondo si cura più di loro.

Il bambino, presente a quella scena, piange per la tristezza, ma la candela della speranza lo consola dicendo: «Non temere, non piangere: finché io sarò accesa, potremo sempre

riaccendere le altre tre candele: IO SONO LA SPERANZA». Confesso che quando la ascolto, mi rendo conto di quanta poca fiducia nella speranza a volte io abbia Eppure è vero: la speranza, e il coraggio in essa, è sempre la possibilità di ricominciare ancora, ancora e ancora

Mi piace e mi incuriosisce una frase di Sant’Agostino: “La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio.

Lo sdegno per la realtà delle cose; il coraggio per cambiarle”.

Ci vuole tanto coraggio a credere in un mondo migliore, più umano, più giusto, soprattutto in questi tempi dove tutto è relativo, viviamo da isole e, paradossalmente, siamo connessi a migliaia di amici nel mondo grazie ai social (e non sappiamo, magari, che la vicina di casa ha partorito un bambino!)

Ognuno ha costruito la vita sui propri interessi negando Dio e, quindi, la possibilità di credere che la speranza possa davvero cambiare qualcosa.

Allo stesso tempo è necessario lo sdegno per ciò che ormai è diventata la normalità - vivere come se Dio non esistesse, appunto - e magari cominciare a impegnarsi, con “santo sdegno”, a cercare il Signore nella preghiera, nel volontariato e in mille e più modi che lo Spirito Santo suggerisce, con speranza, coraggio, fede. Sì, ci vuole coraggio, o meglio, pazzia a crederlo

Lo sdegno per la realtà delle cose e il coraggio per cambiarle, sono stati le sfide e la buona battaglia nella fede, compiuta da tantissimi uomini e donne nella storia; persone semplici che, nel silenzio, hanno creduto e sperato che Qualcosa di buono potesse ancora scaturire anche dalle fenditure di

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...fuori dal "coro"

cuori induriti e privi di ogni speranza

Quante testimonianze di santi conosciamo che, nella disperazione più assoluta a livello personale, familiare, o a causa di una disgrazia di qualsivoglia genere, avevano tutto il diritto di allontanarsi da Dio, eppure hanno sperato oltre ogni speranza, proprio perché hanno avuto il coraggio della fede? San Francesco d’Assisi, San Giovanni della Croce, San Giovanni Bosco, Santa Caterina da Siena, la Beata Chiara Luce Badano, il Beato Pino Puglisi, Santa Giovanna Beretta Molla, il Servo di Dio don Tonino Bello, San Domenico Savio, Chiara Corbello Petrillo, Alberto Michelotti e Carlo Grisolia... e tantissimi altri santi della porta accanto, persone che vivono nel nostro stesso palazzo e non conosciamo per nome, ma che ci donano speranza e gioia semplice, grazie a quella Luce che emana dai loro occhi quando li incrociamo.

Quanta Bellezza ancora c’è nel mondo! Quanta speranza Dio ha ancora oggi per me, per te, per ogni figlia e figlio amato da Lui! Ci credi?

Vedrai miracoli se ne avrai coraggio!

San Paolo, nella stupenda Lettera ai fratelli di Roma, svela qualcosa di questa speranza che tante, troppe volte, facciamo fatica a credere possibile

Egli afferma “(Noi) ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,3-5) Quindi: vantarsi nella tribolazione/prova = pazienza = virtù/fedeltà provata = speranza che non delude = coraggio/pazzia/ grazia della fede, che ha al vertice di tutto quell’Amore che il nostro Signore, Padre, Amico, Sposo ha riversato nei cuori di ciascuna e ciascuno, attraverso lo Spirito Santo già in noi in forza del battesimo

Ma non è stupendo questo Dio che non smette di dirci, in ogni modo possibile e inimmaginabile, che ci ama e si fida anche della nostra poca speranza?!

Ci ama così come siamo e sta chiedendo, proprio qui e ora, una cosa sola: sii uomo e donna di speranza e non temere, io ho vinto e vinci anche tu, quando non permetti alla tua sofferenza di schiacciarti perché IO SONO IN TE, CON TE, PER TE!

Abramo che “credette saldo nella speranza contro ogni speranza” (Rm 4,18), ci aiuti a saperci rivolgere a Dio con lo stesso coraggio di chi non ha più niente da perdere, e osa chiedere all’Onnipotente un aiuto per continuare a sperare

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Due chiacchiere con...

L '

I

N T E R V I S T A

A L L A G I O V A N E

E T A

L E N T U O S A

E N R I C A M U S T O

NEL 2019, LA CANTANTE LIRICA, HA VINTO IL TALENT “TU SI QUE VALES” IMPRESSIONANDO PUBBLICO E GIUDICI CON LA SUA INTERPRETAZIONE DI “C’ERA UNA VOLTA IL WEST” DI ENNIO MORRICONE.

Com’è stata la tua esperienza che ti ha portato a essere la campionessa nel 2019 del talent “Tu si que vales”? Com'è nata? Come l'hai vissuta?

Sicuramente è stata una delle esperienze più sorprendenti della mia vita, la porterò sempre nel cuore Mi ritengo una persona tanto ansiosa, però quest’esperienza l’ho vissuta serenamente… forse il fatto che l’abbia affrontata in modo inconscio mi ha permesso di viverla nel migliore dei modi

Inoltre ho incontrato persone del team davvero meravigliose, che hanno impreziosito ancora di più il tutto

Dopo la vittoria, com'è cambiata la tua vita privata e professionale?

Non è cambiato assolutamente nulla, o meglio, io non sono cambiata magari ci sono state situazioni diverse, incontri diversi, questo sì, però grazie alla mia famiglia e al mio team ho potuto conservare la mia quotidianità e la bellezza delle piccole cose

Oggi, dopo questo successo è arrivata la laurea.

Quali sono i tuoi sogni nel cassetto? Cosa ti aspetti e cosa speri per il tuo futuro?

Il mio desiderio più grande è quello di esser fiera e felice di quello che ho fatto e di quello che farò. Mi auguro di non spaventarmi mai al punto da non provare a fare qualcosa Poi, ovviamente, si auspica sempre di migliorare, crescere e poter poi onorare i propri sacrifici con belle soddisfazioni, speriamo

Per te, invece, cos’è la speranza? Come credente, come vivi la tua

Enrica (classe 1981) è originaria di Montemiletto, un paesino in provincia di Avellino

fede in un mondo come quello dello spettacolo, dove a volte è più importante apparire che essere?

Per me la speranza è davvero un filo di luce, è ciò che nutre di energia le nostre paure Senza speranze non si vive mai appieno, secondo me. Sperare aiuta a sopravvivere, ad affrontare con positività la vita

Nel mondo dello spettacolo non basta solo avere speranza, purtroppo a volte serve la situazione giusta al momento giusto. Secondo me tutte le cose accadono per una ragione, sempre Nella tua esperienza professionale, i progetti a volte rischiano di essere illusioni o ti basi sempre su cose concrete e tieni forte la speranza di riuscirci?

Mi ritengo una persona poco sognatrice, mi affido più alle cose concrete… mi piace poter gestire le cose, conoscere e analizzarle il più possibile

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Ovviamente il desiderio di poter controllare tutto è forte, ma impossibile. È lì che per me interviene la speranza: mi aiuta ad affrontare eventuali difficoltà con calma.

Hai un messaggio da lanciare ai tuoi coetanei che si avvicinano o che vogliono addentrarsi nel mondo dello spettacolo?

Magari di provarci sempre Di insistere e resistere Di non misurarsi in base a obiettivi che ci autoimponiamo per definirci come persone

Se le cose devono accadere, accadono.

E se così non fosse, si troverà comunque la propria strada. Ogni esperienza è davvero un dono e sicuramente ci servirà per un domani

Da laureata, quindi giovane che crede nella scuola e nell’educazione, hai un messaggio

di speranza da lanciare al mondo della scuola?

Di fidarsi e affidarsi agli educatori, perché la scuola è la prima realtà a cui ci si approccia, quindi avere una guida è un’ottima occasione per piantare solide radici. Ultima domanda un po' trabocchetto: Come andavi a scuola? Ti piaceva?

E il tuo rapporto con gli insegnanti di religione?

