JOHN BELL IL SIGNORE DEGLI
ENIGMI
traduzione di Marco Regali Nai
Titolo Originale: A Master Of Mysteries
1898 © L. T. Meade – Robert Eustace
2019 © traduzione Marco Regali Nai Ilustrazione di copertina: J.
Ambrose Walton
2019 Lulu Morrisville, NC United States
INTRODUZIONE
E' successo che le circostanze della vita mi abbiano permesso di seguire le mie inclinazioni naturali nella scelta della professione. Fin dalla mia prima giovinezza il mistero ha sempre avuto un fascino incredibile su di me. Disponendo di sufficienti risorse personali, ho deciso di seguire le mie inclinazioni particolari e ora da tutti gli amici sono conosciuto come un cacciatore di fantasmi professionista, qualcuno in grado di risolvere i misteri delle case infestate. Fino ad ora non ho mai avuto motivo di rimpiangere la mia scelta, ma allo stesso tempo non posso che consigliare vivamente chiunque voglia seguire il mio esempio di pensarci bene prima d'impegnarsi in un lavoro che implica tempo, spese, sforzo ingrato, derisione e non di rado un grande pericolo personale. Spiegare, con l'applicazione della scienza, i fenomeni attribuiti all'opera degli spiriti è sempre stato il lavoro della mia vita. Naturalmente ho avuto a che fare con insolite difficoltà nel portare a termine la mia missione. Mi propongo
in queste pagine di riferire le storie di certi bizzarri avvenimenti, dapprima avvolti nel mistero, e in apparenza carichi di oscuri presagi, ma tuttavia, una volta colto il vero spirito della scienza, spiegabili in modo razionale.
IL MISTERO DELLA CAMERA CIRCOLARE
Un giorno di fine settembre ricevetti la seguente lettera dal mio avvocato:
“Mio caro Bell, Le sarei grato se potesse passare da me domattina alle dieci per una questione estremamente delicata.”
All'ora stabilita fui introdotto nella stanza privata del signor Edgcombe. Lo conoscevo da anni, eravamo in effetti vecchi amici, e restai sorpreso nel vedere la preoccupazione, per non dire l'ansia, su quel suo volto solitamente sereno.
“Bell, lei è l'uomo che fa al mio caso”, disse. “Si segga, ho una cosa importante da dirle. C'è un mistero davvero serio che mi auguro lei possa risolvere per me. Riguarda una casa che si dice sia infestata.”
Nel parlarmi teneva i suoi occhi vivaci fissi su di me. Io stavo seduto in silenzio, aspettando che continuasse.
“In primo luogo”, riprese a dire, “devo chiederle di trattare la questione in via confidenziale”.
“Certamente”, risposi.
“Lei lo sa”, continuò, “che spesso ho riso del suo hobby particolare, ma ieri mi è venuto in mente che la sua esperienza in proposito può essere un prezioso aiuto in questo guaio”.
“Farò del mio meglio, Edgcombe”, risposi. Si accomodò in poltrona, intrecciando le mani.
“Brevemente, il caso è il seguente”, cominciò a dire. “Riguarda la famiglia Wentworth. Il loro unico figlio, Archibald, l'artista, è appena morto in circostanze straordinarie. Come probabilmente sa, era uno dei più promettenti acquarellisti dell'ultima generazione e i suoi dipinti esposti quest'anno in Accademia hanno incontrato il plauso di tutti. Era l'erede dell'intero patrimonio dei Wentworth e la sua morte ha indotto un membro di un ramo collaterale della famiglia a rivendicare tutto il denaro per sé. Questo tipo ha passato gran parte della sua vita in Australia, non è messo bene ed è chiaramente un tizio litigioso. E' passato da me due o tre volte e devo onestamente dire che il suo aspetto non mi piace affatto”.
