VIAE 2017 ITA

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VALLE ISARCO – VALLE DEI PERCORSI

Costruire perfettamente il paesaggio Armonia tra architettura moderna e paesaggio

Estate in malga Natura e gusto all’origine

Il dito di Dio Campanili come segnavia, simbolo e con tante storie


L’Alto Adige vi invita a sostare in questa area di servizio

Un viaggio in Alto Adige/Südtirol è sempre l‘inizio di un‘esperienza unica che ti offre emozioni autentiche. E la meravigliosa sensazione di essere nel posto giusto. www.suedtirol.info


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Segui la fioritura!

Mucche in vacanza

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Indice

Il trenino della Val Gardena

04 Mucche in vacanza Solo mucche felici danno buon latte. Lo si sente soprattutto stando in malga, dove la vita é semplice, ma piena di sapori 08 Costruire perfettamente il paesaggio Quando paesaggio e tradizioni ispirano l’architettura moderna 11 Il dito di Dio Campanili sono segnavia, simbolo e custodi di storie 14 Acqua salutare Sulle tracce di Kneipp a Ridanna 18 Suole buone Un ritratto del calzolaio e alpinista Walter Brunner di Vipiteno 20 Antiche mura con personalità Un viaggio attraverso l’architettura di Vipiteno con lo storico Alois Karl Eller 24 Due piedi in cerca di … avventure “scalze” Il “Sentiero a piedi nudi” a Racines, una vera avventura per i piedi 28 In montagna il gusto ci guadagna In Val di Fleres a 1.200 metri d’altitudine crescono le fragole più dolci

50 Dalla montagna al calice In Valle Isarco nasce una nuova enologia 52 I medici contadini di “Kleinkaneid” Per 200 anni la famiglia Ragginer di Luson ha influenzato la medicina popolare del Tirolo 54 Il cartografo e la “sua” Plose Nessuno conosce il monte Plose meglio di Hans Kammerer 58 Il tesoro dei monti Sulla Plose, la montagna di Bressanone, nasce un’acqua molto speciale 62 Piccola Chiusa, grande arte Un viaggio nel tempo: alla fine del XIX secolo tanti artisti arrivarono a Chiusa 66 L’erotismo della castagna A lungo castagne erano considerate afrodisiache, oggi una passeggiata tra i castagneti della Valle Isarco è romantica

30 Roditore fischiettante Le marmotte dei Monti di Fundres

68 “Amo la cucina sincera” Martin Obermarzoner di Bressanone è giovane, creativo ed è uno chef stellato

33 L’anima buona all’alpe Josef Nothdurfter conosce l’Alpe di Rodengo-Luson come le proprie tasche

71 Il trenino della Val Gardena – un viaggio nel passato Fino al 1960 il trenino a carbone ansimava lungo il percorso da Chiusa fino in Val Gardena

36 Viva la regina! Da 24 anni a Naz-Sciaves ogni anno viene incoronata la regina delle mele

74 Due ruote e un aiutino Con l’e-bike attraverso la Val di Funes

38 Segui la fioritura! In primavera l’altopiano delle mele di Naz-Sciaves si trasforma nel paradiso delle api 42 Quando vedo quel lago… I pittoreschi e leggendari laghi di montagna dell’area vacanze di sci e malghe Gitschberg Jochtal 46 Sulle tracce del passato Due tour storico-teatrali fanno vivere da vicino la storia di Bressanone

78 L’inverno lontano dalle piste Sport invernali alternativi 80 Neve al femminile Cinque maestre di sci parlano della loro passione 83 Valle Isarco – Valle dei percorsi 84 Tutto da scoprire 86 Info Tutto sul clima, su come arrivare e sui collegamenti viae 2017 | 3


Testo: Veronika Kerschbaumer Foto: thinkstockphotos.com, DEGUST S.A., Alex Filz, Helmuth Rier

Mucche in vacanza

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ENO-GASTRONOMIA

Da sempre gli altoatesini sanno come preparare vere leccornie con ingredienti semplici: speck, canederli, “Schüttelbrot” o “Graukäse”, preparati d’estate in malga, sono espressione di una vita frugale in armonia con la natura. Ancor prima che Madre Natura si svegli al levar del sole, la sveglia suona nella piccola cameretta. I piedi strisciano lentamente sul pavimento consumato in legno, s’infilano quasi per inerzia nelle fredde ciabatte. Dalla stalla esce aria calda e umida, un muggito ansioso riempie l’aria. Con un leggero sibilo il latte schizza nel bidone, si sente un leggero sbuffo. “Brava Agata”, sussurra il malgaro e continua a mungere con la fronte appoggiata sulla pancia della mucca. Mentre è intento ad accudire agli animali, il caffè gorgoglia sul fuoco. Dopo la mungitura si fa colazione: caffè con latte fresco appena munto, pane di segale con burro di malga, marmellata di mirtilli rossi e un pizzico di aria fresca di montagna.

Estate in malga Tra il confine del Brennero e il Comune di Chiusa nella parte meridionale della valle i pascoli d’altura si estendono su quasi 47.000 ettari. 490 malghe sono attive durante i mesi estivi, alcune tradizionali e molto semplici, altre con qualche piccolo lusso in più come con docce e WC con acqua corrente. A metà giugno 7.500 mucche lasciano le loro stalle per trascorrere l’estate in quota in malga – tre mesi di caldo, sole, buffet di erbe e acqua fresca di sorgente. Come stare in vacanza! Condurre i ruminanti d’estate in malga ha una lunghissima tradizione: tra le montagne del Dachstein in Austria sono state trovate tracce di attività malgare risalenti all’età del bronzo tra il 1700 e il 900 a.C. Ma perché tutto questo dispendio di energie? Semplice, per poter falciare i prati del fondovalle che forniscono fieno sufficiente per il foraggio d’inverno. I prati di montagna sono più ricchi di varie erbe, ma meno produttivi per la loro altitudine. Dove i terreni lo consentono, sono falciatrici ad aiutare nella fienagione, altrimenti sono le falci affilate a tagliare in modo ritmato i prati scoscesi e inaccessibili. L’erba falciata viene riportata nei fienili. “Hagen” si chiama la fienagione in alta Valle Isarco. In malga non c’è pausa. Il lavoro c’è ad ogni angolo. Tuttavia la vita è felice e tranquilla. Una vita semplice. E tutto questo solo per far star bene le mucche. Perché è risaputo che mucche felici danno buon latte e questo si sente! viae 2017 | 5


Che sia “Graukäse”, formaggio al fieno o “Krapfen” ripieni di crauti, l’Alto Adige propone leccornie sia in malga come anche durante il “Törggelen”.

Oro bianco Dopo la mungitura il malgaro versa il latte intero nella centrifuga per separare la panna grassa dal latte. La panna viene sbattuta nella zangola fino a diventare burro. Il residuo, il latticello, è una bevanda dissetante per le giornate calde. Il burro viene lavato e pressato nelle forme di legno spesso lavorate a mano. Il malgaro lavora il latte magro trasformandolo nel gustoso e piccante formaggio di malga, chiamato “Graukäse”. Per questo deve prima accendere il fuoco nel forno, poiché il latte va riscaldato. Si dice che un buon malgaro sente quando la temperatura è giusta, ma oggi qualche volta si usa anche un termometro. Raggiunta la temperatura giusta, il malgaro toglie il latte dal fuoco e aspetta finché si forma la ricotta, la base per il “Graukäse”, che si separa dal siero di latte. Il formaggio viene condito e pressato nelle forme, dove deve ancora maturare finché è pronto per essere servito in tavola. Il gusto autentico del formaggio grigio stagionato si assapora dopo una camminata: appoggiati alle tavole della baita in legno annerite dal sole, godendosi gli ultimi raggi di sole al tramonto e in tavola una vera merenda con “Graukäse” (formaggio grigio), burro fresco di malga e pane di segale. Cosa vuoi di più dalla vita? 6 | viae 2017

IL PERCORSO DEI SAPORI Dall’1 luglio al 30 novembre vengono proproste ogni giorno diverse escursioni guidate con degustazioni in Valle Isarco, la valle dei percorsi. Vari sono i temi enogastronomici proposti: cucina contadina & prodotti agricoli regionali, erbe, latte & formaggi, mele, prugne, vino, castagne e miele. Info: Valle Isarco Marketing, Bastioni Maggiori 26A a Bressanone, tel. +39 0472 802232, e-mail: info@valleisarco.com, www.valleisarco.com


Il percorso dei sapori La gastronomia altoatesina è profondamente legata alla tradizione, ma anche la natura fa la sua parte. Le aromatiche erbe di montagna, le giornate piene di sole e il clima particolare conferiscono un gusto speciale non solo al latte della Valle Isarco, ma anche al vino, alle castagne e alle prugne. È dunque più che logico combinare natura e gusto. E perché non assaggiare anche i tradizionali sapori altoatesini della cucina e della cantina? Immergersi nella natura della Valle Isarco e gustarne tutti i gusti: questo è quanto propone il programma “Il percorso dei sapori” con escursioni guidate e visite con degustazioni per scoprire i segreti di tradizioni e specialità, come: Quante cose si possono preparare con il latte di montagna? Quale filosofia si nasconde dietro ai vini altoatesini? Perché la cucina contadina è riuscita ad entrare nel mondo dell’alta cucina?

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Rifugio Passo Ponte di Ghiaccio è uno degli esempi dell’architettura moderna dell’arco alpino.

Testo: Doris Brunner Foto: Georg Weis, Oskar Zingerle, Christian Platzer, Georg Hofer

Costruire perfettamente il paesaggio Le Dolomiti sono la più bella architettura naturale al mondo, così il famoso architetto svizzero Le Corbusier. Va da se, che in un simile contesto le aspettative rivolte all’architettura contemporanea hanno una valenza ben diversa. Un viaggio architettonico attraverso la Valle Isarco alla scoperta di esempi di ­costruzioni particolarmente riusciti nelle Alpi.

Cime spiccate, dolci valli con meleti e vigneti, innumerevoli monumenti storici e centri medievali: il paesaggio naturale e culturale dell’Alto Adige di per sé è già una meraviglia. Non c’è dunque da meravigliarsi che questo paesaggio culturale passa per un’area difficilmente edificabile: in alto montagne, in basso valli. Qui spesso gli edifici, a differenza di grandi aree cittadine, si trovano immersi nella natura o nelle vicinanze di edifici storici e destano curiosità e attenzione. Un contesto sensibile, che richiede un particolare rispetto per sviluppare un’architettura inconfondibile, che rispecchi le particolarità e le tradizioni del territorio. Una sinergia che l’architettura degli ultimi anni è riuscita a realizzare in modo eccellente, come dimostrano le numerose costruzioni in valle premiate a livello internazionale. 8 | viae 2017

Othmar Barth, precursore di un nuovo modo di costruire Fu un precursore del nuovo modo di costruire nelle Alpi l’architetto brissinese Othmar Barth, deceduto nel 2010, che all’inizio degli anni 60 dell’ultimo secolo con la costruzione dell’Accademia Nicolò Cusano al centro di Bressanone segnò una nuova era: riprese nella struttura architettonica dell’Accademia elementi significativi del circondario, fondendo questi in forme chiare e materiali puri come il cemento a vista, uniti alla funzionalità e all’amore per i dettagli. La costruzione s’integra così perfettamente nell’insieme tradizionale e rurale della città vescovile. Ancora oggi l’edificio trasmette un senso inconsueto di novità.


CULTURA Sopra: Tra i vigneti terrazzati sopra l’Abbazia di Novacella il maso moderno dalle facciate nere s’inserisce nel paesaggio come un muro a secco. A destra: L’Accademia Nicolò Cusano dell’architetto brissinese Othmar Barth segna un’era nuova.

Molti architetti altoatesini oggi si occupano in modo approfondito con il modo tradizionale di costruire e il paesaggio circostante per creare così uno stile architettonico contemporaneo sorprendente, che si inserisce in modo armonico nel paesaggio. Case private come edifici pubblici, masi sotto tutela delle belle arti o rifugi alpini, in Valle Isarco si trovano alcuni esempi ben riusciti di costruzioni nuove o risanate, che saltano agli occhi non solo agli esperti d’architettura. Un esempio: il centro d’arrampicata “Vertikale Bressanone”, che si erge verso il

cielo vicino al centro storico di Bressanone e che è uno dei centri più moderni dell’Alto Adige. La facciata trasparente della palestra d’arrampicata lascia entrare nell’edificio la natura e il paesaggio, ma nello stesso tempo l’interno della palestra non è visibile dall’esterno, un effetto incredibile specialmente alla sera. L’involucro è stato costruito a strati diversi creando un effetto moiré, che propone allo spettatore sempre nuove figure ondeggianti sulla facciata, mentre poco più in là l’Isarco corre nel suo alveo creando le sue onde.

Una particolare sensibilità è richiesta dagli architetti non solo all’interno dei centri storici, ma anche nel risanamento e nell’ampliamento di masi tradizionali in Valle Isarco. Pochi chilometri a nord di Bressanone nei vigneti attorno a viae 2017 | 9


Sopra: Accanto al centro storico di Bressanone sorge il centro d’arrampicata “Vertikale”, uno dei più moderni dell’Alto Adige. A destra: Il maso Huberhof di Naz è stato ristrutturato in modo esemplare senza intaccare i valori tradizionali.

Novacella si trovano alcune impressionanti testimonianze di questa intensa discussione con l’habitat circostante. Così nei vigneti a terrazzamenti sopra l’Abbazia di Novacella s’intravede la costruzione di un nuovo maso. La struttura allungata, lo scantinato in pietra naturale e il piano superiore in cemento nero s’inseriscono perfettamente nel paesaggio, riprendendo le forme tipiche dei muri a secco dei vigneti circostanti. Pochi metri sotto, altrettanto armonicamente inserita nel paesaggio, una casa abitativa nuova, direttamente vicina al tradizionale maso Köferer. La nuova costruzione è come un monolite di cemento a vista lavato sulla collina sopra l’Abbazia, ben radicata a terra, un ideale completamento del maso vicino e in perfetta simbiosi con la natura. Nuova vita per antiche mura, è ciò che è stato fatto con il venerabile maso Huberhof al centro di Naz sull’altopiano delle mele di Naz-Sciaves, uno dei tre masi più antichi del paese. Dopo anni di abbandono il maso sotto tutela delle belle arti è stato risanato in modo dispendioso, senza rompere con i valori tradizionali. Le volte storiche e la vecchia facciata di legno del maso sono state nuovamente valorizzate. In questo modo il fascino naturale del maso con le sue volte gotiche a crociera, la storica cucina d’affumicatura e la stube di legno di cirmolo del XVI secolo si fondono perfettamente con il design puristico contemporaneo. 10 | viae 2017

Architettura moderna a 2.500 metri Anche in cima alle montagne costruzioni innovative sorprendono, come ad esempio il nuovo Rifugio Passo Ponte di Ghiaccio tra i monti di Fundres nella zona di malghe di Gitschberg Jochtal. Da oltre cento anni il vecchio rifugio a oltre 2.500 metri di quota serviva da importante base alpina, che adesso è stato sostituito da una costruzione nuova. La forza dell’edificio contemporaneo, che ha suscitato non poche critiche, sta nella semplicità delle forme architettoniche. Il nuovo Rifugio Passo Ponte di Ghiaccio rappresenta l’esempio per una nuova interpretazione di una costruzione tipica secondo le possibilità odierne: un involucro di scandole di legno in larice con sottili e irregolari fenditure che rendono la facciata movimentata. Sul versante sud-ovest una grande vetrata offre una vista panoramica unica dal rifugio verso il laghetto sottostante, come anche verso le Alpi di Zillertal fino alla Valle Isarco, dove la nuova cultura architettonica segna la strada del futuro.


Testo: Willy Vontavon Foto: Oskar Zingerle, Valle Isarco Marketing

Il dito di Dio Come cime solitarie i campanili sporgono sopra i tetti delle case come a indicare a chi osserva da lontano: “Qui, qui è la meta delle tue brame!” Chiesa di S. Pietro, Siffiano Parrocchiale di S. Ottilia, Longostagno Parrocchiale S. Maria Assunta, Longomoso Chiesa di San Nicola, Monte di Mezzo Chiesa di pellegrinaggio Maria Saal, Renon Chiesetta di S. Verena, Pietrarossa Chiesa SS. Ingenuino e Albuino, Saubach Chiesa di S. Giacomo Maggiore Apostolo, Barbiano Chiesa di San Nicolò, Albions Chiesa di S. Maurizio, San Maurizio Tre Chiese, Barbiano Cappella mortuaria, Villandro Chiesa di S. Stefano, Villandro Chiesa di S. Valentino, Villandro Chiesa di Nostra Signora, Sabiona Monastero di Sabiona Cappella di S. Pietro, Chiusa Chiesa di S. Valentino, Verdignes Chiesa di S. Anna, Gravetsch Chiesa di S. Pietro, S. Pietro Mezzomonte Parrocchiale S. Maria Assunta, Velturno Cappella di S. Antonio, Velturno Chiesa di S. Lorenzo, Velturno Chiesa di S. Andrea, Carena

Croce di Lazfons

Chiesa di San Nicolò, Cleran Chiesa di S. Giorgio, Snodres Chiesa di S. Sebastiano, Sarnes Chiesa di S. Giacomo, Scezze Chiesa di S. Clemente, Scezze Cappella di S. Giovanni, Tecelinga Cappella di San Nicolò, Tecelinga Chiesa di S. Ulderico, Pinzago

Chiesa dei Cappuccini, Chiusa

Chiesa di Loreto, Chiusa

Chiesa di S. Martino, Gudon

Chiesa di S. Andrea, Chiusa Cappella dell’Ospedale, Chiusa viae 2017 | 11


Campanili da sempre non hanno solo un loro significato religioso e funzionale come sede delle campane o alloggio del guardiano notturno, bensì anche uno rappresentativo: più la comunità si sentiva importante, più in altezza si costruiva la propria torre campanaria. I credenti non vedono il campanile come uno status symbol - hanno con esso piuttosto un legame emozionale e religioso: ad ogni passo in salita sulla stretta scala della torre si sentono più vicini a Dio. Torri emanano comunque un loro fascino particolare, dal punto di vista architettonico, artistico e anche religioso. La Valle Isarco in tal senso ha da offrire molto. Qui si trovano non solo dozzine e dozzine di campanili, ma alcuni tra loro rappresentano delle particolarità molto interessanti. Per gli ospiti della valle è assolutamente consigliabile un viaggio di torre in torre, e per questo

non serve neanche un navigatore: ogni paese ha almeno una torre, che si trova subito anche perché come un dito indice è sempre ben visibile anche da lontano. Non a caso un tempo, ci si orientava seguendo i campanili. Non è giusto evidenziare solo alcuni degli oltre 100 campanili presenti in Valle Isarco, poiché ognuno di essi ha una sua particolare storia, una propria architettura, un suo stile, un segreto nascosto. Si potrebbe quasi dire, che ogni campanile possiede una propria personalità, una propria anima. E questa si trasmette a ogni abitante del paese o della città, che ovviamente è convinto che il “proprio” campanile sia, senz’ombra di dubbio, il più bello di tutta la regione. Vale la pena ricordare Hermann Patzleiner, il vecchio parroco, ormai morto, di Rio di Pusteria, il comune a nord di Bressanone all’entrata della val Pusteria: ogni qualvolta era in

visita in qualche paese si collocava a gambe larghe davanti al campanile facendo correre molto lentamente il suo sguardo dalle fondamenta fino alla punta del campanile verso il cielo. E ogni volta seguiva la sua significativa sentenza: “Si, abbastanza carino, ma il nostro campanile a Rio di Pusteria è molto più bello.”