A me piace molto studiare e mi è sempre piaciuto, sin da piccola Ho avuto un bel rapporto con tutti i miei insegnati e ricordo con molto affetto la mia professoressa di religione: una dolcezza disarmante che le si leggeva negli occhi. Ogni tanto ci sentiamo e sono lusingata del fatto che lei, nonostante tutti gli allievi che ha avuto e che ha, si ricordi di me e, soprattutto, se ne interessi ancora (oltre le mura della scuola)

Lasperanza miaiuta adaffrontare eventuali difficoltà... ...ogniesperienza èundono perildomani!
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TORINO: DAI SAVOIA A OGGI, IL SALOTTO BUONO DELL’ITALIA

MAURIZIO GRASSI

Il capoluogo piemontese è una città dal fascino unico: prima piccolo villaggio pedemontano, poi capitale di un regno e di una nazione, diventando infine luogo privilegiato del cinema e dell'automobile, oltre che un polo dell'innovazione italiana

Sobria nonostante i segni del tipico lusso della città ottocentesca, Torino è giovane, ricca di attrattive, dinamica e aperta al mondo. Una perfetta combinazione di gioielli architettonici e monumentali, musei e gallerie d’arte, divertimento, buon cibo ed eventi di fama internazionale, tra i quali il Salone del Libro, il Salone del Gusto e il Torino Film Festival. L'affascinante storia di Torino ha inizio nel 218 a.C., quando Annibale raggiunse le pianure piemontesi con l’esercito cartaginese L’agglomerato di case di legno, con l’arrivo di Giulio Cesare nel 58 a.C., si tramutò nella Torino romana, una colonia strategica che, nel 28 a C , si ampliò e cambiò il nome in Augusta Taurinorum

Alla caduta dell’impero, la cittadina cadde nelle mani dei Longobardi e dei Franchi, infine, divenne un principato vescovile nello snodo cruciale tra fiandre e Italia

Dal 1280 d C Torino appartenne ai Savoia e venne inglobata nel Ducato, crescendo senza sosta. Il 1563 fu l’anno della svolta per la città: il duca Emanuele Filiberto decise di nominarla nuova capitale del Ducato di Savoia.

L’unificazione italiana del 1861 rese Torino la capitale del Regno d’Italia Tra la fine del 700 e l’inizio dell’800 divenne una delle prime città in Europa a dotarsi di un sistema di illuminazione a gas.

Nei primi anni del 900 furono fondate FIAT e Lancia, trasformando Torino in un centro industriale, ma anche importante punto di riferimento per il cinema grazie alla fondazione della l’Ambrosio Film, prima società cinematografica italiana

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viaggio...

Il Museo Egizio

Irrinunciabile la visita al Museo Egizio di Torino, il quale vanta più di 30 000 pezzi tra statue di faraoni, sarcofagi, gioielli e oggetti d’uso quotidiano, considerato il più importante al mondo dopo quello del Cairo Sono molti gli studiosi di fama internazionale, che si dedicano allo studio delle sue collezioni, confermando quanto scrisse il decifratore dei geroglifici egizi, Jean Francois Champollion: ”La strada per Menfi e Tebe passa da Torino ”

La Mole Antonelliana

I Musei Reali

I Musei Reali di Torino, situati all’interno dell’imponente Palazzo Reale che domina Piazza Castello, vero fulcro della città, insieme alla centralissima Piazza San Carlo sul cui perimetro sorgono diversi caffè, dove celebri intellettuali e uomini di cultura usavano riunirsi per discutere di faccende politiche Per ultima e non meno importante, la suggestiva piazza Vittorio Veneto situata sulle rive del Po, proprio di fronte all’ imponente Chiesa della Gran Madre

Per respirare la storia della città è essenziale passare dalla Mole Antonelliana, simbolo architettonico dedicato all’unità nazionale. È l’edificio in muratura più alto d’Europa e permette di ammirare la straordinaria vista sulla città e sull’arco alpino. Per di più, sede del Museo Nazionale del Cinema

Il Duomo

Tra le chiese di Torino il Duomo guida la classifica di quelle da visitare, si tratta dell’unica chiesa in stile rinascimentale del capoluogo piemontese, con al suo interno la Cappella della Sindone che custodisce il sudario in cui sarebbe stato avvolto il corpo di Gesù nel sepolcro.

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LA “SACRA SINDONE” DI TORINO

GIANLUCA MIELE

La Sindone è una delle tante reliquie conservate in Italia, ma il posto che solitamente occupa nelle cronache è riservato più alle contestazioni circa la sua autenticità che ad altri motivi Cos’è? È un lenzuolo (dal greco: σινδών) lungo circa 4,42 metri e largo 1,13 su cui è presente una doppia immagine umana tridimensionale in “negativo fotografico”, macchie rosse, segni di bruciature e aloni lasciati dall’acqua Dove si trova? La Sindone è conservata in una cappella del Duomo di Torino, normalmente non

è visibile, ma sporadicamente vengono fatte delle ostensioni pubbliche per permetterne la venerazione ai fedeli

Su come sia stata realizzata l’immagine sono stati spesi fiumi di inchiostro e ancor più parole, ma la ricerca scientifica ancora non è stata capace di dare una risposta precisa né di riprodurla.

Questo con buona pace di chi, ancor oggi, scrive che la Sindone sarebbe un’opera pittorica medievale o addirittura una creazione artistica attribuibile a Leonardo da Vinci

Sulla presunta natura pittorica sono stati fatti numerosi studi chimici, ma i risultati volti a sostenerla sono stati perlopiù confutati [1]

Ma perché tanto accanimento contro questo reperto? Perché essa sarebbe un elemento concreto del più grande mistero umano esistente: la Resurrezione di Gesù Cristo. Pur non esistendo una posizione ufficiale univoca della Chiesa, essa viene generalmente riconosciuta come reliquia legata al mistero della redenzione umana [2] , ma non è mai citata come “prova provata” di questo

[1] Emanuela Marinelli, Sindone – Un’Immagine “impossibile”, Ed San Paolo, Cles (TN), 1998, pp 117-135 In questo capitolo la famosa sindonologa espone alcune delle teorie più famose sulla “fabbricazione” della Sindone e le smonta passo a passo. [2] https://tinyurl com/Giovanni-Paolo-II Giovanni Paolo II alle autorità torinesi, 13 aprile 1980 : “Quando, all’inizio di settembre del 1978, venni a Torino come pellegrino, ansioso di venerare la santa Sindone, insigne reliquia legata al mistero della nostra redenzione, non potevo certamente prevedere, all’indomani della elezione del mio amato predecessore Giovanni Paolo I, che vi sarei tornato, a meno di due anni di distanza ,con altre responsabilità ed in altra cornice ”

Attualità... pagina12

mistero, cosa che però viene fatta in ambienti non religiosi con l’obiettivo dichiarato di “voler smascherare” la natura di questo prezioso oggetto [3]

Ma allora si può dire che, per i credenti, la Sindone è la prova della fede nella Resurrezione di Cristo? No, la fede per sua natura non può e non necessita di essere provata. Questo non significa che un buon fedele non debba rendere ragione di ciò che crede, bensì che l’oggetto della fede non è indagabile fisicamente, ma pertiene alla dimensione dell’esperienza personale che non può mai essere avulsa da una dimensione razionale

L’assurdo è tanto il cercare di dimostrare la fede con presunte prove, tanto il voler smontare la fede basandosi su simili appoggi

La Sindone è un oggetto di straordinaria importanza (basti esplorare l’ampiezza del dibattito che si scatena intorno alla sua autenticità, capace di muovere laboratori scientifici di mezzo mondo) che sicuramente può illuminare la fede del Credente, ma allo stesso tempo va analizzata con le dovute cautele.

La fede non può e non dovrebbe basarsi su elementi che afferiscono esclusivamente al concreto

La fede nei miracoli infatti non è fede concreta[4], ma questi eventi possono indubbiamente rafforzare una base che già c’è.

Infatti un’ipotetica – e credo poco probabile – dimostrazione della falsità della Sindone non potrebbe intaccare minimamente la fede in Cristo Gesù, ma questo a patto che il credere non sia fondato su quell’oggetto

Una delle critiche più frequenti sull’autenticità della Sindone è legata alle lacune nella sua storia.

Le prime menzioni della Sindone si trovano nei quattro Vangeli canonici (Mt 27,59; Mc 15,46; Lc 23,53 e 24,12; Gv 19,39-40 e 20,6-10) dove si fa riferimento a un lenzuolo (in greco σινδών), a delle bende e a un sudario

Una menzione meno nota della Sindone si ha in un testo apocrifo detto “Vangelo degli Ebrei” del II Sec d C e citato in un’opera di San Girolamo, il “De Viris Illustribus” (392-393 d.C.): “Il Signore, dopo aver consegnato il lenzuolo ad un servo del sacerdote, andò da Giacomo e gli apparve”[5], per il resto non ci sono menzioni esplicite del lenzuolo funerario del Cristo fino al termine delle persecuzioni romane (Editto di Milano del 313 d C dell’Imperatore Costantino)

In questo periodo Papa Silvestro I (ca 285-335 d C ) diede disposizione affinché la celebrazione eucaristica avvenisse su un telo di lino o canapa, a simboleggiare il sudario di Cristo.

Si ha poi la tradizione dei sarcofagi

funerari di epoca teodosiana, dove il volto di Cristo viene rappresentato nella forma che oggi noi diamo per scontata (barba corta, baffi, capelli lunghi), mentre in precedenza il Cristo veniva solitamente rappresentato come un forte giovane imberbe (sul modello di Apollo e Giove) che potrebbero essere indizi di una conoscenza dell’immagine impressa sul famoso lino (tenendo conto che i Vangeli non descrivono l’aspetto di Gesù)

Esistono poi tradizioni antiche che riportano che, durante l’evangelizzazione della Georgia (306337 d.C.), la Sindone sarebbe stata in possesso della moglie di Pilato e poi passata all’Evangelista Luca che la nascose in un luogo segreto.

