Estate al via - Fuoco nel bosco cl5

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Il piacere di apprendere

disegni di Sara Not

UAO

Universale d’Avventure e d’Osservazioni

Sabina Colloredo

Fuoco nel bosco. I ragazzi della Quercia Storta disegni di Sara Not

Della stessa serie:

S.O.S. Veleni in mare L’uragano © 2021 Gallucci editore srl - Roma

Edizione speciale per Gallucci - Cetem, Gruppo editoriale ELi © 2025 Gallucci - Cetem, Gruppo editoriale ELi

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Sabina Colloredo

Fuoco nel bosco

I RAGAZZI DELLA QUERCIA STORTA

disegni di Sara Not

I personaggi

Devin

Ha dieci anni e vive negli Stati Uniti. Adora l’Italia e soprattutto le cotolette, il risotto giallo e le lasagne. Va d’amore e d’accordo con la cugina Olivia.

Luca

È il fratello maggiore di Devin, ha dodici anni e vuole fare l’avvocato ambientalista. Battibecca di continuo con la cugina Zoe, perché per lui come si fa in America è sempre meglio di come si fa in Italia.

Emma

È la mamma di Luca e Devin. Se li è portati avanti e indietro dall’Italia agli Stati Uniti da quando erano in fasce. È insegnante di italiano in un’università americana. Fa jogging ogni mattina.

Olivia

Ha nove anni, ama e comprende più di tutti la natura e gli animali. Forma una coppia indistruttibile con il cugino Devin, che la fa ridere molto con le sue battute.

Zoe

Ha tredici anni ed è un’ambientalista convinta. Compete con il cugino Luca e dice a tutti cosa devono fare. Legge molto, l’unico momento in cui riesce a stare ferma.

Lavinia

È la sorella di Emma, mamma delle due ragazze. Vive per le sue figlie, è molto miope e ha una gran paura di tutto. Lei e la sorella sono legatissime e litigano solo per il gusto di fare pace.

Capitolo uno

Era un’estate torrida che sembrava non finire mai. Il vento caldo che soffiava da giorni ingialliva le foglie dei lecci e degli ornielli. La lepre aveva appena superato con un balzo il sentiero che attraversava il bosco, quando si immobilizzò. Silenzio improvviso. Odore di umani! Si accucciò sotto i cespugli, tremante, mentre sentiva avanzare quei loro maledetti scarponi verso il punto in cui era nascosta.

«Fai piano, idiota!» mormorò il primo uomo.

«Ma se non c’è nessuno!» ribatté il secondo.

«Smettetela voi due, bisogna fare in fretta!» disse una donna.

Nella calura opprimente, si udì lo sfrigolio dei fiammiferi.

«Tu qui, e io laggiù, come d’accordo!» ordinò il primo uomo.

Le torce incendiarie si schiantarono fischiando nel sottobosco in direzioni opposte. Per qualche istante sembrò non accadesse nulla, poi dal suolo si alzò una fiammata che iniziò a divorare tutto quello che c’era intorno.

Il leccio sotto cui si era rifugiata la lepre emise un gemito di dolore. Il fuoco lo avvolgeva, saliva lungo il tronco, annientava i rami e le foglie tenere; i nidi degli scriccioli scoppiarono insieme alle uova e le scintille si propagarono agli alberi circostanti.

«Ben fatto!» gridò la donna.

La lepre fuggiva a casaccio, confusa dal terrore, accecata dal fumo. Il fuoco le strinava la coda e una cortina di fiamme le sbarrava il cammino. Sentì i passi degli umani che si allontanavano di corsa e si guardò intorno terrorizzata. Vide uno scoiattolo carbonizzato piombare a terra dall’alto di un albero, sentì gli zoccoli dei cervi in fuga, il ringhio del gatto selvatico che ancora, nonostante le fiamme, cercava di spaventarla.

Dove poteva scappare?

L’incendio divampava e la lepre correva in tondo, cercando di trovare una via di fuga.

Gli uccelli si alzavano in stormi e puntavano al cielo. Volavano spediti verso

l’azzurro, via verso l’aria e la vita, i beccucci aperti.

“Se avessi le ali!” sospirò la lepre.

Quando ormai si era rassegnata a morire, scorse un’apertura nel tronco di una quercia e vi si infilò con un balzo.

Capitolo due

Devin e Olivia passavano gran parte delle loro giornate sul retro del casale, vicino alla Quercia Storta. Era un angolo tutto loro, al riparo dall’invadenza dei fratelli maggiori e delle mamme.

Quel giorno erano chini su un formicaio e Devin impugnava una bomboletta spray.

«Non puoi ucciderle!»

gli stava spiegando Olivia. «Le formiche sono esseri viventi. Hanno un loro scopo nell’ecosistema»

«E quale sarebbe?»

«Uno scopo importante, ma non per questo devono dirlo a te!»

Devin la fissò perplesso. In genere lui e Olivia erano d’accordo su tutto, specialmente quando si trattava di allearsi contro i fratelli. Ma su quella faccenda del formicaio, discutevano da ore. Lui avrebbe preferito liberarsene una volta per tutte. Amava la natura, ma non gli insetti. Gli insetti gli facevano impressione. E il casale pullulava di api e vespe, mantidi verdi grosse come un dito, millepiedi, scarafaggi, cicale, formiche… un esercito invasore in grande attività.

«Se spruzzi l’insetticida, i parenti delle formiche che hai ucciso si vendicheranno» sottolineò Olivia.

Era uno scricciolo, con il visetto a punta circondato da una gran massa di capelli castani.

Ma dietro quell’aspetto fragile, aveva un carattere di ferro con cui suo cugino Devin si scontrava spesso.

«E in che modo, sentiamo!»

«Ti entreranno nel naso mentre dormi e morirai soffocato!»

Devin depose la bomboletta sotto la Quercia Storta. Le formiche nel naso l’avevano convinto.

«Allora, che gioco facciamo?» chiese. «Vuoi che costruiamo una casetta per Melone?»

Olivia non fece in tempo a rispondere. Un urlo proveniente dalla casa fece fare un salto a tutti e due.

«AAAAH! Aiuto! Correte!»

Emma, la mamma di Devin, si sbracciava dalla finestra del primo piano.

«Il fuoco! Chiamate i pompieri, aiuto!»

Devin si precipitò su per le scale seguito da Olivia. Prese al volo il gatto che gli era corso incontro con il pelo dritto, spaventato dalle urla.

Pochi giorni prima, lungo la strada che saliva in paese, Devin aveva intravisto una codina gialla che scodinzolava fuori da uno scatolone e da quel momento Melone, battezzato così dopo ore di estenuanti discussioni tra cugini, era entrato a far parte della famiglia.

«Mamma, il fuoco dove?» chiese Devin, piombando col fiatone in camera da letto.

«Quante volte devo dirti che in italiano con l’avverbio devi mettere il verbo?» lo riprese la mamma stizzita.

Olivia spinse da parte il cugino. «Cosa succede, zia? Cosa sta bruciando?»

«Il fuoco! Brucia il fuoco, no? Aiuto!» riprese a strillare Emma. Era una zia bella e affettuosa, ma benché vivesse in America, che per Olivia era il Paese più coraggioso del mondo, aveva paura di tutto.

«Ma dove?!» le chiese Olivia.

«Nel bosco, laggiù, proprio di fronte a noi! Non vedete?»

Emma indicò il fronte degli alberi da cui si alzava un denso fumo grigio.

«Moriremo tutti!» Emma afferrò il cellulare.

«Che numero bisogna chiamare… 111… 114… come fa una poveretta a ricordarsi il numero dei vigili del fuoco mentre è avvolta dalle fiamme?»

«115!» recitarono in coro Devin e Olivia.

«Ah, ecco. Pronto? Il bosco sta andando a fuoco!» gridò Emma nel telefonino. «Come, da dove chiamo? Da casa, no? Certo che non sono

nel bosco, che discorsi fate, altrimenti sarei già morta! È che le fiamme arriveranno anche qui se non vi muovete! Cosa state aspettando? Non sento le sirene dei pompieri, come mai? Non riuscite a localizzarmi?»

Devin e Olivia scesero al pianterreno, mentre Emma dava una serie di sconclusionate informazioni ai vigili del fuoco.

Devin annusava l’aria allarmato.

«In effetti si sente odor di fumo! Pensi che siamo in pericolo?»

«Questo non lo so, ma intanto chiamiamo Zoe e Luca!» propose Olivia. «Ci daranno una mano a calmare le mamme!»

Melone drizzò le orecchie, preoccupato. Non si era ancora abituato alle urla che spezzavano la quiete del casale più volte al giorno, sia che le mamme scoprissero un millepiedi che strisciava tranquillo sul muro o che il vento facesse sbattere una porta. In qualsiasi momento si presagivano pericoli, trappole e tragedie. Il gattino si raggomitolò tra le braccia di Devin e gli leccò il viso.

«Non aver paura!» lo rassicurò Devin. «Ci sono qua io».

Melone lo fissò con amore. Trovare quel ragazzino era stata la cosa migliore che gli fosse capitata nella vita. Devin lo guardava con quei suoi occhi azzurri sempre sereni e gli trasmetteva tanta sicurezza. Non dimenticava mai di dargli la pappa e non alzava la voce. Finalmente Melone aveva trovato qualcuno di cui potersi fidare.

Capitolo tre

Chierico appoggiò i piedi sul tavolino del bar e prese una sigaretta dal pacchetto.

«Tira giù le zampe!» esclamò Alina, la ragazza che serviva ai tavoli. «O ti do il vassoio sulla testa!»

Era così carina con quel caschetto di capelli scuri e il sorriso malizioso, che Chierico le perdonò come sempre quel suo modo rude di apostrofarlo.

«Solo se stasera vieni a ballare con me!» la prese in giro.

Schivò per un pelo il vassoio e ridendo si mise a sedere tutto compunto.

«Portami una birretta, dài»

«O me lo chiedi per favore o niente»

«Una birretta, per favore. E del fuoco, che devo accendere».

Alina lo fulminò.

«Ti porterei una torcia» sbottò «così vediamo quanto tempo ci metti a prendere fuoco, con tutta quella paglia che hai al posto del cervello!»

«No, grazie. Per oggi, di incendi ne ho avuti abbastanza» le rispose Chierico.

Stava per continuare, ma si interruppe, guardandosi intorno allarmato.

«Cosa vorresti dire?» gli domandò Alina.

«Niente! Sei sempre a far domande! Rilassati, era una battuta».

Al tavolo accanto erano seduti Luca e Zoe. Mangiavano il gelato in silenzio e non si erano persi una parola del battibecco tra Alina e Chierico.

Quando il ragazzo se ne andò, iniziarono a parlottare tra di loro sottovoce.

«Chi si crede di essere, quello?» esordì Luca, che era il fratello maggiore di Devin.

«Ha la faccia di uno che spaccia!» sussurrò Zoe, la sorella più grande di Olivia.

«Non puoi dirlo, se non hai le prove!» saltò su Luca, che era sempre pronto a contraddire la cugina. «Sono accuse gravi. E se ti avesse sentito un poliziotto?»

Zoe alzò gli occhi al cielo.

«Vedi poliziotti in giro?»

«No. Ma non si accusano a papera le persone»

«Si dice a vanvera. Impara l’italiano!»

«E tu non cambiare discorso. E impara l’inglese come io so l’italiano»

«Che noia che sei! Si stava chiacchierando»

«Non è un chiacchierare, questo. È un pensare male di chi non conosci, solo perché non veste e non parla come tu!»

«Si dice te. Ecco che è partito il pistolotto del patriota americano! Senti cugino, con me non attacca. Quello non è uno diverso da noi, è

un delinquente. Punto. Lo vedo al parco giochi che vende la roba ai ragazzini!»

«Con me non ci ha mai provato»

«Perché sei ancora un bambino, ecco perché!»

«Ho dodici anni! Sono un ragazzo!»

«Non qui in Italia!»

«Sì, anche qui!»

«No!»

«Sì!»

«Ragazzi!»

Lavinia, la mamma di Zoe, era uscita dalla macelleria carica di pacchetti e pacchettini.

«Possibile che litighiate sempre? Siete cugini! Dovete volervi bene!»

«E tu, perché compri sempre tanta carne?» la fulminò Zoe, che era abilissima a portare il discorso dove voleva lei.

«Non è tanta. Siamo in sei. Tra cui due bocche voraci: le vostre»

«Gli allevamenti intensivi sono i maggiori responsabili delle emissioni di CO2» puntualizzò Zoe. «Per non parlare della quantità di acqua che utilizzano per la macellazione e del

trattamento che riservano a quei poveri animali. Dobbiamo diminuire il consumo di carne, ogni singolo individuo deve re-spon-sa-bi-liz-zar-si!»

«Ma a me piace la carne!» ribatté Luca.

«E infatti voi americani, insieme ai cinesi, siete i maggiori responsabili dell’inquinamento del pianeta!»

«Ma se tu fai delle docce così lunghe che ogni volta consumi un ghiacciaio!»

«E tu non fai mai la raccolta differenziata!»

«Senti chi parla. Quella che tiene le luci accese tutta la notte perché ha paura del buio!»

«E tu che ti spruzzi nuvole di deodorante e ogni volta allarghi il buco nell’azoto?»

«Ozono» precisò Lavinia, cercando il telefono nella borsetta. «Vi dispiacerebbe continuare a discutere in auto? Dobbiamo tornare al casale. Questa è la zia. Senti come suona! Pronto? Come?! Omioddio! Avete chiamato la polizia? I carabinieri? I vigili del fuoco? Arriviamo subito!»

Iniziò a correre, seminando i pacchetti sul marciapiede.

«Cosa succede, zia?» le gridò dietro Luca. «Aspettaci!»

«Cosa vuoi che succeda?» gli fece l’occhiolino Zoe. «Una tragedia, ovviamente. La nostra tragedia quotidiana».