Vista su dozzine di campanili Molti valligiani sono anche pienamente convinti, che la vista di un campanile porti fortuna, e più campanili si possono vedere, più ci si può considerare fortunati. Grazie alla sua posizione geografica sopra Aica dal paese di Spinga si gode di una vista su tutta la Valle Isarco e gli abitanti sono orgogliosi del

Chiesa S. Vito, Tiles

Chiesa di S. Egidio, Rasa

Chiesa S. Cirillo, Bressanone Chiesa delle Clarisse, Bressanone Chiesa Maria Ausiliatrice, Tiniga Vinzentinum, Bressanone Chiesa dei Cappuccini, Bressanone Palazzo Vescovile, Bressanone Chiesa del Seminario, Bressanone Cappella di S. Giovanni Battista, Bressanone Chiesa di S. Erardo, Bressanone Chiesa della Madonna, Bressanone Duomo di Bressanone Chiesa di S. Michele, Bressanone Chiesa dello S. Spirito, Bressanone Chiesa dei santi Angeli Custodi, Stufles Chiesa di S. Volfango, Scaleres

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fatto che dal loro paese si possono vedere oltre 24 campanili. Quanto più grande dev’essere la fortuna di chi in cima al monte Plose comincia a contare i campanili del circondario? Sul numero esatto di campanili visibili da lassù sono state fatte non poche scommesse. Alcuni campanili si possono visitare scalandole dall’interno, come ad esempio il simbolo di Bressanone, la Torre Bianca di 71 metri d’altezza costruita per la prima volta nel 1300. È curioso, che questa torre, bruciata nel 1444 e ricostruita nel 1459 in stile gotico, fino alla fine del XVI secolo fosse chiamata “Torre Nera”, poiché il suo tetto era ricoperto da scandole nere. Quando però nel 1591 tutte le parti murarie furono ricoperte di malta e anche il tetto fu

Chiesa del Santissimo Cuore di Gesù, Fortezza

Chiesa di S. Giorgio, Varna Chiesa dei SS. Pietro e Paolo, Elvas Castel Sant’Angelo, Novacella Abbazia di Novacella Cappella Maria Ausiliatrice, Raminges Chiesa dell’Ospedale Vecchia o Santo Spirito,Vipiteno Chiesa dei Cappuccini S. Maddalena, Vipiteno Chiesa S. Margherita, Vipiteno Torre delle Dodici, Vipiteno

Parrocchiale della Sacra Famiglia, Pra di Sopra Cappella del Forte di Fortezza Chiesa di San Nicolò, Aica Cappella del Calvario, Sciaves Chiesa dei SS. Filippo e Giacomo, Naz Chiesa di S. Margherita, Sciaves Cappella del Calvario, Spinga


intonacato di bianco, il nome della torre dovette essere cambiato. La Torre Bianca nel suo basamento stabile misura 8 per 8 metri con uno spessore murario di 2,40 metri; nella stube delle campane le mura hanno ancora uno spessore di 1,40 metri. Al suo interno custodisce una serie d’interessanti sorprese, che qui non saranno rivelate, ma vanno scoperte di persona. Merita una visita!

metri è incrinata di oltre un metro e mezzo! La sua pendenza non era stata programmata dai costruttori, ma si è verificata per caso durante la costruzione della “torre pendente di Barbiano” nel XIV secolo, quando ben presto ci si accorse che le fondamenta poggiavano per metà su un sottosuolo roccioso e per metà su uno di terra. Per nulla impressionati dalla pendenza già in fase di costru-

zione, i committenti non si fecero impressionare e finirono l’opera. La torre a cipolla della chiesa di San Giovanni Nepomuceno a Santa Maddalena in Val di Funes non è storta, ma si staglia in modo filigrano dalle imponenti cime delle Odle che le fanno da sfondo. Forse proprio per questo la chiesetta rappresenta uno dei motivi fotografici più conosciuti al mondo. E cosa sarebbero i campanili

senza lo scampanio? Nel campanile della parrocchiale di Vipiteno si trova una campana dal diametro di 182 cm, la terza per grandezza in Alto Adige. Nel campanile di Naz è custodita la più vecchia delle campane esistenti della famosa fonderia di campane Gassmayr di Innsbruck: risale all’anno 1637. Come vedete, c’è molto da scoprire tra i campanili della Valle Isarco!

Famosa: la chiesetta di Ranui in Val di Funes.

Notevole: la Torre Bianca a ­Bressanone.

Pendente: il campanile di ­Barbiano.

La torre pendente di Barbiano Si potrebbe descrivere come stravagante la torre della parrocchiale di S. Giacobbe a Barbiano sul costone destro della Valle Isarco: a prima vista si nota che la torre è molto pendente, cosa che farebbe presuppore un costante problema d’instabilità. Infatti la punta della torre alta 38

Cappella del San Sepolcro, Spinga Chiesa di S. Ruperto, Spinga Cappella del Calvario, Valles Chiesa di S. Andrea, Valles Chiesa di S. Maddalena, Fiumes Cappella “Stöcklvater”, Rio di Pusteria Chiesa di S. Giacomo, Maranza Chiesa di S. Elena, Rio di Pusteria Istituto Sacro Cuore, Rio di Pusteria

Cappella Croce Pianer, Alpe di Rodengo-Luson

Cappella di S. Floriano, Rio di Pusteria Cappella Maria Ausiliatrice, Rio di Pusteria Chiesa di S. Paolo, S. Paolo

Cappella di S. Maria Ausiliatrice, Luson-Monte

Castel Rodengo Chiesa di S. Maria Assunta, Rodengo Chiesa di S. Benedetto, S. Benedetto Cappella di S. Biagio, Rodengo

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Testo: Susanne Rude Foto: Oskar Zingerle

Acqua salutare Camminare sulle tracce di Kneipp in Valle Isarco vuol dire trovare un nuovo approccio a un profondo senso di felicità. In quale modo si possono sentire gli effetti benefici del complesso concetto di benessere del parroco Sebastian Kneipp sul proprio corpo? Basta poco. Un’escursione lungo il rio Mareta in Val Ridanna, una idilliaca valle laterale di Vipiteno, ispirata da Monika Engl, trainer per la salute secondo il metodo Kneipp. Già di mattino presto questa sprizzante donna, piena di vitalità e positività, è raggiante come il sole.

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ATTIVITÀ viae 2017 | 15


Quiete e calma La nostra escursione inizia al parcheggio della zona sportiva di Stanghe con un “power-mix”. L’esperta di erbe ci porge uno smoothie verde, fatto in casa, secondo ricetta propria. Contiene di tutto, molto sano e buono. Arrivati al rio Racines, che si congiunge con il rio Mareta per alimentare insieme l’Isarco, ci fermiamo per un esercizio spirituale. “Inizia la tua giornata con gioia per ricevere forza e vigore. Vivi la giornata con amore, libertà e creatività. Termina la tua giornata in pace, regalati quiete e calma”, cita il rituale. Cosa sappiamo sul metodo Kneipp? Ed ecco che l’esperta comincia a molto lontano. Tutto quello che serve all’uomo per vivere, ci viene regalato direttamente dalla natura. Dobbiamo solo rispettarla e saperla usare. Il segreto sta nell’olismo basato su cinque colonne: applicazioni d’acqua, erbe medicinali, alimentazione, movimento e vita regolare. Rappresentano l’equilibrio per la nostra vita, un bene nascosto, rivolto al benessere del nostro corpo, spirito e anima. “La natura guarisce, il medico cura”, un pensiero di Monika che ci fa riflettere. Al rio Mareta ci togliamo per il momento scarponi e calzettoni. La nostra trainer per la salute ci invita a fare un esercizio respiratorio. Ci troviamo tra cielo e terra, ben radicati a terra, lo sguardo rivolto verso l’alto, dentro di noi la sensazione di libertà e di infinità. I pensieri si allontanano, ognuno in un’altra direzione. Guardiamo verso i ghiacciai delle montagne della Val Ridanna: Cima Pan di Zucchero (Zuckerhütl), Becher, Cima Libera (Wilder Freiger) e Cima del Prete (Wilder Pfaff). Le Cime Bianche di Telves (Telfer Weißen) davanti a noi, il Sasso di Mareta (Mareiter Stein) dietro di noi. I maestosi giganti montuosi riscaldano i nostri cuori. 16 | viae 2017


A piedi nudi nella natura “L’uomo non sa più camminare a piedi scalzi”, mette in evidenza Monika. E ha ragione! I primi passi sono incerti, fatti con attenzione e poco dinamici. Ma si può migliorare. Ognuno si sceglie un sasso vicino o dentro il torrente per poggiarsi sopra in una posizione di rilassamento e per seguire l’infinito flusso dell’acqua. Dopodiché con gli occhi chiusi assimiliamo la magia dell’acqua, per diventare tutt’uno con il fluire dell’acqua. “L’uomo e l’acqua sono molto simili”, spiega l’esperta. “Anche l’acqua cerca la propria via, e se non trova quella più diretta, è in grado di accettare un percorso più lungo.” Poco più tardi un nuovo rituale coinvolge oltre ai nostri sensi anche la nostra capacità di fiducia e abbandono: camminiamo a piedi scalzi accompagnati da un vedente. Dopo alcuni metri percepiamo in modo cosciente la diversa composizione del terreno naturale sotto i nostri piedi. Bisogna comunque anche imparare a eseguire in modo corretto la famosa camminata nell’acqua. In questo caso non è determinante per quanto tempo si riesce a resistere camminando nella gelida acqua del torrente. “Lo stimolo dev’essere corto”, consiglia Monika. “Altrimenti il corpo perde il suo equilibrio. Si crea una disarmonia e non è più in grado di riprendersi, perdendo così definitivamente l’equilibrio interno”. Ci fa notare gli effetti positivi della camminata nell’acqua per la circolazione, per i vasi sanguigni, per prevenire vene varicose, per attivare il metabolismo e molto di più. “L’effetto benefico a lunga durata arriva però solo con applicazioni ed esercizi regolari”, aggiunge.

Siamo in forma! La permanenza più o meno lunga nelle gelide acque del torrente evidenziano come ognuno di noi reagisce in modo diverso allo stimolo del freddo. Il risultato invece ci rende tutti uguali: ci sentiamo tutti in forma e pronti per l’esplorazione dell’infinito mondo delle erbe selvatiche e piante medicinali nel bosco, nei prati e lungo i sentieri.

Bagnare le braccia nell’acqua fredda del rio di Mareta è stimolante e aiuta nei disturbi di concentrazione.

“La storia di San Giovanni Battista”, ci racconta Monika, spiega il miracoloso effetto dell’erba di San Giovanni, meglio nota come iperico. La luce del sole immagazzinata è l’arma contro il buio e la depressione invernale. Anche la locale “erba dei sciamani”, come viene chiamata l’artemisia, è adatta non solo per affumicare. Già i nostri antenati conoscevano il suo effetto rilassante se inserita nelle scarpe per prevenire l’affaticamento dei piedi durante lunghe camminate. E poi l’effetto dell’ortica, che aiuta ad assimilare il ferro. Tre foglie d’ortica al giorno, arrotolate e piegate – Monika ci mostra come fare per evitare di bruciarsi – coprono il nostro fabbisogno di ferro! La conoscenza dell’effetto benefico di quasi tutte le erbe selvatiche è impressionante. Prima di lasciare il sentiero pieno di luce nel bosco per camminare lungo il torrente in direzione di Mareta, ci prendiamo un salutare “caffè di Kneipp”, cioè il bagno delle braccia. E’ stimolante, ma non eccitante, aiuta in caso di disturbo di concentrazione o indolenza. Lo stimolo freddo agisce in modo positivo sull’organismo provocando la reazione attiva a cambi repentini di temperatura. In tal modo viene stimolato il sistema immunitario senza sforzarlo. Il nostro cammino odierno è una piccola finestra sulla varietà di percorsi e impianti Kneipp presenti in Valle Isarco, che ci aiutano a prendere coscienza del nostro essere nel corso del tempo tra la fonte dell’inizio e il mare dell’infinito. viae 2017 | 17


Testo: Barbara Felizetti Sorg Foto: Oskar Zingerle

Suole buone Nella sua bottega scarponi usati tornano come nuovi per poter affrontare nuovamente escursioni emozionanti. Una visita nella bottega del calzolaio Walter Brunner a Vipiteno.

Walter Brunner è seduto pazientemente nella sua bottega, davanti a se uno scarpone consunto. “Chissà quante cose ci potrebbe raccontare questo scarpone”, spiega sorridente, “quante escursioni emozionanti, conquiste di cime mozzafiato, tutta la bellezza della natura.” Mentre con cura toglie la suola consumata, i suoi pensieri lo portano via lontano. Il profumo di cuoio, solventi e gomma. Tutt’attorno una catasta di suole, lacci, ganci, pezzi di pelle di tutti i colori, e naturalmente scarpe.

“Semplicemente così” Il maestro calzolaio Walter Brunner è l’ultimo artigiano del genere a Vipiteno. Il suo mestiere lo ha iniziato “semplicemente così”, racconta. Fin da bambino ha trascorso molto tempo nella bottega dei genitori e allora cuciva piccoli portamonete in pelle. “Sarei voluto diventare architetto. Ma poi mi sono dedicato allo sport, e per molti anni come atleta di slittino su pista artificiale ho conosciuto tutti i canali di ghiaccio del mondo”, ricorda. Nel 1984 assieme al fratello Helmuth Brunner era Campione Europeo nello slittino doppio. In quell’anno assieme al fratello 18 | viae 2017

è arrivato 10° alle Olimpiadi Invernali di Sarajevo, e nel 1988 a Calgary assieme a Bernhard Kammerer è riuscito ad arrivare 9°, migliorando di un posto. “E’ stata una bellissima esperienza e sono fiero di averla fatta.” Quando nel 1990 all’età di 29 anni ha smesso con lo sport attivo, è ritornato alle sue origini, occupandosi nuovamente dell’arte calzolaia, che da allora non ha più abbandonato. Ha superato l’esame di abilitazione e nel 1994 è subentrato nell’azienda familiare, facendo quasi subito anche l’esame di maestro calzolaio. “Una volta”, ricorda senza malinconia, “una volta un calzolaio era un vero artigiano.” Si prendevano le misure, si tagliava la pelle e la si cuciva, si cucivano le suole o le si inchiodavano. “Ogni singola scarpa aveva una sua personalità”. Oggi la sua attività si riduce alla sola riparazione di scarpe, per lo più dei tacchi che si rompono molto facilmente. “Oggi si puó notare, che la gente non butta subito via tutto, ma che lasciano anche rimettere a posto le cose”, afferma il calzolaio, “ed è una sensazione speciale, quando si può consegnare ad un cliente la sua scarpa preferita completamente rimessa a posto.”


CULTURA

I SUGGERIMENTI DI WALTER BRUNNER PER LA GIUSTA CURA DEGLI SCARPONI Asciutti » Dopo ogni escursione gli scarponi devono essere asciugati e aerati. Non vanno messi sui termosifoni e neanche al sole! Puliti e impregnati » Pulire scarponi di pelle con acqua tiepida o liscivia, impregnare ancora umidi con uno spray speciale per impermeabilizzarle. Farle asciugare e trattarle con un’emulsione di cera. » Materiali tessili vanno puliti con acqua o liscivia e poi impermeabilizzati. Custodia » Negli scarponi vanno inseriti tendiscarpe adatti e vanno ­custoditi in ambienti ben areati.

Nel suo “repertorio” di riparazioni oltre alle scarpe di sono anche borse e zaini. E per l’appunto anche scarponi, perché Walter ufficialmente è il “risuolatore” dell’azienda di produzione di scarponi La Sportiva. E così cambia suole consunte, rinnova ganci e occhielli, sostituisce lacci e stringhe. “Così gli scarponi tornano come nuovi e sono pronti per le prossime avventure”, ride Walter, “ecco, come questo qui.” Solo una buona suola con profilo dà la giusta stabilità e tenuta in montagna.

E dopo il lavoro: via tra le montagne! Osserva con attenzione l’opera finita, poi si toglie il grembiule da lavoro e butta in spalla il suo zaino. “Un’escursione dopo il lavoro, in compagnia della mia macchina fotografica e dei miei scarponi – cosa ci può essere di più bello?”, chiede Walter, mentre furtivamente lascia la sua bottega per prendere la sua via verso il Zinseler (Cima di Stilves), una cima panoramica sopra Vipiteno. Non aspetta neanche per sentire la risposta alla sua domanda. La risposta se l’è già data da solo…

Nella sua bottega Walter Brunner ridà il giusto grip per escursioni.

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Testo: Barbara Felizetti Sorg Foto: Oskar Zingerle

Antiche mura con personalità La città alpina di Vipiteno in ogni stagione presenta ai suoi visitatori solo il meglio: eventi emozionanti, attrazioni culturali, shopping di alto livello e un’architettura notevole, che salta subito agli occhi. Un giro della città con lo storico vipitenese Alois Karl Eller.

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È poco prima delle 9 al mattino. Alois Karl Eller, che oggi mi mostrerà la città, sta già aspettando, quando arrivo in Piazza Fuori Porta a sud del centro storico di Vipiteno. Il 66enne storico di Vipiteno da molti anni s’interessa della storia delle case e dei palazzi della sua città natale. Assieme iniziamo a camminare nella Città Nuova. Signor Eller, come mai proprio le case della città di Vipiteno hanno suscitato il suo interesse storico? ALOIS KARL ELLER: Antiche mura contribuiscono in modo essenziale alla creazione di un’identità, un fatto che mi appassiona. Inoltre le persone che vi hanno abitato e che tutt’oggi vi abitano, conferiscono a ogni casa una nota molto personale. Questo è particolarmente affascinante. La città storica di Vipiteno si divide in una Città Nuova e Città Vecchia. Come mai? Attorno all’anno 1280 il Conte Mainardo II di Tirolo assegna un nuovo areale all’esistente paese “Sterczingen”, l’odierna Città Vecchia, per dare inizio alla costruzione dell’attuale Città Nuova. La fila di case compatta risale invece presumibilmente a dopo il 1400. Perciò la Città Nuova non è poi così “nuova”. Come dobbiamo immaginarci la struttura di una casa del XV secolo? Una casa della Città Nuova doveva rispettare la larghezza prescritta di ca. 4 metri, mentre le profondità era di 40-60 metri. Per questo si era costretti a costruire in altezza per integrare nella costruzione anche stanze da letto e salotti. Situata sull’asse nord-sud, Vipiteno da sempre era una città influenzata da viandanti e viaggiatori. Questo spiega anche il grande numero di osterie. Rivolti verso la strada si trovavano negozi e botteghe di artigiani e le trattorie, mentre negli spazi posteriori c’era spazio per magazzini e stalle per cavalli. Per motivi di sicurezza in mezzo si costruivano cortili a lucernario, anche per far arrivare un po’ di luce agli ambienti interni.

Gli “erker” speciali di Vipiteno

Alois Karl Eller

Una delle caratteristiche di molte case è l’”erker” o bovindo, una struttura esterna alle facciate munita di finestre, che anima la via cittadina. Gli “erker” non solo arricchiscono le facciate, ma hanno anche un’utilità molto pratica: l’”erker” aumenta sia lo spazio abitativo delle case piuttosto strette e fa entrare anche più luce naturale negli ambienti poco illuminati. Signor Eller, il Municipio di Vipiteno dispone di un “erker” molto particolare. Il Municipio è una solida costruzione, edificata secondo i piani dell’architetto Jörg Kölderer nel XV secolo, la cui forma odierna risale all’epoca e non fu mai cambiata. Dietro all’imponente “erker” ad angolo si cela la storica sala consigliare risalente al 1524, una delle più belle sale di tutto il Tirolo. viae 2017 | 21


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Spigoloso, argenteo e quasi timido, così sporge l’erker dalla facciata dell’edificio Athesia, il primo edificio postmoderno nel centro storico di Vipiteno.

Vipiteno deve la sua ricchezza verso la fine del Medioevo a consistenti giacimenti d’argento nelle miniere del circondario. Un aspetto che si fa notare anche nell’architettura della città? Mentre nella Città Vecchia erano presenti soprattutto artigiani legati ai carriaggi, l’architettura della Città Nuova è fortemente influenzata dall’industria mineraria, che tra il 1480 e il 1540 ha portato a una notevole crescita economica della città. In questo periodo nascono anche le case doppie, cioè l’unione di due case strette per creare edifici più spaziosi, seguendo l’esempio dei palazzi italiani. Testimonianze dell’attività mineraria si trovano un po’ ovunque nella Città Nuova. Un ulteriore periodo di grande sviluppo lo ebbe Vipiteno nel XVIII secolo all’epoca dei “Grand-Tour” verso l’Italia, quando ad esempio anche Johann Wolfgang von Goethe passò per Vipiteno, e poi ancora nel 1900 con l’inizio del turismo alpino, che esplorò le impressionanti montagne del circondario. Arriviamo alla Torre delle Dodici, il simbolo di Vipiteno, che unisce la Città Nuova a sud con la Città Vecchia a nord. Con i suoi 46 metri d’altezza supera tutti gli altri edifici della città. Signor Eller, quale funzione ebbe la Torre delle Dodici in passato? Poiché a Vipiteno non esisteva una torre campanaria abbastanza alta, i cittadini nel 1468 decisero di far erigere la torre a difesa della città in caso di guerre, incendi o alluvioni. Era concepita come torre di osservazione, che fino agli anni 50 del XX secolo nelle ore notturne ospitava un guardiano della torre. Dopo l’incendio del 1868 nel 1874 la torre ricevette l’odierno timpano

merlato, che la fece diventare il simbolo ben visibile della città di Vipiteno.

Postmodernità nel centro cittadino Passiamo sotto la Torre delle Dodici e arriviamo nella Città Vecchia. L’impressione è quella di un’architettura più semplice, ma non per questo meno interessante. Ci saltano agli occhi due edifici moderni, che hanno cambiato decisamente l’aspetto complessivo della zona pedonale. Signor Eller, l’edificio dell’Athesia del 1986 è la prima costruzione postmoderna in mezzo al centro storico di Vipiteno.

In effetti. Questo edificio è un esempio di adattamento alle esigenze dell’uomo odierno. Con un linguaggio moderno e con materiali moderni l’architetto Oswald ­Zöggeler riprende i motivi della città reinterpretandoli in modo nuovo. In questo modo crea spazi commerciali attuali. Tuttavia la nuova struttura ha suscitato molte critiche poiché ha cambiato in modo decisivo l’insieme del centro storico. Anche l’edificio adiacente dell’architetto Hans Hollein spicca con la sua facciata scura. Hollein qui rompe in modo consapevole con la postmodernità, ma al contempo fa una concessione

alla tutela dell’insieme, ponendo l’accento sull’orizzontalità più che alla verticalità. In questo modo riduce la severità dell’edificio. Nel complesso si tratta con sicurezza di una rivalutazione dell’intera parte storica e di una evoluzione più che legittima. Lo storico esperto potrebbe continuare a frugare nel ricco fondo di conoscenza e raccontare molte storie della sua città natale. Ma si è fatto tardi. Decidiamo di terminare il nostro giro con un aperitivo rinfrescante in Piazza Città.