[3] Per esempio l’opinionista Pubble in una diretta Live da Carrara del 14 gennaio 2024 [minn 25,50-41,23]: https://tinyurl com/YouTubePubble-Sindone dove impropriamente e con grande imprecisione cerca di ridurre la Sindone a falso storico creato ad arte e addirittura di negare l’esistenza storica di Gesù.

[4] Cf Lc 16,27-31: “E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi" Risulta evidente come già il Vangelo ammonisca i fedeli dal basare la propria fede su eventi straordinari [5] Opera citata in Marcello Craveri (Ed.), I Vangeli Apocrifi, Einaudi, Cles (TN) 2011, p.273 e di cui si trova un’interessante variante citata in Marco Tosatti, Inchiesta sulla Sindone – Segreti e misteri del sudario di Gesù, PIEMME, Cles (TN) 2009, p 37; dove il giornalista sostiene che la parola “servo” sia in realtà un errore di copiatura di “Pietro”, purtroppo l’autore non menziona chi sostiene questa tesi e su quali basi, ma sarebbe un interessante appiglio che colmerebbe una lacuna incredibile: davvero né Pietro né il discepolo amato pensano a raccogliere i teli che trovano nel Sepolcro vuoto? Interessante notare che anche Marinelli cita la variante testuale in E Marinelli, op cit , 75 Nei testi qui citati si rimanda al passo di 1Cor 15,5-7 dove Paolo dice che il risorto appare a Pietro, a Giacomo e agli altri Discepoli.

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Altre tradizioni la farebbero arrivare a San Pietro Apostolo, mentre lo Pseudo-Cipriano (III-IV sec. d.C.) e altri autori di epoca patristica continuano a menzionare la Sindone in maniera più o meno diretta.

Amalario di Metz (ca 775-850), liturgista e teologo francese, nonché ambasciatore a Costantinopoli nell’813, parla della Sindone come corporale, terminologia ancora in uso fino alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II (nel rito ambrosiano) Questo fa pensare che possa essere stata una prassi osservata dall’illustre ambasciatore e che si sia inserita nella tradizione liturgica milanese rafforzando il parallelo tra il lino liturgico, che contiene le specie consacrate (calice e pisside contenenti l’Eucarestia), e il lenzuolo che contenne le spoglie mortali di Nostro Signore

Altre leggende collegano la Sindone all’Immagine di Edessa[6]. Tale immagine venne nascosta e riapparve solo nel VI sec. d.C., in seguito a distruzioni varie, celata nell’incavo di un muro. Quest’immagine è nota anche come Mandylion e secondo molti autori sarebbe stato un telo molto più grande, ma ripiegato per quattro volte in modo da mostrare solo il Volto Santo di Gesù che la tradizione voleva “non fatto da mani umane” (dal greco ἀχειροποίητος da cui l’italiano achiropita), che rappresenterebbe un ulteriore punto di contatto con la Sindone. È sicuramente a partire dal Mandylion che, in Oriente prima e in Occidente poi, si diffonde e normalizza la struttura del volto di Gesù che oggi conosciamo e diamo per scontata Le rappresentazioni più antiche del Mandylion riportano però un volto

monocromatico su tela, che ricorda molto il volto impresso sulla Sindone. Sono poi numerose le tesi che collegano il velo della Veronica alla Sindone e che si intrecciano con notizie storiche legate al periodo iconoclastico che avrebbe permesso il viaggio di una reliquia “icona” come la Sindone verso Occidente per farla sfuggire alla distruzione Il velo della Veronica è un oggetto legato alla tradizione apocrifa successiva al VII Sec d C , e come molti elementi apocrifi ebbe una grande fortuna fino ad essere inserito nella prassi devozionale della Via Crucis (Sesta Stazione).

La leggenda vuole che una giovane donna di nome Veronica[7] stesse seguendo Gesù sulla via del Calvario e impietosita dalle molte ferite sanguinanti e dalle lacrime che il Cristo stava versando, gli deterse il volto con un panno sul quale rimase impresso il Volto Santo di Gesù[8]

In quei giorni arrivò in Giuda un messo imperiale, Volusiano, che avrebbe dovuto incontrare Gesù su mandato dell’Imperatore Tiberio che giaceva gravemente malato, ma Gesù era ormai stato crocifisso, il Messo cercò quindi fra i discepoli e incontrò la giovane donna che si offrì di accompagnare il funzionario a Roma, l’Imperatore guarì miracolosamente alla vista del manufatto miracoloso

[6] Eusebio di Cesarea (260-339 d C ) nella sua opera la “Storia Ecclesiastica” riporta la leggenda del Re di Edessa Abgar V Ukama (il nero) il quale essendo malato fa cercare Gesù avendone sentito parlare e intesse un rapporto epistolare col Cristo In un’altra variante, contenuta in un testo apocrifo del IV-V sec d C “Dottrina di Addai”, Gesù risponde oralmente al messo reale, ma questi, un tale Hannan che era anche un abile disegnatore, ritrasse il volto di Gesù e lo portò nella città. La pellegrina scrittrice Egeria (384 d.C.) racconta di essere passata dalla porta dalla quale passò Hannan, ma non menziona di aver visto l’immagine sacra

[7] Sull’origine del nome della Veronica esistono almeno due versioni, una infatti lo vorrebbe derivato dal Latino e quindi simbolico “la vera immagine” (vera icona), l’altra lo vorrebbe derivato dal greco Berenice (dal greco Φερενικη “che porta la vittoria”), ma quest’ultima si tratterebbe di una commistione errata della leggenda della Veronica con l’episodio evangelico dell’emorroissa (Mt 9,20-22; Mc 5,2534; Lc 8,43-48).

[8] Esiste una variante della leggenda sul Mandylion che dice che il volto di Gesù fu ottenuto in questo modo e non ritratto pittoricamente Mentre, per converso, si ha un’altra versione della storia della Veronica nella quale la giovane voleva ritrarre Gesù, acquistò un panno per farlo dipingere a un pittore, ma incontrando Gesù lungo la via, Lui le chiese il panno, si deterse il volto e l’immagine restò là impressa

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Il Velo sarebbe quindi giunto a Roma e vi sono diverse fonti che ne attestano l’arrivo (tra cui un’incisione in uno scrigno ligneo conservato nel Pantheon).

Ma la Sindone non può essere identificata col Velo della Veronica, perché da un lato si parla di un panno molto piccolo con l’immagine del solo Volto Santo, dall’altro si ha un telo di oltre quattro metri con l’immagine di un intero corpo umano Si hanno quindi dei punti di contatto tra Mandylion e Velo e tra Mandylion e Sindone (nel caso in cui il primo fosse effettivamente un telo più lungo accuratamente ripiegato), l’impressione che si ha è che si parli di almeno due reliquie differenti le cui storie si sono sovrapposte. Ma dove si trova il Velo della Veronica? Sono almeno 4 i posti che vantano di possedere la Sacra reliquia del Volto Santo: Roma (San Pietro in Vaticano nella cappella del Pilastro, oppure perduto), Manoppello in provincia di Pescara (gli esami svolti sulla reliquia indicano l’assenza di pigmenti o pitture e la perfetta sovrapponibilità al volto della Sindone), Jaén (Spagna) e Alicante (Spagna). Qualcosa che ricorda molto da vicino la Sindone è citato nel Codex Vossianus Latinus Q. 69 (conservato nella Biblioteca Universitaria di Leida, nei Paesi Bassi) e risalente al X sec d C Nel 944 d C l’Imperatore di Bisanzio Romano I Lecapeno (870-948) dichiara guerra al sultanato arabo di Edessa e le sue truppe riportano il Mandylion in trionfo nel territorio Cristiano a Costantinopoli, dove fu istituita la festività liturgica del 16 agosto in memoria della Traslazione. Le varie descrizioni seguite all’evento fanno propendere per

un’identificazione con la Sindone Da qui in poi si diffonde la cosiddetta “Imago pietatis”, vale a dire Cristo che sporge dal Sepolcro, che potrebbe rafforzare la tesi per cui il Mandylion piegato in quattro fosse stato parzialmente aperto. Studi fatti negli anni ’70 del ‘900 confermerebbero segni di piegature sulla Sindone. Da qui in poi spariscono le menzioni del Mandylion in favore del lenzuolo funebre di Gesù La Sindone viene segnalata come oggetto di venerazione nell’XI e XII secolo[9] Nel 1204 Costantinopoli cade per mano crociata e la Sindone scompare nuovamente

L’immagine del Volto Santo venerata dai Templari a Templecombe (Inghilterra, XII-XIV sec.) consta di un coperchio di legno di quercia dipinto, la cui raffigurazione risulta nondimeno estremamente simile a quella della Sindone, il che permette di supporre che proprio loro si fossero appropriati del Sacro lino durante la crociata

Sta di fatto che essa riappare a Lirey in Francia circa centocinquanta anni dopo il sacco di Costantinopoli nel palazzo di Geoffroy de Charnay (ca. 1305-1356, un omonimo del quale finì sul rogo insieme al Gran Maestro dell’Ordine Templare Jacques de Molay, 1249-1314).