Capitolo quattro

Gli ornielli avevano il fusto sottile e il fuoco li polverizzò per primi. Le fiamme divorarono il tronco in un attimo e, quando raggiunsero la cima, si udì uno schianto. L’albero carbonizzato piombò a terra in una nuvola di scintille. Solo la Quercia Antica, la regina del bosco, resisteva. Le fiamme l’avevano circondata, ma non riuscivano ad attecchire. La lepre, che aveva trovato riparo nell’incavo del tronco, se ne stava immobile, respirando appena. Sentì dei gemiti strazianti e vide una palla di pelo e fuoco che si rotolava sullo spiazzo davanti a lei. Riconobbe il suo nemico di sempre: la faina. L’aveva temuta e odiata per tutta la vita, ma ora, a vederla così, mentre lottava disperata, le fece una gran pena. I loro sguardi si incrociarono per un attimo.

“C’è posto, vieni qui” dicevano gli occhi della lepre. “Devi fare solo pochi passi”.

La faina misurò speranzosa la distanza che la separava dalla salvezza. Stava per spiccare il salto, quando un ramo in fiamme si staccò dall’albero e la colpì in pieno.

La lepre chiuse gli occhi. Non le sembrò giusto guardare, senza poter far nulla.

La Quercia Antica aveva più di cento anni. Centoventi, per la precisione. Da centoventi anni dominava le valli che dall’Appennino scendevano fino al mare. Aveva una grande esperienza di vita e, purtroppo, anche degli uomini. Quante ne aveva viste, sentite e patite a causa loro! Guerre e bombardamenti, palazzoni di cemento che crescevano al posto dei campi di girasole, cave che sfiancavano le montagne e discariche abusive che intossicavano i terreni e le colture.

Era sopravvissuta a tutto perché aveva dialogato col cielo e con le altre piante. Insieme avevano cercato un equilibrio, in quel continuo disordine a opera dell’uomo che le minacciava.

Ma ora il pericolo era diventato il fuoco. Spaventoso, invincibile. Divorava ogni estate ettari ed ettari di foresta, alberi con cui la quercia aveva condiviso una porzione di vita, a cui aveva affidato nidiate di pettirossi, merli e picchi. Erano già due anni che gli uomini, nel mese più caldo, quando il sole e la siccità arrivavano al culmine, aspettavano il vento di scirocco e davano fuoco al bosco. Lei li conosceva. Erano sempre gli stessi. Due uomini e una donna. Perché lo facessero, non ne aveva idea. Ma era impotente e furiosa di fronte alla loro crudeltà. Lacrime di resina le colavano lungo il tronco possente mentre guardava lecci e allori e corbezzoli e faggi che si contorcevano chiedendo aiuto tra le fiamme. Grida silenziose per gli uomini, ma non per lei. Lei le sentiva. E non poteva far nulla! Quanto dolore. Quanta distruzione. Quanta bellezza perduta! Adesso stava custodendo una vita, certo, la vita della piccola lepre che tremava di terrore nascosta nel suo tronco, ma era un solo esserino salvato tra centinaia di altri piccoli e grandi animali uccisi dalle fiamme.

Lanciò un SOS attraverso le radici. Una vibrazione che attraversò la terra in profondità, discese la montagna, risalì la collina, passò sotto il casale di Emma e Lavinia e arrivò alla Quercia Storta, come l’avevano chiamata i figli degli uomini. Lei sì, che pareva immortale. Dicevano che avesse visto nascere la foresta stessa. Le comunicò che c’era un pericolo: il fuoco. Spinto dal vento che fischiava veloce, stava arrivando nella sua direzione, e presto l’avrebbe raggiunta. Si salvasse almeno lei, che era la memoria del bosco.

La Quercia Storta avvertì un brivido; vide con la punta dei rami l’incendio divampare lontano, dall’altra parte della vallata, e sentì nelle radici l’avvertimento della Quercia Antica. Non aveva paura di morire, perché aveva vissuto tanto, ma le dispiaceva andarsene e non vedere più quei due ragazzini che le stavano sempre intorno. Devin e Olivia. Erano molto legati a lei, e lei a loro. Devin si sedeva spesso tra le sue radici, gobbe rotonde come seggiole che sporgevano dal ter-

reno, appoggiava la schiena al tronco e leggeva un libro. Oppure guardava il sole che tramontava dietro le colline. La Quercia Storta sentiva le emozioni del bambino propagarsi fino all’ultima foglia appena spuntata. Erano dolci sensazioni, sogni e piccoli misteri che Devin rivelava solo a lei.

Olivia invece scriveva brevi poesie seduta sotto i suoi rami.

Le buttava giù di getto, su un blocchetto di fogli stropicciati, e poi le leggeva a voce alta, ma solo se non c’era nessuno intorno.

E quando Devin le aveva chiesto perché lo facesse, lei aveva risposto: “Così le mie poesie faranno compagnia agli alberi”.

Erano due ragazzini sensibili. Rispettavano le piante. Non si appendevano ai rami, non prendevano a calci il tronco, non lo incidevano con frasi stupide.

La Quercia Storta sapeva che, al momento del bisogno, avrebbe potuto contare su di loro.

E fu così che le venne un’idea…

Capitolo cinque

Le auto dei carabinieri ingombravano lo spazio davanti al casale, ma Emma, di solito gelosa di tutto ciò che le apparteneva, questa volta sembrava non far caso ai solchi che le ruote avevano lasciato sul prato.

«L’incendio distruggerà il nostro casale e finiremo senza un tetto sulla testa, senza doccia calda o un libro da leggere!» si disperava.

«Signora, non accadrà niente di tutto questo, ve l’assicuro» cercava di tranquillizzarla Ennio, il maresciallo comandante dei carabinieri. Intanto lanciava occhiate preoccupate ai quattro

ragazzini, che però non facevano una piega davanti alle esternazioni drammatiche della donna. «Ma dovete fare quello che vi diciamo noi. Per sicurezza, fino a che l’incendio non sarà circoscritto, dovrete venire con i vostri figli in paese. Vi metteremo a disposizione le stanze dell’albergo, che purtroppo sono vuote» disse un po’ sconsolato. «Il turismo dalle nostre parti è morto da un pezzo!»

«Vedi, Emma? Siamo diventati degli sfollati! Stamattina eravamo una famiglia felice e ora siamo un gruppo di disgraziati». Lavinia si soffiò il naso rumorosamente. «Chi l’avrebbe mai immaginato che saremmo finite in uno squallido albergo?»

«Veramente è un tre stelle!» ribatté piccato Ennio, perché la proprietaria era sua sorella. «Il migliore che c’è nei dintorni!»

«Chissà gli altri, allora!» sospirò Lavinia. I carabinieri guardarono sconfortati le due sorelle. Le lacrime delle donne li mettevano in imbarazzo; se poi erano lacrime forestiere, come quelle, l’imbarazzo era doppio. Una di

loro viveva addirittura in America, dove Ennio non era mai andato, e quando parlava in inglese con i figli lo metteva un po’ in soggezione. Venivano al casale solo nei mesi estivi, da tanti anni, e si vedeva che faticavano ad adattarsi alla vita di campagna. Però ce la mettevano tutta. Erano simpatiche, in fondo. E anche molto carine. E questo metteva un bel punto alla questione.

«Andiamo mamma, andiamo zia» disse Zoe, che mal sopportava quelle scene imbarazzanti.

«Non facciamo perdere tempo ai carabinieri. Mettiamo qualcosa negli zaini e vedrete che in un paio di notti al massimo torneremo a casa».

Zoe era la più grande dei quattro cugini. Questo la faceva sentire autorizzata a dare ordini a tutta la famiglia, a organizzare le giornate e a dettare i ritmi delle vacanze. Ma se riusciva a essere convincente con le mamme e i due più piccoli, in Luca aveva trovato un osso duro.

«Sapete chi è stato ad appiccare l’incendio?» chiese Luca ai carabinieri, ignorandola.

Ennio lanciò un’occhiata al brigadiere, che era soprannominato il Lustro, perché aveva sempre la divisa tirata a lucido.

«Per ora no».

Un ronzio fece alzare lo sguardo a tutti quanti.

«Un aereo!» strillò Devin, saltellando sul prato. «Porta l’acqua per spegnere il fuoco, vero?»

«Sì. Ma un solo aereo non potrà fare molto!» Lustro indicò la montagna di fronte che bruciava in un unico rogo. «Speriamo che ce ne mandino altri».

La cenere, portata dal vento, si stava adagiando ovunque come una coperta grigia.

«Gli alberi gridano aiuto!» mormorò Olivia. «Li sentite anche voi?»

«Sì, tesoro» le rispose distratta la zia. «Certo che li sentiamo. E siamo molto tristi per loro. E anche per noi, perché gli alberi sono i polmoni del nostro pianeta. Se l’uomo continua a distruggere le foreste, moriremo tutti»

«Quando?» chiese Olivia, preoccupata.

«Prestissimo!» tagliò corto Zoe, che ci teneva a spaventare la sorella.

«La Quercia Storta mi ha detto che sono stati tre umani ad appiccare l’incendio. Due sono paesani vostri. Uno no, va e viene dal mare» disse Olivia a Ennio.

«Davvero, ricciolina?» Lustro si piegò sulle ginocchia per parlarle alla sua altezza. «Ti prometto che li prenderemo. E si pentiranno di quello che hanno fatto».

Olivia ebbe l’impressione che l’uomo non la prendesse sul serio. Ma lei diceva la verità. Era stata davvero la Quercia Storta a darle quelle informazioni.

«La Quercia Storta non brucerà vero?» chiese Devin.

«No. Stai tranquillo. La proteggeremo noi» lo rassicurò Ennio.

«O forse sarà lei a proteggere noi!» commentò Olivia con aria misteriosa.

I quattro cugini salirono in auto con zaini e valige.

«Ho paura!» disse sottovoce Olivia. «Paura of cosa?» le chiese Devin, mentre Lavinia per l’agitazione sbagliava la manovra e tamponava in retromarcia un muretto divisorio.

E così la risposta rimase sospesa nell’aria.

Capitolo sei

L’oscurità era rischiarata dal riverbero delle fiamme. Una luce infernale saliva fino al cielo e lo faceva ribollire di nuvoloni rossastri. Gli aerei antincendio andavano avanti e indietro da ore; l’aria vibrava sotto le pale degli elicotteri, il rombo dei motori spingeva la notte lontano.

Tutta la vallata era attraversata dalle grida e dai richiami dei soccorritori; centinaia di vigili del fuoco, di carabinieri forestali e di volontari della Protezione Civile tentavano disperatamente di circoscrivere il rogo. Ma il vento non la smetteva di soffiare e si portava dietro le fiamme, che attecchivano ovunque.

Chierico buttò la cicca della sigaretta per terra e la schiacciò con la punta delle scarpe.

«Abbiamo fatto un bel casino» mormorò, indicando col mento l’incendio.

L’ombra alle sue spalle fece un passo avanti.

«Cosa fai adesso? Il pentito? Non eri pentito però quando ti sei intascato tutti quei bei soldoni»

«Avevamo parlato di un incendio dimostrativo!»

«E infatti lo è. Abbiamo dimostrato come si fa a distruggere una foresta»

«Se non eri d’accordo, lo dovevi dire prima di incassare i soldi. Domani scendiamo sulla costa e ci occupiamo della pineta» disse la seconda ombra con la voce di donna.

«Un altro incendio? Ma non era nei piani!»

protestò Chierico.

«I piani cambiano quando i padroni ordinano!»

«Ma non riescono a spegnere nemmeno questo! Se ne aggiungiamo un altro, sarà la fine della montagna»

«È proprio questa l’intenzione, bello! Se riusciamo a far congiungere i due incendi, questa parte di Appennino diventerà un solo gigantesco rogo!»

«Dove ci sono le piante, non crescono i grattacieli! Sveglia!» lo prese in giro la donna.

Chierico rimase in silenzio. Si era fatto coinvolgere in qualcosa di molto più grande di lui e ne aveva sottovalutato le conseguenze. Può capitare, pensava. Ma ora non era così convinto di continuare, anche se, certo, i soldi gli facevano comodo. Se la cavava da solo, con fatica. Lavorava occasionalmente nei campi e i suoi genitori non potevano mantenerlo. Viveva in una stanzetta nella casa più buia e decrepita del paese, un monolocale che conteneva tutto: camera da letto, salotto, bagno, cucina. Un tutto che diventava niente, perché nei lunghi pomeriggi d’inverno, quando la giornata sembrava non finire mai, lui lì dentro da solo sarebbe impazzito.

Per fortuna c’era il bar, che era sempre aperto, e Alina, scontrosa solo con lui.

«Potrebbero esserci delle case sulla linea del fuoco» protestò debolmente. «Non ci pensate?»

«Le sgombreranno» tagliò corto la donna.

Chierico la fissò scandalizzato. Era la più determinata dei tre, quella che non aveva mai dubbi. I suoi capelli biondi, illuminati dalla luna, erano freddi come il ghiaccio.

«Ti avviso che se ti tiri indietro adesso, con noi hai chiuso. E se ti molliamo noi, sei in pericolo. Quelli non ci pensano due volte a fartela pagare. A loro non piacciono gli spioni»

«Domattina ti verranno comunicati istruzioni, luogo e ora dell’appuntamento» tagliò corto l’uomo.

Chierico sentì sbattere le portiere e, quando i fari lo illuminarono in pieno viso, quella luce che lo accecava gli sembrò una minaccia. Attese che l’oscurità inghiottisse l’auto e poi saltò sul motorino. Doveva parlare con qualcuno.

Sfogarsi, consigliarsi. Ma non aveva amici, o almeno nessun vero amico inteso come qualcuno che ti ascolta quando sei giù da morire e che, se ti senti triste e fragile, non ti giudica poco virile.