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ATTIVITÀ Testo: Barbara Felizetti Sorg Foto: Oskar Zingerle

Oggi si cammina. Sul “Sentiero a piedi nudi” a Racines il piede sinistro Lilly e il piede destro Renato non vedono l’ora di affrontare avventure senza veli, anzi senza scarpe.

“Ah, finalmente, all’aria fresca!”, grida Renato, quando insieme ai calzini si libera della sua scarpa da ginnastica. Anche Lilly agita il suo pollicione con ansia. “Ci vuole tanto? Qui dentro c’è puzza!” Ma Renato ormai nella sua eccitazione non ascolta più. “Di qua!”, grida agitato, ma dopo i primi passi la sua euforia viene frenata di colpo

e Renato storce il suo viso. “Ti sei fatto male?”, chiede Lilly. “Macché”. Renato risponde con un cenno di no e continua a pestare energicamente. Non vuole ammettere, che ha affrontato con troppo impeto la ghiaia del sentiero. Lilly sorride: “Vai piano, Renato! Fermati un attimo! Ho bisogno di abituarmi lentamente al suolo!”

“Ah, che benessere!” Insieme scoprono pietra dopo pietra, sentono la leggera pressione sulla pianta. “Ma quanto bene fa?”, sospira Lilly. “È come un massaggio in piena natura.” In modo rilassato affrontano la camminata, che continua calpestando pietre piccole (“Aiaaa!”) e pietre grandi (“Ah, piacevolmente caldo!“), ma anche sabbia

sottile per lasciare le impronte di Lilly e Renato, terra marrone (“Che bella poltiglia!”) e erba verde (“Come una nuvola verde!”), pacciamatura di cortecce (“Che solletico!”) e tronchi (“Chi dei due ha più equilibrio?”). Il Sentiero a piedi nudi attraversa anche il marmo bianco di Racines, utilizzato in passato da molti scalpellini e artisti di tutto il mondo come

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materiale. “Oggi se ne fa gomma da masticare!”, racconta la sagace Lilly. Renato la guarda incredulo: “Cosa? Ma non può essere. Mi romperei i denti!” “Non ti preoccupare, il marmo viene ovviamente triturato fino ad ottenere una polvere sottilissima. Così può essere utilizzato anche nei dentifrici, per compresse, piastrelle o come concime.”

Lo scherzo di “Pfeifer Huisele” Arrivati al gorgogliante torrente di Racines i due avventurieri fanno una breve pausa e si rinfrescano nell’acqua cristallina. Potrebbero attraversare il torrente e proseguire sull’altra sponda per tornare al punto di partenza. Decidono invece di proseguire verso la fine della valle in direzione di Vallettina (Flading). È proprio qui che è nato il leggendario stregone Pfeifer Huisele. Alcune tavole informative con variopinti disegni lungo il sentiero hanno già suscitato la loro curiosità – infatti stanno percorrendo la prima parte del sentiero “Pfeifer Huisele”, che porta su fino alla Malga Klamm e al Lago But. “E cosa facciamo se dovessimo incontrare per davvero lo 26 | viae 2017

stregone?”, chiede Lilly ansiosamente. “Nessuna paura”, la tranquillizza Renato. “Pfeifer Huisele non c’è più da molti anni, viveva qui quasi 350 anni fa.” Sono invece rimaste le rovine della sua casa natale, dove è cresciuto come figlio di poveri contadini. È qui anche che si raccontano le storie delle sue magie e dei suoi scherzi, con i quali giocava brutti tiri ai contadini del circondario. Non c’è luogo nei dintorni dove non avesse combinato qualcosa, e spesso durante le sue magie succedeva qualcosa di strano. “Un giorno voleva inondare la pacifica valle di Giovo”, racconta Renato. “Ma per fortuna le campane della chiesa hanno suonato in tempo e così hanno evitato il peggio.” Nonostante tutto però aveva anche dei lati buoni soprattutto nei confronti dei contadini poveri, ai quali qualche volta faceva trovare in stalla una vacca o un sacco di grano.

Visita alla cappella Lilly e Renato sono arrivati a Vallettina (Flading) alla fine della valle. Quando entrano nella cappella, entrambi sono molto raccolti e pii.

SENTIERO A PIEDI SCALZI Dal maso Pulvererhof lungo il sentiero in direzione Vallettina fino al sentiero a piedi scalzi lungo 400 metri. Alla fine deviare verso sinistra, attraversare il rio di Racines e lungo il sentiero di valle si ritorna al punto di partenza. Punto di partenza: maso Pulvererhof, Racines di Dentro (possibilità di parcheggio) Lunghezza: 2,2 km (anello), 400 m (sentiero a piedi nudi) Durata: 45 min. (anello), 20 min. (sentiero a piedi nudi) Grado di difficoltà: facile


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La chiesetta della Madonna a ­V­­allettina in fondo alla Val Racines fu costruita attorno al 1745.

“Cosa significano tutti questi quadri appesi alle pareti?”, chiede Renato. “Sono stati appesi nel corso degli anni da molte persone, che ringraziano la Madonna per la grazia ricevuta nei momenti di bisogno”, spiega Lilly. Sembra che la Madonna abbia proprio aiutato molti devoti nelle più disparate situazioni: in caso di malattie e incidenti, per questioni relazionali ed educative e in molte altre situazioni di necessità. La bella statua della Madonna ha superato indenne addirittura una catastrofica valanga. Impressionati lasciano la piccola cappella e prendono la via del ritorno. Oggi non hanno più la forza di salire fino al Lago But, dove finisce il sentiero “Pfeifer Huisele”. Stanchi, ma felici, tornano di nuovo dentro le scarpe da ginnastica e sognano della loro avventura a piedi nudi.

SENTIERO PFEIFER HUISELE Da Racines di Dentro alla casa n­ atale del leggendario stregone Pfeifer ­Huisele fino alla malga Klamm (sentiero no.12) e al Lago But. 10 tavole informative raccontano lungo il sentiero le magie del leggendario stregone. Punto di partenza: Hotel Larchhof, Racines di Dentro (possibilità di parcheggio) Punto d’arrivo: Lago But (2.346 m) Lunghezza: 13,7 km (andata e ritorno) Durata: 6 ore (andata e ritorno) Grado di difficoltà: medio viae 2017 | 27


FRAGOLE DI FLERES Gartnerhof – Famiglia Röck tel. +39 0472 670733 o +39 340 7489825

Testo: Susanne Strickner Foto: Oskar Zingerle, Associazione turistica Colle Isarco

In montagna il gusto ci guadagna In mezzo alla Val di Fleres, sotto la maestosa cima Tribulaun, Paul Röck coltiva da vent’anni fragole a quota 1.200 metri. Come mai i frutti del suo maso “Gartnerhof” sono così dolci e hanno un sapore così intenso? “Più in alto sono i campi, più intenso è il gusto”, racconta l’appassionato coltivatore di fragole.

Sono seducenti, dal colore rosso brillante: le fragole che impreziosiscono i campi di Paul Röck. E non sono solo belle da vedere, sono anche molto buone! “C’è tanto lavoro dietro”, raccontano Paul e suo figlio David, che aiuta già molto nei lavori al maso. 20 anni fa il maso Gartnerhof a Fleres, di fronte alla stazione a valle di Ladurns, era un piccolo maso, come ce ne sono tanti qui in valle. Ma il contadino Röck voleva provare qualcosa di nuovo e iniziò con la coltivazione delle fragole. All’inizio 28 | viae 2017

conferiva quasi tutto il raccolto alla cooperativa, mentre oggi la vendita è direttamente al maso. Poiché ci sono differenze tra le varietà di fragole, Paul Röck ha scelto la “Elsanta”, “perché dal punto di vista del gusto è la migliore e presenta anche una buona conservabilità.” Presupposto ideale per un ricco raccolto è anche la consistenza del terreno, che qui in val di Fleres è ottimale. Ogni due anni la famiglia Röck inoltre cambia i campi di coltivazione in modo da rendere

possibile la rigenerazione del terreno e garantire un’ottimale sostanza nutritiva l’anno successivo. In val di Fleres in primavera e in autunno può succedere che cervi o altra selvaggina vadano a sgranocchiare le piantine di fragole, e allora ci vuole una recinzione speciale. La famiglia Röck ha bisogno di bel tempo: le fragole, dalla fioritura al raccolto, hanno bisogno di pochissime precipitazioni e in val di Fleres una copertura è quasi impossibile per i continui venti dal

Brennero. Se poi c’è un periodo di siccità, viene attivata l’irrigazione automatica alimentata con fresca acqua di montagna proveniente dalla propria fonte. Poiché a maggio nella valle montana di Fleres ci possono ancora essere notti di gelo, la famiglia Röck ha installato per le 12.000 piantine un’irrigazione antigelo. Per le particolari condizioni climatiche i frutti pieni di vitamine del Gartnerhof vengono raccolti più tardi rispetto al periodo tipico, cioè da metà giugno a metà luglio.


ENO-GASTRONOMIA Per Paul Röck e suo figlio David tutto ruota attorno alla “Elsanta”, la varietà di fragola, che cresce a 1.200 metri d’altitudine al maso Gartnerhof.

Festival del gusto alpino “Montagna e fiori” Il raccolto tardivo dà alla famiglia Röck la possibilità di partecipare attivamente al festival “Montagna e fiori”. Ogni anno la penultima settimana di luglio a Colle Isarco e Fleres è dedicata al tema della montagna, dei fiori, delle erbe e della natura. L’inaugurazione viene festeggiata con un expo delle erbe a Colle Isarco, dove accanto al coltivatore Paul Röck si presentano artigiani locali e coltivatori di verdura e erbe della zona. In tema con il festival si possono assaggiare piatti a base di erbe preparati dalle contadine del posto, il tutto accompagnato dalla banda musicale di Stilves, inoltre escursioni tematiche, tavole roton-

de e degustazioni. A conclusione la tradizionale festa delle erbe a ­Ladurns e Allriss per gustare a fondo il sapore intenso delle erbe alpine.

„MONTAGNA E FIORI“ Dal 8 al 22 luglio 2017 Info e programma sul sito www.colleisarco.org o tel. +39 0472 632372 viae 2017 | 29


Camminando sopra il limite del bosco a quota 2.000 le si incontrano spesso e magari le si possono anche avvicinare: le marmotte sono di casa nell’alta Valle di Valles, nella Valle d’Altafossa e tra i Monti di Fundres.

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ATTIVITÀ Testo: Oskar Zingerle thinkstockphotos.com, APT Gitschberg Jochtal

Roditore fischiettante

Inizia una nuova giornata di bellissime camminate. Di prima mattina c’incamminiamo verso la Valle d’Altafossa a Maranza. La funivia in sette minuti ci porta da Rio di Pusteria a Maranza a quota 1.415 metri. Dalla stazione a monte camminiamo in direzione dell’Albergo Alpino e da lì proseguiamo su una larga strada forestale fino alle malge in fondo alla Valle d’Altafossa. Nella conca sotto il Lago Grande sentiamo un

fischio acuto che l’eco dei pendii della grande arena di montagne ripete più volte. Si tratta del grido d’allarme di una marmotta, che i locali amano chiamare “Murmile”. A dire la verità le marmotte non fischiano, ma emettono un grido, che noi però percepiamo come un fischio, ma non vogliamo formalizzarci… Mentre continuiamo a camminare, cerchiamo di individuare il punto esatto da dove proveniva il fischio.

Ed effettivamente riusciamo a vedere uno dei roditori che guizza sul prato, si erge in piedi su un tumulo di terra emettendo altre grida d’allarme prima di sparire nella tana sotterranea.

Relitti dell’era glaciale In tutto il mondo esistono quattordici specie diverse di marmotte. Nelle Alpi predomina ovviamente la “marmotta alpina”, un relitto del mondo animale dell’era glaciale. L’incontro

frequente con i numerosi escursionisti rende le marmotte della Valla d’Altafossa sempre più mansuete. Può anche succedere che un esemplare selvatico si avvicini per curiosità a pochi metri all’escursionista stupefatto. Nella maggior parte dei casi però le marmotte mantengono una notevole distanza di sicurezza, così che è molto utile portare con sé un cannocchiale per osservare i simpatici animali. viae 2017 | 31


La Valle d’Altafossa a Maranza è una meta molto bella. Alla fine della valle con un po’ di fortuna si possono incontrare le schive marmotte.

Le marmotte lunghe 40-50 centimetri pesano attorno ai tre chili. Le femmine sono un po’ più piccole dei maschi. Non c’è una sostanziale differenza della colorazione del manto peloso tra i generi. Il cambio del pelo grigio-rossiccio-marrone avviene a giugno. Con le possenti zampe anteriori le marmotte scavano le loro tane sotterranee molto estese. C’è una tana estiva con nidi a circa un metro sotto terra, mentre la tana invernale viene scavata molto più in profondità. Inoltre le marmotte scavano brevi canali di fuga spesso con due entrate in modo da potersi ritirare velocemente in caso di pericoli. Non ci si deve dunque meravigliare che l’incessante attività di scavo delle marmotte è in contrasto con l’attività di gestione delle malghe: le entrate delle tane e l’ampio sistema di canali provocano danni ai prati delle malghe e le vacche possono ferirsi per il crollo delle tane delle marmotte. Agricoltura, caccia e protezione animali sono discordi sulla soluzione del “problema”: accanto al controllo della popolazione con abbattimenti mirati si discute sull’introduzione di recinti elettrici e dispendiosi trasferimenti.

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Cannocchiale nello zaino e tanta pazienza! Come estranei non ci si accorge delle problematiche esistenti. Non si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad una sovrappopolazione. Al contrario. Chi vuole osservare gli animali spesso ha bisogno di tanta pazienza. Anche se alcuni esemplari sono meno paurosi, è consigliabile raggiungere i posti delle marmotte al mattino presto o più tardi nel pomeriggio. Uno dei posti delle marmotte si trova nella Valle d’Altafossa a 100-200 metri dietro al Rifugio Wieser. Le marmotte vivono anche più in alto vicino ai Laghi di Campolago. Nella Valle di Valles s’incontrano le marmotte soprattutto lungo il sentiero verso il Rifugio Bressanone, come anche all’Alpe Labiseben. In Val di Fundres si possono osservare le marmotte oltre il ponte di ghiaccio fino sopra l’omonimo lago, come anche alla malga Weitenberg. Un cannocchiale aiuta a osservarle meglio. Per fotografarle è bene portarsi una macchina con un teleobiettivo telescopico abbastanza potente.


Testo: Oskar Zingerle Foto: Oskar Zingerle, Alex Filz

L’anima buona all’alpe Un’escursione all’Alpe di Rodengo di regola non è problematica e non dev’essere programmata fin dei minimi particolari. Chi arriva al parcheggio Zumis incontra Josef Nothdurfter, ­chiamato Pardeller-Seppl nel suo comune natio Rodengo, che sicuramente può fornire qualche suggerimento e consiglio ­perché ­l’escursione all’alpe diventi una grande esperienza. viae 2017 | 33


Sono le 8:15, un fantastico giovedì mattina. Il parcheggio Zumis all’Alpe di Rodengo-Luson è ancora deserto, il terreno è ancora bagnato dalla pioggia notturna. Mentre le cime degli alberi più alti sono già illuminate dal sole di luglio, Josef Nothdurfter raggiunge il suo “posto di lavoro” per preparare il parcheggio, i bagni e le pattumiere all’assalto degli escursionisti. Chiamarlo “posto di lavoro” non è appropriato per questo luogo fantastico dalla vista panoramica sulla Valle Isarco e sulle Alpi Sarentine. Inoltre la sua attività al parcheggio per il pensionato Josef Nothdurfter è soprattutto d’estate una sorta di “occupazione secondaria”, che però svolge con tanta passione. Lui stesso non si vede come parcheggiatore (“C’è abbastanza posto per tutti”), ma neanche come cambio-monete per la tariffa anche se minima del parcheggio (“Per questo c’è a disposizione una macchinetta”) e neanche come poliziotto. Molto di più lui è una specie di esperto, che alle persone da consigli e suggerimenti per passare al meglio la giornata all’alpe.

Bollettino meteo in diretta Alle 9 arrivano in auto i primi escursionisti. Parcheggiano, pagano il parcheggio, si allacciano gli scarponi, zaino in spalla e via. “Buon giorno!” Dal suo baracchino Josef cerca il contatto con la famigliola e va a incontrarla. Visi non noti. Una breve conversazione, gesti aiutano a descrivere il sentiero. La maggior parte degli escursionisti che Josef incontra all’inizio dell’alpe arriva per la prima volta. E lui racconta le novità o rilascia una previsione del tempo. In questo caso Josef rivolge lo sguardo verso sud: “Se lì il cielo è sereno, allora nuvole scure di pioggia che arrivano da altre direzioni non hanno molto effetto, perché da noi il maltempo arriva da sud”, spiega Josef. E le previsioni meteo del contadino nativo di Rodengo sono precise, molti dei “suoi” ospiti abituali lo confermano.

Ogni mezz’ora una baita Quando escursionisti come questa famigliola vanno per la prima volta alla conquista dell’Alpe di Luson-Rodengo, Josef ha a disposizione suggerimenti ad hoc. “Per famiglie con bambini la baita Roner è la meta ideale, perché i piccoli fanno una passeggiatina di mezz’ora non troppo impegnativa.” Anche per brevi escursioni di mezza giornata l’alpe è una meta perfetta. A distanza di mezz’ora l’alpe offre diverse baite. La baita Oberhauser si trova a pochi minuti di cammino dal parcheggio. “È ideale per persone anziane, che non vogliono camminare molto, come anche per chi ha problemi di deambulazione“, spiega Josef. Molte persone locali vanno volentieri a questa baita per giocare a carte, cioè uno dei giochi tipici altoatesini, come il “Watten”, “Perlåggn” o “Schnölln“. La maggior parte degli escursionisti invece punta verso le baite Rastner e Starkenfeld. “Consiglio queste baite a chi è già abituato a camminare”, svela l’esperto dell’alpe. Anche per ciclisti queste sono mete facilmente raggiungibili. E chi ama prodotti lattiero-caseari, deve per forza arrivare fino alla baita Starkenfeld, dove nel caseificio si producono ottimi formaggi. 34 | viae 2017

Strada forestale o “Konfinweg” Ci sono due possibilità per camminare sull’Alpe di Luson-Rodengo: la strada forestale o il sentiero “Konfinweg”. “La strada forestale ha una pendenza minima, è larga e quasi senza asperità. Però può succedere che sul primo tratto si incontrino macchine o trattori. Ma a chi questo inconveniente non fa niente, può tranquillamente seguire la strada forestale”, racconta Josef. Come alternativa c’è invece il sentiero “Konfinweg”, che fino alla baita Roner corre per lo più nel bosco ed è più ripido rispetto alla strada forestale. In compenso è senza traffico. Il sentiero “Konfinweg” deve il suo nome alla parola italiana “confine”, poiché corre proprio lungo il confine tra i due comuni di Luson e Rodengo.


Giogo d’Asta, la meta Mentre Josef sta ancora dando spiegazioni, arriva al parcheggio il bus di linea grigio-arancione. Tra i passeggeri si trova una coppia di villeggianti muniti di una grande cartina escursionistica. Vogliono raggiungere la cima del Giogo d’Asta a quota 2.149 metri, raccontano a Josef, che ovviamente subito da qualche consiglio per l’escursione che hanno scelto. “Con circa cinque ore di cammino andata e ritorno, il Giogo d’Asta è una meta impegnativa. I 400 metri di dislivello fino alla cima non sono difficili da affrontare, ma il sentiero d’avvicinamento lungo il crinale è lungo.” Per il rientro Josef consiglia il sentiero 68B meno frequentato, che porta alla baita Rastner, al biotopo “Schaufelmoos” e per il bosco. Nei caldi pomeriggi estivi il sentiero ripara dal sole e inoltre offre una bella vista sui monti della Zillertal e di Fundres con la Cima di Terento.