La reliquia viene più volte ostensa e finisce anche in mezzo a contese

giuridiche fino a quando Marguerite (m 1459), nipote di Geoffroy I, la donò ad Anna di Lusignano (14191462) moglie del Duca Ludovico di Savoia (1413-1465), gesto per il quale venne scomunicata, ma che permise l’arrivo della Sindone a Chambéry dove nel 1502 le fu costruita una cappella dedicata. Resta un oggetto di devozione privata fino al 1506 quando viene fissata la festa liturgica nel giorno 4 maggio

La storia della Sindone ritrova quindi una certa linearità, fino a quando, nel 1532 la reliquia sfuggì a un terribile incendio occorso nella notte fra il 3 e 4 dicembre, nella quale essa venne in parte danneggiata e che rese necessari importanti lavori di riparazione delle parti lese dal fuoco. Tale intervento fu fatto ad opera delle Clarisse locali, che ovviamente non misero in atto le minime accortezze tecniche che oggi normalmente metteremmo in atto per un restauro Sia l’incendio che il lavoro di riparazione contaminarono irreparabilmente la superficie della Reliquia Una volta rammendata a dovere la Reliquia fu riallocata nella sua sede.

Nel 1578 San Carlo Borromeo espresse la volontà di fare un pellegrinaggio per venerare la Sindone, ma il Duca Emanuele Filiberto di Savoia al fine di facilitarlo ed evitargli un lungo e pericoloso

[9] Alessio I Comneno (1048-1118) nel 1080 chiede aiuto ai regnanti Occidentali per proteggere le Reliquie dell’Impero Romano d’Oriente e cita i teli rinvenuti nel Santo Speolcro; Luigi VII di Francia (1120-1180) venerò la Santa Reliquia a Costantinopoli nel 1147; Manuele I Comneno (1118-1180) la mostra ad Amalrico I Re dei Latini a Gerusalemme (1136-1174) nel 1171;diverse menzioni in varie opere di autori monastici

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viaggio attraverso le Alpi fece trasferire il telo a Torino e qui lo lasciò. Le esigenze di venerazione della Reliquia portano, nel 1694, a costruire una cappella ad hoc in cui collocarla, la cosiddetta Cappella Guarini, posta fra il Palazzo Reale e il Duomo Torinese

Nel 1983 muore Umberto II, ultimo Re d’Italia, il Segretario di Stato Vaticano Agostino Casaroli (19141998) accetta il lascito testamentario della Sindone e ne delega la custodia all’Arcivescovo di Torino.

Nel 1997 un altro incendio minacciò di distruggere la Reliquia che fu salvata grazie al pronto intervento dei Vigili del Fuoco che sfondarono la teca protettiva e prelevarono la cassetta contenente il prezioso telo. Il restauro della Cappella richiese 28 anni e oggi è visitabile nel percorso dei Musei Reali di Torino

L’ostensione della Sindone è un evento abbastanza raro se si pensa che dal 1978 a oggi è stata ostensa solo 7 volte, precisamente negli anni: 1978, 1998, 2000, 2010, 2013 (ostensione televisiva), 2015 e 2020 (ostensione televisiva).

[10] M.Tosatti, op. cit., p.10

[11] E Marinelli, op cit 102-103

Ma se osserviamo direttamente la Sindone si vede ben poco, è necessario avvicinarsi molto (cosa impossibile) per distinguere la figura dell’enigmatico uomo della croce, ma è sempre stato così?

Probabilmente no, con l’usura del tempo l’immagine va via via scomparendo[10], ma da dove viene la famosa immagine che compare facendo una qualsiasi ricerca Google?

Da una fotografia di Secondo Pia scattata nel maggio 1898 e sviluppata in negativo fotografico con la quale si riesce ad apprezzare appieno la figura impressa sul lino.

Paradossalmente la pubblicazione di questa immagine ingenererà tutte le domande e le critiche relative all’autenticità[11] fino al famigerato caso del Radiocarbonio col metodo del 14C

Nel 1988 venne autorizzata l’analisi al Radiocarbonio 14C su un micro lembo assai contaminato che datò la Sindone tra il 1260 e il 1390 d C , ma la gran parte della comunità scientifica non fu convinta dato che tutte le altre analisi davano e danno risultati differenti.

Peraltro i tre laboratori che eseguirono la ricerca hanno sempre rifiutato di fornire l’esatta distribuzione dei dati grezzi che avrebbe permesso ad altri laboratori di verificare il loro operato. Si riscontra, inoltre, che tale tipo di datazione è estremamente poco efficace nell’analisi dei tessuti[12] Altri esami sui tessuti, su micro particelle di pollini e terriccio microscopico intrappolato nel telo e su altri fattori invisibili a occhio nudo, portano a collocare la Sindone nella zona dell’attuale Israele - Palestina e in un periodo coerente col I sec. d.C. [13]. Nonostante questo la polemica sull’autenticità della Sindone resta una delle più ferventi in certi ambiti del web, con una disperata ricerca volta a screditare la Chiesa da un lato e una metodica e sapiente ricerca storicocritica, coadiuvata dalle più sofisticate tecniche scientifiche, per capire se quel telo possa davvero essere la reliquia più importante del Cristianesimo Consiglio vivamente, a chi potrà, di andare ad osservare questo singolarissimo oggetto alla prossima ostensione.

[12] https://tinyurl com/La-Stampa-Sindone si veda il contenuto di questo articolo Autori come il Nicolotti però sono di avviso diametralmente opposto, si veda Andrea Nicolotti, Sindone – Storia e leggende di una reliquia controversa, Giulio Einaudi Editore, Torino 2015, pp 306-325

[13] Emanuela Marinelli (Ed.), Nuova luce sulla Sindone – Storia Scienza Spiritualità, Edizioni Ares, Milano 2020, pp.161-169

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SEMINARE IL RICORDO AIUTA A FAR GERMOGLIARE UMANITÀ

CINZIA FAVORITO

Il “Giorno del Ricordo” è stato scelto al fine di conservare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Anche in considerazione dei vent’anni dalla istituzione della predetta Giornata, la Prefettura di Avellino, d’intesa con il Convitto Nazionale “Pietro Colletta”, ha organizzato un seminario di approfondimento culturale e storico

Gli studenti attraverso un lavoro di ricerca e di rielaborazione personale hanno voluto testimoniare, alle autorità presenti, l'impegno contro ogni forma di violenza e sopraffazione. In particolare i ragazzi hanno simbolicamente donato, prima dell’avvio del seminario, un cuore realizzato con carta, acqua e semi Un impasto che poggiato sulla terra consente ai semi di fiorire nella varietà dei colori e della bellezza, così come i semi del lavoro svolto nella Giornata del Ricordo possano divenire germogli di umanità.

Il lavoro di approfondimento interdisciplinare ha narrato attraverso la poesia e la musica il massacro e gli eccidi delle Foibe,

la genesi storica, la composizione del territorio carsico utilizzato per infoibare le vittime, i monumenti che ricordano questi tragici eventi e la storia di un martire delle Foibe: don Francesco Bonifacio. Ma chi era questo sacerdote e cosa può dire oggi ai nostri giovani? Gli studenti partendo da questa domanda ne hanno ricostruito la storia e la testimonianza che ha affascinato tanti giovani e che presentiamo come proposta di approfondimento da proporre agli alunni nell’ora di Religione cattolica

La storia di don Francesco Giovanni Bonifacio si sintetizza in una frase scritta nel suo diario: «Siamo in tempi eroici. Siamo eroici per essere santi fino, se occorre, al martirio» L’ 11 settembre 1946 fu trucidato dai comunisti, che non ne sopportavano l’impegno per i giovani.

Nel 2008 Benedetto XVI ha promulgato il decreto della Congregazione per le Cause dei Santi, che lo dichiara assassinato in odium fidei, assassinato come “martire delle foibe”. Aveva solo 34 anni quando fu ucciso.

Don Bonifacio, aveva avviato un significativo percorso di formazione cristiana per i giovani del luogo Con la parola e con l’esempio, aveva incarnato in prima persona gli ideali di “preghiera, azione, sacrificio”. Anche per questo motivo, secondo diverse testimonianze rese nel processo canonico, il sacerdote «fu fatto oggetto di sinistre attenzioni e di minacciosi segnali da parte delle autorità slavo-titine».

Infatti il suo operato, benché trasparentemente super partes nelle contese etniche nazionali,

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venne giudicato pericoloso a motivo dei suoi rapporti con il vescovo di Trieste e per il suo ascendente sulla popolazione giovanile

La sua colpa fu quella difendere la fede della sua gente dall’ateismo che si pretendeva di imporre e stimolare all’epoca i giovani delle terre in cui era nato e vissuto a iscriversi all’Azione cattolica, realtà non vista di buon occhio in quel momento dai leader comunisti.

“Don Francesco era molto amato dalla gente, i giovani attratti dalla coerenza tra la sua predicazione e la sua vita di chiunque avesse bisogno, senza distinzione. Numerose le testimonianze:

Quando partigiani e fascisti durante la guerra si ammazzavano, il giovane prete a suo rischio andava a recuperare i morti e li seppelliva, chiunque fossero.