Chierico non aveva nessuno che gli volesse bene o potesse indicargli una strada per usci -

re da quella situazione. Anzi, no. A ben pensarci, sorrise tra sé, qualcuno c’era. Accelerò

nell’affrontare il primo tornante che lo portava al paese.

Aveva un gran bisogno di rivedere Alina.

Capitolo sette

Emma e Lavinia erano salite sul punto più alto del paese dove si trovava il parco giochi con l’unica pizzeria dei dintorni e controllavano con il binocolo il loro podere.

«Povero casale! Pensi che l’incendio lo distruggerà?» chiese Emma alla sorella.

«Sì. È inevitabile!» rispose Lavinia, sempre ottimista. «Guarda il fronte del fuoco come avanza. Non riusciranno a spegnerlo, con quei due ronzini dell’aria. Almeno avessero degli aerei come si deve!»

«Certo che qui siamo nel Terzo mondo! In America un incendio così l’avrebbero spento in due ore» si intromise Luca.

Era salito su un gradino per poter essere alto come la cugina e si scostava di continuo il ciuffo dal viso. Era l’estate dei capelli lunghi e lisci fino

al collo, e ne andava molto fiero. Se li lavava e spazzolava con cura. La chioma era il suo punto forte, come gli occhi verde smeraldo. Non poteva lamentarsi. Faceva colpo sulle sue coetanee anche senza aprire bocca. Il che era un vantaggio, come gli ripeteva prendendolo in giro la cugina.

«Se siamo nel Terzo mondo, perché non te ne stai nel tuo Primo mondo, invece di venire qui a divertirti ogni estate?» ribatté Zoe.

«Perché mi costringe mia madre. Cioè tua zia»

«Ma grazie, cugino! Allora della tua famiglia italiana non ti importa nulla!»

«Non ho detto questo. Ho detto che non sapete neanche spegnere un incendio. Qui in Italia sei incendi su dieci sono dolosi. State distruggendo l’habitat naturale del Paese più bello del mondo!»

«State chi, scusa? Ma se voi in America state facendo fuori l’Amazzonia, a colpi di incendi! Se continuate così, in qualche decennio avrete tolto dalla circolazione un ecosistema grande come un continente! E allora, addio umanità, senza la foresta amazzonica!»

«Guarda che quella è l’America del Sud! Noi non c’entriamo nulla!»

«Sempre America è»

«Ragazzi!» gridarono in coro le mamme.

«Basta!»

Olivia e Devin si fecero avanti titubanti. Se c’era una cosa che li infastidiva, erano le voci alte dei fratelli che discutevano. Gridavano le mamme per un nonnulla, gridavano Luca e Zoe mille volte al giorno. Per compensare, loro due più piccoli sussurravano invece di parlare, col risultato che nessuno li ascoltava.

«Mamma, guarda cosa abbiamo trovato» disse Olivia con la sua vocina tremolante.

«Che schifo! Un mozzicone di sigaretta! Buttala subito! Disinfettati le mani!» strillò Lavinia.

Olivia lasciò cadere la cicca.

«Non buttarla per terra!» gridò Zoe. «Non sai che le cicche di sigaretta ci mettono centinaia di anni prima di degradarsi nel terreno?»

«Vicino c’era questo!» intervenne Devin, per distogliere l’attenzione e i rimproveri dalla cugina. Cinque teste si girarono verso di lui.

«Un cellulare?» si stupì Emma. «Fammi vedere!»

«Potrebbe essere un cellulare esplosivo!» si allarmò Lavinia.

«Già» commentò Luca. «O un reperto alieno!»

«Spiritoso. Ma dove l’avete trovato?»

«All’inizio del sentiero che va verso il bosco!» rispose Devin.

«Non dovevate andare soli fin lì. Siete piccoli! E se vi sbranava un lupo?» li rimproverò Lavinia.

«È della tabaccaia» disse Emma. «Guardate, c’è la sua foto!»

«È vero!» urlarono tutti.

Devin e Olivia si chiusero le orecchie con le mani.

«Andiamo a portarglielo! Che ore sono? Le sette? Presto, che sta chiudendo!» strillò Zoe.

«Non andiamo dalla tabaccaia» disse Olivia.

«Non mi piace!»

«Ma cosa dici?» gli occhi di Zoe brillavano ironici alla luce del tramonto. «Quando però ti rimpinza di caramelle, allora sì che ti piace!»

«Le caramelle le regala solo a chi arriva per primo!» saltò su Luca, iniziando a correre, tallonato da Zoe.

Devin si precipitò a razzo giù dalle scale del parco giochi, poi si accorse che Olivia non lo seguiva e tornò sui suoi passi.

«Perché non vieni?» le chiese.

«Non ho voglia. Non sono una bambina che corre per avere le caramelle».

Devin le passò un braccio sulle spalle.

«Hai ragione. Abbiamo dei fratelli maggiori che sono proprio piccoli».

Guardarono con aria compassionevole Zoe e Luca che, tra urla, proteste e gomitate, sparivano dietro la curva della strada.

«Fermatevi!» urlavano le madri. «Finirete sotto una macchina!»

Capitolo otto

Gli abitanti del paese si erano riuniti nella piazza principale e seguivano con apprensione l’andirivieni degli elicotteri e degli aerei sopra la massa di fumo nero. Alcuni di loro erano proprietari di un pezzo di bosco o dei campi coltivati che lo circondavano, altri dei pascoli dove portavano il bestiame. Per loro l’incendio significava la perdita di una vita di duro lavoro.

«Non correvano voci che qualcuno volesse costruire una seggiovia e fare i campi da sci sulla montagna?» disse a voce alta Alina, mentre serviva ai tavoli. «E guarda caso, qualche mese dopo scoppia un incendio!»

Tra gli uomini scese un silenzio imbarazzato. Avevano sentito, ma nessuno osò commentare. Alina a loro giudizio parlava troppo. E questo

era pericoloso. Del resto, in fin dei conti, non era proprio una di loro. Era stata adottata dalla barista e da suo marito quando aveva pochi mesi ed era cresciuta con i loro figli, aveva frequentato le stesse scuole e insomma, sì, l’avevano vista diventare grande. Ma ora che era una donna, si esprimeva in modo troppo diretto, senza quei fronzoli accomodanti che usavano tra di loro per dirsi le cose sgradevoli. E li metteva a disagio. Veniva dalla Russia, Alina, un posto così lontano che sembrava non esistere. Forse per questo non capiva che certe osservazioni è meglio farle a bassa voce o non farle affatto. Soprattutto se sono voci senza fondamento.

«Da chi avresti sentito parlare della seggiovia?» le chiese Lustro, che non era in servizio e stava portando a passeggio il cane.

Ricominciò il brusio.

Chierico guardò Alina e le fece cenno di no col capo. Non doveva dir niente ai carabinieri.

«Non so chi l’abbia detto per primo, ma qui in paese se ne parla da un po’» rispose la ragazza.

«E tu, da chi l’hai sentito?»

«Si dice il peccato, ma non il peccatore».

Il brigadiere non insistette.

«Se ti viene in mente qualcos’altro che possa aiutarci nelle indagini, vienici a trovare» chiuse il discorso, mentre il cane, un grosso lupo, lo trascinava via.

Alina gli fece una boccaccia dietro le spalle.

«Seee… scordatelo! Io faccio il mio lavoro e voi fate il vostro!»

“Sempre la solita situazione” pensò amareggiato Lustro. “Nei paesi, quando succede qualcosa, gli ultimi a sapere sono i carabinieri. La gente diffida di noi”.

Si chinò ad accarezzare Lupo. Lui no, che non l’avrebbe mai deluso. Lupo si fidava di lui.

Si girò e vide decine di occhi che lo seguivano.

«Non avete il senso del bene comune!» disse a voce alta. «Anche se vi sembra che oggi quell’incendio non vi tocchi, vi accorgerete che domani non sarà così. Ne saremo danneggiati tutti!»

Nel silenzio che seguì alle sue parole, Chierico si schiarì la voce.

«In fondo, se è vero che faranno la seggiovia e i campi da sci, questo paese dimenticato dal mondo diventerà una stazione turistica e non saremo più dei morti di fame come adesso. Non tutto il male viene per nuocere, come dice il proverbio»

«Non si distrugge la natura per guadagnarci sopra!» si intromise Luca, che non sopportava Chierico e i suoi discorsi ottusi.

Lustro gli sorrise. Quel ragazzino gli andava a genio. Parlava chiaro e aveva coraggio. E gli piaceva anche la cugina, quella bella ragazza bionda dal nome strano. Zoo, o Zoze, qualco-

sa del genere. Una ragazza di città. Coraggiosa pure lei.

«In America questi reati sono puniti gravemente. Non dovete essere accomodanti. La nostra famiglia non può tornare a casa per colpa di chi vorrebbe costruire una seggiovia sui cadaveri degli alberi» continuò Luca. «E nessuno di noi lo rivedrà mai più quel bosco che sta bruciando, perché saremo tutti morti quando tornerà com’era!»

Luca aveva il senso della giustizia e da grande voleva fare l’avvocato ambientalista. Era nato in una cittadina dell’Ohio circondata da foreste sconfinate e quelle dell’Appennino al confronto gli sembravano un giardinetto di città. In inverno gli orsetti lavatori arrivavano fin sotto le sue finestre; ne aveva persino trovato uno in salotto che rosicchiava beato le gambe delle sedie.

Nel giardino passavano regolarmente volpi e cerbiatti. Serpenti lunghi due metri strisciavano fino al deposito della legna e si fermavano a prendere il sole sul muretto. Una volta, quando il vento del Nord aveva portato bufere di neve

a non finire, un orso bruno si era riparato nel loro garage, aveva aperto la portiera dell’auto e si era messo a dormire sui sedili posteriori. Lo aveva trovato il papà il mattino dopo e per farlo uscire avevano dovuto chiamare i rangers.

Nella sua cittadina, la natura era parte della vita delle persone, le scorreva al fianco. Per questo la conoscevano bene, la amavano e la temevano.

Era chiaro, da quel che aveva visto, che in Italia quel senso di unione non esisteva.

Chierico si mise a sghignazzare e Alina gli diede una manata sulla schiena.

«Smettila! Il ragazzino ha ragione. Non ce l’hai una coscienza?»

Visto che nessuno rispondeva, Luca e Zoe fecero dietrofront e raggiunsero la famiglia in tabaccheria.

Capitolo nove

La tabaccaia si chiamava Tina ed era una signora grande, grossa e simpatica. Vestiva sempre con lo stesso gonnellone nero e una maglia

ampia come una tenda. Stava seduta tutto il giorno dietro la cassa, tra sigarette e fermagli per capelli, e fumava come una turca.

«Eccoli, gli americani!» li accolse festosa.

«Qui pulcini, qui, che mi sono arrivate le caramelle che vi piacciono!»

I cugini le si accalcarono intorno, mentre le mamme protestavano.

«Non ingozzatevi di zuccheri, vi si carieranno i denti e vi cadranno per terra!»

«Attenti a non strozzarvi!»

Lavinia porse il cellulare alla tabaccaia.

«Guardi cosa hanno trovato i ragazzi, signora Tina!»

«Ma non ci credo! Grazie! E dov’era? L’ho cercato dappertutto! Ero disperata. Ormai è peggio perdere il cellulare che il marito!»

Scoppiò a ridere rumorosamente e i cugini con lei, perché la trovavano molto simpatica.

Solo Olivia la guardava con l’espressione seria.

«L’abbiamo trovato nel bosco!» disse Devin. «In realtà era nel parco giochi» puntualizzò

Emma. «Non gli dia retta!»

«Era nel bosco!» insistette Devin.

«Va bene, non ha importanza!»

Lavinia era esasperata.

«Ora andiamo in albergo, ci scusi, ma se non dormo, muoio. Dopo quel che è successo, siamo tutti stanchi e provati!»

«Grazie di nuovo e tornate a trovarmi!» li salutò la tabaccaia, regalando a ogni cugino una rivista o un dolcetto. «Mi spiace che siate dovuti andar via dal casale. Ma vedrete che presto tutto si sistemerà. Se avete bisogno di qualsiasi cosa, io sono qui!»

«Grazie!»

«Che gentile! Che persona carina! Una squisitezza! L’unica su cui si può contare in questo paese di gente scorbutica che nemmeno ti saluta!» continuarono a mormorare per un pezzo Emma e Lavinia.

Olivia sputò la caramella che le aveva regalato la tabaccaia nel cestino della spazzatura.

«Cosa fai?» la rimproverò Zoe. «Se non ti piaceva, potevi darmela. E poi non si buttano i regali, maleducata!»

Anche Devin sputò la liquirizia con aria di sfida.

«Ma insomma, bambini, cosa vi prende?» sbottò Emma. «Ci mancavano i vostri capricci!»

«La Quercia Storta è arrabbiata con voi perché non vedete le cose come stanno!» disse Olivia.

«Come stanno le cose lo decido io!» esplose

Lavinia. «E tu Olivia smettila di vivere con la testa tra le nuvole! Non capite che la situazione è drammatica? Il primo che fiata va a dormire senza cena nella stanza più isolata di quello squallido albergo che ci ospita».

Capitolo dieci

Il cielo era rosso per il riverbero delle fiamme. La notte crepitava.

Chierico aveva bevuto due birrette e sentiva la testa leggera, forse perché stesa sul prato accanto a lui c’era Alina.

«Se mi ritrovo tra le mani quei disgraziati che hanno incendiato il bosco…» stava dicendo la ragazza.

«Cosa gli faresti?» sorrise Chierico.

«Li prenderei a calci e li spedirei dritti in galera. A vita!»

«Ellalà! Non vorrei essere nei loro panni! E poi magari è stata una casualità. Perché pensate tutti che sia un incendio doloso?»

«È arrivata Biancaneve!» lo prese in giro Alina. «Non può essere una casualità per due volte di fila. Fino a qualche anno fa la nostra

zona era sicura. Ma ora i malavitosi si sono infiltrati anche qui. E sai qual è la prima cosa che fanno?»