“Ma c'entra qualcosa con la sua morte?”, lo interruppi. “Nient'affatto, come presto potrà capire. Wentworth era abituato ad andare in giro da solo di tanto in tanto per trovare scorci da disegnare in varie parti del paese. Girava a piedi, visitando angoli particolari e fuori mano, in cerca di nuovi soggetti. Non aveva mai molto denaro con sé, da come viaggiava sembrava un povero. Un mese fa se n'è andato per uno dei suoi giri solitari. Aveva ottenuto una bella commissione da Barlow & Co., i commercianti d'arte dello Strand. Doveva dipingere alcuni scorci del fiume Merran; e sebbene non avesse di certo bisogno di soldi, sembrava contento di avere un pretesto per andare un po' in giro. Quando ha salutato i familiari stava bene ed era di buon umore, e di tanto in tanto scriveva a casa. Ma una settimana fa sono stati avvertiti che il loro figlio era improvvisamente morto in una locanda sul Merran. Ci sono state naturalmente un'inchiesta e l'autopsia. I Wentworth hanno telegrafato al loro medico di fiducia, il dottor Miles Gordon, e questi ha presenziato all'esame post-mortem. Il dottore è rimasto assolutamente perplesso nel trovare una spiegazione alla morte. L'esame medico ha rivelato che Wentworth era apparentemente in perfetta salute al momento del decesso. Non si è scoperta alcuna lesione su cui poter basare una diversa opinione, tutti gli organi sono risultati sani. Così come non c'era alcuna traccia di veleno, né segni di violenza. Il verdetto del coroner è che Wentworth sia morto di sincope, il che, come forse lei sa, è un po' come dire causa sconosciuta. La locanda in cui è morto è in un luogo molto solitario e ha la fama di essere infestata. Il padrone di
casa sembra che abbia un brutto carattere, anche se non è mai stato dimostrato nulla contro di lui. Però alla locanda vive una ragazza la cui testimonianza dapprincipio ha fatto trasalire un po' tutti. Durante l'istruttoria ha dichiarato di aver fermamente messo in guardia
Wentworth dal dormire nella stanza stregata. Aveva appena detto questa cosa al coroner quando è crollata a terra in preda ad un attacco epilettico. Quando è tornata in sé era cupa e silenziosa, e da lei non si è più riusciti a sapere altro. Il vecchio, il locandiere, ha spiegato che la ragazza è un po' scimunita, ma non ha nemmeno cercato di negare che l'abitazione abbia fama di essere infestata, dicendo di essere stato lui stesso a pregare Wentworth di non chiedervi alloggio. Beh, questa è un po' tutta la storia. L'inchiesta del coroner sembra negare la possibilità di un crimine violento, ma personalmente ho dei fortissimi sospetti. Quello che voglio che lei faccia è accertare la fondatezza dei miei sospetti. Si occuperà del caso?”
“Lo farò senz'altro”, risposi. “Le chiedo solo di fornirmi tutti i dettagli e un documento scritto per poter dimostrare, in caso di necessità, che agisco per conto vostro”.
Edgcombe acconsentì e subito dopo mi congedai. Il caso aveva tutte le caratteristiche di un problema interessante e mi augurai di poterlo risolvere.
Quella sera feci accuratamente i miei piani. Mi sarei recato nel ...shire la mattina seguente sul presto, fingendo di essere un fotografo dilettante. Avendo ottenuto tutti i dettagli da Edgcombe feci una scupolosa mappa mentale delle mie operazioni. Prima di tutto avrei visitato un piccolo villaggio chiamato Harkhurst, prendendo alloggio alla locanda, The Crown And Thistle. Qui è dove Wentworth aveva trascorso un paio di settimane dopo aver accettato l'incarico di fare vari dipinti del fiume Merran. Pensavo verosimilmente di poter ricavare qualche informazione. Le circostanze avrebbero guidato i miei passi successivi, ma la mia intenzione era quella di spostarmi poi da Harkhurst fino al Castle Inn, che si trova a circa sei miglia
risalendo il fiume. Era questa la locanda dove si era verificata la tragedia.
Il giorno seguente, verso sera, arrivai ad Harkhurst. Quando la mia carrozza si fermò davanti al Crown And Thistle, l'affittacamere stava in piedi sulla soglia. Era una signora dall'aspetto prosperoso, con un viso gentile. Chiesi se avevano un letto.