Si oppose ai fascisti impedendo che dessero fuoco alle case in cui erano stati accolti i partigiani. Ma andò anche al Comando di Difesa Popolare dei titini a protestare per l’assassinio di contadini italiani. In canonica nascondeva i giovani che non volevano combattere dalla parte dei nazifascisti, ma anche chi fuggiva dalle file dei titini

Finita la guerra proprio il forte ascendente che continuava ad avere sul popolo divenne la sua colpa “Colpire il pastore piuttosto che il gregge” era il mandato, e così fu fatto.

Don Francesco, la sera dell’11 settembre 1946, tornava verso casa percorrendo un sentiero in salita Nel pomeriggio, in una frazione della zona, aveva ordinato la legna per scaldare il focolare domestico durante i rigori dell’inverno. Più tardi era salito a Grisignana per trovare conforto nell’amicizia che lo legava a un confratello, monsignor Luigi Rocco, e per ricevere l’assoluzione. Sulla via del ritorno il sacerdote venne fermato da due uomini della guardia popolare Un contadino che era nei campi si avvicinò ai sicari e chiese loro di lasciar andare il suo prete, ma fu allontanato brutalmente e minacciato perché non dicesse nulla di ciò che aveva visto Poco dopo le guardie sparirono nel bosco. Il sacerdote fu spogliato e deriso, ma egli, a bassa voce, cominciò a pregare. Si rivolse al Signore e chiese perdono anche per i suoi aggressori

Accecati dalla rabbia, i due cominciarono a colpirlo con pugni e calci: don Francesco si accasciò

tenendo il viso tra le mani, ma non smise di mormorare le sue invocazioni. I suoi carnefici tentarono di zittirlo scagliandogli una grossa pietra in volto, ma il curato, con un filo di voce, pregava ancora.

Altre pietre lo finirono. Da allora non si seppe più nulla di lui. Il suo corpo, dopo l’atroce esecuzione, scomparve Quasi certamente fu gettato in una foiba forse quella di Martines Il testimone oculare e coprotagonista del tragico evento, pentitosi, ha raccontato come si comportò il sacerdote: «Don Bonifacio affronta la situazione con calma, si oppone al denudamento, chiede perdono a Dio per le proprie colpe e per quelle dei persecutori, offre la fronte a chi vuole colpirlo, fa cenno di farsi la croce e muore».

È stato realizzato un monumento commemorativo nel luogo in cui è stato arrestato il sacerdote don Francesco Bonifacio L’arch Marco Aliotta, ha fatto memoria degli incontri avuti in più occasioni con testimoni che gli hanno parlato in modo appassionato della vita e della spiritualità di questo giovane prete istriano

Di forte ispirazione è stata per l’architetto anche la visita ai luoghi della vita di don Francesco ed in particolare la vista dall’alto di quella stradina da lui percorsa fino al luogo dove è stato catturato e da questo splendido panorama istriano si è

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voluta porre una croce, a significare come il suo radicamento nella Parola di Dio lo avesse sollecitato quotidianamente alla testimonianza (martyrion) sino ad arrivare al martirio.

La croce è una croce greca e, con i due bracci della stessa misura, si è voluta trasmettere l’idea dell’equilibrio tra la dimensione orizzontale e quella verticale nel percorso di don Francesco verso la Casa del Padre dopo la sua vita terrena, culminata con l’uccisione, perché l’abbraccio di Dio ha riportato tutto in armonia, dando senso e valore alle scelte fatte da questo giovane prete.

Le scritte poste sul lato verticale del leggio, espresse in italiano e in croato, unite tra di loro dalle date della nascita e della morte e dalle parole «in odium fidei», a significare come da sempre la terra d’Istria è un’unità composita, ricordano il servizio svolto da don Francesco tra la sua gente, in particolare tra i giovani, e il dono della palma del martirio che, come ci ricorda San Paolo nella seconda lettera di Timoteo (al capitolo 4, versetto 8), «il Signore dona a tutti coloro che attendono con amore la Sua manifestazione».

Infine, la scritta posta alla base del monumento, rammenta il perdono che don Francesco ha donato ai suoi

uccisori nel momento finale della sua vita.

Per ripercorrere la sua vita è nato anche un sentiero per rigenerare corpo e spirito che unisce sentieri naturalistici, cittadine ricche di storia e arte e panorami mozzafiato. Un sentiero tra mare, cielo e terra Un viaggio ideato per rigenerare corpo e spirito, facendosi accompagnare dall'incredibile storia di Don Francesco Bonifacio, martire della Chiesa, tra sentieri naturalistici, cittadine ricche di storia, arte e panorami mozzafiato

Un piccolo pezzo in Italia dalla Cattedrale di San Giusto di Trieste fino a Muggia Vecchia, attraverso la Via Flavia e poi giù in Slovenia verso Capodistria, Pirano e finalmente in Croazia con Tribano, Grisignana, Crassiza, Cittanova. Consigliato a piedi ma fattibile anche in bici. Per compierlo per intero ci vogliono dai cinque ai sette giorni, ma è possibile pure stare fuori appena un weekend: basta saltare alcune tappe e, con l’aiuto dei mezzi pubblici, addentrarsi solo nei luoghi simbolo in cui visse Francesco Bonifacio Che sono Pirano, dove nacque e si formò spiritualmente, e i luoghi del martirio vicino a Grisignana: la foiba Martines, il cimitero di S Vito, la chiesa e la strada tra Crassiza e Grisignana dove è stato visto l’arresto e dove è stato fatto erigere un monumento in sua memoria.

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Santi e....

GUBBIO: SANT’UBALDO E LA FESTA DEI CERI

Intra Tupino e l’acqua che discende del colle eletto dal beato Ubaldo, fertile costa d’alto monte pende… (Dante, Paradiso XI Divina Commedia)

Così Dante presenta Gubbio, “la città di pietra” adagiata ai piedi del monte Ingino, sulla cui sommità sorge la basilica che custodisce al suo interno il corpo incorrotto dell’amato Patrono sant’Ubaldo

Non è nota con esattezza la data di nascita di Ubaldo, che si presume possa essere intorno al 1085, in quanto il suo biografo Teobaldo afferma che nel 1105 era adolescente Alla morte del padre Rovaldo il giovane Ubaldo fu affidato allo zio che lo avviò alla vita religiosa. Studiò con i canonici di san Secondo, come rileva anche l’altro suo biografo Giordano e poi a circa venti anni alla canonica di san Mariano. Ordinato sacerdote nel 1114, nel 1117 fu nominato canonico della cattedrale, dove si adoperò con autorevolezza per ristabilire la disciplina ecclesiastica. Diventato priore della cattedrale, Ubaldo si prodigò con coraggio nella ricostruzione della città distrutta da un terribile incendio sviluppatosi in una notte del 1126.

Dopo aver rifiutato il vescovado di Perugia, nel 1129 papa Onorio II gli conferì l’ordinazione episcopale di Gubbio e così Ubaldo tornò da Roma vescovo e padre della sua Chiesa, che secondo la profezia di Teobaldo, «prese da allora a reggere per i secoli». In un periodo difficilissimo, contraddistinto dalla lotta tra Impero e Papato, dal perenne conflitto dei partiti Guelfi e Ghibellini, la figura di Ubaldo spicca autorevolmente, non solo per il profilo spirituale, ma perché fu, di fatto, la massima autorità cittadina in grado di assumere iniziative politiche, civili e militari. Mite ma determinato, Ubaldo seppe illuminare i fatti della vita individuale e sociale con la luce della fede, manifestando quella profonda unione con Dio, attingendo alla Sacra Scrittura e confidando nell’aiuto divino con assidua preghiera.

Nel governo della diocesi sant’Ubaldo ebbe innanzi tutto cura di estendere l’azione di riforma del clero, già iniziata presso i canonici della Cattedrale, a tutta la diocesi secondo la regola di sant’Agostino. Intanto, con grande semplicità, si impegnò nella visita alle chiese disseminate nel vasto territorio prendendosi cura del popolo di Dio. Fu pastore, ministro di riconciliazione e di pace, guidando il gregge a lui affidato con bontà, semplicità e affabilità Ma fu anche difensore della città durante l’assedio a Gubbio portato da undici città rivali capeggiate da Perugia, e trattò personalmente con Federico Barbarossa per evitare che la città fosse distrutta dalle sue truppe nel 1155. Colpito da una grave malattia, che ricoprì il suo corpo di pustole dolorose e maleodoranti, Ubaldo morì all’alba del 16 maggio 1160. Gli eugubini compresero davvero che non solo avevano perso un vescovo, ma anche un padre Dal grande afflusso di fedeli, soltanto al quarto giorno dopo la sua morte, furono celebrati i funerali e si moltiplicarono i pellegrinaggi che tutt’oggi continuano con devozione

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LA FESTA DEI CERI

Al 15 di maggio, ogni anno, col sereno o con la pioggia, con la carestia o con l’abbondanza, non si può dire, no, che gli Eugubini

diventino tutti matti, ma tutta la pazzia del mondo si fa eugubina.