«No»

«Incendiano il bosco. Così poi i terreni non valgono più niente, loro li comprano a quattro lire e iniziano a edificare. E sai qual è la seconda cosa che fanno?»

«E che ne so. Dài, dimmelo tu. Mi sembra di essere tornato a scuola»

«Inquinano il terreno. Scaricano dai camion montagne di rifiuti che finiscono sottoterra e avvelenano i campi, dove poi cresce quello che mangiamo noi, o gli animali. Che poi è lo stesso, perché noi mangiamo gli animali che hanno mangiato l’erba avvelenata».

Chierico alzò un braccio in segno di resa.

«Pietà. Mi fai venire mal di testa!»

«Certe persone mi fanno schifo!» continuò imperterrita Alina. «Come quelli che abbandonano i cani».

Chierico la fissava in silenzio. Da vicino gli sembrava ancora più carina e lui se la mangiava con gli occhi.

«Oggi ho trovato sul mio balconcino un falco morto stecchito» mormorò la ragazza. «Ho sentito un tonfo e sono uscita. Era abbrustolito. Aveva

cercato di sfuggire al fuoco, ma non ce l’ha fatta. Che fine misera. Me lo mangerò con la polenta!»

Scoppiò a ridere, ma era una risata amara che si trasformò subito in un cupo silenzio.

«Ho detto una cavolata!» ammise. «Battuta che non fa ridere».

In lontananza, portato dal vento, si sentiva il crepitare del bosco in fiamme.

«Ma se tu sapessi il nome dei colpevoli… o avessi dei sospetti, diciamo, su chi potrebbe aver incendiato il bosco… e mettiamo che fossero tuoi ehm… conoscenti… li denunceresti?» le chiese sottovoce Chierico.

Si pentì subito di aver fatto quella domanda.

Forse era stata la birra che gli aveva sciolto la lingua.

Alina si sollevò sul gomito e lo fissò negli occhi, mandandolo in confusione.

«Certo che li denuncerei. Chi fa una cosa simile non può essere mio amico».

I due ragazzi si guardarono a lungo.

Poi Alina si alzò, infilò il casco e salì sul motorino.

«Vado a casa, è tardi. Vai a dormire anche tu, Chierico. E dammi retta. Se sai qualcosa, fai quel che devi fare».

Si allontanò, lasciandosi alle spalle una scia del suo buon profumo alla lavanda.

«Facile a dirsi!» borbottò Chierico.

Capitolo undici

Zoe era entusiasta della vita in albergo. Era servita e riverita e aveva una stanza tutta per sé. Una tv locale le aveva fatto un’intervista, chiedendole come ci si sentiva a ritrovarsi da un momento all’altro senza casa. Lei ovviamente non aveva potuto rispondere che stava benissimo, ma era proprio così. In albergo c’era cibo a volontà e non bisognava rifare i letti e mettere in ordine le camere ogni mattina come al casale. E neppure caricare la lavatrice e sparecchiare e stendere il bucato. Insomma, se si prendeva la vita con un po’ di spirito di avventura, a parte la tristezza per le piante e gli animaletti uccisi dal fuoco, l’incendio era stato un diversivo alla monotonia delle vacanze in famiglia. Una pausa da quelle incombenze noiose che le mamme appioppavano a lei e ai cugini.

La campagna e la natura avranno avuto anche i loro lati positivi, ma lei non era più una bambinetta come sua sorella che si divertiva a rincorrere le farfalle e i millepiedi. Almeno d’estate le sarebbe piaciuta un po’ meno famiglia e un po’ più di compagnia dei suoi coetanei. Ed era sicura che anche Luca la pensasse come lei.

«Perché ti abbuffi in quel modo?» chiese al cugino, che si era riempito il piatto al buffet dell’albergo.

«Si chiama colazione all’americana. Uova, pancetta, muffin, spremuta d’arancia e cioccolata calda»

«Mi viene la nausea solo a pensarci»

«Tu non discendi da una stirpe di cowboy»

«Neanche tu, se è per questo. Ti ricordo che hai sangue italiano nelle vene. Le nostre madri sono sorelle e sono italiane fino al midollo. Per non parlare di tuo padre che è norvegese. Spiegami cos’avresti di tanto americano»

«La fame!» scoppiò a ridere Luca.

Devin e Olivia erano seduti a un tavolino tutto loro e facevano colazione in silenzio, con

tranquillità. La loro calma irritava terribilmente i due fratelli grandi. Melone invece li adorava e sonnecchiava vicino a loro.

«Cosa ti ha detto la Quercia Storta?» chiese sottovoce Devin a Olivia.

«Che dobbiamo farlo. È arrivato il momento»

«E come facciamo ad andarcene? Le mamme non ci perdono di vista un secondo»

«Non possiamo abbandonare la quercia da sola e in pericolo. Troveremo il momento giusto».

I due cugini annuirono. I corn flakes al cioccolato erano croccanti al punto giusto. Una buona giornata si vede dalla colazione del mattino.

«Volete qualcosa di caldo da bere, ragazzi?

Cappuccio, tè?» chiese Alina, che di giorno lavorava in albergo.

«No, grazie» rispose Devin, che stava divorando una fetta di torta alle mele. Era americano, ma la cucina italiana gli piaceva molto. I dolci, certo, ma anche il risotto giallo, le cotolette della zia e il parmigiano reggiano. «Tra quanto passa la corriera che va al mare?»

Alina guardò l’orologio.

«Mezz’ora! Andate in spiaggia?»

«Forse»

«Perché forse?»

«Prima dobbiamo fare una cosa» rispose Devin, arrossendo.

Era titubante a dire di più, ma quella ragazza era davvero bella e a lui le belle ragazze italiane piacevano parecchio.

Alina si sedette al tavolo con loro. Aveva sempre desiderato dei fratelli più piccoli e quei due erano gentili, intelligenti ed educati. Si trovava meglio a parlare con loro che con tanti adulti.

«Mhmm…» disse. «Mi sembra che qui sotto ci sia un mistero»

«Forse» ammise Olivia.

«E raccontarmene un pezzetto?»

Olivia e Devin si guardarono. Alina aveva gli occhi buoni e generosi. Era sicuramente una creatura dei boschi mandata dalla Quercia Storta per condividere la responsabilità di quel che dovevano fare. Decisero che potevano fidarsi.

E così Devin iniziò a raccontare.

Capitolo dodici

Alina stava parlando al cellulare, Luca e Zoe discutevano come al solito tra di loro e le mamme erano sulla veranda a controllare l’incendio con il binocolo.

«Andiamo!» disse Devin a Olivia. «Adesso nessuno ci guarda!»

Devin prese Melone in braccio e uscirono di soppiatto dall’albergo. In strada regnava il caos.

Una troupe del tg regionale faceva riprese e interviste. In paese c’era grande agitazione: tutti volevano dire la loro ai microfoni. La corriera dovette suonare e frenare varie volte per farsi largo tra la folla e raggiungere la fermata. Olivia e Devin salirono e si sedettero uno accanto all’altra, nella fila dietro al conducente.

«Non siete un po’ troppo piccoli per viaggiare da soli?» chiese il guidatore.

«No, signore, e poi siamo in gamba» rispose Devin, che aveva sempre la risposta gentile e precisa.

«Di dove sei, ragazzo?» domandò l’autista, ingranando la marcia. «Hai un accento forestiero».

Le porte si chiusero proprio mentre le mamme uscivano dall’albergo guardandosi freneticamente intorno.

Devin e Olivia si abbassarono sui sedili per non farsi vedere.

«Sono americano!»

«New York?»

«Ohio!»

«Eh? Ti sei fatto male?»

Olivia rise in quel suo modo dolce e silenzioso, mettendosi una mano davanti alla bocca.

Devin invece tirò fuori dallo zainetto il piccolo vocabolario di italiano che portava sempre con sé e rispose gentilmente, facendo attenzione ai termini che usava. Ci teneva a parlare bene la lingua della cuginetta e quando non ricordava la parola giusta, preferiva stare zitto e non fare figuracce.

«No, signore, il mio non era un grido di dolore. Ohio è il nome di uno dei più importanti

Stati industriali degli USA. In Ohio la natura è molto bella, come qui. La capitale si chiama Columbus ed è una città importante come New York».

Olivia sapeva che su Columbus il cugino non era stato molto obiettivo, ma pensava che se aveva fatto quell’affermazione, un motivo c’era.

Aveva un’infinita fiducia in lui e poi lo ammirava: nel maremoto della sua famiglia, tra grida di terrore e risate isteriche, Devin era la sua zattera. Accarezzò Melone sul capino che sporgeva dallo zaino e il gattino le leccò le dita.

«Ah, che fortuna, figliolo!» continuò l’autista. «L’America! Se vi racconto del mio primo viaggio che ho fatto laggiù, che poi è anche l’unico, non ci credereste cosa mi è successo. Avevo diciotto anni e…»

L’uomo, che aveva due baffoni da tricheco e delle mani giganti, iniziò a raccontare. Aveva una voce calda e monotona, così dopo un po’ Devin sentì la testa diventargli pesante. Le

poltrone erano comode, e sulla corriera, a parte loro, c’erano solo un paio di signore che sferruzzavano. Guardò Olivia e vide che aveva già gli occhi chiusi. Anche Melone sognava della grossa, con il capo che ciondolava dietro le curve della strada. Insomma, la famiglia sembrava tranquilla. Lui era l’uomo e doveva prendersene cura. E così si addormentò a sua volta, mentre l’autista raccontava di quando un orso grizzly aveva assaltato la canadese dove lui amoreggiava con una ragazza nel parco di Yellowstone.

Devin e Olivia si svegliarono di soprassalto perché la corriera era arrivata al capolinea.

L’autista aprì le portiere e l’aria di mare rimescolò quella stantia dell’abitacolo.

«Che profumo di sirene!» esclamò Olivia, sognante.

Devin si stropicciò gli occhi.

«Le sirene non esistono!» replicò, aiutandola a scendere gli scalini.

«Vedremo!» disse la cuginetta con aria misteriosa.

«Buona spiaggia, ragazzi!» li salutò l’autista. «È stato un piacere conoscervi! Magari ci rivediamo. Io mi chiamo Gianni».

Tese la manona e Devin gliela strinse con un moto di orgoglio.

Non era più un bambino. Era un uomo anche lui, ormai. Aveva portato la cuginetta sana e salva fino al mare e il conducente, che doveva essere un personaggio importante perché guidava una corriera, gli aveva dato la mano. Con un sorriso americano sul bel volto abbronzato, fece strada a Olivia tra il viavai dei bagnanti che passeggiavano sul lungomare.

«Strano che non abbia detto nulla dell’incendio» riflettè Devin. «Ne parlano tutti»

«Forse non lo sapeva»

«Impossibile. Le fiamme si vedono dappertutto. Lo guardavo mentre parlava e ho notatto…»

«Notato!»

Devin si interruppe, imbarazzato.

«E ho notato che anche quando ha fatto la deviazione con la corriera a causa dell’incendio, non ne ha accennato»

Capitolo tredici

La Quercia Antica ce l’aveva fatta. Era viva, anche se segnata da profonde bruciature, e molti dei suoi rami giacevano carbonizzati sul terreno. La sua linfa vitale però scorreva ancora, portando nutrimento alle foglie e nel suo grande corpo batteva un piccolo cuore: quello della lepre, che non si arrischiava ancora a uscire ed era crollata addormentata.

Intorno a lei però regnava la desolazione: l’incendio si era spostato sull’altro versante della montagna, ma la sua porzione di bosco era scomparsa, polverizzata dal fuoco. Dove fino a poche ore prima migliaia di insetti, uccelli e animali di piccola e grossa taglia intrecciavano le loro vite in un caleidoscopio di energia, non si muoveva più nulla.

La Quercia era circondata solo da scheletri biancastri che tendevano i rami al cielo, come braccia di cadaveri in un ultimo grido di aiuto. Il sottobosco, fitto di cespugli di mirtillo e corbezzolo, di fiori multicolori e di rovi di more, ora era una palude di cenere. Il puzzo di bruciato e i gas prodotti dalla combustione appestavano l’aria.

Purtroppo la Quercia Antica ci era già passata e sapeva che tutta la vita e la bellezza spazzate via ci avrebbero messo decenni a ricrescere,

lasciando lacerazioni profonde nello spirito del bosco. Guardò un tasso che si trascinava ferito, cercando da mangiare. Ma cosa avrebbe potuto trovare in quel deserto? L’animaletto si allontanò dondolando.

“Non arriverà a sera” pensò tristemente la quercia.

La Quercia Antica sapeva che lupi e cinghiali erano riusciti a sopravvivere: li aveva sentiti fuggire con le loro famiglie. E anche i cervi e i caprioli, che avevano zampe lunghe e robuste

ed erano abituati a destreggiarsi nel pericolo, si erano messi in salvo sul versante opposto.

Ma tutta quella popolazione di lepri, scoiattoli, marmotte e porcospini, istrici e martore che lei tanto amava, era scomparsa. Aveva ascoltato impotente le loro richieste di aiuto e poi percepito quelle anime lievi che salivano al cielo. Strinse dentro di sé la lepre che dormiva fiduciosa. A qualcuno, almeno, era stata d’aiuto. Distese i rami, li allungò verso il sole che scottava e le foglie tremanti ripresero coraggio.

Era stata una strage. I bambini.

I bambini avrebbero fatto giustizia.

Capitolo quattordici

Lavinia guidava la grossa jeep lungo la strada sterrata che si inerpicava sul fianco della collina. Alla sua destra si intravedeva uno strapiombo disseminato di massi appuntiti.

«Il sentiero continua a restringersi!» borbottava. «Non ce la faremo mai».