Molto amata dai ciclisti Da un anno il parcheggio Zumis è il punto di partenza del sentiero “Dolorama”, che in quattro tappe porta a Laion. Ma l’Alpe di Rodengo-Luson è sempre più frequentata anche da ciclisti, che con la bici elettrica salgono da Rio di Pusteria o dal parcheggio Zumis per raggiungere Elle e San Lorenzo per poi tornare lungo la valle. L’alpe è dunque una meta ideale perché ci sono vari modi di viverla e di scoprirla, seguendo le proprie condizioni fisiche e i propri obiettivi quotidiani. L’Alto Adige propone innumerevoli, bellissime mete per escursioni. Che ci siano tante persone locali da tutta la provincia a venire proprio all’Alpe di Rodengo-Luson, è segno che questa zona è particolarmente bella. viae 2017 | 35


Testo: Doris Brunner Foto: Rudi Obkircher, Associazione turistica Naz-Sciaves

Viva la regina! Mentre in autunno la raccolta delle mele è in pieno svolgimento, sull’altopiano delle mele di Naz-Sciaves viene incoronata la nuova regina delle mele. Chi sarà la nuova regina è un segreto ben custodito fino all’ultimo…

Un cielo terso caratterizza i primi giorni d’autunno quando nei frutteti di Naz-Sciaves è il momento del raccolto delle mele. I frutti maturi vengono tolti con cura dai rami e adagiati nelle cassette verdi posizionate all’inizio dei filari di alberi. Trattori caricati quasi all’inverosimile si muovono lentamente verso i masi e la cooperativa Melix a Bressanone. E poi bisogna anche preparare la grande Festa della mela! Ci vogliono molte ore di lavoro solo per costruire la grande corona di mele che attira tutta l’attenzione durante il grande corteo. E chi sarà la nuova regina delle mele, che sarà incoronata in questo giorno? Un fitto mistero ben custodito aleggia sull’altopiano delle mele di Naz-Sciaves: si mormora, si cerca di carpire qualche nome. Fino alla festa nulla trapela, tutto tace. La “suspense” fa, in un certo senso, parte dei preparativi della festa. Una sola cosa è data sapere:

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la regina delle mele dev’essere nubile e appartenere a una famiglia di contadini o albergatori del Comune di Naz-Sciaves. Ogni anno a fine estate i rappresentanti dell’Associazione turistica e dei contadini vanno in cerca della candidata ideale. La futura regina dev’essere affascinante, con una spiccata personalità e convincere con il suo carisma. E ovviamente deve avere profonde conoscenze in fatto di mele, perché il suo principale compito da regina sarà quello di ambasciatrice del gustoso frutto in occasione di fiere, feste e altri eventi in Italia e all’estero.

Una tradizione lunga 24 anni La prima regina delle mele di Naz-Sciaves fu incoronata già 24 anni fa, nel 1993. Oggi ai nastri di partenza dunque sono già le nuove leve. Le figlie delle prime regine sono senz’altro degne di


TRADIZIONI

A ogni regina la propria corona: quella della r­ egina delle mele di Naz-Sciaves è costituita di quasi t­ remila mele gialle e rosse e viene portata a­ ­­­ttraverso il paese durante la festa della mela.

FESTA DELLA MELA con incoronazione della nuova regina, corteo, mercato contadino e divertimenti 8 ottobre 2017, Naz-Sciaves www.naz-sciaves.info

18° FESTIVAL REALE con grande festa delle regine, musica, mercato contadino e incontro diretto con le regine 1° maggio 2017, Naz-Sciaves

succedere e ottime candidate da tenere in considerazione. L’idea di una regina di prodotto arriva dagli USA ed è stata importata in Europa fino a raggiungere anche l’Alto Adige. La regina delle mele di Naz-Sciaves è stata una delle prime regine in Alto Adige ed è tuttora una delle più amate. Molti ospiti e gente locale ogni anno a ottobre partecipano alla grande Festa della mela di Naz-Sciaves e questo non solo per gustare le mele appena raccolte. Al pomeriggio del giorno della festa un variopinto corteo con l’attuale regina della mela arriva nella piazza della festa, accompagnato da bande musicali, gruppi di ballo e carri ornati a festa, tra i quali anche quello con la corona di mele costituita da migliaia di mele rosse e gialle. Ed ecco, finalmente! La fanfara annuncia il nome della regina delle mele 2016/2017, il pubblico mormora. La 24a regina delle mele

di Naz-Sciaves si chiama Magdalena Gasser, ha 19 anni e studia Economia e Commercio a Milano, e ovviamente è una paesana del comune di Naz-Sciaves. A suggellare ufficialmente l’insediamento regale è la consegna dello scettro dorato con una mela rossa come gemma, l’incoronazione con una grande corona dorata da parte di un ospite d’onore e il taglio di uno strudel di mele. Con quest’atto per Sua Maestà inizia un tempo emozionante fatto di incontri ed eventi, come quello che il 1° maggio la vede come ospite del Festival reale di Naz-Sciaves alla presenza di numerose regine di prodotti provenienti anche dall’estero oltre che dalla regione per presentare i loro prodotti, dalla mela alla cipolla. La mela preferita della nuova regina delle mele è la Royal Gala, una mela dal rosso intenso, croccante, dal gusto dolce, delicato e leggermente aspro.

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ENO-GASTRONOMIA Testo: Veronika Kerschbaumer Foto: thinkstockphotos.com

Segui la fioritura! Fiori di melo a bizzeffe, temperature calde e tanto sole. La primavera sull’altopiano delle mele di Naz-Sciaves è il paradiso per le api. Dopo ­l’inverno ora molti apicoltori portano le loro arnie proprio qui, perché le api hanno bisogno di molto nettare e di caldi raggi di sole.

Fin da quando è nato, Josef Rinner di Naz-Sciaves ha la passione delle api. Già suo padre era un appassionato apicoltore: un amore per questi insetti ronzanti e pelosi che condividono. A 12 anni Josef si mise in proprio con un suo alveare di api, potendo aumentare con la vendita del miele la sua paghetta. Nel frattempo è diventato un appassionato apicoltore nomadista. “Le mie api sono delle piccole nomadi”, racconta sorridendo. “Porto i miei alveari sempre lì, dove c’è una forte fioritura.” Di regola questa migrazione degli alveari inizia in primavera nei fondovalle dalle temperature miti fino alle quote più alte, dove la fioritura avviene relativamente tardi, ma le api continuano a trovare nettare. L’altopiano delle mele di Naz-Sciaves è un luogo molto frequentato dagli apicoltori e molto amato dalle api, durante questo pellegrinaggio. “Il clima mediterraneo della conca di Bressanone si percepisce fino a qui e così già a inizio della primavera qui fa abbastanza caldo. Anche la ricca fioritura dei meli è ideale per le api”, racconta Josef. E forse non tutti sanno che le api sono molto legate allo stesso tipo di fioritura. Se si abituano al nettare di una certa pianta, per molto tempo scelgono solo più quella pianta. Ogni giorno

possono raggiungere fino a 200.000 fiori. “L’impollinazione dei meli è dunque garantita, un fatto che proprio qui a Naz-Sciaves è molto importante, visto che si coltivano soprattutto mele”, precisa Rinner. Proprio per questo i contadini locali si danno da fare per agevolare al massimo il soggiorno alle api. Così ad esempio esiste l’accordo, che durante la fioritura dei meli non vengono spruzzati pesticidi in modo da tutelare le api. Senza le operose api non crescerebbero le gustose mele, che si possono sgranocchiare durante le camminate, non esisterebbero succhi di mela o strudel di mele, come sparirebbero o sarebbero disponibili in quantità ridotte molti generi alimentari, poiché un terzo delle nostre piante utili dipende dall’impollinazione delle api. “Se le api dovessero estinguersi, nel giro di dieci anni la flora si ridurrebbe della metà”, predice Rinner. Sembra che anche Albert Einstein abbia detto che il genere umano potrebbe sopravvivere solo per quattro anni se l’ape si estinguesse. Se questa citazione è da attribuire realmente al genio o meno, non è dato sapere. Ma un pizzico di verità c’è comunque.

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25 gradi d’inverno Se si è operosi e si lavora diligentemente, si viene confrontati con l’ape. Ma questi insetti pelosi sanno fare molto di più: si adattano molto bene e sono estremamente importanti per la natura e il genere umano. Una delle principali qualità dell’ape è la sua capacità d’impollinazione. Fin dall’inizio dell’anno sono in piena attività. Mentre altri insetti aumentano la loro popolazione appena in primavera, l’ape all’interno dell’arnia ha già da tempo lavorato d’anticipo e può sciamare a pieno regime molto prima. Questo funziona soltanto perché le api stesse producono calore. D’inverno gli insetti all’interno dell’arnia sopravvivono formando un grappolo. Nonostante temperature rigide esterne, all’interno del grappolo ci sono 25 gradi. Quando a febbraio le temperature cominciano lentamente a salire, la regina al centro del grappolo ha sufficiente spazio per continuare a depositare uova. Lo sciame riparte in primavera già ben rafforzato e ricco di circa 15.000 membri risulta ben strutturato.

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La logica della scorta Tenere pulito l’alveare, occuparsi delle larve, produrre miele, costruire il favo, sorvegliare l’alveare e raccogliere il nettare: le api estive, così chiamate dagli apicoltori, perché popolano l’alveare durante la sola estate, hanno una vita piena di lavoro. E così anche la loro aspettativa di vita è in relazione. Dopo cinque o sei settimane iniziano il loro ultimo volo. In questa breve vita le api fanno di tutto per raggiungere il maggior numero possibile di fiori per riempire la cestella di nettare da trasportare all’alveare. Qui il nettare viene arricchito di enzimi, trattato e depositato in forma di miele nei favi esagonali di cera. Fino a quando il miele non viene raccolto dall’apicoltore. Uno sciame d’api produce fino a 120 chili di miele l’anno. Circa la metà, cioè 60 chili di miele servono allo sciame; l’eccesso di produzione è la gioia dell’apicoltore, che lo centrifuga dai favi e travasa in questo caso miele di fior di mele nei vasetti. E questo miele sa veramente di mele!

Quando la fioritura dei meli sta per terminare e i petali lentamente cadono a terra, gli apicoltori con i loro alveari vanno altrove, poiché a Naz-Sciaves la stagione è passata. La prossima stazione si trova più in alto, lì dove adesso fiorisce il tarassaco, prima di spostarsi poi in quota, dove gli insetti pelosi trovano i fiori di mirtillo, rododendro e mirtillo rosso. Per il solstizio d’estate a fine giugno l’alveare con 40-60.000 membri ha raggiunto il suo apice. Con il sole estivo all’interno dell’alveare inizia un nuovo ritmo e si comincia a deporre scorte di pollini ricchi di proteine e miele. Ora nei favi esagonali di cera vengono allevate le api invernali, come si chiamano nel gergo degli apicoltori, le lavoratrici che durante la stagione fredda mantengono la temperatura all’interno dell’alveare, che allevano le nuove api estive e che in primavera compiono i primi voli – chissà forse anche tra i fiori di meli a Naz-Sciaves.

CONOSCERE IL MONDO DELLE API Il percorso didattico delle api a Rodengo, raggiungibile da ­Naz-Sciaves a piedi passando per la gola del Rienza, svela i segreti del mondo delle api. Lungo il percorso si scopre tutto sulla vita delle api e su come nascono il miele e altri derivati. Il punto di partenza della passeggiata di due ore e mezza è l’ufficio informazioni a ­Rodengo/Vill. Info: www.gitschberg-jochtal.com 5e Giornate del miele dell’Alto Adige: Bressanone, 8 e 9 settembre 2017

Un’ape domestica deve compiere ben 150.000 voli “visitando” oltre 2 milioni di fiori per produrre 1 chilo di miele.

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Testo: Oskar Zingerle Foto: Oskar Zingerle, Associazione turistica Gitschberg Jochtal

Quando vedo quel lago.. ... non ho più bisogno del mare. Una citazione dall’origine sconosciuta, ma che molti ospiti dei pittoreschi laghi di montagna dell’area vacanze di sci e malghe Gitschberg Jochtal avranno ripetuto, anche se fare il bagno nelle acque limpide dalle temperature molto fresche è solo roba da veri duri. A far venire la pelle d’oca non sono solo le acque gelide, ma anche le molte leggende scabrose, che circondano questi laghi di montagna.

Il Lago Ponte di Ghiaccio 42 | viae 2017


ATTIVITÀ

.. I laghi di montagna nascono da diverse circostanze e situazioni, come da vulcani estinti, da spostamenti tettonici o perché un grosso smottamento ha creato un bacino, dove l’acqua si è fermata non trovando sbocchi negli strati di terra. Nelle Alpi la formazione di laghi chiamati glaciali nati a seguito dell’erosione dei ghiacciai è la più frequente. Nell’area vacanze di sci e malghe Gitschberg Jochtal esistono molti di questi laghi glaciali, alcuni dei quali sono molto pittoreschi. Iniziamo a ovest della zona, dove il Lago selvaggio si trova a 2.580 metri ai piedi del Picco di Croce. Con una lunghezza di 590 metri, una larghezza di 300 e una circonferenza di cinque chilometri il Lago selvaggio è il più grande e al contempo il più bello dei laghi montani dell’Alto Adige. In ogni caso è con i suoi 46 metri anche il più profondo dei laghi. Il lago dal colore blu-verde con il brutto tempo diventa nero con onde spumeggianti. Dalla profondità si sentono brontolii profondi, che probabilmente hanno ispirato il nome del lago. In virtù di questa particolarità delle acque soggette alle intemperie questi laghi vengono anche chiamati “laghi urlanti”. Anche d’inverno, quando un fitto strato di ghiaccio ricopre il lago, spesso si sentono profondi tuoni e ululi. È facilmente immaginabile che tali rumori in passato abbiano ispirato racconti scabrosi. Sembra che gli ululi del Lago selvaggio risalgano alle grida di tre francesi uccisi dai contadini pusteresi durante l’assedio francese dell’Alto Adige da parte di Napoleone nel 1809. La leggenda vuole che il parroco, al quale un contadino aveva più tardi confessato l’omicidio, abbia rinchiuso le anime dei soldati nel Lago selvaggio, dove presumibilmente fino a oggi ululano e brontolano. Un altro racconto, anche se molto scherzoso, riferisce che qualcuno abbia buttato nel Lago selvaggio una bicicletta e che questa sia riapparsa al Lago Rodella sopra Velturno come testimonianza di un collegamento sotterraneo tra i due laghi.

Sentieri delle leggende A 5 chilometri in linea d’aria più a est si trovano i tre Laghi di Maranza sopra l’omonimo paese. Mentre il grande Lago, situato più in basso, è circondato da ripidi pendii montuosi, i due laghi più piccoli e più alti sono circondati da ampie distese di prati. Attorno ai Laghi di Maranza sono nate diverse leggende. Il demologo brissinese Hans Fink (1912-2003) racconta nel suo libro di saghe e tradizioni di una rottura dell’argine del grande Lago di Maranza, avvenuta in tempi viae 2017 | 43


remoti. La massa d’acqua e di detriti ha inondato Maranza. La popolazione del paese in seguito si è lamentata con gli abitanti di Fundres, che gestivano le malghe, dicendo che se a Maranza si dovevano subire i danni causati dalle malghe, allora si voleva anche avere il diritto di diventare proprietari delle stesse. Gli abitanti potevano rimanere proprietari delle malghe solo a condizione che il deflusso del lago ed eventuali smottamenti dovessero essere scaricati verso Fundres. Poiché questo era in sostanza impossibile, la proprietà della zona dei laghi passò in proprietà di Maranza. Queste e altre leggende che riguardano non solo i Laghi di Maranza, ma l’intera zona, sono state raccolte dall’autrice Carmen Schmid nel libro “Sentieri delle saghe di Maranza”. Le storie illustrate da bambini sono state riportate su tavole informative nei luoghi originali lungo una rete di quattro sentieri da percorrere a piedi. I sentieri si possono percorrere autonomamente o accompagnati da una guida. Per Informazioni rivolgersi all’Associazione turistica.

Territorio di caccia glaciale

Il Lago selvaggio

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Facciamo un altro salto sulla cartina – 8,5 km in linea d’aria verso nordest – e ci troviamo sulle rive del Lago Ponte di Ghiaccio sotto l’omonimo rifugio. Il lago naturale di origine glaciale si trova a 2.350 metri d’altitudine. Ritrovamenti archeologici fatti in zona testimoniano l’insediamento della Valle di Fundres fin dalla preistoria. Nelle vicinanze delle buche di Ponte di Ghiaccio sono state trovate una spada di bronzo e una punta di freccia dell’età del bronzo – una dimostrazione che nella zona attorno al Lago Ponte di Ghiaccio in quell’epoca si cacciava. I Monti di Fundres sono ancora oggi territori di caccia molto amati da cacciatori, ma apprezzati anche da escursionisti e amanti della natura che muniti di macchine fotografiche vanno a caccia di soggetti, dove da maggio a luglio sono in piena fioritura anche i rari gigli rossi o gigli di San Giovanni. Chi invece possiede una canna da pesca e


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Il Lago Silvella

il rispettivo permesso, può andare a caccia di pesci. Come in molti laghi montani dell’Alto Adige, è l’uomo a seguire la popolazione ittica, poiché in queste acque gelide gli animali difficilmente si riproducono. L’origine del nome “Ponte di Ghiaccio” ha diverse interpretazioni. La versione più plausibile è la presenza anche nei mesi estivi di un conoide di neve creato da valanghe proprio nella parte più stretta della valle: per attraversarla si passava dunque sopra la massa di neve, cioè un ponte naturale di neve e ghiaccio. Un’altra spiegazione potrebbe essere la derivazione dal dialetto locale, che vede nel nome “Brugge” il sinonimo di malga, che spiegherebbe anche il nome della malga Ponte di Ghiaccio.

Laghi a iosa Accanto ai laghi più grandi dell’area vacanze di sci e malghe Gitschberg Jochtal qui descritti ci sono molti altri laghi non meno affascinanti, come ad esempio il Lago Silvella a 2.485 metri sotto la Punta Rossa nei Monti di Fundres. D’estate le sue rive poco profonde sono ricoperte dal pennacchio bianco che crea un’atmosfera unica nella conca di ghiaia. A distanza di una sola montagna si trova il piccolo Lago di Monte Largo alla stessa altitudine a sud della Punta Felbe. Nelle ampie distese a sud della malga Labiseben il poco profondo Lago del Marmo con un’estensione di 50 per 20 metri, anch’esso uno dei laghi più piccoli dell’area vacanze di sci e malghe Gitschberg Jochtal.

SENTIERI ESCURSIONISTICI Lago selvaggio Dal parcheggio in fondo a Valles si sale a piedi o con un minibus fino alla Malga Fane. Da qui si prosegue sul sentiero no. 17 attraverso la gola Schramme fino all’incrocio per prendere verso sinistra il sentiero no. 18 in direzione della Malga Labiseben. Il sentiero no. 18 porta attraverso punti molto esposti, ma attrezzati con corde fino al lago. Per la salita dalla Malga Fane bisogna calcolare 2,5 ore, per il rientro 2 ore. Laghi di Campolago Dal parcheggio dietro ai masi Walder a Maranza seguire la strada forestale col segnavia 14/15 fino all’Albergo Alpino nella Valle d’Altafossa. Da qui si prosegue verso le malghe più alte (baite Pranter-Stadel e Wieser). Sempre sul sentiero 14/15 in ripida salita si prosegue verso il grande Lago di Campolago e più avanti fino alla malga Seefeld. Lungo il sentiero no. 6 seguendo il torrente si raggiungono gli altri due laghi, quello medio e quello piccolo (2.500 m). Il rientro avviene sullo stesso percorso. Durata complessiva: 5–6 ore Lago Ponte di Ghiaccio Dalla frazione Dun (ultimo parcheggio) si segue in salita la strada asfaltata (segnavia 13). Dopo un tornante presso il maso Luzer inizia la strada forestale passando per la malga Boden fino alla malga Egger Böden. Da qui la salita si fa più ripida fino al Ponte di Ghiaccio. La prossima tappa di un’ora porta attraverso l’ampia omonima valle fino alla malga e più avanti al lago. In un’altra mezz’ora si raggiunge il rifugio Ponte di Ghiaccio, dove si può fare una sosta. Il rientro avviene sullo stesso percorso. Un altro percorso porta dal parcheggio sul versante Egger di Fundres sulla strada forestale fino alla malga Ponte di Ghiaccio per proseguire sul sentiero sopra descritto. viae 2017 | 45


Testo: Veronika Kerschbaumer Foto: Hannes Niederkofler

Sulle tracce del passato Bressanone ha 1.116 anni sulla groppa. La città era sede dei principi-vescovi, splendeva di potere e ricchezza, ma aveva anche lati oscuri come la caccia alle streghe, che imperversava anche qui. Dove la luce risplende di più, le ombre sono spesso più lunghe e più cupe.

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CULTURA Storia spesso è una materia arida, estremamente noiosa tanto da far sbadigliare. Se la si arricchisce di storie e di emozioni e la si presenta come un evento, fatti e dati storici diventano interessanti e suscitano curiosità. Immergersi nella mutevole storia di Bressanone è possibile grazie a due tour storico-teatrali. Il tour “Sulle tracce dell’elefante” mette in primo piano le pietre miliari della storia della città di Bressanone attraverso le diverse figure di elefanti che direttamente o indirettamente hanno segnato la città. Il tour “Streghe, boia e furfanti” punta invece sul lato oscuro della storia della città e racconta di omicidi, streghe e personaggi ambigui, che hanno infestato il circondario. La particolarità del concetto dei tour: sono attori che si trasformano in testimoni dell’epoca dando voce alla gente di allora e mostrando come hanno vissuto il loro tempo.