Averardo Montesperelli 1963

Ogni anno, il 15 maggio, vigilia della morte del Patrono sant’Ubaldo, a Gubbio “vestita a festa” si svolge la Festa dei Ceri Traendo spunto dall’omaggio di cera che popolo e autorità cittadine vollero riconoscere al vescovo Ubaldo il giorno della sua morte, la spiritualità medioevale consolidò un evento spettacolare, normato e tutelato dagli statuti comunali. Con il passare dei secoli le candele vennero prima sostituite da strutture di legno ricoperte di cera, poi dalle attuali pesanti macchine lignee

I Ceri sono formati da due prismi ottagonali appuntiti alle estremità, sovrapposti e attraversati da un’asse, confitti e incavigliati al centro di una tavola chiamata “barella” e portati a spalla dai ceraioli. In cima, ogni Cero porta una piccola statua: Sant’Ubaldo, protettore dei muratori e scalpellini, San Giorgio, protettore di artigiani e commercianti, Sant’Antonio abate, protettore dei contadini

La festa ha inizio all’alba: al suono dei tamburi vengono svegliati i Capitani, che avranno il compito di guidare la Festa, e i tre Capodieci, ognuno responsabile della corsa del proprio Cero. Da Porta Castello muove la sfilata dei Ceraioli tra le vie del centro storico fino ad arrivare a Piazza Grande.

Sulla scalea del Palazzo dei Consoli il Primo Capitano riceve le simboliche chiavi della città dai Consoli e il Vescovo benedice la folla

Al suono del campanone, in un’esplosione di giubilo, tra squilli di tromba, suono di chiarine e bandiere al vento, in un turbinio di colori, in una piazza stracolma ha

luogo l’alzata dei Ceri preceduta dal lancio di tre artistiche brocche di ceramica I Ceri, maestosi e solenni, si fanno spazio tra la folla e compiono tre “birate”, poi si dividono per effettuare in moderata corsa la “mostra” per le vie della città I ceraioli, posati i Ceri su antichi piedistalli, partecipano al tradizionale banchetto, la cosiddetta “tavola bona” allestita nel Palazzo dei Consoli. Alle 17:30 l’attesa cresce e la tensione è altissima. I ceraioli attendono la processione, in cui viene portata a spalla la statua lignea del Patrono; al passaggio molteplici mani sfiorano il piviale del Protettore con grande fede. Qualche lacrima scende sul volto dei più emozionati Ricevuta la benedizione del Vescovo impartita con la reliquia del Santo, inizia la travolgente corsa: Sant’Ubaldo, San Giorgio e Sant’Antonio, preceduti dal trombettiere a cavallo, avanzano tra la folla veloci e ondeggianti. I ceraioli si danno il cambio in corsa, con maestria, sostenendosi l’un con l’altro affinché il Cero non “penda” e tantomeno “cada” I ceraioli, con il Cero in spalla, percorrono le vie della città per poi salire al monte e giungono nel chiostro della Basilica dove rendono omaggio al Santo Patrono tra lacrime di gioia e le voci a volte spezzate dall’emozione del canto “O lume della fede”.

I Ceri vengono smontati, le piccole statue dei santi riportate in città nella chiesa detta “dei muratori”, i ceraioli si abbracciano Nelle vie e nelle taverne si festeggia Lentamente, nella notte, si spengono gli ultimi bagliori di una giornata attesa e vissuta da tutto il popolo eugubino

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...
tradizioni

Eventi e...

Quando si festeggia?

15 maggio

Il colore

Il rosa è associato alla genitorialità, al concetto di famiglia e alle relazioni familiari.

I fiori

Tra i fiori più comuni utilizzati per rappresentare la famiglia ci sono: il giglio, la rosa bianca, il girasole e la margherita. Ognuno di questi fiori ha un significato profondo e rappresenta un aspetto diverso della famiglia, come la purezza, la luce, la felicità e la semplicità. I libri

Una famiglia è una famiglia sempre (Sara O’Leary)

La mia famiglia e altri disastri (Bernard Friot)

LA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA FAMIGLIA

Nel 1993 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito la Giornata Internazionale della Famiglia, dedicata al gruppo sociale naturale che tutela lo sviluppo e il benessere di tutti i suoi membri, in particolare dei bambini.

Da qualche anno il nome di questa ricorrenza è modificato in Giornata Internazionale delle Famiglie, con la forma al plurale per includere tutti i modelli di famiglia: tradizionali, monogenitoriali, allargate, omogenitoriali e quindi raggiungere una maggiore consapevolezza a livello mondiale sui processi sociali, economici e demografici che coinvolgono le famiglie di tutto il mondo. Questa giornata, che ricorre ogni anno il 15 di maggio, ci invita a riflettere sul ruolo fondamentale della famiglia e sui cambiamenti che nel corso del tempo ha subito Molti fattori concorrono direttamente o indirettamente a identificarla come il luogo e lo strumento di offerte e di possibilità sempre nuove, che può svolgere un ruolo importante in ogni ambito sia nella promozione della

sostenibilità ambientale, adottando comportamenti ecologici come la riduzione del consumo di energia e acqua, la riduzione della produzione di rifiuti e il riciclo; sia sviluppando una maggiore sensibilità verso la solidarietà e l’inclusione; sia attraverso la ricerca di un benessere diffuso e la garanzia di un futuro prospero per i propri membri.

Diventa dunque necessario promuovere politiche volte a conciliare il lavoro e la casa, che si caratterizzano come un elemento chiave per la crescita dell'intera società.

I cambiamenti degli ultimi decenni hanno portato un aumento della partecipazione femminile nel mondo del lavoro, con una conseguente modifica al tradizionale sistema familiare. Nel corso degli anni la continua denatalità, l’impatto che la pandemia ha avuto sui tempi di vita e sul lavoro, il cambiamento demografico e climatico, le migrazioni, la trasformazione tecnologica, hanno contribuito a creare ostacoli per uno sviluppo completo e armonico del nucleo familiare.

MONICA FONTANA
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...cultura

È importante porre l’accento sul diritto dei bambini di avere delle figure di riferimento che possano trasmettergli quei valori che saranno per loro di supporto durante tutta la vita, garantendogli sicurezza e protezione.

Valori che sicuramente non sono cambiati con il tempo, piuttosto si sono adattati alle esigenze di famiglie che lottano quotidianamente per trovare un equilibrio

Come affrontare questo argomento in classe? In realtà è molto semplice, perché i bambini hanno genuinamente e spontaneamente voglia di parlare del proprio vissuto: un ‘nuovo’ fratellino o una ‘nuova’ sorellina, una cena fatta da soli con il papà, con la mamma o con i nonni… Così si presentano varie tipologie di situazioni: c’è chi racconta di genitori che condividono la loro vita insieme fin da adolescenti, chi parla di famiglie allargate o numerose, chi racconta che ha dormito dal papà ma la sua casa è con la mamma, chi ha due mamme, chi ha tanti nonni o fratelli in una casa e altrettanti in un’altra, chi il papà non ce l’ha, o chi non l’ha mai conosciuto Insomma i racconti sono molteplici e caratterizzati da mille sfumature. Alcuni possono sentirsi un po’ diversi, ma basta ascoltare tutte le storie per capire che non ci sono confini netti tra diversità e normalità Possiamo trasformare ogni racconto in un qualcosa di speciale dal quale estrapolare momenti di felicità.

“LaFamiglia

èilprincipaleantidoto allapovertàmateriale espirituale,eanche alproblemadell’inverno demografico.

PapaFrancesco

Ogni famiglia è straordinaria e per i bambini è importante la condivisione con i coetanei, il loro identificarsi nei racconti degli altri, per apprezzare e gioire di ogni momento vissuto. Invitiamo i bambini a disegnare la propria famiglia e a identificare il disegno con un proprio pensiero Cerchiamo insieme a loro, online: qual è il concetto di famiglia? E leggiamo che: la famiglia è un nucleo sociale costituito da più individui legati tra loro da rapporti di parentela o di affinità Guidiamo una riflessione su questa definizione, raccogliamo poi le informazioni e infine verbalizziamo le risposte alla domanda: la famiglia è importante perché?

Il senso di famiglia è nato e si è evoluto con l’uomo che da subito ha sentito la necessità di aggregazione, di creare un gruppo all’interno del quale poter crescere con altri simili. Un insieme di persone che si sostengono l’un l’altro, un luogo in cui si costruisce la relazione del bambino con gli adulti che lo circondano, basato sulla fiducia, sull’affetto, sull’amore “Non esistono famiglie, genitori o figli perfetti. Ma esistono un sacco di momenti perfetti lungo il cammino da compiere insieme.” (cit )

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Ènecessario cheintuttiiPaesi sianopromosse politichesociali, economicheeculturali amichedellafamiglia edell’accoglienza allavita”.

PapaFrancesco

CURIOSITÀ DAL MONDO E DAL WEB

-Dalla nascita della Repubblica italiana ad oggi sono ben 13 gli articoli che parlano della famiglia, uno di questi, l'articolo 29, afferma: "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio […] sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare".