Era tesa, tesissima. E sentiva l’elettricità della sorella, che, se possibile, era ancora più allarmata di lei.

«Si può sapere perché siamo venuti quassù?»

chiese Zoe, per la decima volta.

Lo strapiombo si apriva pochi centimetri sotto e aveva una gran paura di precipitare nel vuoto.

«Ci scommetto l’osso del collo che quei due scemi non sono qui» aggiunse Luca, che era seduto dalla parte della collina e si sentiva più al sicuro.

Emma si girò e cercò di tirargli un manrovescio, ma Luca si abbassò prontamente.

«Non parlare così di tuo fratello e di tua cugina! Dovresti essere preoccupato, piuttosto!

Sono spariti nel nulla. Chissà cosa può essergli successo! Non è da loro!»

Lavinia strinse le labbra. La strada era sempre più ripida e non sapeva dove sarebbe sbucata, né se una volta arrivati alla fine avrebbero avuto lo spazio per girare e tornare indietro. Non poteva far altro che salire e andare avanti alla cieca.

«Al paese li hanno visti venire da questa parte!» continuò Emma, che aveva i nervi a fior di pelle. «E i carabinieri ci hanno consigliato di controllare. Invece di criticare e sbadigliare, guardatevi intorno. I vostri fratelli potrebbero essere finiti nel burrone e magari ora sono feriti, o peggio!»

L’immagine sprofondò in un cupo terrore tutta la famiglia.

«Zia, non ha senso che Devin e Olivia si siano arrampicati fin qui. Va bene che sono im-

prevedibili, ma per quale motivo lo avrebbero fatto?» rincarò la dose Zoe.

«Lo sai quanto adorano i cimiteri! E in cima a questa dannata collina c’è un cimitero. Si vede anche dal casale. Può essere che per stare un po’ in pace siano venuti fin quassù»

«Li disconosco come parenti, allora!» ridacchiò Luca.

«Concordo» disse la cugina.

I sassi schizzavano sotto le ruote e rotolavano nella vallata sottostante, animando il silenzio di un rumore sinistro.

Lavinia sudava da far pena. Emma si arrotolava nervosamente i capelli fino a formare un nodo inestricabile sulla nuca.

«Finalmente!» gridò Lavinia.

Dopo la curva, davanti a loro, era apparso il muro del cimitero. Fermò la jeep di colpo e tirò il freno a mano. Quattro portiere si aprirono contemporaneamente.

«Olivia! Devin!» gridarono le mamme.

Corsero verso il cancello, ma lo trovarono chiuso a chiave. Nel cimitero c’erano solo una

decina di tombe inondate di fiori e le foto dei defunti erano vecchissime, dagherrotipi color seppia, di chissà quanti decenni prima.

«Che pace!» bisbigliò Lavinia. «Quando morirò, vorrei essere seppellita qui»

«Anch’io!» scoppiò in lacrime Emma e le due sorelle si abbracciarono. «Non potrei vivere nell’aldilà lontana da te».

Luca e Zoe erano abituati a quelle scene. Le lasciarono sole a dichiararsi tutto il loro amore e andarono in perlustrazione. Ispezionarono i campi sottostanti e i gruppetti di alberi cedui che si erano salvati dall’incendio. Ma dei fratellini nessuna traccia.

«Sono proprio due idioti!» esplose Luca.

«Chissà le scene che faranno adesso le mamme!»

«A proposito. Dove sono?»

I due cugini tesero le orecchie. Nel vento che fischiava dal mare non si sentivano più le voci delle due sorelle. Solo un grande, sconfortante silenzio avvolgeva l’Appennino.

«Che tristezza…» disse Zoe.

Da lassù la devastazione era ancora più evidente. Per chilometri, al posto dei boschi e dei campi coltivati, si stendeva un acquitrino di cenere e acqua.

«Torniamo indietro. Capaci che quei due nani siano in albergo a guardare i cartoni» sospirò Luca.

Svoltarono l’angolo del cimitero e si fermarono di botto, stupefatti.

Capitolo quindici

Chierico entrò con il motorino nella stazione di servizio e riempì le due taniche di benzina che aveva con sé. Servivano per alimentare l’incendio. Non che fossero indispensabili, perché soffiava ancora un forte vento e le fiamme sarebbero divampate da sole, ma la vegetazione sulla costa era differente che sull’Appennino: pini, cipressi e cedri sono più umidi e le fiamme attecchiscono meno velocemente. La benzina, che è altamente infiammabile, avrebbe dato un aiutino. Vigili del fuoco e forestali erano in allarme e occorreva agire in fretta.

Caricò le taniche sul motorino e si avviò verso il luogo dell’appuntamento. Ma questa volta non credeva più di vivere un’avventura ed era pieno di dubbi: era consapevole del danno che

aveva e avrebbe arrecato al patrimonio naturale, la terra in cui era nato.

E non lo consolava ripensare alla bella sommetta che si sarebbe guadagnato, di cui una metà era già in banca, su un conto nelle Isole Vergini, e l’altra metà sarebbe stata versata alla fine del lavoro. L’Organizzazione, perché di questo si trattava, curava tutti i dettagli. Loro tre non erano che gregari, l’ultima ruota del carro, ma erano ben ricompensati.

Per mettersi la coscienza in pace, mentre il vento caldo si mischiava all’afa che saliva dall’asfalto, immaginò il fresco corroborante che avrebbe provato salendo su quella benedetta seggiovia che avrebbero costruito al posto del bosco. Chierico amava sciare, si sarebbe comprato una tavola nuova e una giacca a vento all’ultima moda. E immaginava anche le grida di felicità dei bambini del paese, che una pista da sci non l’avevano mai vista, perché dalle sue parti erano tutti povera gente e una vacanza sulla neve non se l’erano mai potuta permettere.

“Mettiamola così: ho dato una possibilità di divertirsi a chi in montagna a sciare non sarebbe mai potuto andare” si diceva Chierico, zigzagando tra un’auto e l’altra.

Sorrise al pensiero, ma poi di nuovo qualcosa che si muoveva in fondo allo stomaco gli rovinò la sensazione gradevole. Era il ricordo degli occhi di Alina che lo scrutavano, vicinissimi, fissi nei suoi. Occhi di chi aveva capito tutto, perché quella ragazza oltre che tosta era intelligente, e

gli avevano fatto comprendere chiaramente che lei disapprovava.

Svoltò bruscamente a destra e dalla statale deviò attraverso i campi per una stradina privata.

Un uomo e una donna l’aspettavano appoggiati alle portiere della solita Lancia bordeaux.

«Te la sei presa comoda» lo accolse la donna senza nemmeno salutarlo. «Per fortuna che tra un po’ è finito tutto. Non mi piace come lavori».

Chierico non rispose. Scaricò le taniche di benzina e le nascose nel bagagliaio. Si sedette sul sedile posteriore della Lancia mentre i due si sistemavano davanti. L’uomo mise in moto e l’auto si avviò verso il sentiero che si inoltrava nella pineta. Nessuno dei tre disse più una parola.

Capitolo sedici

Luca e Zoe si inginocchiarono accanto ai due corpicini stesi sul terreno che le madri osservavano a occhi sbarrati.

«Non vi avvicinate!» strillò Emma. «Non vedete che sono due lupi? Potrebbero staccarvi un dito con un morso!»

I due cuccioli respiravano a fatica e avevano il pelo bruciacchiato. Luca ignorò gli avvertimenti della mamma e ne prese in braccio uno. Il lupacchiotto girò il muso affilato verso di lui e lo fissò con i lucidi occhioni neri.

«Puzza di bruciato!» constatò Lavinia.

«Già. Chissà perché!» rispose Zoe, prendendo in braccio il secondo lupacchiotto, che aveva il pelo color cannella ed era più minuto dell’altro.

«Come trema. Piccola! Dev’essere una femmina!» disse, coccolandola.

«Chi te lo dice? Sei veterinaria?» la prese in giro Luca.

«No. Ma quando vedo i documentari imparo tante cose, mentre tu invece dormi! Quanto ci scommetti che è una femmina?»

«Portiamoli dal veterinario del paese!» propose Luca. «Non sembra che abbiano ferite esterne, ma potrebbero avere delle lessioni interne. Sono sfuggiti all’incendio per un pelo»

«Si dice lesioni, non lessioni . Sbrighiamoci, guarda! Fanno fatica a respirare!» si agitò Zoe.

«Toglietevi dalla testa di portare con voi quei due lupi feroci!» scattò Emma. «Volete che il branco ci insegua e prenda d’assalto la jeep mentre siamo

incastrati sul sentiero senza poter andare né avanti né indietro?»

«Sììììì!» risposero in coro Zoe e Luca.

«Avreste il coraggio di abbandonare questi due poveri cuccioli, sperduti e lontani dalle loro mamme?» chiese Luca.

«Magari sono proprio le loro mamme che li hanno abbandonati. È la legge della foresta»

«E dovrebbe essere anche la nostra, ogni tanto» aggiunse Lavinia e le due sorelle scoppiarono a ridere.

Ridevano e ridevano sotto lo sguardo infastidito dei figli e non riuscivano a smettere.

«Ma voi non sareste contente se qualche altra mamma, di qualsiasi razza, si prendesse cura di noi mentre siamo soli e feriti?» cercò di farle sentire in colpa Luca.

Fu l’argomento decisivo. Le mamme si ricomposero.

«Va bene, andiamo. Ma non li fate sbavare sui sedili» puntualizzò Emma.

Lavinia, prova e riprova, non riusciva a girare la jeep perché lo spazio era minuscolo. Così

con piglio da guerriera affrontò la lunga discesa in retromarcia, mentre la sorella e i ragazzi con i due lupacchiotti in braccio la guidavano dall’esterno.

«Finirai nello strapiombo!» gridava Emma. «Chiamiamo i vigili del fuoco o i militari! Porteranno loro giù la jeep!»

Dopo mezz’ora di estenuante retromarcia, finalmente arrivarono sulla strada provinciale.

«Che male alla schiena a stare girata così! Mi verrà l’ernia del disco» si lamentò Lavinia mentre la sorella la accarezzava amorevolmente. «Rimarrò bloccata sulla sedia a rotelle per tutta la vita»

«Siete due egoisti!» li rimproverò Emma, lanciando un’occhiata a Zoe e Luca, che seduti sul sedile posteriore cullavano tra le braccia i due cuccioli di lupo.

«Ssst!» fece Luca. «Stanno riposando!»

Accarezzava il pelo del suo lupacchiotto e guardava fuori dal finestrino la campagna che si tingeva di azzurro. Il vento era girato, l’aria era più fresca.

«È una giornata così bella!» disse. «Possiamo per una volta non aver paura di tutto?»

Il lupacchiotto tese il muso verso di lui e Luca gli diede un bacio sul naso.

«Romanticone!» lo prese in giro Zoe.

Capitolo diciassette

Devin entrò in un negozio per animali e chiese del cibo per Melone.

«È un gatto molto piccolo» precisò. «E magro.

Vede? L’avevano abbandonato in uno scatolone. Stiamo cercando di farlo ingrassare un po’».

Melone miagolava felice. Devin gli piaceva molto. Sapeva di pane e di latte. Ricordava con un brivido di terrore le mani ruvide che l’avevano strappato alla mamma e infilato nel buio della scatola. E poi c’era stato il viaggio in auto, nascosto nel portabagagli, sballottato a ogni curva, un tormento che sembrava non finisse mai. Aveva vomitato per la paura.

Poi l’auto si era fermata e un fiotto di luce l’aveva investito.

«Crepa!» aveva ringhiato la voce. «Tra poco arrostirai al fuoco come un capretto!»

L’uomo se n’era andato sghignazzando e Melone si era raggomitolato nel fondo della scatola. Poi era successo tutto all’improvviso. Grida di bambini e mani dolci che lo accarezzavano.

E su tutte, quelle di Devin.

«Lasciatelo in pace, non vedete che ha paura?» aveva detto il bambino biondo con quello strano accento.

E se l’era preso in braccio.

«Sei stato un eroe!» disse la commessa a Devin. «Doppia scatoletta per il tuo gattino! E offriamo noi!»

Devin ringraziò e uscì dal negozio fiero di sé, ma subito la solita preoccupazione lo assalì. Sapeva che sarebbe stato difficile portare Melone in America. Bisognava chiedere i visti, fare le vaccinazioni, superare la dogana. Tutte le complicazioni che il mondo degli adulti mette in campo quando vuole rendere infelice un bambino.

La mamma aveva proposto di lasciare Melone in Italia con i cugini.

«Lo rivedrai la prossima estate!» gli aveva assicurato.

Ma Devin non aveva ceduto di un millimetro. E quando si metteva in testa qualcosa, era difficile convincerlo del contrario. «Se Melone non può venire con me, io resterò qui con lui!» aveva chiuso l’argomento.

«Sììììì!!!» aveva strillato Olivia felice.

Così, almeno per il momento, non trovando una soluzione, l’argomento era stato accantonato.

Devin si sedette sotto un platano dei giardinetti e diede la pappa a Melone, mentre Olivia comprava due panini imbottiti al bar della spiaggia.

Dopo aver mangiato in perfetto silenzio, Devin e Olivia si tolsero le scarpe e camminarono sul bagnasciuga. Era da tanto che non venivano al mare, perché le mamme si erano stancate di fare avanti e indietro dal casale, così ne approfittarono per fare una nuotata e costruire un castello con le conchiglie al posto delle tegole.

Melone era rimasto a guardia dei vestiti e dello zaino di Devin, che ormai era diventato la sua casa.

Olivia aveva mostrato al cugino una sirena. Gli aveva insegnato come fare per distinguerla dalle onde: bastava stringere gli occhi e filtrare la luce del sole attraverso le ciglia. Se in quel chiaroscuro fissavi la superficie del mare, ecco che appariva la sirena.

«Le sirene si fanno vedere solo dai bambini!» aveva spiegato a Devin.

«E perché?»