Elefanti in città Una volta l’unica via per entrare in città da ovest era attraverso la porta del sole, poiché mura difendevano il centro della città. Sotto l’arco della porta inizia il viaggio nel tempo all’epoca della nascita di Bressanone, al quale ci porta il tour storico-teatrale “Sulle tracce dell’elefante”. La storia di Bressanone per la verità inizia sul monte Sabiona. Secondo la leggenda nel 350 d.C. San Cassiano ha scelto come sede vescovile la ripida rupe che si erge sopra Chiusa. Osservando il monte Sabiona e il monastero, che in un certo senso si aggrappa alla roccia, ci si domanda come mai il vescovado fosse stato dislocato proprio lì. Il

motivo è molto semplice: per evitare le migrazioni dei popoli, come i visigoti, gli ostrogoti e i longobardi che dal nord entrarono verso l’Italia saccheggiando e rubando. Per molto tempo il castello vescovile isolato sul monte Sabiona offrì ai suoi abitanti un rifugio sicuro. All’inizio del X secolo re Ludovico si fece intenerire dalle preghiere del vescovo Zaccaria, regalando alla chiesa di Sabiona il maso “Prihsna”, situato nella conca di Bressanone, assieme alle proprietà terriere, i fabbricati e gli abitanti del tempo. L’atto di donazione datato il 13 settembre 901 segnò dunque la fondazione della città di Bressanone e il conseguente trasloco dei vescovi dalla ripida rupe verso l’ampia conca valliva. In seguito si verificò un vero e proprio boom edilizio perché già nel 990 la sede vescovile fu spostata a Bressanone. Questo trasloco diede inizio a uno sviluppo mai visto prima, e Bressanone iniziò a crescere inesorabilmente. Nel 1179 l’Imperatore Federico Barbarossa conferì al vescovo di Bressanone, Enrico III, il diritto di mercato e di battere moneta. Ed è proprio nel lontano 1179 che il tour storico-teatrale “Sulle tracce dell’elefante” porta i partecipanti. Nonostante le spiegazioni molto interessanti della guida sulla storia della città, gli sguardi sono rivolti verso la porta del sole. Lì cammina impettito su e giù un uomo in corazza di maglia e armato di lancia. “Ehi, Voi!” grida e nel contempo si precipita verso di noi. “È da un po’ che vi sto osservando. Non prendetevela, ma non siete contadini e non sembrate neanche dei comviae 2017 | 47


mercianti. Cosa state tramando?”, chiede i partecipanti. Matthias, questo il nome del corazzato, è il fiero guardiano della città e servo del principe-vescovo Enrico III. Fa parte della visita storico-teatrale. “Per il nostro Enrico mi butterei come Eleazaro davanti agli elefanti, se dovesse essere necessario”, racconta fiero, ma ben presto è preso da dubbi. “Ma mi chiedo, quanto grande potrebbe essere un elefante… riesce a passare sotto la porta della città?!” Nel lontano XII secolo un elefante in Europa era una rarità esotica, e il guardiano della città Matthias non poteva lontanamente immaginare che 400 anni più tardi effettivamente un elefante dal nome Soliman avrebbe fatto sosta a Bressanone. Seguendo la nostra guida ci addentriamo nella mutevole storia di Bressanone, passando per conflitti che affliggevano i principi-vescovi tra la loro potenza spirituale e secolare, poiché secondo il diritto canonico a loro era vietato eseguire pene capitali, ma come capi del diritto secolare dovevano in un certo senso sporcarsi anche le mani con sentenze del genere. E poi i vassalli che richiedevano sempre maggiore potenza fino ad arrivare all’insurrezione dei contadini, capitanata nel 1525 da Michael Gaismair. E poi cos’è successo? “Le campane hanno suonato tutta la notte, probabilmente per allertare e raccogliere ancora più contadini”, racconta 48 | viae 2017

con ansia Maria, la domestica del vescovo. Per paura dei contadini che si stavano avvicinando, arraffa il suo vestito e corre velocemente in direzione della Piazza del Duomo. E i contadini sono arrivati veramente. Le ammaccature sul portale del palazzo vescovile molto probabilmente risalgono all’insurrezione dei contadini e al loro assalto al palazzo. Chissà se l’illustre corteo, che nel 1551 arrivò a Bressanone, passò per la porta? Probabilmente no, perché le porte della città erano troppo piccole per l’estravagante regalo di nozze che il re del Portogallo Massimiliano II, più tardi anche Imperatore d’Austria, fece in occasione del matrimonio di Maria di Spagna. L’elefante Soliman, per l’occasione accompagnato da un seguito regale dalla Spagna fino a Vienna, fece sosta per due settimane a Bressanone, attirando ovviamente tutta l’attenzione. Tutto sul viaggio di questo elefante e di altri pachidermi nella lunga storia della città si può scoprire durante il tour “Sulle tracce dell’elefante”.

Streghe, omicidio e roghi Lì, dove risplende molta luce, esistono anche zone d’ombra: questi i retroscena della visita guidata “Streghe, boia e furfanti”. I portici di Bressanone, dove nel XVI e XVII secolo durante il giorno si mercanteggiava e si contrattava, durante le ore notturne attraevano imbroglioni e impostori. Di questo genere era


Intrighi, liti e calunnie: sono attori a far vivere le mutevoli vicende della storia di Bressanone durante i due tour storico-teatrali.

anche Matthias Perger, nato come figlio di contadini a Scezze presso Bressanone, meglio noto come “Lauterfresser” (masticabrodo). Era noto come un famigerato stregone e i suoi contemporanei lo temevano; questo il motivo per il quale nel 1645 finì bruciato sul rogo. Solo pochi allora riuscirono a sfuggire alla pena sul rogo, soprattutto erano donne a essere denunciate come streghe. Bastava spesso anche solo la supposizione di aver contratto un patto con il diavolo o di aver espresso un sortilegio maligno. Una delle famigerate streghe del XVI secolo era Barbara Pachler, chiamata “Pachler Zottl”. Si dice che attorno al 1530 abbia radunato attorno a se una schiera di streghe

e stregoni per imparare dal diavolo in persona la magia nera. La donna nata a Villandro sopra Chiusa, fu anche bruciata viva sul rogo. L’esecuzione capitale in pubblico di delinquenti aveva carattere educativo e doveva impaurire la popolazione. L’ultima esecuzione del genere avvenne a Bressanone nel 1826: Simon Gschnell di 23 anni fu condannato a morte per impiccagione per aver compiuto un omicidio. Durante l’esecuzione veniva distribuito un giornalino delle povere anime, chiamato “Armesünderblatt“, che citava come ammonimento: “Cari bimbi, state attenti a non smarrire la via giusta. Qui vedete un esempio, dove vi può portare il vizio e il peccato.”

TOUR STORICO-TEATRALI Sulle tracce dell’elefante Tutto l’anno, di sabato, alle ore 10 Streghe, boia e furfanti 01/04 - 31/10: ogni sabato, ore 17 01/11 - 31/03: ogni sabato, ore 16 Consigliato a partire da 14 anni; non sono ammessi cani Entrambi i tour durano 90 minuti, punto di partenza Ufficio informazioni Bressanone Turismo, Viale Ratisbona 9 Info presso Bressanone Turismo, tel. +39 0472 836401, www.brixen.org/rendezvous viae 2017 | 49


Testo: Anita Rossi Foto: Oskar Zingerle, Hannes Niederkofler

Dalla montagna al calice Come si producono vini bianchi d’eccellenza e ­come influisce l’ultra microclima della Valle Isarco. Nasce una nuova cultura enologica.

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ENO-GASTRONOMIA Il Sylvaner è elegante e fruttato, mentre il suo antagonista, il Veltliner si presenta più strutturato. Il Müller-Thurgau dai vigneti più alti e a nord della Valle Isarco convince per la sua fruttata leggerezza soprattutto come vino estivo. Una ricca varietà sulla scena vinicola internazionale. Colpa di tale ricchezza la fillossera della vite. Quando attorno al 1900 le viti europee furono sterminate per l’epidemia del parassita, in Valle Isarco fu sostituito quasi l’intero patrimonio viticolo. Fortuna nella sfortuna, poiché i vitigni locali, in maggioranza vini rossi, avevano la fama di essere aspri e di provocare dolori di stomaco ai Canonici Agostiniani dell’Abbazia di Novacella, racconta divertito il loro attuale amministratore Urban von Klebelsberg. Ceppi americani resistenti furono piantati nei terreni morenici. I nuovi arrivati furono innestati con vitigni bianchi locali provenienti dalla zona di Würzburg in Germania e dal Trentino, zone con una lunga tradizione enologica di vini bian-

chi. È così che i vini bianchi sono arrivati in Valle Isarco, dapprima il Sylvaner, oggi il più famoso, e più tardi gli altri sei vitigni tipici della Valle Isarco: Gewürztraminer, Kerner, Müller-Thurgau, Pinot grigio, Riesling e ultimamente il Veltliner.

Fruttato e aromatico I vini fruttati, aromatici e minerali della Valle Isarco si distinguono per una particolare maturità degli aromi e longevità dovuti al clima e alla geologia. Il loro forte carattere viene determinato dalla maturazione prolungata sulle viti rispetto a posizioni più basse e meridionali e dall’esposizione a escursioni termiche notevoli. Ma il grande salto di qualità è stato fatto negli ultimi 20 anni allorché giovani vignaioli hanno iniziato a reinventare la vecchia tradizione enologica, mentre andava persa la redditività del settore lattiero-caseario. La curiosità giovanile, quasi di ribellione, ora paga: i giovani vignaioli hanno ridotto drasticamente i rac-

colti per agevolare il soleggiamento degli impianti e piantato diverse varietà basandosi sulla posizione e il microclima. E hanno avuto ragione: oggi ricevono un riconoscimento dopo l’altro. Le maggiori guide gastronomiche non possono fare a meno di menzionare i vini della Valle Isarco, la zona vinicola più settentrionale d’Italia da Rio di Pusteria fino al Renon a sud. Per capire la ricetta del successo, bisogna conoscere meglio la valle e i suoi abitanti. La vallata trae profitto dalla mediterraneità e al contempo è la zona vitivinicola più settentrionale d’Italia con un clima estivo temperato e zone di produzione tra i 450 e i 900 metri d’altezza. Gli abitanti della valle mostrano ingegnosità, i vignaioli un’eccellente spirito d’osservazione nella gestione delle varietà di vitigni. Quanto più approfondite sono le loro conoscenze dei vigneti ripidi e della natura, tanto più la viticoltura dà ottimi frutti anche in posizioni più disparate.

Il vino bianco come ­ambasciatore del gusto Accanto ad una ventina di vignaioli privati sono anche due grandi cantine produttori della Valle Isarco a seguire gli stessi obiettivi quando si tratta di produrre il vino migliore. La cantina dell’Abbazia di Novacella vicino a Varna, fondata nel 1142 e dunque una delle cantine più antiche al mondo, e la Cantina Valle Isarco a Chiusa grazie a numerosi vini d’eccellenza sono ormai avvezze al successo, ma Gambero Rosso, Slow Wine e altre guide sono di casa dai cantinieri di ultima generazione. Due anni fa produttori di vini, cantine, ristoratori e operatori turistici della valle hanno fondato la cooperativa “eisacktalWein” con l’intento di una più intensa collaborazione per dare al vino della Valle Isarco un palco più ampio, che gli spetta anche a livello internazionale.

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Testo: Ernst Delmonego Foto: thinkstockphotos.com, libro „Die Ragginer - 200 Jahre Volksmedizin in Südtirol“ R. Asche, E.-D. Schulze

I medici contadini di “Kleinkaneid”

Per 200 anni la famiglia Ragginer di Luson ha influenzato la medicina popolare: i rimedi naturali dei medici contadini si basavano sulle conoscenze profonde degli effetti di piante ed erbe sull’­organismo umano e animale. Ci rechiamo sulle tracce dei Ragginer, i medici dottori di Luson.

Maria Ragginer, meglio nota come la “Klongineider Gitsche”, morta nel 1975, spesso per il suo strano modo di vestirsi e il suo particolare atteggiamento dalla popolazione veniva indicata di nascosto come “la strega”. Lasciava il suo tugurio quasi solo all’imbrunire di sera e normalmente portava una gonna nera e lunga fino a terra. Maria Ragginer era la figlia di Sebastian

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Ragginer, l’ultimo medico contadino della famosa famiglia, che per 200 anni ha influenzato la medicina popolare del Tirolo. Anche se Maria non ha continuato la tradizione familiare, ha tuttavia conservato per decenni all’interno del maso di famiglia “Kleinkaneid” le apparecchiature mediche e i libri degli antenati – una raccolta dal valore inestimabile che è rimasta intatta.


ATTIVITÀ

1781: Joseph Ragginer si trasferisce a Kleinkaneid La storia della famiglia di medici contadini Ragginer risale al XVIII secolo: grazie al matrimonio il nullatenente lavoratore Joseph Ragginer nel 1781 da Sarnes presso Bressanone arrivò al maso Kleinkaneid a Luson. Nel 1784 nacque suo figlio Joseph, che più tardi per primo dei Ragginer iniziò con l’attività medica. Cosa lo abbia spinto a imparare a guarire da malattie, non è stato tramandato; si sa invece per certo da dove Joseph junior abbia ricevuto le prime nozioni mediche su animali e sulle persone: il parroco Anton Kuen, che allora svolgeva anche attività di medico contadino, gli trasmise i primi rudimenti della medicina contadina. Le molteplici attività del parroco sono rappresentate in modo chiaro in un dipinto nella scuola di Luson. Il “grande dottore” della famiglia Ragginer però è stato il fratello minore di Joseph junior, Johann, che nel 1821 ha preso in mano il maso. Riceveva i malati nella stube e in cucina preparava le medicine. Molte erbe nostrane le raccoglieva durante le sue lunghe visite ai pazienti e malati. Inoltre si riforniva tramite gli abituali venditori ambulanti con diverse materie prime, come olio

d’oliva, che utilizzava accanto a grasso e cera per la produzione di unguenti. Ad alcune erbe, come la canfora e la centaurea minore, furono attribuiti anche effetti magici. Se Johann Ragginer aveva trattato uomini e animali principalmente a Luson, suo figlio Sebastian, nato nel 1830, abilissimo negli affari, allargò la sua attività di medico e guaritore oltre i confini del proprio paese nativo, occupandosi dei suoi pazienti soprattutto ai mercati e alle fiere. Nell’ex-albergo Stremitzer a Bressanone, oggi Hotel “Grüner Baum”, nei giorni di mercato riceveva i pazienti. Sebastian, secondo il parere della popolazione, era quasi uno stregone, attorno al quale nacquero anche alcune leggende. Vicino al suo maso coltivava erbe nell’apposito orto, anche se spesso raccoglieva durante le sue camminate numerose erbe. Inoltre nel fienile aveva installato quattro piccole stube in legno con vasche da bagno in legno per offrire la possibilità di cure. Con la morte di Sebastian nel 1899 finì la tradizione di medici della famiglia Ragginer a Kleinkaneid, poiché sua figlia Maria Ragginer al momento della morte del padre, aveva soltanto 13 anni e così non le fu mai trasmesso il sapere di

Sopra a sinistra: i coniugi Johann Ragginer, Museo Teodone A destra: Sebastian Ragginer, Museo Teodone

famiglia. Gli strumenti e i farmaci del maso Kleinkaneid però sono stati conservati dalla diffidente eremita fino alla sua morte. Mentre le case dopo la morte di Maria Ragginer nel 1975 furono abbandonate alla loro rovina fino ad essere demolite nel 1990, i libri, le ricette, gli strumenti medici e parte della farmacia di casa furono salvati e sono oggi esposti nel Museo provinciale degli usi e costumi di Teodone.

Rimedi casalinghi dalla natura Il vademecum dell’eredità dei Ragginer contiene numerose ricette di molti rimedi casalinghi. In uso c’erano rimedi a base di piante, minerali, animali e chimici. Come rimedi animali venivano utilizzati formiche, api, rane, lucciole, rospi, lombrichi e lumache, che venivano polverizzati. Come rimedi casalinghi venivano consigliati tra l’altro con burro, acquavite, aceto e cera, che

in parte venivano utilizzati per la produzione di unguenti. Il maso Kaneid, come detto, oggi non esiste più. Le diverse erbe utilizzate dai medici contadini invece crescono in modo naturale ovunque, come ad esempio vicino al maso dismesso Gargitt, sopra Luson: assenzio, carota selvatica, timo selvatico, betonica comune, achillea, iperico, camomilla, cinquefoglia, ortica e agrimonia, per citarne solo alcune. Nelle rovine sono in fiore numerosi sambuchi e lungo il fianco ripido crescono ginepri, rose selvatiche e biancospini. Una camminata di un’ora parte dall’Hotel Lüsnerhof nella frazione di Rungg e porta a quota 1.518 metri, dove si trova il maso Gargitt, dove si raccolgono le erbe. In seguito le erbe vengono trasformate nella casetta di bagni dedicata ai Ragginer presso il Lüsnerhof, in unguenti naturali dagli effetti benefici, che si possono portare a casa.

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Testo: Doris Brunner Foto: Oskar Zingerle, Plose Spa

Il cartografo e la “sua” Plose Nessuno conosce il monte Plose meglio di Hans Kammerer. Per il cartografo e autore di molte guide escursionistiche la montagna di Bressanone offre la vista più bella sulle Dolomiti. E qui si trova anche una delle sue numerose opere pionieristiche. Non vuole esagerare, ma sicuramente è stato sulla Plose molte centinaia di volte, racconta il brissinese Hans Kammerer. Da bambino di nascosto ha esplorato in pantofole i boschi attorno alla casa dei genitori sul lato opposto della valle. Durante queste esplorazioni spesso il suo sguardo ha toccato la cima della montagna sopra Bressanone, che

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allora gli sembrava irraggiungibile. “Oggi invece è facile arrivare in cima alla Plose, con la cabinovia da S. Andrea fino a Valcroce.” A sessant’anni dalle sue esplorazioni da bambino, Hans Kammerer ormai conosce tutti gli angoli della Plose. “Oggi la Plose è molto curata nel suo aspetto, ma non sempre è stato così”, ricorda Kammerer.

Dove oggi in estate cresce un manto erboso, un tempo invece la montagna era ricoperta da sassaie. Nel corso dei decenni la Plose è stata accuratamente ripulita e ricoperta d’erba e piante. “Anche i miei figli d’estate hanno aiutato a rimuovere con le proprie mani numerosi sassi.” Una rete ben curata e segnalata di sentieri ora porta l’escursionista


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PLOSE LOOPING – IN BICI A TESTA IN GIÙ Andare in mountain-bike a rompicollo non è nulla di nuovo, ma fare in bici un looping è un divertimento più unico che raro. Direttamente alla stazione a monte della cabinovia si trova la scritta Plose costituita da grandi letter in legno. Nella “O” sovradimensionale è stata installata una bici da looping, una mountain-bike fissata con sostegni in metallo sulla quale pedalare. Un’impresa non facile, ma molto emozionante. Dopo un paio di tentativi, quasi tutti riescono a compiere il giro. La bici è munita di apposite cinture di sicurezza. Per chi è in possesso di un valido biglietto della funivia, l’utilizzo del looping è gratuito. È necessaria l’iscrizione all’info shop.

lungo vari percorsi verso le tre cime della Plose, Monte Telegrafo, Monte Fana e Monte Forca Grande, o verso le numerose baite. Alcuni di questi sentieri sono stati tracciati da Hans Kammerer e sono poi stati curati per anni da lui come volontario. D’estate così la Plose è diventata una meta escursionistica molto amata. La grande estensione della zona e il grande numero di sentieri fanno sì che gli escursionisti si distribuiscono bene in tutte le direzioni sulla montagna e la Plose non è mai troppo affollata: 56 | viae 2017

“Già a pochi metri dalla stazione a monte Valcroce si può sempre trovare un angolino nascosto e silenzioso.”

panoramici più belli delle Dolomiti”, così lo descrive Hans Kammerer. Come si chiamano le singole cime attorno, si scopre grazie al tavolo panoramico, un’opera pionieristica del cartografo brissinese, che lui ha sviluppato sulla Plose. Ogni singola cima delle più di cento visibili, ogni singola cresta è stata misurata millimetricamente da Kammerer. A mano ha aggiustato ogni più piccola irregolarità, finché il panorama delle montagne era perfettamente adattato al tavolo. Quello che oggi si può facilmente adattare al computer, un tempo era un lavoro certosino a mano. Con un cannocchiale panoramico posto al centro del tavolo, le singole cime si mettono meglio a fuoco, dall’Ortles a ovest fino al Großglockner a est.