“Certamente, signore”, rispose. Mi fece accomodare nella piccola locanda e, guidandomi di sopra, mi mostrò una cameretta abbastanza pulita e confortevole che dava sul cortile. Dissi che andava benissimo, così lei scese di corsa giù a prepararmi la cena. Dopo questo pasto, che si dimostrò eccellente, decisi di spostarmi al bar per parlare col proprietario. Lo trovai molto ciarliero e comunicativo.
“Questo è un posto solitario”, disse. “Non capita spesso che qualcuno si fermi da noi per un mese intero”. Mentre parlava si diresse verso la porta ed io gli andai dietro. Le ombre della notte cominciavano a calare, ma la bellezza pittoresca di quel piccolo borgo non poteva che incontrare il mio apprezzamento.
“Eppure è un bellissimo posto”, dissi. “Avrei detto che i turisti qui si sarebbero accalcati. Perlomeno è un posto ideale per i fotografi”.
“Ha ragione, signore”, rispose l'uomo, “e anche se non abbiamo spesso clienti alla locanda, di tanto in tanto capita un artista randagio. Non saranno nemmeno tre settimane che abbiamo avuto un gentiluomo come lei, signore, solo un po' più giovane, e si è fermato qui una settimana o due. Era un artista, disegnava da mattina a sera...ah, poverino!”.
“Perché dice così?”, chiesi.
“Ne ho ben donde, signore...Moglie, vieni qua”, continuò il locandiere rivolto alla signora Johnson, l'affittacamere, che a quel punto si palesò. “Questo signore mi ha chiesto qualcosa del nostro cliente, il signor Wentworth, ma forse non dovremmo affliggerlo con una storia così triste stasera”.
“La prego”, dissi, “quanto mi ha accennato suscita la mia curiosità. Perché compatite il signor Wentworth?”
“E' morto, signore”, disse la donna in tono solenne. Io assunsi un'espressione di finto stupore, così lei riprese a parlare: “ed è tutta colpa sua. Oddio, mi viene quasi da piangere a pensarci. Era il gentiluomo più ammodo che abbia mai visto. E poi così vigoroso, cordiale, piacevole...Insomma, è andato tutto bene fino a quando mi ha detto che era in partenza e che sarebbe andato in un posto chiamato Castle Inn, più su lungo il corso del Merran...Castle Inn?, gridai, no signor Wentworth, non ci vada se ci tiene alla vita”.
“Perché no?”, mi chiese guardandomi con quegli occhi azzurri così pieni di entusiasmo come non ne avevo mai visti. “Perché non dovrei andare al Castle Inn? Ho ricevuto l'incarico di fare alcuni disegni dell'ansa del fiume proprio in quel punto”.
“Se le cose stanno così”, gli dissi, “può prendere un calesse dei nostri e andarci tutte le volte che vuole, ma il Castle Inn non è un posto dove un cristiano dovrebbe alloggiare”.
“Cosa intende?”, mi chiese. “Si dice che sia un luogo infestato, signore, e quello che succede in quella casa lo sa solo Dio, ma sono anni che nessuno ci mette piede, da quando il signor Holt, l'ufficiale giudiziario, vi trovò la morte”.
“Trovò la morte?”, mi chiese. “E com'è successo?” “Dio solo lo sa, io no”, gli risposi. “Il coroner disse che era morto per una sincope, qualunque cosa significhi, ma la gente del posto ha sempre sostenuto che si trattava di qualcosa di spaventoso”. Il signor Wentworth si mise a ridere. Non credette a una sola parola e il giorno dopo se ne andò, con tutti i suoi bagagli”.
“E poi che è successo?”, le chiesi, vedendo che si era interrotta.