«Perché gli adulti le chiuderebbero in uno zoo. O le esibirebbero al circo. Una volta è successo e la sirena è morta di dolore»

«Anche se diventerò adulto, non tradirò mai una sirena!» disse Devin con foga.

Strinse gli occhi e quando le ciglia furono inondate dalla luce del sole, vide una sirena che guizzava da un’onda all’altra e lo salutava con un lieve cenno del capo.

«Ha i capelli azzurri!» mormorò estasiato.

«Ce ne sono altre! Guarda, là. Hanno i capelli verdi. E una bianchi!»

I due cugini rimasero a guardarle in silenzio, mentre intorno a loro la folla dei bagnanti cor-

reva, gridava e non faceva caso a quelle creature meravigliose che apparivano e sparivano nella schiuma del mare.

Anche Melone le vedeva, perché fissava le onde e miagolava.

«Poverino! È terrorizzato dall’acqua!» diceva qualcuno sulla spiaggia, guardando storto i due ragazzini.

«Non capiscono niente!» mormorava Devin.

Melone era incantato come loro. Quando le creature del mare si allontanarono verso il largo, i due cugini raccolsero i vestiti e si avviarono per mano verso la pineta.

Capitolo diciotto

Era l’ora profumata del tramonto, quando i pini trasudano di resina dopo il caldo della giornata e le pigne spalancano le scaglie gonfie di pinoli.

La pineta correva parallela al litorale e a Est saliva fino alle propaggini dell’Appennino, dove qui e là formicolavano ancora gli incendi. Gli ultimi focolai prendevano di mira i campi e qualche porzione di pascolo. Il bosco era completamente bruciato. Annientato.

Il crepuscolo scendeva rapidamente, ma i due cugini non avevano paura. Sapevano che la Quercia Storta aveva avvertito gli alberi della pineta del loro arrivo e che non avrebbe permesso che accadesse loro nulla di male.

«Senti i pettirossi che tornano ai nidi!» disse Olivia.

«Sento. Belli!» rispose Devin.

Tra di loro non c’era bisogno di molte parole. Le mamme dicevano che avrebbero potuto essere gemelli. Erano nati nello stesso giorno dello stesso anno da due pance diverse, ma sembrava che si fossero conosciuti prima della nascita, per quanto andavano d’accordo, e che avessero condiviso già molte vite.

«Non gli permetteremo di distruggere anche la pineta» disse Devin.

Il sole al tramonto incendiava la sua bella testa bionda.

«Certo che no» rispose Olivia.

Nel cielo passò un aereo antincendio e sulla statale c’era un gran viavai di soldati, carabinieri forestali e vigili del fuoco. Si parlava di cen-

tinaia di animali feriti e le cliniche veterinarie erano strapiene.

Il rumore di un motore si fece strada attraverso i fusti dei pini. Le chiome degli alberi si chinarono verso i due bambini, come se volessero proteggerli.

La pineta, un complesso essere vivente, si giocava la sua ultima possibilità di sopravvivenza. E gli unici che potessero aiutarla a salvarsi erano proprio quei due cuccioli di umani, così piccoli e fragili.

«Eccoli!» sussurrò Olivia.

«Sono loro!» disse Devin.

Erano arrivati nel luogo convenuto: una polla d’acqua su cui svettava un gigantesco pino marittimo.

«Questo pino sembra vecchio come la Quercia Storta!» sussurrò Devin.

«Dicono che fossero innamorati, da giovani!» mormorò Olivia. «Lui e la Quercia Storta, intendo».

I suoi ricciolini avevano il colore delle castagne mature.

«Nascondiamoci qui!» le disse Devin. Indicò un pezzo di muretto a secco che iniziava e finiva nel nulla. Dalla parte della strada era circondato da cartacce e spazzatura, ma dove c’era il pino marittimo l’erbetta era tenera e pulita.

I cugini si abbassarono fino ad appoggiare le guance al prato e attesero.

Melone si accucciò accanto a loro con le orecchie dritte. Capiva che era un momento delicato e che doveva starsene buono e zitto.

Capitolo diciannove

L’uomo srotolò la mappa della pineta e indicò i punti segnati in rosso, in cui dovevano appiccare l’incendio.

«Come vi dicevo, qui sarà più complicato che sull’Appennino. E rischiamo di farci beccare, se non facciamo in fretta. I pini arrostiscono meno velocemente. Quindi, animo. Aspettiamo che gli aerei si levino dalle scatole e facciamo quel che dobbiamo. Mi aspettano a casa per cena».

Chierico si accese una sigaretta e si accorse che la mano gli tremava. Fece finta di nulla e si appoggiò alla Lancia come gli altri, in attesa. I raggi del sole al tramonto guizzavano sulla distesa del mare. Una deriva veleggiava con il vento in poppa e le grida eccitate dei velisti giungevano fin lì. Era un crepuscolo di pace. Pensò a cosa avrebbe potuto fare per evitare quell’ennesimo

disastro, ma non gli venne in mente nulla. Quei due erano molto determinati a portare a termine il loro compito e, in quel posto isolato, anche abbastanza pericolosi. Non avevano scrupoli, non sarebbero tornati indietro. Era troppo tardi per opporsi. Ripassò mentalmente tutte le serie tv poliziesche e d’azione con cui si stordiva ogni sera: magari aveva visto una situazione simile da cui poteva trarre qualche idea. Ma no, la realtà ha più fantasia delle serie tv e lui non sapeva che pesci pigliare. Immaginava l’apertura delle notizie del giorno dopo che dicevano così: “Giovane coraggioso sventa un incendio doloso rischiando la vita”. Sarebbe stato un eroe per i paesani.

E anche per i suoi genitori e per la sorellina, che stravedeva per lui, ma alla quale Chierico non dedicava che qualche occhiata distratta. E Alina l’avrebbe guardato in quel modo che, immaginava, l’avrebbe reso felice… Già. Peccato che lui non fosse un eroe. Era coinvolto, c’era dentro fino ai capelli in quel pasticcio e i suoi due soci non avrebbero esitato a spifferare tutto e a tirarselo dietro in galera. Non c’era via d’uscita.

«Iniziamo?» disse, quando l’aereo scomparve dietro le montagne. «Stanno rientrando»

«Sì» rispose la donna. «E facciamo presto. Con il buio, dal mare sale l’umidità».

Aprirono il cofano e tirarono fuori le taniche di benzina.

«Che cavolo di peso!» esclamò Chierico.

Fu uno scricchiolio improvviso proveniente dal bosco a farli girare di scatto. La vegetazione era fitta e le ombre della sera si stavano allungando. Chierico strizzò gli occhi per cercare di vedere chi si stesse avvicinando. Forse un cinghiale. Sicuramente un animale di grossa taglia, considerato il rumore.

«Chi…?» domandò, facendo un passo avanti.

Si bloccò, senza fiato.

Di fronte a lui, dal sottobosco, era sbucata fuori Alina.

Capitolo venti

«I cuccioli stanno bene» disse il veterinario. «Sono solo molto spaventati».

Guardò Zoe e Luca che tenevano in braccio i lupacchiotti. I due ragazzi avevano uno sguardo d’amore così intenso, che esitò prima di dire quello che doveva: «Ma non potete tenerli con voi. I volontari dell’Associazione Recupero Animali Selvatici si incaricheranno di ritrovare la loro mamma e di reinserirli nel bosco. I lupi qui sull’Appennino sono tutti monitorati».

Zoe si guardò intorno desolata: la clinica veterinaria era piena all’inverosimile di animali in condizioni disperate. Le fiamme li avevano soffocati o ustionati. Molti erano in sala operatoria, altri attendevano il loro turno appesi ai fili delle flebo. Il dottore aveva fretta, ma le aveva parlato dolcemente, perché capiva quello che provava.

«Si tratterebbe di tenerli solo per qualche giorno!» insistette Luca. «Fino a che qualcuno potrà occuparsene!»

«Cercate di capire. Più state insieme e più sarà difficile separarvi. Per voi e per loro»

«Visto?» scattò Zoe, rivolta al cugino. «Cosa ti dicevo? Abbiamo sbagliato a portarli qui. Dovevamo tenerli con noi e basta».

Il veterinario, che si chiamava Galeno, aveva due figli di quell’età e, invece di arrabbiarsi per quel tono aggressivo, preferì cambiare strategia.

«Allora facciamo un patto. Qui siamo in emergenza. Potrebbe essere utile avere dei collaboratori come voi. Sarete responsabili dei lupacchiotti, ma seguirete le nostre istruzioni»

«Davvero? Grazie, grazie!» esclamò Zoe, abbracciandolo con entusiasmo. «Faremo tutto quello che ci direte! Ma non separateci subito!»

I due ragazzi uscirono di corsa.

«Siamo qui fuori!» gridò Luca.

La clinica veterinaria era circondata da un bel giardino. L’erba era alta e vellutata e i due cuccioli, appena sentirono il profumo dei fiori

e del vento, iniziarono a scorrazzare e a rotolarsi felici. Luca e Zoe li inseguivano, ridendo e chiamandosi. Lo spazio era recintato e il cancello chiuso: non c’era rischio che i lupacchiotti si allontanassero. E man mano che scendeva il crepuscolo, sembravano sempre più vispi. Saltavano, si guardavano intorno incuriositi, annusavano i due cugini e ogni tanto spuntava fuori una linguetta rosa che li leccava.

«Il mio lo chiamerò Lu» disse Luca. «Che, se noti, è la prima metà del mio nome e la prima metà del nome lupo»

«Capirai!»

«Capirai, cosa?»

«Una genialata»

«Sentiamo come chiamerai la tua»

«Non capisci che non sono nostri?» la voce di Zoe si incrinò. «E che se gli diamo un nome, separarci sarà ancora più difficile?»

«Non ci pensare, adesso. Goditi il momento!»

La femmina arrivò di corsa, si fermò davanti a lei con la lingua penzoloni e Zoe, intenerita, la sollevò in braccio.

niente. Anzi, ci solleverebbero da un’incombenza in più. In fondo gli hanno salvato la vita.

Quale ragazzino non vorrebbe vivere un’avventura del genere?»

«Forse hai ragione…»

Galeno si stropicciò il viso. Era stanco. Molto stanco. Ma doveva tornare dentro a occuparsi di un capriolo che si era ferito gravemente a una zampa mentre fuggiva dalle fiamme.

«Sì, lasciamoli insieme ancora per un po’.

Giorno più, o giorno meno... dài, forza, dobbiamo rimetterci al lavoro!»

Entrarono nella clinica e nel giardino scese il silenzio più assoluto, rotto solo dal leggero ronfare di Luca e Lu, Zoe e Pa.

«E ora magari saranno morti annegati!» si disperava Emma.

«Ragazzini in gamba un corno! Sono due bambini! E voi non fate niente, niente. Ve ne state qui seduti dietro la scrivania a guardarci, mentre i nostri cuccioli forse sono in mano a una banda di rapitori!»

«Dici?» le chiese terrorizzata Emma. «Oddio! Pensi davvero che li abbiano rapiti? E adesso magari li stanno… li stanno…»

Le due sorelle scoppiarono in un pianto dirotto, mentre Ennio faceva cenno a Lustro di portare dell’acqua e due bicchieri.

«Signore, signore! Qui non siamo in città. Questa è una zona tranquilla, ci conosciamo tutti e non succede mai nulla!»

«Mai nulla? Ma se è appena scoppiato un incendio doloso! Segno che siete invasi dalla malavita organizzata, esattamente come nelle città!» precisò Lavinia.

«Andiamo, tesoro» le disse Emma, che era la maggiore e cercava di consolarla. «Sai che ti dico? I figli ce li andiamo a cercare noi. La

«Assolutamente

no. Chissà che faccia faranno i bambini quando ci vedranno arrivare a sirene spiegate!» strillò eccitata Lavinia.

Capitolo ventidue

Nello spiazzo davanti al bosco echeggiava un silenzio mortale.

«Cosa ci fai qui?» chiese Chierico ad Alina, ripresosi dalla sorpresa.

Sentiva la tensione dei due complici e si era messo davanti alla ragazza nel tentativo di proteggerla.

«Mi hanno chiamata loro!» rispose Alina. «Venite fuori, bambini!»

Dal muretto alle loro spalle uscirono Olivia e Devin con Melone in braccio.

«Siamo due ragazzini!» la corresse Devin.

«Ma bene!» esplose l’uomo alle spalle di Chierico. «Manca qualcun altro? E c’è anche il gatto! Ci prepariamo a una bella festa, vedo!»

Si interruppe, fissando i due cugini, incredulo: «Voi?!» esclamò.

Gianni non capiva più niente, se non che l’affare milionario stava sfumando.

«La Quercia Storta?»

«Quella che c’è dietro casa nostra» puntualizzò Devin. «Ha parlato con la Quercia Antica. Loro due sanno tutto»

«Tra poco pioverà!» disse Olivia, calma e serena. «L’acqua fermerà il fuoco. Non ucciderete più alberi e animali»

«Le piante si sono organizzate!» aggiunse Devin. «Noi umani ci proviamo a distruggerle, ma loro sanno come proteggersi».

La donna uscì dall’auto in cui era seduta con una pistola in pugno.

«Adesso basta!» disse con voce gelida.

«Tina!?!» gridarono in coro Devin e Olivia.

La tabaccaia fece una smorfia cattiva che voleva essere un sorriso. Ora non sembrava più la signora pacioccona e gentile che conoscevano. Aveva uno sguardo che metteva i brividi tra le pieghe di grasso del viso.

«Sì, carini. E si dà il caso, visto che mi avete riconosciuto, che io non voglia finire i miei

anni migliori in galera. Dovrò correre ai ripari!»

«Non vorrai…?» balbettò Gianni.

La tabaccaia lanciò una rapida occhiata intorno. La scena sembrava essersi cristallizzata.