Il Monte Forca Grande

“Fantastico pulpito ­panoramico”

Una delle sue mete preferite è il Monte Forca Grande, una cima poco frequentata del massiccio della Plose. Il Monte Telegrafo con 2.486 metri è il punto più alto e si trova vicino al Rifugio Plose, è anche un luogo tranquillo. Da qui si gode di una vista panoramica a 360° sulle cime circostanti: “Uno dei punti

“La Plose è un bellissimo pulpito panoramico!”, si emoziona Hans Kammerer. Da qui si gode di una vista spettacolare sulle bizzarre formazioni rocciose delle Dolomiti, patrimonio naturale UNESCO. “Dalla Plose si ha l’impressione di poter toccare le Dolomiti, ma sono al contempo abbastanza lontane da poter godere

della vista panoramica.” I sentieri facilmente percorribili attorno alla Plose offrono esperienze uniche per tutti, anche per famiglie con bambini. “E ogni anno la Plose si arricchisce di una nuova attrazione per avvicinare la gente alla montagna.” Ad esempio il Woody Walk dalla stazione a monte fino alla Rossalm, è un’escursione per famiglia con attrazioni in legno. Oppure il Plose-Looping vicino alla stazione a monte della cabinovia, dove con la bici a 2.000 metri d’altitudine si può compiere la capovolta più alta del mondo.”

Voglia di montagna Destare la voglia di montagna, questo l’obiettivo di Hans Kammerer: con le sue guide escursionistiche ha dato a molta gente la possibilità di muoversi in modo autonomo in montagna e di scoprire l’ambiente e il paesaggio. In Valle Isarco è andato alla scoperta d’innumerevoli sentieri, tracciandone nuovi e segnalandoli. Rinomate case editrici di carte topografiche si sono rivolte a lui per cartografare la rete di sentieri della Valle Isarco. I suoi quadri panoramici dipinti a mano rappresentano in modo eloquente l’ambiente. Con grande precisione


WOODYWALK – LA PASSEGGIATA PIENA DI DIVERTIMENTO

Dal Monte Telegrafo, il punto più alto della Plose, si gode di una vista panoramica a 360° e grazie al tavolo panoramico ogni montagna è ben riconoscibile.

Avvincente, istruttivo e con numerose attrazioni di gioco lungo il sentiero: il WoodyWalk è un percorso ad anello sulla Plose, ideale per tutta la famiglia e da percorrere anche in passeggino. Dal telefono del bosco all’albero d’arrampicata, dall’impianto Kneipp alle sdraio giganti: numerose attrazioni in legno rendono la camminata divertente per grandi e piccini. Il Woody Walk ­porta dalla stazione a monte della cabinovia fino alla Rossalm; il sentiero perlopiù in piano è lungo 5 km ed è percorribile in 1,5 ore. www.plose.org

Innumerevoli percorsi e sentieri, anche per bici, si sviluppano sulle pendici della Plose tra boschi e prati.

scrive le sue guide, che sono state stampate da note case editrici. Le sue descrizioni delle escursioni non hanno toni troppo entusiastici, “perché la scoperta in montagna è una cosa individuale ed io non voglio anticipare le grandi emozioni che si provano.” È ancora viva nei suoi occhi la sua esperienza più bella: una

notte era sceso dal Rifugio Plose, le Odle di Eores e di Funes erano immerse nella luce di luna piena e avevano un aspetto completamente diverso da quello di giorno. “Uno spettacolo fantastico, che mi ha impressionato.” La Plose è e rimane il migliore pulpito panoramico sulle Dolomiti di giorno e di notte. viae 2017 | 57


Testo: Doris Brunner Foto: Thomas Grüner, Fonte Plose Spa

Il tesoro dei monti

La fonte Plose rappresenta per la Valle Isarco un dono tutto speciale: sulla montagna di casa di Bressanone nasce l’acqua surgiva più leggera e pura d’Europa. Ma quali sono le speciali caratteristiche di quest’acqua minerale che sgorga a 1.700 metri d’altitudine e quali proprietà possiede?

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Correva l’anno 1952, quando il commerciante brissinese Josef Fellin partecipava a un congresso sugli influssi dell’acqua minerale sull’organismo umano. Dopo le conferenze ascoltate nell’ambito di una fiera alimentare a Parma, gli tornarono in mente lontani ricordi: l’acqua della fonte sulla montagna di casa di Bressanone, sulla Plose, proprio vicino alla sua baita di caccia era già stata analizzata nel 1913 da professori universitari, che l’avevano classificata come eccel-

lente! Josef Fellin di seguito decise di fare analizzare quest’acqua potabile nuovamente dall’Università di Padova e anche queste analisi confermarono le ottime caratteristiche dell’acqua minerale della Plose. Senza esitare il commerciante di vini decise di dedicarsi anche all’acqua, costruendo un piccolo impianto d’imbottigliamento vicino alla sua casa di vacanze per raccogliere l’acqua di fonte in bottiglie. Fu fondata l’azienda Fonte Plose Spa, chieste tutte le


ENO-GASTRONOMIA autorizzazioni e dal 1957 la famiglia Fellin vende la preziosa acqua di montagna – oggi in tutto il mondo.

Conservare la ­naturalezza dell’acqua La Fonte Plose è una delle cinque fonti di acqua minerale in Alto Adige. Si tratta di una sorgente artesiana: l’acqua sgorga in modo naturale, cioè arriva in superficie senza ausili meccanici. Senza l’impiego di pompe l’acqua oggi viene condotta attraverso tubazioni dalla montagna

fino giù a Bressanone, dove si trova il moderno impianto di produzione della Fonte Plose Spa. “L’acqua minerale è un prodotto naturale, che possibilmente non deve essere influenzato”, spiega l’amministratore delegato Andreas Fellin. “Sono addirittura arrivato a modificare il nostro impianto d’imbottigliamento in modo tale da stampare la data di scadenza sull’etichetta della bottiglia prima dell’imbottigliamento: il raggio laser così non entra in contatto con l’acqua e questa in tal modo rimane viae 2017 | 59


LE CARATTERISTICHE CHE RENDONO UNICA L’ACQUA PLOSE: ph 6,6

così il più naturale possibile.” E va da sé che la preziosa acqua minerale non viene imbottigliata in bottiglie di plastica, ma senza ogni ulteriore depurazione esclusivamente in bottiglie di vetro, non solo perché queste sono più ecologiche e più sicure dal punto di vista igienico, ma anche perché l’acqua vi può essere conservata con il sapore e l’aroma naturali. Il sapore e le caratteristiche naturali dell’acqua rimangono così assolutamente inalterate.

Meno è più Residuo fisso 22 mg/l Contenuto di ossigeno 10,2 mg/l Contenuto in sodio 1,2 mg/l

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Ma cosa conferisce a quest’acqua minerale della Plose le speciali caratteristiche che la rendono l’acqua di fonte più leggera e più pura d’Europa? Da una parte sono le proprietà geologiche del terreno e della roccia da dove sgorga: il Monte Plose in prima linea è costituito di roccia di quarzo, una delle rocce più dure del mondo. E più dura è la roccia che l’acqua deve attraversare nel sottosuolo, più sarà morbida e pura quando sgorga. “I residui fissi determinano la purezza dell’acqua minerale: descrivono la quantità di minerali anorganici che rimangono quando si vaporizza un litro d’acqua a 180 gradi”, spiega Andreas Fellin. L’acqua minerale Plose presenta una quantità estremamente bassa di residuo fisso di soli 22 milligrammi per litro, cosa che la rende particolarmente pura e largamente libera da residui minerali. Ed è anche quello che si sente nel gusto. La percentuale


VINO E ACQUA DELLA VALLE ISARCO, UNA COMBINAZIONE IDEALE Acqua minerale naturale o frizzante? Accanto al contenuto minerale è anche la parte di anidride carbonica a determinare quale acqua si abbina a quale vino. Per vini bianchi aciduli come il Sylvaner Valle Isarco o per vini rossi molto tannici va bene acqua minerale naturale. L’anidride carbonica invece darebbe l’impressione di una maggiore presenza di tannini nel vino di quanto realmente contenuti. Questo falsificherebbe in modo decisivo il profilo gustativo del vino. Per vini bianchi con poca acidità come il Chardonnay o il Pinot bianco e per intercalare le sequenze dei piatti si consiglia acqua minerale frizzante. L’anidride carbonica pulisce e attiva i nervi gustativi, con pietanze piccanti invece aiuta a neutralizzare il gusto. Con spumanti, che sono abbastanza aciduli, si abbina acqua minerale naturale o poco frizzante.

di minerali, la mineralizzazione, influisce sul gusto dell’acqua. Così un alto contenuto di ferro nell’acqua lascia nel palato un leggero gusto metallico, mentre un alto contenuto di sodio rende il gusto salato e l’acqua ricca di solfato risulta leggermente amara. L’acqua minerale Plose contiene pochi minerali fino ad esserne priva, cosa che la rende dunque molto leggera e pura.

Valore pH ideale e ricca di ossigeno Inoltre l’acqua minerale Plose convince per il valore pH ideale di 6,6 – non è né “acida” (pH sotto 6) né basica (PH sopra 7,0), ma risulta neutrale e perciò molto digeribile. Questa particolarità non intacca l’equilibrio tra acidi e basi nel nostro corpo, tanto importante per la regolare funzionalità del nostro metabolismo. Elemento favorevole al nostro benessere è l’alto contenuto di ossigeno naturale nell’Acqua Plose. “Quest’ossigeno naturale stimola il consumo di sostanze nutritive nel corpo e aumenta l’efficienza corporea e mentale”, racconta Caroline Bienert, sommelier d’acqua e famosa esperta nutrizionale di Monaco (Germania). Inoltre studi certificano, che acqua povera di minerali favorisce la diuresi riducendo la ritenzione idrica nell’organismo umano e agevolando l’eliminazione di sostanze nocive. Caroline Bienert è convinta dell’effetto salutare dell’acqua: “l’Acqua Plose proprio per tutte le sue proprietà è la mia preferita!” Anche la FIAMO (Federazione

Il commerciante di vino Josef Fellin ha scoperto la particolare qualità dell’Acqua Plose.

Italiana Associazioni e Medici Omeopatici) ha scelto Acqua Plose perché risulta particolarmente compatibile con le pratiche omeopatiche, aiutando la diluizione di farmaci. L’acqua pura e naturale infatti non influisce sull’efficacia dei globuli.

Acqua accompagna il vino Un’acqua minerale di particolare qualità non è solo ideale per il benessere fisico, ma esalta anche il gusto e il palato. Un primo sorso d’acqua che può sembrare dal gusto neutrale influisce in modo decisivo sulle nostre papille gustative, specialmente quando l’acqua è ricca di minerali. L’Acqua Plose, povera di minerali, convince invece per la sua perfetta neutralità non coprendo il gusto proprio di pietanze e vini. Non c’è dunque da meravigliarsi, se l’acqua minerale di Bressanone è presente sulle carte dei più famosi ristoranti gourmet in tutto il mondo. Nei libri e nelle guide specializzate l’Acqua Plose viene consigliata come ideale abbinamento al vino: “Generalmente acque minerali leggere e poco minerali sono l’ideale abbinamento al vino, poiché presentano una neutralità di gusto”, conferma Andrea Vestri, sommelier di vini e direttore della scuola di sommelier European Wine Education. E qui si chiude nuovamente il cerchio tra il commerciante di vini e di acqua Josef Fellin, che ben 60 anni fa ha dato inizio a questa storia di successo… viae 2017 | 61


Testo: Veronika Kerschbaumer Foto: libro „Klausen 1308-2008“ Sepp Krismer - Verlag A. Weger, Helmuth Rier, Museo Civico di Chiusa

Picco la Chiusa, grande arte

Albrecht Dürer probabilmente durante il suo viaggio in Italia (1496-1497) s’innamorò di Chiusa. Solo così è spiegabile che nella famosa incisione “Nemesis – la grande fortuna” faccia volare la dea greca della vendetta sopra la cittadina. Più tardi la città attirò molti altri artisti. 62 | viae 2017


TRADIZIONI

Chiusa, la cittadina ai piedi del monte Sabiona, ha vissuto tre periodi aurei nella sua storia: dal 450 al 1000 quando Sabiona era sede vescovile, tra il 1350 e il 1550 quando la miniera di Villandro ha portato ricchezza e dal 1875 al 1915 quando schiere di artisti arrivarono nella cittadina.

Le mura delle case borghesi, che costeggiano le strette vie di Chiusa, oggi come ieri trasudano storia, che si può facilmente respirare durante una piccola passeggiata. Come avrebbe potuto vivere attorno al 1900 un viaggiatore con la passione per la storia la cittadina ai piedi del monte Sabiona? Compiamo un viaggio del tempo nella Chiusa, quando artisti noti e meno noti provenienti da tutto il mondo collocavano ad ogni angolo della città le loro tele mobili per fissare ogni momento della vita.

Ritorno all’anno 1900 Ho trovato posto all’Albergo “Lamm”. Due erker con gerani rossi fiammanti ornano la facciata storta della casa, menzionata per la prima volta nel 1460. Il proprietario, un uomo grande, mi accoglie con un sontuoso “Buon giorno!” e subito mi racconta che il nucleo dell’albergo si trova in questo luogo dal XIII secolo. Uno sguardo nel libro degli ospiti rivela quali illustri ospiti prima di me hanno soggiornato in questa casa. Tra loro anche i due famosi pittori Ernst Loesch e Charles Palmier, che nel 1890 hanno affrescato la famosa sala “Walther” dell’albergo. Già al mio arrivo mi sono reso conto di una strana irrequietezza, che pervade la città. Inoltre le dame mormorano costantemente sotto i loro ombrellini di seta. Il motivo di tale irrequietezza? Ho sentito che è stato svelato il mistero su quale fosse la zona rappresentata nella famosa incisione “Nemesis – la grande fortuna” di Albrecht Dürer. Un docente privato di Königsberg (oggi Kaliningrad) ha riconosciuto nell’incisione Chiusa e il monte Sabiona, anche se rappresentata in senso inverso. Forse sono io a scoprire il luogo esatto, dove Dürer nel 1494 ha immortalato maestralmente il paesaggio. Essere scelti per la sua opera da Albrecht Dürer, uno dei maggiori artisti del Rinascimento, è un privilegio, che Chiusa e il monte Sabiona si sono veramente meritati: la costruzione simile ad un castello del Monastero di Sabiona, che si aggrappa alla punta della roccia di diorite, emana effettivamente un notevole fascino. Nel frattempo dietro alle mura merlate sono le suore benedettine a vivere una mesta quotidianità. Nel 4° millennio prima di Cristo lo sperone roccioso fu popolato da contadini neolitici. Alla fine del VI secolo fino all’inizio del primo millennio Sabiona fu sede vescovile. viae 2017 | 63


MUSEO CIVICO DI CHIUSA Dal 1992 il Museo Civico di Chiusa è ospitato nel Convento dei Cappuccini. Lo straordinario tesoro di Loreto riempie l’intero primo piano dell’edificio. Nel piano inferiore del Museo Civico sono in mostra permanente opere della colonia artistica di Chiusa (1874-1914). In questo periodo Chiusa fu un vivo luogo d’incontro di oltre 300 pittori e artisti famosi. Orari d’apertura: fine marzo a fine ottobre Martedì-sabato,ore 9:30 - 12, 15:30 -18 chiuso: domenica, lunedì e giorni festivi tel. +39 0472 846148

L’aspetto esterno dell’ex Convento dei Cappuccini, che oggi ospita il Museo Civico con il famoso Tesoro di Loreto, è poco appariscente.

Non si sa esattamente quale aspetto avesse l’imponente costruzione allora. Si sa però che nel 1533 l’intera struttura fu completamente distrutta da un incendio. Mi chiedo invece cosa succedeva nella stretta gola nella valle, allorché qui sul monte Sabiona la vita risplendeva. Non si sa quando questa zona fu popolata. Nel 314 dopo Cristo a Chiusa in ogni modo si trovò già una stazione di confine e dogana tra il mondo mediterraneo e la penisola balcanica a ovest. Risale al 1027 la prima menzione con il nome “Clausa sub Sabione”, mentre nel 1220 l’insediamento riceve il diritto di mercato e nel 1308 in un atto viene conferita la denominazione di città.

La dogana dei principi-vescovi Durante una passeggiata attraverso la città mi riprendo dal mio viaggio a Chiusa – il viaggio in treno era accompagnato da una forte polvere di carbone e dal pesante ansimare della locolotiva a vapore. Nella vicinanza di Piazza Tinne m’imbatto in un edificio riccamente affrescato sulla cui facciata spiccano i blasoni dei vescovi di Bressanone. Qui si trovava la dogana dei principi-vescovi e sicuramente molte tasche si sono svuotate, poiché la dogana di 64 | viae 2017

Chiusa rendeva molto. Si racconta che su certe merci erano imposti dazi fino a un terzo del valore delle merci stesse. Subito dietro alla dogana si radunavano numerosi artisti attorno alla salita verso Sabiona. Muniti di pennelli e colori, carbone e matite, erano affascinati dalla ripida scalinata che dava inizio alla salita verso il monte Sabiona. Un fascino che si percepisce effettivamente, non solo su carta e tela. Altrettanto pittoresco dev’essere stato il Castel Branzoll dei Signori Heinrich e Burchard di Sabiona, costruito nel XIII secolo ai piedi del monte Sabiona. Nel 1671 però fu distrutto da un incendio. Solo pochi resti di muro sono rimasti intatti. Solo dal 1885 ci si impegna nuovamente a ricostruire il castello. Dopo aver osservato gli artisti in attività, sono i tocchi delle campane che dall’Isarco dalla parrocchiale S. Andrea richiamavano la mia attenzione. La base dell’edificio sacrale è costituita da una chiesa romanica citata nel 1208. Tra il 1482 e il 1498 la chiesa ha ottenuto l’aspetto odierno, uno degli esempi più belli e puri del gotico brissinese. Oltre a ciò l’interno della chiesa è ricca di opere d’arte di cinque secoli.


Sopra: il Tesoro di Loreto costituito da dipinti e opere d’arte sacrali fu un prezioso dono della Regina di Spagna Maria Anna al suo confessore nativo di Chiusa. A destra: innumerevoli artisti furono attratti dalla ripida roccia del Monte Sabiona con il monastero omonimo, simile a un castello, sede vescovile fino attorno all’anno 1.000 d.C.

Tesoro eccezionale Domani mi aspetta il tesoro custodito nella cappella di Loreto all’interno del Convento dei Cappuccini di Chiusa. Ho saputo che si tratta di una raccolta unica di opere d’arte, tra le quali oggetti religiosi, dipinti e gioielli, che non ha uguali in tutto il Tirolo, se non anche in tutto il regno austro-ungarico. Bisognerebbe fissare per l’eternità questo gioiello straordinario, ma purtroppo non sono un pittore e non sono in grado di usare questi moderni apparecchi fotografici. Comunque: il tesoro di Loreto è arrivato qui grazie a Gabriel Pontifeser, nato a Chiusa, che più tardi entrò nell’ordine dei Cappuccini. Come confessore personale accompagnò nel 1690 Maria Anna

d’Asburgo durante il viaggio per il matrimonio con Carlo II, re di Spagna. Pontifeser godette di grande stima, ma essendo molto modesto declinò gli alti onori, che la famiglia reale voleva conferirli. L’unico suo desiderio fu la costruzione del Convento dei Cappuccini a Chiusa. Il citato convento fu costruito e sia la coppia reale come tutti i nobili della corte spagnola fecero ricchi regali. Si racconta che esiste una lista con tutti i nomi dei benefattori, in modo che Dio venga a sapere chi deve ringraziare. Questi sono i legami della Spagna reale con la piccola Chiusa. Nell’attesa gioiosa per la visita al tesoro di Loreto lasciamo il viaggiatore sconosciuto e abbandoniamo

gli inizi del XX secolo. Cosa ci ha dato questo viaggio nel tempo? Nel frattempo l’albergo “Lamm” ha chiuso i suoi battenti e il tesoro di Loreto non viene più custodito nella cappella di Loreto, ma nel Museo Civico, situato nelle sale dell’ex Convento dei Cappuccini. Per il resto però a prima vista a Chiusa non sono cambiate molte cose. E così ogni visitatore dei giorni nostri può compiere un personale viaggio a ritroso nel tempo. I molti visitatori non animano più la città muniti di tele e colori, in compenso immortalano le particolarità piccole e grandi con un tocco sul display del proprio smartphone.

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Testo: Anita Rossi Foto: thinkstock.com

L ’erotismo della castagna Non si spoglia facilmente. Ma la sua seduzione avviene ­comunque attraverso l’olfatto. Intensi messaggi olfattivi ­raggiungono il cervello e attivano la sensualità. Se oggi la ­castagna è fonte di elisir salutare, un tempo degli effetti dei suoi fiori si ­parlava solo sottovoce.

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ENO-GASTRONOMIA

LUNGO IL MIGLIO DEL CASTAGNO L’autunno in Valle Isarco non rappresenta solo il momento clou per il tradizionale “Törggelen”, anche molte manifestazioni legate alla castagna avvengono in questa stagione, come le settimane “Keschtnigl” (riccio di castagna) da metà ottobre ai primi di novembre a Velturno. Nel 2017 ristoratori propongono per la 21a volta menù a base di castagne, masi lungo il sentiero del castagno offrono piatti tipici, mentre al mercato si possono acquistare castagne. Il gran finale è la “Festa della castagna” il 5 novembre per le stradine e viuzze di Velturno.