Ma solo con la legge n 53 del 2000 viene sancito il diritto a far convivere vita familiare e lavorativa definendo illecito il licenziamento per maternità, garantendo un periodo di congedo retribuito dopo il parto e il congedo parentale dopo la nascita di un figlio o l’adozione

-Il decreto legislativo 21 dicembre 2021, n. 230, entrato in vigore il primo gennaio 2022, ha istituito l’Assegno unico e universale per i figli a carico, riconoscendolo a tutti i nuclei familiari, indipendentemente dalla situazione economica, per i nuovi nati dal settimo mese di gravidanza e per ogni figlio a carico fino al compimento dei 21 anni di età -Il rapporto di Save the Children del 2023 “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2023”, traccia un quadro aggiornato delle numerose sfide che le donne devono affrontare nel nostro Paese quando diventano madri

I dati del rapporto evidenziano, fra l’altro, che il 12,1% delle famiglie con minorenni in Italia è in condizione di povertà assoluta e una coppia con figli, su 4, è a rischio povertà

-L’Indice delle Madri, elaborato ogni anno dall’Istat per Save the Children, identifica le regioni che si impegnano, di più o di meno, a sostenere la maternità in Italia Il risultato è un’analisi basata su 7 indicatori (demografia, lavoro, servizi, salute, rappresentanza, violenza, soddisfazione soggettiva). Tra le regioni più “amiche delle mamme” spiccano ai primi posti la Provincia Autonoma di Bolzano, l’Emilia-Romagna e la Valle d’Aosta, agli ultimi posti la Calabria e la Puglia. -La Commissione europea nella Comunicazione relativa alla Strategia per la parità di genere 2020-2025, ha sottolineato che in nessuno Stato membro dell’Unione europea la parità tra uomini e donne è stata raggiunta.

Tanto è vero che il raggiungimento di una concreta uguaglianza di genere rappresenta uno dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile che gli Stati si sono impegnati a raggiungere entro il 2030.

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“DOVRESTI GODERE

DI CIÒ CHE HAI, NON DI CIÒ CHE OTTIENI”

La primavera appena iniziata, con le sue fioriture, la luce che ci accompagna fino all’inizio della serata, il contrasto tra il verde dei prati e l’azzurro del cielo nelle giornate più calde, hanno ispirato la scelta di questo titolo da presentarvi: “Polline.

Una storia d’amore”, scritto da Davide Calì e illustrato da Monica Barengo. È proprio con l’affacciarsi della bella stagione che la protagonista di questa storia scopre nel suo giardino un fiore che non aveva mai visto prima, “bianco, bellissimo”, spuntato spontaneamente e che sembra risvegliare il suo interesse per la natura che la circonda.

Quando ci innamoriamo, ci sorprendiamo più sensibili a tutto ciò che ha a che fare con l’oggetto del nostro amore; la ragazza

comincia a interrogarsi sul da farsi, lei, che dei fiori non si era mai occupata prima di allora, muta le proprie abitudini in funzione della cura riservata alla sua amata pianta Inizialmente, il fiore ricambia, si moltiplica, “il profumo del suo polline diviene il profumo dei risvegli” della giovane donna. Poi la bella stagione cede il passo a quella più arida e i fiori cominciano a scemare fino a non crescere più, nonostante la ragazza si prodighi in ogni modo perché l’incanto si rinnovi ancora

Ecco che noi, insieme alla giovane protagonista, iniziamo a chiederci perché, non ci accontentiamo di sapere che ogni cosa segue il naturale corso della propria vita. La speranza che il tempo e le attenzioni impiegate per la crescita delle sue amate piante le vengano

in qualche modo restituite, non svanisce mai e giorno dopo giorno la ragazza attende la sorpresa di un nuovo fiore, di un nuovo amore Grazie al monito di una cornacchia, tuttavia, cominciamo anche noi lettori a riflettere pian piano su quanto i gesti di cura della giovane siano stati ben più importanti del risultato ottenuto: quei fiori, forse, sarebbero cresciuti e appassiti a prescindere dal suo impegno, ma ciò che lei ha fatto è stato vitale, le ha donato senso

Questo albo illustrato è un invito a riflettere sul valore dell’Amore e delle relazioni come obiettivo per imparare a donare se stessi, a saper attendere, a imparare a credere nella circolarità del bene che mettiamo in moto con le nostre piccole azioni quotidiane.

Polline.

Una storia d’amore

Davide Calì, Monica Barengo Kite Edizioni

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DILETTA LOMBARDI

Piccoli consigli... REAL STEEL –

CUORI D’ACCIAIO

La trama in breve

Nel 2020 i robot sono utilizzati per combattimenti di box al posto degli uomini Charlie Kenton è un ex pugile che si occupa, con scarsa fortuna, di combattimenti robot. Al termine di un incontro gli viene comunicato che la sua ex fidanzata è morta lasciando solo il loro figlio Max La zia del bambino di undici anni vorrebbe adottarlo, attraverso un sotterfugio Charlie si accorda per lasciare il figlio in custodia alla zia in cambio di 100000 dollari Il ragazzo rimane comunque con il padre per tutta l’estate Durante questo periodo Charlie compra Noisy Boy, un robot che ha combattuto nella Lega mondiale robot. Charlie pensando di avere molte vittorie facili in tasca, grazie al nuovo robot, non studia i comandi per guidare Noisy Boy, che così viene distrutto al primo incontro Charlie e Max vanno quindi in una discarica alla ricerca di pezzi per assemblare un nuovo robot Max scivola in uno strapiombo, ma si salva perché rimane impigliato in un braccio meccanico.

Charlie aiuta il ragazzo a mettersi al sicuro. Max scopre che non è solo un braccio su cui si è impigliato, ma su un intero robot che decide di tirare fuori dalla discarica e portare a casa.

Una volta a casa Charlie spiega al figlio che il robot ritrovato, Atom, è un vecchio modello da allenamento inadatto ai veri combattimenti Max però è deciso a farlo combattere, installa ad Atom il comando vocale che apparteneva a Noisy Boy e grazie ad alcune funzioni e all’aiuto di Charlie, gli memorizza delle combinazioni di mosse. Dopo aver vinto numerosi incontri con Atom, Charlie e Max vengono invitati a partecipare al campionato mondiale di robot boxe Prima di iniziare il primo incontro padre e figlio vengono convocati nella suite di Tak Mashido, proprietario di Zeus il robot campione La squadra di Zeus vuole acquistare Atom per 200 000 dollari Charlie, sempre alla ricerca di denaro e del miglior affare, vuole accettare senza pensarci ma Max si oppone Atom combatte il suo primo incontro nella Lega mondiale di robot boxe contro Twin cities e grazie all’intuito di Charlie vince l’incontro Max a quel punto sale sul ring, si impossessa del microfono e invita Zeus a sfidare Atom. Fuori dall’arena tre uomini a cui Charlie deve dei soldi, lo aspettano per picchiarlo e rubare a lui e a Max i profitti dell’incontro Charlie, dopo la brutta vicenda, porta Max dalla zia per cercare di non fargli correre altri rischi Poco dopo però, l’ex pugile, si rende conto che l’incontro tra Atom e Zeus non può essere disputato senza Max e quindi torna a prenderlo. L’incontro tra Atom e Zeus è memorabile, anche se la vittoria al termine del quinto round viene assegnata dai giudici a Zeus. Atom però viene eletto campione dalla gente.

SERENA GELLI
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La scheda del fim

Regia: Shawn Levy

Sceneggiatura: John Gatins

Musiche: Danny Elfman

Anno di uscita: 2011

Durata: 122minuti

Genere: drammatico, fantascienza

...non richiesti

Fermiamoci a riflettere

Idee per lavorare in classe

I temi della speranza e del coraggio, in questo film, emergono principalmente nel rapporto tra Charlie e Max e nel sogno di portare il robot Atom sul ring della Lega mondiale di robot boxe Charlie inizialmente accetta di passare del tempo con il figlio solo per una questione economica, ma con il passare dei giorni e degli eventi i due si legano e scoprono vicendevolmente i punti di forza e le debolezze. Charlie dimostra coraggio nel diventare poco a poco sempre più un padre attento per Max. Infatti, fino a quel momento ha sempre rifiutato di crescere il figlio vivendo la sua vita come se Max non esistesse. Per diventare o ridiventare padre di un ragazzino di undici anni ci vuole coraggio e il telespettatore spera fino alla fine che il rapporto tra Charlie e Max diventi duraturo e passi dall’essere basato solo su un accordo economico al fondarsi sulla fiducia e il bene reciproco

Max, dopo aver trovato il robot Atom, spera e sogna che quel gigante di ferro possa diventare un grande robot da boxe. Installandoci nuovi comandi e imparando a manovrarlo alla perfezione, Max dimostra che non bastano le buone potenzialità se poi non vengono sfruttate al meglio. Facendo un parallelismo tra Noisy Boy e Atom si vede come nel primo caso si tratta di un robot sulla carta molto forte e in grado di vincere diversi incontri senza problemi ma, per l’incapacità di Charlie di manovrarlo perde al suo primo incontro Atom sembra invece essere un robot senza speranze di successo ma Max ci crede e investe tempo ed energie per migliorarlo e migliorare sé stesso nel pilotarlo. La speranza e il coraggio di Max travolgono tutti, in prima persona Charlie ma anche Tak Mashido e tutto il pubblico dell’incontro tra Atom e Zeus.

