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Un’intesa creativa

Due icone dell’arte contemporanea. Tanto diversi nella loro effige - l’esile figura tormentata dalla capigliatura metallica contro la spregiudicatezza black dell’angelo ribelle, l’uno figlio di emigrati cecoslovacchi, l’altro di origini afro-caraibiche - quanto distanti per estetica, stile e metodo di lavoro. Cerebrale e costruita la pittura di Andy, impulsiva e provocatoria quella di Jean-Michel. Quando a inizio anni Ottanta le loro traiettorie si incrociano, il padre della pop art, a 54 anni, rappresentava l’epicentro della scena creativa newyorkese, con la sua ambigua celebrazione della cultura di massa, mentre l’irrequieto graffitista ventunenne guardava a quel mondo dai margini della sua controcultura incandescente.

Dal loro incontro sarebbero nate nel corso di due anni 160 opere: tele, spesso di dimensioni monumentali, dove i rispettivi linguaggi espressivi, così singolari, stabiliscono una simbiosi che è molto più della giustapposizione delle rispettive identità. Una catalisi. Opere che hanno però avuto bisogno di tempo - foriero di interesse, oltre che artistico, commerciale - affinché venissero apprezzate in tutto il loro valore. In questi mesi sono al centro di una mostra spettacolare che, di attenzione, ne sta riscuotendo a ogni latitudine: la Fondation Louis Vuitton di Bernard Arnault ha messo a segno un altro coup majeur, fissando un appuntamento imperdibile del calendario espositivo del 2023. In programma fino al 28 agosto in quel di Parigi, partirà poi alla volta di New York per la seconda tappa alla Brandt Foundation, coproduttrice, da ottobre.

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Lo spunto per scriverne non lo offre soltanto il successo e l’indiscutibile im- portanza dell’evento, ma un dettaglio di non poco conto: all’origine della collaborazione tra i due titani è stata l’intuizione di uno zurighese, Bruno Bischofberger, classe 1940, titolare dell’omonima Galleria che all’epoca rappresentava entrambi. Per quanto Basquiat avesse tentato di introdursi nell’ambiente della Factory e nutrisse una profonda ammirazione per Warhol, quest’ultimo lo guardava con distacco. Bischofberger aveva presentito come dall’incontro fra le loro sensibilità potesse scaturire una svolta per entrambi, in un momento in cui la carriera di Warhol, offuscata dall’eccesso di produzioni meccaniche, aveva bisogno di nuovi stimoli, quanto l’arte di Basquiat cercava nutrimento, proprio mentre il graffitismo dei suoi lavori monocromatici incominciava a incendiarsi dei colori di una pittura viscerale. L’iniziativa del gallerista di Zu-

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