Antichi saperi r­ einterpretati

“Questa noce, arrostita e insaporita con sale e pepe” già nel Medioevo era considerata un afrodisiaco. Il sostanzioso alimento era utilizzato per accentuare la libido femminile e per aumentare la potenza maschile. Questo è quanto si evince dall’enciclopedia tedesca di medicina popolare attorno al 1840. In modo molto più sottile agiva invece il magico e seducente profumo dei fiori di castagno, così l’opinione di un certo dott. Albert Hagen attorno al 1901. In quest’anno era uscito il suo libro “L’osfresiologia sessuale: il rapporto tra odorato e gli odori dell’attività sessuale umano”, nel quale descrive interessanti osservazioni fatte dopo intensi studi delle fonti. Ad

esempio asserisce che i feromoni, le sostanze odorose con effetti simili agli ormoni, influiscono sulla scelta del partner e sul comportamento sessuale. Non è dunque da meravigliarsi che l’autore all’epoca avesse pubblicato le sue asserzioni disinvolte sulle pratiche sessuali con un pseudonimo. In realtà dietro al dott. Hagen si celava il dermatologo e specialista per malattie veneree, Iwan Bloch. Oggi il “pietoso velo” è ormai più che calato, ma Bloch ai primi del XX secolo era un vero pioniere della sessuologia. Che il sistema limbico reagisca in modo sensibile agli odori senza essere censurato dalla massa cerebrale, è un dato sul quale si basa anche la moderna aromaterapia e non solo nell’ambito sessuale.

“La castagna è un frutto molto caldo, dalla grande forza interiore e indice di saggezza.” Queste poche righe annota la studiosa universale Hildegard von Bingen già nel XII secolo. Secondo la grande esperienza della monaca il frutto del castagno è un rimedio basico, che andrebbe utilizzato per la disintossicazione mentale e psicologica come anche in caso di disturbi del cuore e dei nervi. Questi antichi saperi sono oggi alla base dei vari impieghi che se ne fanno con questo frutto universale in Valle Isarco. Erano gli anni 80 dell’ultimo secolo quando interi castagneti rischiavano di morire a causa di una malattia. Allora ci si ricordò dell’importanza del castagno e lo si curò fino a salvarlo. Soprattutto la famiglia Tauber di Velturno è stata in prima fila nel mantenere viva la

cultura del castagno. Le profonde radici del luogo e dell’intera Valle Isarco alla castagna si percepiscono anche dal fatto che “l’oro marrone” per molti decenni era considerato l’alimento base della zona e noto come il pane dei poveri.

L’albero della salute il guardiano della valle La sua maestosa fronda di rami nodosi con foglie verdi e la sua circonferenza di 12 metri fanno del castagno di Lusenegg un esemplare unico in tutta Europa. Una passeggiata da Chiusa fino alla tenuta medievale vicino a Laion vale la pena non solo per la vista panoramica sulla valle, ma anche per riposarsi sotto l’immenso albero. Allettanti passeggiate attraverso castagneti sono percorribili sia sul lato di Laion come anche sul versante opposto della valle attorno a Sabiona.

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Testo: Doris Brunner Foto: Arnold Ritter, Oskar Zingerle

“Amo la cucina sincera” Martin Obermarzoner, chef de cuisine e proprietario del ristorante stellato Jasmin a Chiusa, parla dei pregi della cucina regionale e perché le ricette della nonna sono sempre molto in auge – e in cosa si differenzia una baita da un ristorante stellato.

Martin Obermarzoner 68 | viae 2017


Signor Obermarzoner, come chef stellato lei va ancora a mangiare nei ristoranti del circondario? Martin Obermarzoner: Logico, se il tempo me lo concede! Amo soprattutto la cucina semplice, tradizionale e sincera. Sono quelli i ristoranti che frequento volentieri. A Chiusa e nei dintorni troviamo una ricca scelta dalla baita alla pizzeria, dalla tipica “Gasthaus” alla trattoria, dal maso al nostro ristorante stellato. Questa grande varietà è sicuramente una peculiarità e una particolarità di questa valle.

In cosa si differenzia la cucina di una baita di montagna da quella di un ristorante di spicco? La differenza si nota forse solo nel dispendio di energie della cucina. Nel piatto della cucina gourmet si trovano pietanze composte da ingredienti diversi e ricercati, che spesso vengono combinati in modo insolito e sorprendente, con dettagli raffinati. Il livello dei ristoranti e delle osterie in Alto Adige è particolarmente alto: è molto difficile non riuscire a mangiare bene qui da noi!

Secondo Lei, a cosa si deve questo livello così alto? Da un lato la posizione fantastica del territorio ci dona prodotti eccellenti con i quali preparare piatti straordinari. Inoltre la formazione professionale nell’ambito gastronomico è eccellente. In più in Alto Adige si trovano molti ristoranti stellati e noi cuochi ci motiviamo a vicenda verso prestazioni ai massimi livelli.

Come descriverebbe la cucina locale regionale? In base alla posizione geografica in Alto Adige si mescolano influssi della cucina bavarese, austriaca e mediterranea e nel corso dei decenni ne è nata una cultura gastronomica regionale di grande pregio. Possiamo ricorrere a molte ricette tradizionali – io amo ad esempio moltissimo la tipica minestra d’orzo!

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SCHEDA E DATI MARTIN OBERMARZONER Il chiusano Martin Obermarzoner, nato nel 1981, è diventato lo chef stellato più giovane dell’Alto Adige nel 2007. Dopo la sua formazione professionale di cuoco a Bressanone ha fatto varie esperienze pratiche tra l’altro alla Residenz Heinz Winkler ad Aschau (­Germania) e al Ristorante La Siriola a San Cassiano/ Alta ­Badia. Nel 2002 prende in mano il ristorante dei genitori Jasmin a Chiusa. Nel 2007 Martin Obermarzoner riceve la prima stella Michelin, nel 2011 la seconda. Inoltre la rinomata guida gastronomica Gault Millau assegnò 3 cappelli (17 punti) al ristorante gourmet. Ulteriori informazioni sui prodotti regionali e sui ristorante ­attorno a Chiusa al sito www.klausen.it/it/piaceri-cultura

Se crea nuovi piatti, prende alla mano anche il ricettario di sua nonna? Certamente! Le vecchie ricette spesso sono le migliori, probabilmente perché all’epoca bisognava concentrarsi sull’essenziale e per questo sono nati piatti sinceri e genuini. Anch’io spesso mi servo di “Knödel” (canederli) e “Schlutzer” (ravioloni), variando ovviamente le ricette. Così ad esempio nei ravioloni invece degli spinaci ci metto sedano rapa. Raffinare piatti tradizionali creando nuove creazioni è per me stimolante e divertente. Inoltre questi piatti mi ricordano molto la mia infanzia: mia madre ha sempre cucinato molto bene e il suo arrosto della domenica è per me sempre ancora eccezionale.

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Il suo menu cambia giornalmente… La freschezza dei prodotti è per me decisiva. La mia passione sono frutti e verdure che noi coltiviamo direttamente. Ogni giorno raccogliamo quanto è maturo e alla sera cucino il raccolto. Più fresco di così non si può, e questo è un elemento essenziale della nostra qualità. Viviamo in un’epoca, nella quale ogni prodotto è disponibile durante tutto l’arco dell’anno. Per me però è importante usare in modo consapevole le risorse naturali: sono passati i tempi nei quali tutto era disponibile subito, sempre e ovunque. La consapevolezza di prodotti stagionali, naturali e regionali è per me fondamentale: per rispetto voglio onorare degnamente questo regalo della natura e valorizzarlo in tutto e per tutto.

Nella sua inconfondibile mescolanza di tradizione e avanguardia si percepiscono anche influssi della cucina giapponese. Perché Giappone? Secondo me la cucina giapponese e quella mediterranea hanno un forte e vivace legame: entrambe utilizzano prodotti freschi possibilmente poco rielaborati e fantastici ingredienti come spezie, erbe e in Giappone anche tè. Da ciò si lasciano creare piatti sorprendenti. In Giappone ha avuto occasione di fare un’esperienza geniale: in un ristorante come dessert mi è stato servito un pezzo di melone al naturale, senza nulla. Questo pezzo di frutta genuino aveva un sapore unico! E qui ho nuovamente capito che quanto più si lascia al naturale un prodotto qualitativamente pregiato, tanto meglio.


TRADIZIONI Testo: Susanne Rude Foto: Biblioteca Laion

Il trenino della Val Gardena – un viaggio nel passato Stridono i freni, nell’aria l’odore di carbone – un treno si ferma lentamente nella stazione di San Pietro/Laion /Lajen. Un quadro, che è nei ricordi di solo pochi ­testimoni rimasti in vita. Il trenino della Val Gardena, un mezzo di trasporto per ­persone e merci, racconta una sua storia molto particolare. viae 2017 | 71


Tutto inizia negli anni di guerra nel 1915/16, quando il tracciato per il trenino della Val Gardena fu costruito per ordine del maresciallo Conrad von Hötzendorf (Austria-Ungheria) da Chiusa fino a Plan in fondo alla Val Gardena. La Prima Guerra Mondiale era in pieno corso e si rese necessaria la possibilità di trasportare armi verso i passi di Sella e Gardena. Ma non solo le truppe in guerra approfittarono del trenino. Anche per il comune di Laion il treno ebbe grande impatto: con due stazioni sul territorio comunale, a Laion-Novale e a San Pietro, gli abitanti si trovarono con un mezzo di trasporto ideale, che agevolò in molto la quotidianità. D’ora in poi era possibile trasportare a casa senza problemi ciò che si aveva acquistato a Chiusa, anche se il tutto avveniva in tempi più lunghi rispetto ad oggi. Con circa 14 km/h la locomotiva a vapore partiva da Chiusa per raggiungere quasi due ore e mezza più tardi Plan in Val Gardena. Gli abitanti di Laion e delle frazioni di Novale, S. Pietro, Albions, Freina e Tanurza furono coinvolti nella costruzione della linea ferroviaria del trenino della Val Gardena già prima della sua attivazione: 72 | viae 2017

parecchie migliaia di prigionieri di guerra russi, che durante il giorno svolgevano lavori pesanti costruendo viadotti, ponti e rotaie, furono sistemati nei masi del circondario. I contadini furono costretti a ospitare i russi. Ovviamente non potevano offrire molto ai prigionieri: “Dormivano nel fienile per terra, al massimo ricevevano una coperta”, ricorda una testimone dell’epoca. Di giorno i fienili erano svuotati e i contadini potevano svolgere il loro lavoro. La sera bisognava di nuovo fare posto per i lavoratori russi, il cui duro lavoro piano piano stava dando dei frutti. Su rotaie provvisorie su ponti e viadotti di legno ben presto potevano essere consegnati con vagoni merci i materiali necessari per le costruzioni di pietra e acciaio per il tracciato del treno. Il progetto del trenino della Val Gardena lentamente, ma inesorabilmente, prese forma. Quanto estenuante fosse anche il lavoro dei prigionieri di guerra, non hanno comunque mai perso il loro profondo attaccamento alla religione e alla tradizione. A testimoniarlo uno spettacolo, che una calzolaia di Albions ha vissuto con la sua famiglia a Natale: “Nel fienile c’era un albero alto un metro e mezzo pieno di candele ac-


Il trenino della Val Gardena ­impiegava due ore e mezza e s­ variati chili di carbone per ­superare il tracciato da Chiusa fino a Plan in Val Gardena; a Laion ­c’erano due stazioni.

cese. I russi erano raccolti attorno ad esso e tutti cantavano. Anche senza capire cosa cantassero, tutto era bellissimo!”, ricorda la calzolaia. All’epoca aveva cinque anni e prima di allora non aveva mai visto un albero di Natale.

Luci e ombre Se i vantaggi del treno della Val Gardena erano chiari, nonostante ciò erano però anche evidenti le falle di sicurezza, inconcepibili nei confronti degli standard odierni. Parapetti lungo la linea erano in parte difettosi o non presenti. Nei giorni di vento o di siccità spesso grandi superfici prendevano fuoco perché le scintille del treno a vapore incendiarono boschi e campi di grano. A Tanurza il pericolo era grandissimo, perché le case erano costruite in modo molto ravvicinato e le fiamme avrebbero potuto distruggere l’intero paese. Chi per primo scopriva il fuoco, organizzava velocemente gli aiuti per ridurre al massimo le conseguenze – bisognava agire immediatamente! Agli inizi degli anni 1930 si sparse la voce che preoccupò molto la popolazione di Laion: il trenino della Val

Gardena doveva essere dismesso, perché non era più redditizio. Gli abitanti dei paesi lungo il tracciato del treno erano indignati, poiché il treno era diventato la principale arteria per le attività economiche e turistiche. Per molti anni si combatté per il mantenimento del treno, ma ben presto si presentò un ulteriore problema. Attorno al 1950 era diventato più che evidente che il trenino non era più in ottime condizioni. Era usurato e consumato. L’unica possibilità per conservare questo mezzo di trasporto così importante per gli abitanti di Laion, era la sua modernizzazione, cosa che però non è mai avvenuta.

Siamo al 28 maggio 1960 I suoni della banda musicale di Chiusa risuonano, la gente esulta. Si sta festeggiando qualcosa. È l’impressione che si può evincere. Ma l’evento è memorabile: l’ultimo giorno del treno della Val Gardena. Un’ultima volta la gente sale e scende dal treno, un’ultima volta trasportano le loro mercanzie da Chiusa ai loro paesi, un’ultima volta la locomotiva a vapore si mette in moto per affrontare il percorso di

31 km e i 1.072 metri di dislivello. E alla fine andrà in pensione. Soprattutto nella popolazione di Laion e dei paesi vicini l’euforia si trasformò in profonda frustrazione, perché all’improvviso si era rimasti nuovamente senza collegamenti. Fu questo il motivo per cui già nel 1960 iniziarono i colloqui per una strada di collegamento Chiusa-Val Gardena, che doveva passare per Laion. La “strada della Val Gardena” è oggi una delle vie di collegamento più importanti nelle Dolomiti. Chi la percorre, può ancora scorgere alcuni ricordi risalenti all’epoca del trenino, come ad esempio il monumento in onore al maresciallo Conrad von Hötzendorf sopra Chiusa. Fu la prima scultura in cemento dell’Alto Adige e riporta ancora l’insigna dell’aquila imperiale austriaca. Una delle sette leggendarie locomotive a vapore del trenino della Val Gardena, costruite nel 1916, è ancora esposta sull’areale della stazione di Chiusa. Chi vuole vivere di nostalgia e immergersi nella storia del treno, non può mancare l’occasione di visitare lo storico veicolo.

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Testo: Willy Vontavon Foto: Oskar Zingerle

Due ruote e un aiutino

E-bike sono un’invenzione affascinante: finalmente anche sportivi meno allenati, come lo sono io, riescono a salire in montagna sulle stradine forestali senza schiattare. Un prova in prima persona in Val di Funes, un vero paradiso per e-biker.

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CULTURA Ci sono persone, che hanno un’ottima condizione fisica, senza difficoltà salgono in mountain-bike per affrontare anche lunghi percorsi in salita in mezzo alle montagne. Bene, io non faccio parte di questo gruppo. E ciò non mi disturba più di tanto, anzi. Non sono molto sportivo e non lo nascondo. In fin dei conti non ho più trent’anni! Naturalmente

sarebbe bello poter pedalare su per le montagne con nonchalance, anche solo per godere dei bellissimi panorami e dell’aria pura, ma… la mia lingua dopo pochi metri s’impiglierebbe tra i raggi della bici. Mi capite, vero? Poche settimane fa ho visto in tv un reportage sulle e-bike. “E” sta per “elettrico”. Sembrano veri

miracoli della tecnica queste nuove e-bike, con le quali anche tipi poco allenati come me possono salire in montagna senza fatica. Impossibile, ho pensato, ma poi l’interesse e la curiosità hanno prevalso. “Vale la pena provare”, ho pensato tra me e me. Mia moglie invece era subito molto entusiasta. E’ sicuramente più allenata di me, ma con una mounviae 2017 | 75


PARTENZA Rifugio Genova

Ranui

2.306 m.s.l.m.

1.346 m.s.l.m.

Malga Gampen 2.062 m.s.l.m.

Malga Casnago 1.996 m.s.l.m.

Percorso 1: da Ranui a Casnago Percorso 2: da Ranui alla Malga Gampen e al Rifugio Genova

tain-bike normale anche lei farebbe molta fatica.

Si parte! Vacanze prenotate, partenza, arrivo nella stupenda Val di Funes. Si parte! In Val di Funes esiste un servizio noleggio specializzato in e-bike: basta telefonare, indicare le proprie misure corporee e il mattino seguente ecco pronti in albergo due attrezzi perfetti. Klaus Pernthaler, uno dei tre fondatori del noleggio, ci scruta dall’altro fino in basso. Per sicurezza ci siamo vestiti di tutto puntino con l’abbigliamento giusto. Non per bellezza ma piuttosto per evitare spiacevoli dolori al “didietro”. Un amico mi ha raccontato di dolori lancinanti dopo che aveva pedalato per un paio di ore in mountain-bike vestendo un normale pantalone da tuta – proprio il sedere è stato quello a subire di più dell’abbigliamento sbagliato. Confermo, che all’inizio bisogna abituarsi ai pantaloni imbottiti, che 76 | viae 2017

sono molto rafforzati in certe zone, che qui non sto a descrivere. Inoltre ci siamo muniti di scarpe da ginnastica idonee come anche di magliette tecniche colorate e di guanti che lasciano libere le punte delle dita. I caschi e un lucchetto per le bici sono compresi nel prezzo del noleggio. Klaus ci dà subito del tu e ci saluta cordialmente. Prima di consegnarci le bici e dopo aver sistemato alla giusta altezza le selle, vuole che facciamo qualche giro nel parcheggio, una sorta di veloce test d’ammissione. “Anche se in linea di massima seguiremo le stradine forestali, in montagna bisogna comunque conoscere abbastanza il proprio attrezzo”, spiega Klaus, che si mostra soddisfatto della nostra abilità di guida sulle bici. La bici risulta abbastanza pesante, cosa che mi preoccupa: il motore elettrico tanto decantato ce la farà? Sul manubrio si trova un piccolo aggeggio, che accendo pigiando sul

bottone “ON”. Sul display compare l’indicazione della velocità e a destra un simbolo con quattro livelli. In cima, molto importante!, si trova l’indice dello stato della batteria: cinque tacche, piena.

Tempo splendido! Vi ho già raccontato del tempo splendido oggi? Siamo agli inizi di settembre, il cielo è di un blu terso, i prati attorno a noi variopinti. Klaus ci porta al punto di partenza nelle vicinanze della chiesetta di San Giovanni in Ranui, uno dei motivi fotografici più famosi dell’Alto Adige. Qui Klaus ci abbandona al nostro destino. Partiamo lentamente e innestiamo la marcia “ECO”. Ooops! È come se qualcuno ci desse una leggera spinta. La pedalata è molto facile. Tuttavia devo continuare a pedalare, perché appena accenno a non pedalare e non muovo le mie gambe, il motore elettrico si blocca. Immediatamente. “Non è


E-BIKE VAL DI FUNES Scoprire in e-bike senza fatica, senza gas di scarico, in modo ecologico e senza dolori muscolari il meraviglioso mondo delle Odle della Val di Funes. “E-Bike ­Funes” è un servizio noleggio dove trovare bici, caschi e lucchetti. Inoltre si possono prenotare gite guidate in e-bike e mountain-bike accompagnati da esperti. Tel. +39 329 7842843 (prenotazioni fino alle ore 19 del giorno precedente) Ulteriori informazioni su internet: www.villnoess.com/it/attivita/ciclismo-e-mountain-bike

un motorino”, aveva detto Klaus, “dovete sempre pedalare e restare in movimento per arrivare in quota!” Già dopo 50 metri siamo entusiasti. La salita è molto facilitata, soprattutto da quando abbiamo inserito la marcia “TOUR”. Il paesaggio è incantevole. La stradina forestale ovviamente non asfaltata sale a serpentine lungo il romantico torrente Brogles attraverso il bosco, dove di tanto in tanto troviamo degli spazi liberi che ci offrono dei panorami spettacolari, anche se le cime delle Odle si nascondono ancora dietro agli alberi. Ranui si trovava a 1.350 metri d’altitudine e la nostra prima meta, la Malga Geisler, si trova a quasi 2.000 metri. Durante il percorso si alternano tratti più ripidi e in piano, ma saliamo lentamente, senza affaticarci troppo.

E adesso “TURBO!” Dopo circa trequarti d’ora arriva un tratto abbastanza ripido, dove per la prima volta possiamo provare ciò che la bici rende quando s’inserisce la marcia più alta, il “TURBO”. Dopo alcuni metri appena mi sono abituato alla nuova spinta del motore, che per la salita decisamente più ripida, è molto più decisa. Dopo alcune centinaia di metri ecco im-

provvisamente abbiamo raggiunto la meta: davanti a noi uno spettacolo mozzafiato, che per la bellezza ci lascia quasi senza parole. Le cime delle Odle sono così vicine, quasi a poterle toccare con le dita. È fantastico, abbiamo superato in meno di mezz’ora un dislivello di più di 600 metri e io non sono per nulla senza fiato. Sudo un pochino, si, ma questo mi fa tanto bene. Del resto anche il sole che ci scalda la schiena mentre gustiamo un ottimo pranzo sul terrazzo della Malga Geisler ci fa molto bene e ricarica anche le batterie del nostro corpo. In teoria qui non avremmo potuto ricaricare solo le nostre batterie, ma anche quelle delle due e-bike: in Val di Funes ben undici baite offrono l’occasione di ricaricare gratuitamente le batterie delle e-bike. Noi non ne abbiamo bisogno, “perché

abbiamo ancora due tacche”, si stupisce mia moglie. Tanto più che oggi dobbiamo in sostanza fare solo più tratti in discesa. O vogliamo fare un salto fino alla Baita Dusler?