Dopo la visione del film si può proporre agli alunni di compilare una scheda in cui fanno una recensione della pellicola. L’attività può essere svolta da soli o in gruppo. Inizialmente votano da una a cinque stelle quanto gli è piaciuto il film e poi scrivono qualche riga per motivare la scelta. Si può chiedere di fare un riassunto di tre scene che li hanno colpiti particolarmente, magari con accanto un disegno. Infine si chiede loro di scrivere quali sono i temi che vengono trattati nel film. Se il lavoro è svolto singolarmente, si può chiedere agli alunni di partire dalla loro esperienza e raccontare un evento accaduto a loro o ad altri in cui il coraggio, la tenacia, la speranza, il credere in un sogno, hanno portato al raggiungimento di un obbiettivo o all’avvicinarsi a persone che fino a quel momento non avevano considerato.

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Didattica Digitale e Nuove Tecnologie

CREDERE AL TEMPO DELLE NUOVE TECNOLOGIE

SALVATORE BIMONTE

La tecnologia è un prodotto della creatività umana e può essere considerata un dono divino che ci permette di migliorare la nostra vita e il nostro mondo. Quando si parla di credere in Dio, si fa riferimento a una fede spirituale e a una connessione con una forza superiore che guida e dà significato alla vita di una persona. Questa fede può essere un motore di ispirazione e motivazione per molte persone, guidandole nel prendere decisioni, affrontare sfide e cercare significato nella propria esistenza.

D’altra parte, le nuove tecnologie hanno trasformato il nostro modo di vivere e di comunicare, offrendoci nuove opportunità e risorse per affrontare i problemi globali attuali. La tecnologia ci permette di connetterci con persone in tutto il mondo, di accedere a informazioni in tempo reale e di risolvere problemi complessi in modi innovativi.

Quindi, come possono coesistere la fede in Dio e l’utilizzo delle nuove tecnologie?

Innanzitutto, è importante ricordare che la tecnologia stessa non è né buona né cattiva - dipende dall’uso che ne facciamo.

Possiamo utilizzare la tecnologia per diffondere messaggi positivi, promuovere la pace e la giustizia sociale, e connetterci con persone che condividono i nostri valori spirituali. Inoltre, la tecnologia può essere un mezzo per praticare la propria fede e diffondere messaggi religiosi. Ad esempio, molte chiese utilizzano i social media e le piattaforme online per diffondere la parola di Dio, organizzare eventi e raggiungere un pubblico più ampio La tecnologia può quindi essere uno strumento efficace per portare avanti la propria spiritualità e condividere la propria fede con gli altri. Infine, credere in Dio e utilizzare le

nuove tecnologie possono coesistere in quanto entrambi possono essere strumenti per migliorare il mondo e fare del bene agli altri La fede in Dio può ispirarci a essere persone migliori, più compassionevoli e altruiste, mentre la tecnologia ci offre gli strumenti per agire in modi concreti e tangibili In conclusione, credere in Dio e utilizzare le nuove tecnologie non sono necessariamente incompatibili. Al contrario, possono coesistere in armonia e arricchirsi reciprocamente, offrendoci la possibilità di connetterci con il divino e di utilizzare le nostre capacità creative per migliorare il mondo che ci circonda

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NOVITÀ IN CASA ELI: "LA CASA CHE VOGLIAMO"

La propaganda dei testi è alle porte, e dopo il buon risultato del testo “Detto... Fatto! Il mio libro di Religione”, che resta nel catalogo ELi, c’è tanta attesa per la novità firmata da Alberto Campoleoni e Luca Crippa: “La Casa che vogliamo” Per la scuola secondaria restano in catalogo i testi “Che vita”, #ReliScuola (primo grado) e “ProvocAzioni” (secondo grado)

Il nuovo corso "La casa che vogliamo", ideato da Alberto Campoleoni e Luca Crippa e pubblicato dalle case editrici SAN PAOLO e LA SPIGA, si rivolge agli studenti della scuola primaria offrendo un approccio innovativo all'insegnamento della

Religione Cattolica. La peculiarità di questo corso è la sua capacità di integrare l'Insegnamento Religione Cattolica (IRC) nell'esperienza quotidiana degli alunni, ponendo un accento specifico sull'educazione emotiva attraverso il tema della "casa".

Articolato in tre volumi, il corso alterna contenuti teorici ("pagine PROGETTIAMO") ad attività pratiche ("pagine COSTRUIAMO"), promuovendo un'apprendimento dinamico Attraverso questa metodologia, gli studenti esplorano sei sfaccettature del concetto di casa, che vanno dalla dimensione familiare e scolastica fino alla casa come luogo di incontro con il divino, stimolando così una riflessione profonda sui diversi significati di questo spazio vitale

Le risorse didattiche includono libri di testo e digitali, allegati con attività creative e una sezione dedicata alle emozioni, arricchendo ulteriormente il corso In aggiunta, il materiale per gli insegnanti fornisce una guida dettagliata per l'anno scolastico, con proposte di contenuti, attività e valutazioni, rendendo "La casa che vogliamo" uno strumento completo e innovativo per l'insegnamento dell'IRC nella scuola primaria

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LO SPIRITO DONA UNA SPERANZA VIVA Primaria e...

Resurrezione di Gesù: la morte è vinta, una nuova fedele. Protagonista di questa avventura è lo Spiri sugli apostoli nel giorno di Pentecoste, quando or perduto, quando ogni minimo tentativo sembrava non fa mancare la sua presenza

In quello stesso giorno (la Pentecoste) nasce la Ch comunità radunata in Cristo Spirito, composta dag Vergine Maria, protagonisti di una delle manifesta dello Spirito, che darà loro la forza di uscire allo sc proclamare le grandi opere di Dio, annunciare Cris e restare fedeli a lui.

Nel giorno di Pentecoste, la potenza dello Spirito t lievito del Cenacolo in una nuova comunità destin alla fine dei tempi

“Ecco: iovimando comepecore inmezzoailupi; siatedunque prudenti comeiserpenti esemplicicome lecolombe” Matteo10,16

Grazie allo Spirito la fede è sempre giovane, mai cosa da museo

Lo Spirito Santo non teme lo scorrere dei secoli; anzi, rende i credenti attenti ai problemi e alle vicende del loro tempo.

Lo Spirito Santo, infatti, quando insegna, attualizza: mantiene la fede sempre giovane. Noi rischiamo di fare della fede una cosa da museo, è il rischio!

Lui invece la mette al passo coi tempi, sempre al giorno, la fede al giorno: è questo il suo lavoro. Perché lo Spirito Santo non si lega a epoche o mode che passano, ma porta nell’oggi l’attualità di Gesù, risorto e vivo.

Papa Francesco

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“Io, speriamo che me la cavo”. Alunno di Arzano

Obiettivi:

Riflettere sul ruolo della speranza come motore di azione positiva e cambiamento. Esplorare le diverse manifestazioni della speranza nelle culture e nelle storie personali

Promuovere la creatività e l'espressione personale attraverso un progetto artistico.

...secondaria

ALBERO DELLA SPERANZA

Questa attività incoraggia gli studenti a riflettere sul significato della speranza nelle loro vite e nel mondo, esplorando come diverse culture e individui esprimano e attingano a questa potente forza emotiva

In classe

Materiali:

Carta da poster o grandi fogli di cartoncino

Pennarelli, matite colorate, e pastelli

Colla, forbici, e materiali per decorazioni (come glitter, stoffe, bottoni)

Riviste, immagini stampate, e fotografie per il collage

Attività:

1 Avviare un dialogo introduttivo sulla speranza, chiedendo agli studenti di condividere cosa significa per loro e come può influenzare positivamente la vita delle persone.

2 Presentare l'idea dell’Albero della Speranza, dove ogni foglia rappresenta una speranza o un desiderio per il futuro, personale, della comunità o del mondo.

3 Dividere la classe in gruppi e assegnare a ciascun gruppo il compito di creare il proprio Albero della Speranza su un poster o cartoncino, utilizzando disegni, collage e scritte per rappresentare le loro speranze.

4 Incoraggiare gli studenti a cercare ispirazione attraverso ricerche su come la speranza è rappresentata in diverse culture, letterature, arte e storie di vita reale.

5 Dopo aver completato i loro alberi, ogni gruppo presenta il proprio lavoro alla classe, condividendo le storie e le ispirazioni dietro alle speranze rappresentate.

6 Concludere con una riflessione di gruppo sul potere della speranza di unire le persone e motivare il cambiamento positivo.

7. Come estensione dell'attività, gli studenti possono scrivere un breve testo o una poesia che descriva una delle speranze appese al loro albero, spiegando perché è significativa per loro e come può contribuire a migliorare il mondo.

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www.gruppoeli.it www.gruppoeli.it Se vuoi puoi scriverci a: errecimagazine@gmail.com

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