Erano tutti immobili e la fissavano, come in un fermo immagine. Chierico aveva allargato le braccia e faceva da scudo ad Alina, che a sua volta faceva da scudo a Devin e Olivia.

Gianni guardava loro e lei, lei e loro. La faccenda si stava mettendo male. Sentiva il cuore battergli nel petto fino a scoppiare. Una cosa era appiccare un incendio e ammazzare qualche animale di cui non gli importava nulla, un’altra far fuori dei ragazzini che gli erano pure simpatici.

«Lascia stare» disse alla tabaccaia, facendo un passo avanti. «Ormai ci hanno scoperti. Dammi quella pistola. Non peggioriamo la situazione. Ci daranno qual-

che anno con la condizionale e amen. Magari se collaboriamo e diciamo dell’Organizzazione, ci sta che non facciamo un giorno di galera».

Allungò il braccio per prenderle l’arma e la tabaccaia sparò.

Chierico però non era uno sprovveduto, perché di botte e coltellate ne aveva schivate parecchie nella vita. Fece un balzo in avanti e atterrò Gianni nel momento in cui partì il colpo. Il proiettile sfiorò la testa dell’autista e si conficcò nel tronco di un pino marittimo.

«E così volevi uccidermi, eh?» ringhiò Gianni, rialzandosi di scatto.

Un lampo accecante spaccò il cielo in due e si piantò nel terreno a pochi passi dalla tabaccaia. La donna lanciò un grido, perché la saetta l’aveva sfiorata al braccio, ustionandola, e lasciò cadere la pistola.

Chierico fece per afferrare l’arma, ma la tabaccaia gli si gettò addosso con tutto il peso del corpo e rotolarono avvinghiati.

Alina prese i bambini per mano e iniziarono a correre. Nonostante il rombo dei tuoni spaccasse il cielo, non poteva sbagliarsi: l’ululato che sentiva era quello delle sirene dei carabinieri.

«Ce ne avete messo di tempo ad arrivare!»

gridò a Ennio, che si sporgeva dal finestrino.

«Non fermatevi! Gli incendiatori sono laggiù, presto, o scapperanno!»

Dall’interno dell’auto provenivano delle urla concitate.

«Devin, Olivia!»

«Eccoli! Grazie al cielo vi abbiamo trovati!»

Le mamme saltarono giù dall’auto di Ennio e si precipitarono verso di loro. «Siete vivi!» gridavano, tastandoli dappertutto, con grande imbarazzo di Devin. «Vi hanno fatto del male? Cosa vi è successo? Siete stati rapiti?»

Il cielo si era spalancato e rovesciava acqua come una cascata, perché quello era l’accordo con la Quercia Storta.

Nella radura della pineta

Chierico e Gianni avevano immobilizzato la tabaccaia e la tenevano sotto tiro. Quando videro i carabinieri arrivare, alzarono le mani in segno di resa.

La Quercia Storta era raggiante. Nessun incendio avrebbe più distrutto il bosco. Gli uomini avevano imparato la lezione.

Capitolo ventitré

«Si dice incendiatori?» chiese Devin a Olivia.

Tirò fuori il vocabolario tascabile fradicio dallo zaino e cominciò a sfogliarlo.

«Penso che si dica incendianti!» rispose Olivia, mentre l’uragano di pioggia e vento si abbatteva sull’auto di Ennio che li stava riportando in albergo.

«Tieni tu Melone! È spaventato dal temporale».

Devin porse il gattino a Olivia che iniziò ad asciugarlo con un telo da spiaggia.

Le mamme li fissavano come se venissero da un altro pianeta.

«Bambini! Ma non vi rendete conto del pericolo che avete corso?»

«Nessuno poteva farci del male. La pineta ci proteggeva!» le spiegò Olivia con i riccio-

li bagnati che le piovevano sulla fronte come serpentelli. «E poi Chierico non è cattivo come sembra dai tatuaggi»

«Siamo tutti collegati» continuò Devin. «Uomini e natura. Ci salveremo insieme!»

«Cosa stanno dicendo?» chiese Emma a Lavinia. «Secondo te hanno battuto la testa?»

«Si rifugiano nella fantasia per superare il trauma!» sussurrò Lavinia. «Facciamo finta di credergli. Qualche giorno di riposo e torneranno normali»

«E come sapevate che Chierico era pentito?» chiese ai due bambini.

I cugini si guardarono sorridenti.

«La Quercia Storta sa tutto» disse Olivia, stringendo forte la mano di Devin. «Domani mattina torneremo al casale e la ringrazieremo».

Melone fece miao! e strofinò il muso contro la guanciotta di Devin.

«Anche tu sei stato eroico» gli sussurrò Olivia.

Lavinia per una volta rimase zitta. Sorrise a Ennio che gui-

dava in silenzio, lanciando occhiate circospette nello specchietto retrovisore.

Il comandante dei carabinieri era rimasto senza parole quando aveva scoperto che Tina e Gianni erano coinvolti in quel brutto affare. Li conosceva da una vita. Soprattutto Tina. Il paese ne sarebbe uscito distrutto.

Ma ora voleva lasciar perdere quei pensieri e godersi quel momento. L’operazione era riuscita ed era certo che, dopo qualche interrogatorio ben fatto, sarebbero saltati fuori altri colpevoli. I mandanti, quelli che contavano davvero. Era un bel colpo per la sua carriera. Ricambiò il sorriso di Lavinia. Le mamme sembravano distrutte, ma felici. La famiglia era finalmente riunita e il pericolo scongiurato. Anzi, no.

«E Luca e Zoe?» strillarono le sorelle. «Perché adesso non rispondono ai cellulari?»

Ennio alzò gli occhi al cielo. Quelle due donne erano allo sbando. Avevano bisogno di qualcuno che desse loro un po’ di sicurezza. Si sistemò il ciuffo che gli spazzolava la fronte.

“La vita inizia a quarant’anni” pensò.

Capitolo ventiquattro

Il temporale spense gli ultimi fuochi e la mattina seguente spuntò il sole. Era un sole più morbido dei giorni precedenti, un primo annuncio di fine estate.

«Sembra che stia arrivando l’autunno» disse Emma, la voce velata di malinconia. «Tra poco verrà il momento di separarci»

«Manca più di un mese, non pensarci» cercò di rassicurarla Lavinia, che stava spingendo il carrello del supermercato stracarico. «Non roviniamoci i giorni che ci aspettano con le tristezze!»

«Vedi i ragazzi?»

«Sì, sono in piazza. Ormai sono gli eroi del paese. Chissà perché, poi. Si sono comportati da incoscienti. Poteva finire male per tutti»

«La tabaccaia!» disse Lavinia. «Chi l’avrebbe mai detto! Una personcina così gentile»

«E invece era a capo di un’organizzazione legata alla speculazione edilizia! Boh, se devo dirti, non ho capito bene. Il solito malaffare italiano!»

Non l’avesse mai detto.

«Perché devi parlare sempre male dell’Italia? In America siete tutte brave persone?»

«Non ho detto questo! Ma qui in Italia siete all’età della pietra!»

«Siete? Ti ricordo che sei italiana!»

«Per metà americana, veramente. E anche i tuoi nipoti. Quindi non dovresti essere così aggressiva!»

«Sei tu che sei aggressiva con me. Ti sei svegliata male questa mattina?»

«Certo. Dopo la notte che abbiamo passato in caserma insieme a due figli con due lupi pericolosi in braccio e gli altri due figli con tre tipi pericolosi in manette a fianco, sfido chiunque a non essere nervoso!»

«Sono anche figli miei, cosa credi? E miei nipoti! Pensi che abbia dormito, io?»

La cassiera aspettava che la scenata finisse. Le conosceva e non era la prima volta.

«Se continui su questo tono prenoto subito un aereo e me ne torno a casa» alzò la voce Emma.

«Oh, non sarò certo io a fermarti! Fai quello che vuoi. Vai, vai e lasciami qui da sola. Bella sorella maggiore!»

«Mamme!»

Quattro facce rubiconde si affacciarono nel piccolo supermercato.

«Abbiamo fame! Possiamo comprare la focaccia?»

«Sì!»

«No!»

Emma e Lavinia si fissarono per lunghi istanti, poi si buttarono ridendo una nelle braccia dell’altra.

«Scusami, tesoro, non volevo offenderti»

«Scusami tu, non ti preoccupare. Non è successo niente»

«Ho capito» disse Luca, mentre Lu gli scorrazzava in mezzo alle gambe. «È un ok. Prendiamoci ’sto pezzetto di focaccia e via»

«Non sei tu il capo della compagnia» puntualizzò Zoe.

«No, ma sono americano, quindi per una volta decido io, perché la nostra nazione è la più potente della terra»

«La nostra è la più antica» ribatté Zoe. «Mentre voi vi arrampicavate sugli alberi, qui costruivamo gli acquedotti e il Colosseo»

«Non credo proprio!»

Pa e Lu seguivano Zoe e Luca, mentre Devin e Olivia chiudevano la fila, composti e silenziosi come sempre, con Melone che sporgeva la testolina dallo zaino e guardava sospettoso i due lupacchiotti.

Alina stava servendo ai tavolini del bar e mandò loro un bacio. Era sorridente. Chierico era in galera, ma l’avvocato le aveva assicurato che la sua condanna sarebbe stata lieve, perché l’arresto dei mandanti era avvenuto anche grazie al suo pentimento. Alina gli avrebbe dato una seconda possibilità. Chierico le piaceva, anche se fino a quel momento non l’aveva mai ammesso. E gli uomini diventano migliori se c’è una donna che li aspetta.

Si sistemò il caschetto e continuò affabile e sorridente il suo lavoro.

I quattro cugini passarono davanti alla clinica veterinaria, dove Galeno con alcuni volontari della Protezione Animali stava visitando quattro marmotte.

Il giardino sembrava uno zoo, ma uno zoo particolare, dove gli animali erano un po’ malconci, ma si sapeva che presto sarebbero tornati liberi e quindi la faccenda era meno triste.

«Dove li porterete?» chiese Luca a Galeno.

«Li smisteranno nei parchi naturali e nelle riserve sparse sull’Appennino. Ora non hanno più una casa e bisognerà seguirli fino a quando non si saranno ambientati. Gli altri animali potrebbero dar loro del filo da torcere. È importante per questo riuscire a ricongiungere i

gruppi familiari. Saranno più forti e preparati ad affrontare il nuovo ambiente».

Guardò Lu e Pa e sorrise.

«Due giorni ancora e poi dovete separarvene»

«L’abbiamo promesso!» disse Zoe.

«Non mi è chiaro come i vostri fratelli abbiano fatto a sapere chi erano i colpevoli»

«Ripetono continuamente di una quercia che parlava e cose del genere. Hanno la testa tra le nuvole, quei due. Quando poi vengono qui in vacanza, si perdono completamente nelle loro fantasie»

«Questa volta però sono state fantasie utili e concrete»

«Già» ammise Luca.

Guardò Devin che giocava con una capretta insieme alla cugina.

Era completamente assorto in quel che faceva e viveva quell’istante con tutto se stesso, senza accorgersi di quel che accadeva intorno, come se quel momento non dovesse finire mai.

«Che bello essere bambini!» si lasciò sfuggire.

«Già!» ammise Zoe.

Videro le mamme che si avvicinavano abbracciate, cariche di pacchetti.

«Hanno fatto pace!»

«Avanti, ragazzi! Finalmente torniamo a casa!»

«Devin! Olivia! Sveglia!» li richiamò all’ordine Luca.

Ma Devin aveva orecchie per qualcos’altro.

Qualcosa che non aveva niente a che fare con lo scampanellio della capretta e di cui gli altri non sembravano accorgersi, ma Olivia, lei sì.

«Lo senti anche tu questo ronzio?» le chiese.

«Certo!» lo rassicurò lei.

«Cosa sarà?»

«Api!»

«Sembra anche a me. Che sta succedendo?»

«Vedremo. Qui, ogni giorno è un’avventura» gli sorrise la cugina.

Fine

Nella stessa collana Uao - letture intermedie Gallucci:

Marino Bartoletti La squadra dei sogni 1. Il cuore sul prato (cinque edizioni)

Marino Bartoletti La squadra dei sogni 2. Tutti in campo (due edizioni)

Cee Neudert, Pascal Nöldner Caccia ai mostri (cinque edizioni)

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Anne Goscinny, Catel Il mondo di Lucrezia 2

Anne Goscinny, Catel Il mondo di Lucrezia 3

Sabina Colloredo Fuoco nel bosco. I ragazzi della Quercia Storta (due edizioni)

Anne Goscinny, Catel Il mondo di Lucrezia 4

Cee Neudert, Pascal Nöldner Caccia ai mostri 2. Salva la scuola dalle orribili creature (due edizioni)

C. Acerbi, E. Caillat, M. Guidi Millo & Cia - Avventure scout. Il mistero del palazzo maledetto

Reggie Naus, Mark Janssen I pirati della porta accanto (due edizioni)

Charlotte Habersack, Fréderic Bertrand Non aprire questo pacco. Morde! (due edizioni)

Christelle Chatel Il lupo e il leone (tre edizioni)

Sabina Colloredo SOS messaggio in mare. I ragazzi della Quercia Storta

Anne Goscinny, Catel Il mondo di Lucrezia 5

Charlotte Habersack, Fréderic Bertrand Non aprire questo pacco. Sbava!

C. Acerbi, E. Caillat, M. Guidi Millo & Cia - Avventure scout. L’ombra della sera

Angelo Di Liberto Lea (cinque edizioni)

Eva Grynszpan Among Us (otto edizioni)

Reggie Naus, Mark Janssen I pirati della porta accanto. Alla conquista del parco!

Sabina Colloredo L’uragano. I ragazzi della Quercia Storta

Pippa Curnick Indaco Wilde e le strane creature di Jellybean Crescent

Charlotte Habersack, Fréderic Bertrand Non aprire questo pacco. Azzanna!