Di baita in baita Il giorno successivo partiamo nuovamente con batterie piene da Ranui, prendendo questa volta direzione Zannes e da lì in forte salita lungo il torrente omonimo raggiungiamo Kaserill; da qui attraverso boschi e prati fino alla Malga Gampen. Qui durante la nostra pausa pranzo ricarichiamo le batterie perché abbiamo un’altra grande meta da raggiungere. Vogliamo arrivare fino al Rifugio Genova a più di 2.300 metri d’altitudine. Lì sembra che ci aspetti una vista panoramica incredibile sulle montagne del circondario. Ce la faremo ad arrivarci? viae 2017 | 77


Testo: Oskar Zingerle Foto: thinkstockphoto.com, Alex Filz, Thilo Brunner

L’inverno lontano dalle piste

Chi vuole vivere l’inverno in un modo diverso, trova molte opportunità in Valle Isarco. Gli altipiani di Villandro, Luson e Rodengo, le valli laterali idilliache di Funes, Ridanna e Fleres, come anche i monti innevati di Fundres sono mete ideali per sport invernali alternativi.

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ATTIVITÀ

Passeggiate invernali Lo scricchiolio ritmico sotto i piedi, l’aria invernale cristallina nelle narici e la vista panoramica mozzafiato – una passeggiata attraverso il paesaggio innevato della Val di Funes, ad esempio sul sentiero Adolf Munkel ai piedi delle Odle di Funes, rimane un ricordo perenne. Secondo il tempo a disposizione e la propria condizione fisica, chiunque può affrontare questa passeggiata. Da consigliare è la sosta in una delle baite o dei punti di ristoro, dove sui menu si trova un’ampia scelta di piatti classici come il “Kaiserschmarrn”, i canederli e altre specialità locali.

Sci d’alpinismo Il silenzio immenso in mezzo alle montagne impressionanti – un’escursione di sci d’alpinismo non è fatta per pantofoloni, tuttavia anche chi è mediamente allenato può affrontare in Valle Isarco questo sport affascinante su tracciati sicuri. L’attrezzatura può essere noleggiata presso centri specializzati, mentre per la scelta dei percorsi è bene chiedere consiglio agli esperti. Una delle zone più belle per lo sci d’alpinismo è quella dei Monti di Fundres. Accompagnati da una guida alpina vale la pena di affrontare la gita sulla Cima Piatta a Valles (2.699 m.s.l.m.) o sul Monte Guardia (3.068 m.s.l.m.). Il “Skigitschtrack”, il percorso ben segnalato, porta in cima alla vetta più spettacolare dell’area vacanze ski e malghe Gitschberg Jochtal.

Sci di fondo L’ampia fine della valle di Ridanna è caratterizzata da uno scenario incantevole, dove godersi il paesaggio innevato con gli sci di fondo ai piedi. Incastonata tra le montagne, la pista da fondo corre lungo tutta la valle su terreno perlopiù pianeggiante. Qualche salita interrompe il corso della pista, che però si può anche evitare. Un divertimento particolare è il biathlon per ospiti che si tiene ogni anno e che dà ad ognuno la possibilità di provare questo sport sempre più amato.

Racchette da neve Fissati agli scarponi si parte con le racchette da neve sull’ampia Alpe di Villandro. Quest’attività sportiva fa scoprire l’inverno in un modo del tutto inaspettato. La folta coltre di neve copre ogni rumore e il silenzio ovattato fa bene all’uomo, ma anche alla selvaggina. Sono tante le tracce di cervi, caprioli, lepri, scoiattoli e di molti altri animali che qui si possono scorgere. Chi ha pazienza e magari anche un binocolo, può addirittura osservare questi esseri schivi dal vivo. Con una guida esperta si possono anche abbandonare i percorsi preparati e camminare attraverso il paesaggio innevato incontaminato.

Slittino Chi non può appassionarsi per lo sci o lo snowboard, può forse trovare nello slittino lo sport adatto per compiere ugualmente discese avventurose. Proprio perché lo slittino è adatto a persone con diverse nozioni di utilizzo del mezzo, è un divertimento ideale per famiglie con bambini. Delle oltre 50 piste da slittino presenti in Valle Isarco la pista “RudiRun” sulla Plose è la più lunga e una delle più lunghe d’Italia. Proprio per la sua lunghezza è relativamente impegnativa, ma è facilmente raggiungibile con la cabinovia. viae 2017 | 79


Testo: Veronika Kerschbaumer Foto: thinkstockphotos.com

Neve al femminile Amano il loro lavoro e nonostante il freddo pungente hanno sempre un ­s­orriso sulle labbra e danno una mano se in pista si perde il controllo degli sci. Sono forti, tenaci e hanno una pazienza provverbiale. Cinque donne, che in Valle Isarco danno lustro e fascino al mestiere del maestro di sci, ­raccontano della loro passione e di come affrontano la quotidianità.

“D’estate e d’inverno nella zona sciistica” Eva Psenner Zona sciistica Gitschberg Jochtal www.gitschberg-jochtal.com “Devo pensarci un attimo… ho cominciato a 18 anni, per cui ormai passo il nono inverno da maestra di sci”, sorride Eva Psenner. Come è possibile da giovane donna affermarsi in un mestiere dominato dagli uomini? “Sono riuscita a fare della mia passione la mia professione. Fin da piccola ero nello sci club e ho fatto gare. Se nell’agonismo non si riesce ad affermarsi, allora il mestiere del maestro di sci è l’unica possibilità di continuare con lo sport che ami e allo stesso tempo di guadagnare soldi. Anche se ci sono professioni più attrattive: stare al freddo ogni giorno per sette ore di fila può essere impegnativo e poi d’inverno quasi tutti i weekend al lavoro. Io però mi diverto e mi piace insegnare lo sci agli altri. Anche il lavoro con i bambini mi piace, cosa che mi aiuta molto visto i molti corsi di sci per bambini che offriamo.” Neanche d’estate Eva Psenner può stare lontana dalla “sua” zona sciistica, ma ovviamente non la si ritrova sulle piste, bensì alla biglietteria e ufficio informazioni. “Entrambi i lavori si combinano molto bene.” Le sue vacanze invece le gode tra la stagione estiva e quella invernale, poiché entrambi gli impieghi non le lasciano molto tempo libero. 80 | viae 2017


“Sola tra uomini” Carmen Plank Zona sciistica Ladurns-Colle Isarco www.ladurns.it Lei è in pratica la gallina nel pollaio e i commenti che dicono “finalmente una maestra di sci” sono la benaccetta conferma per Carmen Plank, che da ben dieci anni lavora nella zona sciistica Ladurns-Colle Isarco. “I miei uomini mi trattano molto bene”, ride la maestra di sci, che come professione principale fa la maestra delle scuole elementari. Proprio per la mancanza della presenza femminile, ricade su di lei il compito di insegnare lo sci ai bambini. “Un signore anzianotto non ha più la sensibilità e la pazienza per insegnare a un bimbo di tre anni come muoversi sugli sci”, scherza. Anche se qualche volta è molto impegnativo lavorare durante il periodo di ferie, lo fa con piacere e impegno – e lo fa bene! “Tempo fa facevo gare, ho fatto il corso per diventare maestra di sci e durante i miei studi sono poi rimasta maestra di sci. Inoltre abito proprio vicino alla zona sciistica – cioè i migliori presupposti.”

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“La montagna nel cuore” Maria Goller Zona sciistica Plose-Bressanone www.plose.org

Alla fine Maria Goller non scende mai dalla montagna: da cuoca d’estate gestisce il Rifugio Edelweiss e d’inverno già da trent’anni fa la maestra di sci nella zona sciistica Plose. Ma perché? “La Plose è la mia montagna, conosco ogni sasso, e lo sci è la mia attività perferita. Mi piace stare assieme alla gente, trasmettere il mio sapere e non temo il freddo – queste sono le caratteristiche che una maestra di sci deve avere. Quando ho cominciato a lavorare come maestra di sci nel 1986 – quanto tempo è già passato! – ero l’unica donna a fare questo mestiere sulla Plose e lo sono stata per almeno 20 anni. Poi man mano sono arrivate anche altre donne. Anche per il resto molto è cambiato: una volta avevamo solo corsi per adulti, ora l’85 o 90 per cento sono corsi per bambini.”

“Scuola di vita sulla pista” Marina Coppola Zona sciistica Monte Cavallo-Vipiteno www.montecavallo.com Incontriamo Marina Coppola proprio nel bel mezzo tra lo studio, gli ultimi momenti del lavoro estivo e l’insegnamento dello sci. Il suo futuro professionale – “voglio diventare maestra” – dev’essere ben conciliabile con il suo mestiere di maestra di sci. Nel suo tempo libero, anche da maestra, non vorrà rinunciare a insegnare lo sci a bambini e adulti. Il motivo? “Quando si vede quanta fatica fanno all’inizio i bambini per stare sugli sci e come dopo il corso scendono senza problemi sulla pista rossa – un vero successo, che ripaga delle molte ore al freddo”, spiega raggiante Marina. Accanto a questi momenti di soddisfazione, il mestiere del maestro di sci dà alla giovane donna tante altre emozioni che sono anche una scuola di vita. “Si diventa più aperti, socievoli e si è in contatto con molte persone.”

“Sciare per passione” Stefania Aquita Zona sciistica Racines-Giovo www.racines-giovo.it Le mancherà moltissimo il mestiere di maestra di sci nella zona sciistica Racines-Giovo, ne è certa Stefania Aquila. Tra poco dovrà cambiare l’aria fredda, la neve e gli sci con l’abbigliamento da lavoro da infermiera: poco fa la giovane donna ha terminato il suo percorso formativo. “È stato un periodo duro, contemporaneamente lo studio e l’insegnamento sulle piste, ma è stato anche bello”, racconta la 26enne. E’ arrivata a questo “mega-mestiere”, come lo definisce Stefania, come molti altri: ha provato a diventare campionessa di sci, ma ad un certo punto tutto era troppo faticoso – i continui allenamenti, i viaggi ai luoghi delle gare. Ma per nulla al mondo voleva rinunciare allo sci; quello che comunque non farà neanche da infermiera. “Probabilmente non potrò più lavorare come maestra di sci, ma nonostante tutto non voglio rinunciare completamente allo sci. In fin dei conti è la mia passione.” 82 | viae 2017


Valle Isarco – Valle dei percorsi BRENNERO

Vipiteno-Racines www.vipiteno.com www.racines.info www.colleisarco.org

Area vacanze sci & malghe Rio Pusteria www.gitschberg-jochtal.com

VIPITENO

Altopiano delle ­mele Naz-Sciaves www.natz-schabs.info

Bressanone e i suoi dintorni www.brixen.org www.luesen.com

www.chiusa.info

Isar co

Chiusa

Rienza

BRESSANONE Val di Funes www.villnoess.com

CHIUSA

Laion www.lajen.info

BOLZANO

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Tutto da scoprire Gola di Stanghe

Castel Wolfsthurn

Senza sosta il rio Racines all’inizio della valle omonima ha scavato il suo letto per secoli nel marmo bianco fino a formare una gola profonda, la “Gilfenklamm”. Per passerelle e ponti sospesi il sentiero segue il percorso dell’acqua impetuosa attraverso la gola di marmo più particolare d’Europa. www.racines.info

Castel Rodenegg

Vipiteno La città mineraria si merita il riconoscimento dei “Borghi più belli d’Italia”. La Torre delle Dodici, il simbolo di Vipiteno, divide la Città Vecchia dalla Città Nuova, entrambe attraversate da un’incredibile via dello shopping costeggiata da sontuose case borghesi ricche di Erker e tetti merlati. www.vipiteno.com

Abbazia dei Canonici Agostiniani Novacella L’abbazia fondata nel 1142 con la sua chiesa abbaziale tardobarocca, il chiostro gotico, il Pozzo delle Meraviglie, la biblioteca con manoscritti unici e la pinacoteca storica è una delle strutture conventuali più grandi del Tirolo. L’Abbazia di Novacella è anche famosa per i suoi vini bianchi vinificati nella propria cantina. www.abbazianovacella.it 84 | viae 2017

Le origini di Castel Wolfsthurn , situato su una collina a Mareta di Racines, sono sconosciute. Nel XVIII secolo il castello fu trasformato nell’unico castello barocco dell’Alto Adige e oggi ospita dietro alle sue 365 finestre alcune preziose sale con arredi originali d’epoca e il Museo Provinciale della caccia e della pesca. www.wolfsthurn.it

A Rodengo si trova dal 1140 il castello più potente e più grande dei suoi tempi. Il ciclo di affreschi del XIII secolo raffigurante la leggenda di Ivano dipinto da Hartmann von Aue rappresenta il ciclo di dipinti murali profani più antichi dell’area culturale tedesca. Castel Rodenegg è ancora oggi in possesso dei discendenti di Oswald von Wolkenstein. www.gitschberg-jochtal.com

Alpe di Rodengo/Luson e Sass de Putia Con i suoi 20 chilometri quadrati l’Alpe di Rodengo/Luson è l’alpe più lunga dell’Alto Adige e uno degli altipiani più grandi d’Europa. I prati d’altura sono attraversati da innumerevoli sentieri, dai quali la vista è quasi sempre rivolta verso il Sass de ­P­­­utia, l’imponente pilastro dolomitico alto 2875 metri. www.gitschberg-jochtal.com


ATTIVITÀ

Malga Fane La Malga Fane alla fine della Val di Valles è un vero gioiello. A 1730 metri di quota si trova il piccolo paese di montagna con la chiesa del 1898 e numerose baite costruite nello stile tradizionale con i tetti di scandole. Molte baite sono aperte, e nel caseificio della Malga Fane il latte fresco viene trasformato in gustosi formaggi. www.gitschberg-jochtal.com

Forte di Fortezza Costruita nel 1833 sotto l’Imperatore Ferdinando I°, la fortezza ospita accanto ad una mostra permanente sulla sua storia anche mostre temporanee, nelle quali arte, modernità e storia si fondono. Nella fortezza si trova anche l’info-point BBT con tutte le informazioni sul più grande cantiere d’Europa. www.forte-fortezza.it www.bbtinfo.eu

Bressanone A Bressanone, con i suoi 1.100 anni la città più antica del Tirolo, s’incontrano arte, cultura, sport e voglia di vivere. Di particolare interesse sono il Duomo con le sue due torri, il chiostro romanico con i preziosi affreschi tardogotici, la vecchia residenza dei principi vescovi con il Museo diocesano e il Museo dei presepi, e i portici con i numerosi negozi e caffè. www.brixen.org

Tre Chiese Dove nella piccola frazione di Tre Chiese si trovava una fonte sacra pagana e un luogo di forza, tra il XIII e il XVI secolo furono costruite tre chiesette attigue arricchite con affreschi e altari a portelle gotici. A Tre Chiese diversi personaggi importanti, come Sigmund Freud, hanno passato periodi di villeggiatura. www.chiusa.info

Chiusa e il monastero di Sabiona Non è da meravigliarsi se da sempre Chiusa affascina grandi pittori e poeti. Le strette viuzze medievali e le strette case borghesi della città storica con il dominante monastero di Sabiona sul Monte Sabiona costituiscono il particolare fascino della cittadina. Anche per questo Chiusa fa parte dei “Borghi più belli d’Italia”. www.chiusa.info

Odle Patrimonio UNESCO Dal 2009 il parco naturale Puez ­Odle nella valle dolomitica di ­Funes con le guglie dolomitiche delle Odle fa parte del Patrimonio Naturale UNESCO. Davanti a questo panorama incredibile si trova a Funes la chiesetta di San Giovanni in Ranui con il caratteristico campanile a cipolla, uno dei motivi più fotografati. www.villnoess.com viae 2017 | 85


Info

Oltre 300 giornate di sole all’anno Temperature* MESE MIN. Gennaio -3,8 Febbraio -1,4 Marzo 2,9 Aprile 7,0 Maggio 10,8 Giugno 14,0 Luglio 15,9 Agosto 15,4 Settembre 12,2 Ottobre 6,7 Novembre 1,1 Dicembre -2,9 * Dati a °C

Collegamenti aerei Gli aeroporti più vicini sono a Innsbruck (ca. 85 km), a Bolzano (ca. 40 km) e a Verona Villafranca (ca. 190 km). Durante tutto l’anno trasferimenti in pullman dagli aeroporti low cost di Bergamo, Verona e Innsbruck a partire da 25 €. www.valleisarco.com

Come arrivare in auto Venendo da sud, imboccando l’autostrada del Brennero in direzione Verona-Bolzano, si arriva (uscita Chiusa, Bressanone Nord/ Val Pusteria, Vipiteno e Brennero) direttamente nella regione turistica della Valle Isarco. Come arrivare in treno Fermate per tutti i treni IC e EC nelle stazioni di Bressanone, Fortezza e Brennero nonché, per i treni regionali, nelle stazioni di Ponte Gardena, Chiusa e Vipiteno. Servizi navetta collegano poi ogni ora o più volte al giorno, a seconda della località di destinazione, le stazioni di arrivo con le località turistiche prescelte. www.sii.bz.it

Mobilcard La Mobilcard Alto Adige dà la possibilità di viaggiare con tutti i mezzi pubblici locali e anche con qualche funivia in tutto l’Alto Adige per scoprire anche le vallate più remote. La Mobilcard è disponibile nelle associazioni turistiche della Val Isarco. www.mobilcard.info

Distanza ed ore di viaggio da/a Bressanone » Verona 190 km ca. 2,0 h » Milano 330 km ca. 3,5 h » Venezia 310 km ca. 3,5 h » Torino 380 km ca. 5,0 h » Firenze 380 km ca. 4,5 h » Roma 700 km ca. 6,5 h

Passo Rombo

VIPITENO SS12

SS40

CHIUSA

SS244

SS38

Tubre

BOLZANO

86 | viae 2017

SS51

A22

SS12

Editore Valle Isarco Marketing Bastioni Maggiori, 26A, 39042 Bressanone tel. +39 0472 802 232, info@valleisarco.com www.valleisarco.com

LIENZ

Passo Monte Croce

Passo Stelvio

N 10

SS49

MEBO

SS38

km 0

BRUNICO BRESSANONE

SILANDRO

Responsabile per i contenuti Willy Vontavon (willy.vontavon@brixmedia.it)

A

SS621

Passo Giovo

MERANO

Colophon viae – Valle Isarco - Valle dei percorsi Iscrizione al Tribunale Bolzano No 02/2002 del 30/01/2002

SALISBURGO VIENNA

Brennero

Passo Resia

CH

Contatto Valle Isarco Marketing Bastioni Maggiori, 26A I-39042 Bressanone (BZ) - ALTO ADIGE tel. +39 0472 802 232 fax +39 0472 801 315 info@valleisarco.com www.valleisarco.com

MAX. 5,5 9,1 14,5 18,6 23,0 26,7 29,0 28,4 24,4 18,2 10,8 5,9

AMBURGO BERLINO FRANCOFORTE MONACO KUFSTEIN INNSBRUCK

STOCCARDA

KEMPTEN ZURIGO BREGENZ LANDECK

20

TRENTO VERONA MILANO VENEZIA MODENA ROMA

Passo Sella Passo Costalunga

Uscita autostradale

Tiratura 2.000 in italiano e 5.000 in tedesco

Design e grafica Tini Schwazer, Brixmedia Srl (www.brixmedia.it)

Redazione Brixmedia Srl (www.brixmedia.it)

Copertina Alex Filz

Traduzioni Uta Radakovich

Stampa Artprint srl, Bressanone

Progetto e redazione fotografica Oskar Zingerle, Brixmedia Srl (www.brixmedia.it)

CORTINA VENEZIA

www.fsc.org


Das Plose Mineralwasser entspringt im Hochgebirge des Plose Berges auf 1.870 m nahe dem Naturschutzgebiet Puez in den Südtiroler Dolomiten mit einem Trockenrückstand von nur 22 mg/l. Die sehr leichte Mineralisierung, kombiniert mit einem idealen pH-Wert und einem hohen Anteil an natürlichem Sauerstoff, macht Plose ideal für den Genuss von traditionsreichen und internationalen Gerichten.

Dalle Dolomiti dell’Alto Adige, patrimonio naturale dell’umanità, nasce un vero gioiello della natura: Acqua Plose. Grazie al residuo fisso di soli 22 mg/l, all’alto contenuto di ossigeno e al pH 6,6 identico a quello dell’acqua intracellulare, Acqua Plose offre il gusto cristallino della leggerezza, abbinandosi perfettamente ai migliori piatti della cucina tradizionale e internazionale.

100% BIO - ORGANIC FRUIT JUICE

www.acquaplose.com



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