Coding pensiero computazionale nella scuola primaria

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PREFAZIONE Michael Lodi*

Pensare come un informatico non vuol dire pensare come un computer! 1 Informatica, programmazione, pensiero

computazionale

Negli ultimi anni anche il docente meno attento e interessato alle nuove tecnologie si è senz’altro imbattuto nel concetto di pensiero computazionale. Si tratta della traduzione di computational thinking, locuzione che ha iniziato ad essere utilizzata dal 2006 nella ricerca in didattica dell’Informatica svolta negli atenei americani e inglesi. Come spesso succede in Italia, i “fenomeni” arrivano in ritardo rispetto ad altri paesi, ma vengono abbracciati poi in modo totale e - a volte - esagerato. Questo porta a chiedersi se quella del pensiero computazionale sia una moda passeggera o piuttosto un’importante innovazione didattica, di contenuti e di metodo. Per rispondere a questa domanda, facciamo un passo indietro. La pervasività della tecnologia nel nostro mondo è palese: smartphone, tablet, lavagne multimediali, ma anche complesse interfacce digitali in automobili ed elettrodomestici. Non a caso anche le preferenze ludiche di bambini e ragazzi sono sempre più orientate verso questo tipo di dispositivi. L’accesso a Internet e ai social network ha cambiato radicalmente il nostro modo di comunicare, relazionarci e, in ultima analisi, vivere la nostra vita. A discapito dell’idea comune, l’Informatica non è la scienza del computer (così come l’astronomia non è la scienza dei telescopi, la biologia non è la scienza dei microscopi, eccetera). L’Informatica si occupa di studiare come venga elaborata, memorizzata e trasmessa l’informazione. Il computer è “solo” uno strumento con cui questo è possibile. Oltre a un potente strumento fisico, il computer appunto, l’Informatica, così come le altre scienze, dispone di strumenti concettuali e linguistici: i linguaggi di programmazione. Tramite i linguaggi di programmazione, è possibile “spiegare ai computer” (che di per sé sono esecutori molto precisi, molto veloci, ma molto stupidi) cosa fare, ovvero, più formalmente, dare loro le istruzioni (in un linguaggio a loro comprensibile) affinché risolvano un problema, forniscano un servizio, elaborino dati, eccetera. Cosa fa dunque un informatico? Formalizza la soluzione di un problema tramite un algoritmo (un algoritmo è una sequenza di passi da compiere per risolvere un problema) e lo traduce poi in un linguaggio di programmazione, demandando così il compito di trovare la soluzione - meccanica e ripetitiva, ma a volte molto laboriosa - a una macchina, che “fa i conti” al posto suo. Dunque la locuzione “pensiero computazionale” è ben lontana dall’essere un invito a “pensare come un computer”. Per il momento, di per sé i computer non “pensano”, almeno non nel modo umano che intendiamo comunemente. È colui che scrive l’algoritmo, e poi il programma, a

*Docente di scuola secondaria, tutor e dottorando all’Università di Bologna. Da sempre appassionato di Informatica, da sempre dispensatore di spiegazioni. Dopo un paio di lauree da informatico teorico, ha unito i puntini occupandosi di insegnamento dell’Informatica in diversi contesti e in maniera creativa. Le sue ricerche, accademiche e personali, vanno dal pensiero computazionale alla… felicità :)

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