Bertrand Puard Agenzia del brivido. La scuola del terrore

Anne Goscinny, Catel Il mondo di Lucrezia 6

Clémentine Mélois, Rudy Spiessert Notte di paura. Troppo sale nella pasta (due edizioni)

Pippa Curnick Indaco Wilde nelle Terre Sconosciute

Marco Cattaneo Casa Monelli

Baccalario - Gatti - Stipari Maud West. Una matrioska di misteri

Annalisa Strada, Ivan Bigarella Gatti a catinelle

Beppe Tosco, Francesco Tosco, Alessandro Sanna La notte delle spazzature viventi

Charlotte Habersack, Fréderic Bertrand Non aprire questo pacco. Azzanna!

Susanna Isern, Laura Proietti Malvarina. Voglio essere una strega (due edizioni)

Elizabeth Barféty, Magalie Foutrier Sarò una stella 13. Il sogno americano

Clémentine Mélois, Rudy Spiessert Notte di paura. Lo scienziato pazzo

Eva Grynszpan Among Us 2. L’accademia (tre edizioni)

Brigitte Kernel Mi chiamo Charlie Chaplin e darò gioia ai tempi moderni

Susanna Isern, Laura Proietti Malvarina. Apprendista strega

C. Acerbi, E. Caillat, M. Guidi Millo & Cia - Avventure scout. Il tesoro sepolto

Anne Goscinny, Catel Il mondo di Lucrezia 7

Elizabeth Barféty, Magalie Foutrier Sarò una stella 14. Sotto i riflettori

Sara Cristofori Cassey Almond e la lega delle anime perdute

Elizabeth Barféty, Magalie Foutrier Sarò una stella 15. La festa della Scuola

Christelle Chatel Emma e il giaguaro nero (due edizioni)

Baccalario - Gatti - Stipari Maud West. Una cattedrale di ragnatele

Estelle Mialon Among Us 3. L’attacco zombi (due edizioni)

Alberto Manzi Testa Rossa

Elizabeth Barféty, Magalie Foutrier Sarò una stella 16. Un incontro inatteso

Marino Bartoletti La squadra dei sogni 4. Momenti di gloria

Angelo Di Liberto Il coraggio di Giovanni (tre edizioni)

Sara Cristofori Cassey Almond e l’Ordine del Caos

Cuca Canals Il giovane Poe. Il mistero di Morgue Street

Anne Goscinny, Catel Il mondo di Lucrezia 8

Cuca Canals Il giovane Poe. Lo strano caso di Mary Roget

Baccalario - Gatti - Stipari Maud West. Un labirinto di specchi

Elizabeth Barféty, Magalie Foutrier Sarò una stella 17. L’incredibile piroette

Marco Cattaneo Casa Monelli. Il castello stregato

Alberto Manzi Il lungo viaggio di Einar (due edizioni)

Baccalario - Gatti - Stipari Maud West. Una matrioska di misteri

Charlotte Habersack, Fréderic Bertrand Non aprire questo pacco. Brilla!

Elizabeth Barféty, Magalie Foutrier Sarò una stella 18. E la tua danza qual è?

Cuca Canals Il giovane Poe. La casa degli orrori

Della stessa serie:

Sabina Colloredo

SOS VELENI IN MARE

I RAGAZZI DELLA

QUERCIA STORTA

disegni di Sara Not 144 pagg.

ISBN 978-88-3624-394-5

euro 11,50

Colloredo

L’URAGANO

I RAGAZZI DELLA

QUERCIA STORTA

disegni di Sara Not 112 pagg.

ISBN 978-88-3624-658-8

euro 11,50

“I nostri ragazzi vibrano, si emozionano, dimostrano di conoscere più di quel che pensiamo le tematiche ambientali e sono pronti ad affrontarle”

Sabina Colloredo, Robinson - La Repubblica

“Avvincenti avventure estive con giallo”

Rossana Sisti, Avvenire

“In questa serie ci sono adorabili dibattiti tra cugini su tematiche ecologiche e d’attualità: fervidi e al tempo stesso ironici. E poi ci sono batticuori, amici a quattro zampe, e una Natura potente e misteriosa che lotta per difendere le sue creature”

Chiara Sorrentino, Il Tempo

“Le storie di ragazzi sensibili e impegnati ad aiutare l’ambiente, magari superando pericoli e improvvisi ostacoli, sono quelle che più si rivolgono ai giovani lettori. Perché in essi si spera”

Franca De Sio, Pepeverde

Sabina

Luca Di Fulvio

I RAGAZZI DELL’ALTRO MARE

192 pagg.

ISBN 978-88-9348-909-6

euro 9,90

Vincitore del Premio nazionale

“Un Libro per l’Ambiente” 2017

“L’Altro Mare e l’Altro Mondo rappresentano per i miei tre protagonisti tutte le loro paure. Superarli per loro significa superare tutte queste paure”

Luca Di Fulvio a Fahrenheit-Radio Tre

“Un romanzo d’avventura divertente, appassionante, coinvolgente, di sana evasione che aiuta a immaginare possibilità diverse del vivere anche nel nostro mondo”

Ermanno Detti, Pepeverde

“Quello nel quale si avventurano i miei tre protagonisti è un mondo capovolto. Affrontano il male e così completano la loro crescita. È un mondo pieno di avventura”

Luca Di Fulvio a TRS radio

Nella stessa collana:

Camillo Acerbi, Emanuelle Caillat, Mauro Guidi

MILLO & CIA - AVVENTURE SCOUT

IL MISTERO DEL PALAZZO MALEDETTO

128 pagg. - euro 9,90

ISBN 978-88-3624-581-9

Camillo Acerbi, Emanuelle Caillat, Mauro Guidi

MILLO & CIA - AVVENTURE SCOUT

L’OMBRA DELLA SERA

144 pagg. - euro 9,90

ISBN 978-88-3624-759-2

“Con Millo & Cia brividi, fifa e divertimento sono garantiti”

Rossana Sisti, Avvenire

“Millo & Cia, storie avventurose e divertenti, che raccontano anche aspetti e valori del mondo scout”

L’Eco di Bergamo

“L’obiettivo era rappresentare due bambini reali e tutt’altro che perfetti in cui i coetanei si potessero riconoscere”

Camillo Acerbi a Il Resto del Carlino

“In Millo & Cia coraggio, collaborazione, lavoro di squadra, amicizia spingono i protagonisti all’azione e invitano il lettore a riscoprire quei valori che ci fanno stare bene con noi stessi e con il prossimo”

Viviana Filippini, Liberi di Scrivere

“Gli ingredienti di Millo & Cia: avventura, divertimento e un pizzico di suspense” Zebuk

IL LUPO E IL LEONE

112 pagg.

ISBN 978-88-3624-461-4

euro 9,90

Il romanzo tratto dal film Il lupo e il leone del regista di Mia e il leone bianco

“Anche tre orfani, provenienti da specie diverse, possono essere una famiglia. L’incontro di tre anime non è questione di razza, credo o religione, ma di connessione. È questo il messaggio de Il lupo e il leone, una favola moderna nella quale si dimostra che anche due predatori possono formare un tale nucleo” ANSA.it

“Il lupo e il leone, la favola vera dell’incontro fra due cuccioli speciali”

Chiara Ugolini, la Repubblica

Angelo Di Liberto

LEA

disegni di Cecco Mariniello

196 pagg.

ISBN 978-88-3624-592-5

euro 12,50

“Lea, la storia (vera) di una cagnolina coraggiosa e dei suoi piccoli amici”

Giulia Ziino, 7Corriere

“La storia di Lea ha una svolta in giallo. La cagnolina si ritrova prigioniera, ma tirerà fuori una grinta prodigiosa che forse neppure lei sa di avere”

Rossana Sisti, Popotus - Avvenire

“Lea di Angelo Di Liberto è un romanzo che non risparmia la suspense e accende i fari su temi come amicizia e rispetto”

Carla Colmegna, Il Cittadino

“La storia di questa cagnolina insegna ad ascoltare, educa i piccoli lettori all’importanza del confronto e del rispetto dell’ambiente, li mette di fronte alla cronaca sui crimini contro gli animali. Perché è anche vedendo il male che si capisce il valore del bene”

Marta Occhipinti, la Repubblica

Beppe Tosco con Francesco Tosco LA NOTTE DELLE SPAZZATURE VIVENTI disegni di Alessandro Sanna

224 pagg. - euro 13,50 ISBN 978-88-3624-838-4

“C’è tutto il meraviglioso mondo di Beppe Tosco qui dentro. L’abisso e il pensiero luminoso, il sentiero nel bosco e la discarica, il pattume e la poesia”

Luciana Littizzetto

“Si può ambientare una storia che fa sorridere e al contempo pensare in una discarica? Beppe Tosco ci riesce con l’aiuto del figlio Francesco in La notte delle spazzature viventi, combattute da una protagonista che conquista il lettore”

Renata Maderna, Famiglia Cristiana

“Un romanzo che esalta la creatività”

Pietro Sorace, RTL 102,5

“Coraggio, intraprendenza, humor e amicizia sono gli ingredienti che rendono La notte delle spazzature viventi una storia ricca di straordinaria umanità”

Madia Mauro, Il Tempo Quotidiano

“Una lettura per riflettere sul valore degli oggetti e l’importanza del riuso”

Angela Alexandra D’Orso, La Freccia

Marino Bartoletti

LA SQUADRA DEI SOGNI

IL CUORE SUL PRATO

disegni di Giuseppe Ferrario

144 pagg., euro 9,90

ISBN 978-88-9348-692-7

Marino Bartoletti

LA SQUADRA DEI SOGNI

LA COPPA DELL’AMICIZIA

disegni di Giuseppe Ferrario

160 pagg., euro 9,90

ISBN 978-88-9348-936-2

Marino Bartoletti

LA SQUADRA DEI SOGNI TUTTI IN CAMPO

disegni di Giuseppe Ferrario

128 pagg., euro 9,90

ISBN 978-88-9348-760-3

“Bartoletti ci parla di calcio e fatica, del valore della competizione e dell’importanza delle sconfitte”

Corriere dello Sport

“Mi hanno chiesto di parlare ai giovani attraverso lo sport e la sua etica. Allora ho considerato le esperienze che ho avuto, sia le positive che le negative, e le ho inserite in questo racconto”

Marino Bartoletti ai microfoni di SkySport

Anne-Gaëlle Balpe

IL DIABOLICO LIBRAIO

disegni di Ronan Badel

240 pagg.

ISBN 979-12-221-0087-6

euro 13,50

Anne-Gaëlle Balpe MALIARDO DI UNO SCRITTORE

disegni di Ronan Badel

192 pagg.

ISBN 979-12-221-0591-8

euro 13,50

Sohan si precipita in libreria a comprare il libro appena uscito del suo autore preferito. Tra le pagine trova uno strano segnalibro dai riflessi cangianti: è un invito a entrare nella misteriosa “confraternita segreta dei lettori avventurieri”. Ma non sa che lui e i suoi amici stanno per essere risucchiati nella cospirazione del Diabolico Libraio…

Manolo vive in un circo, sogna di diventare domatore di otarie e i libri proprio non li sopporta. L’invito in classe al famoso scrittore Roland Dale si prospetta ora come il giorno più noioso della sua vita! Quell’autore, dicono tutti, è capace di stregarti. Il bello è che gli studenti vengono davvero ipnotizzati e rapiti…

Eva Grynszpan AMONG US

disegni di Mathieu Demore

160 pagg., euro 11,50

ISBN 978-88-3624-656-4

Estelle Mialon AMONG US. L’ATTACCO ZOMBI

disegni di Mathieu Demore

160 pagg., euro 12,50

ISBN 979-12-221-0375-4

Eva Grynszpan AMONG US. L’ACCADEMIA

disegni di Mathieu Demore

160 pagg., euro 11,50

ISBN 978-88-3624-981-7

“Le situazioni paradossali di Among Us strappano sempre qualche risata, anche perché è una commedia di humour nero. È un’avventura che si può vivere da soli, senza connessione, al fresco sotto l’ombrellone. È un perfetto passatempo”

Gabriele Di Donfrancesco, Robinson - la Repubblica

“Il fine della scrittrice Eva Grynszpan è ammirevole, con Among us cerca di portar fuori dagli schermi luminosi i bambini, facendoli ritornare alla carta stampata, grazie ad interazione e personaggi che già conoscono”

Migliori Giochi

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Loreto – Trevi 25.84.047.0

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I RAGAZZI DELLA QUERCIA STORTA

FUOCO NEL BOSCO

Olivia e Zoe trascorrono le vacanze estive al casale della Quercia Storta insieme ai cugini americani Devin e Luca. Un giorno sulle colline dei dintorni scoppia un incendio che in poche ore divora il bosco. Mentre le mamme sono prese dal panico e i cugini grandi discutono sul da farsi, i due più piccoli scoprono che anche la pineta lungo il mare rischia di essere distrutta dal fuoco. Resta pochissimo tempo per fermare i responsabili e salvare piante e animali, ma dalla loro c’è un’insospettabile amica…

«La Quercia Antica sapeva che lupi e cinghiali erano riusciti a scappare. E anche i cervi e i caprioli si erano messi in salvo. Ma tutta quella popolazione di lepri, scoiattoli, marmotte, istrici e martore che lei tanto amava era scomparsa. Era stata una strage… I bambini avrebbero fatto giustizia».

Sabina Colloredo (1957 - 2024) ha scritto il primo romanzo quando andava alle elementari, e non ha più smesso: oltre a lavorare nella pubblicità, ha pubblicato un centinaio di racconti, poesie, biografie e romanzi storici e mitologici, sia per ragazzi sia per adulti, con particolare attenzione alle tematiche sociali e al ruolo della donna. La serie I ragazzi della Quercia Storta è illustrata dal tratto fresco e leggero di Sara Not

www.gruppoeli.it

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