“Che è successo? Proprio quello che mi aspettavo. Due giorni dopo si è saputo della sua morte. Povero giovane! E' morto nella stessa stanza in cui anche il signor Holt aveva esalato il suo ultimo
respiro...Oh, e se c'è stato un gran putiferio a riguardo è perché si è scoperto che non era così povero come sembrava, uno senza soldi o quasi, ma anzi, veniva da una famiglia ricca, con un gran bel patrimonio. E naturalmente c'è stata l'inchiesta del coroner e tutto il resto. Dei dottori importanti sono venuti da Londra e hanno mandato a chiamare persino il nostro dottor Stanmore, quello che abita in fondo alla strada. Ma anche se hanno fatto di tutto e, per così dire, lo hanno passato al microscopio, non sono riusciti a stabilire la causa del decesso, e così se ne sono venuti fuori con la storia della sincope, proprio come nel caso del povero signor Holt. Ma non è così. E' morto di spavento, puro spavento. Quel posto è infestato. E' una casa misteriosa, agghiacciante. E spero proprio che lei non voglia avercene a che fare”.
Dopo aver aggiunto qualche altra parola se ne andò. “E' una storia alquanto strana”, dissi rivolgendomi al signor Johnson. “Sua moglie ha acceso la mia curiosità, vorrei saperne di più a riguardo”.
“Non mi pare ci sia nient'altro da dire, signore. E' vero quanto dice mia moglie, il Castle Inn ha una brutta fama. Questi non sono stati né il primo né il secondo caso di morte che si sono verificati in quel posto”.
“Avete nominato il medico del villaggio. Lei pensa che potrebbe illuminarmi in proposito?”
“Sono certo che farà il possibile. Lo può trovare nella casa rossa, a soli sei caseggiati da qui. Se vuole vada a parlargli”.
“E' sicuro che non la considererà una libertà eccessiva da parte mia?”
“No di certo. Sarà solo felice di scambiare una parola con qualcuno che viene da fuori di questo angolo assonnato”.
“Allora andrò a trovarlo”, dissi e, preso il cappello, m'incamminai per strada. Fortuna volle che trovai il dottor Stanmore in casa e, appena lo guardai in faccia, decisi che gli avrei confidato il mio segreto.
“In verità”, gli dissi mentre ci stringevamo le mani, “Non mi sarei sognato di prendermi tanta libertà se non fossi certo che lei possa aiutarmi”.
“E in che modo?”, mi chiese, non freddamente, bensì con sguardo acuto, indagatore, interessato.
“Mi mandano da Londra, per indagare sul mistero Wentworth”, dissi. “Davvero?”, disse con un sussulto. Poi riprese a parlare in tono grave: “Temo per lei che sia una ricerca inutile. Non è venuto fuori niente dall'autopsia che possa spiegare la causa della morte. Non c'erano segni sul corpo, tutti gli organi erano sani. Ho visto spesse volte Wentworth quand'era qui ed era un giovane forte e vigoroso come non ne avevo mai visti prima”.
“Ma il Castle Inn ha una cattiva fama”, dissi.
“E' vero. La gente di qui ne ha paura. Si dice sia una casa stregata. Ma, veramente, né io né lei siamo persone che devono preoccuparsi di simili scempiaggini. Il vecchio Bindloss, il proprietario, ci vive da anni e non c'è mai stata alcuna prova contro di lui”.
“Sta lì da solo?”
“No, con lui abita la moglie e una nipote”.
“La nipote? Non è la ragazza che ha fornito una testimonianza sorprendente all'inchiesta?”
“Niente che abbia portato a qualche risultato. Ha solo ripetuto quanto Bindloss aveva già detto, cioè che la casa era infestata e che aveva chiesto a Wentworth di non dormire in quella stanza”.
“Non si è mai fatto nulla per spiegare il motivo per cui questa stanza sarebbe infestata?”, chiesi.
“Non che io sappia. Probabilmente la causa sono i topi”. “Ma non ci sono stati altri decessi in quella casa?” “Vero”.
“Quanti?”
“Io stesso ho assistito a non meno di tre inchieste simili”. “E qual è stato il verdetto della giuria?”
“In ogni caso il verdetto è stato morte per sincope”. “Il che significa causa sconosciuta”, dissi saltando impazientemente in piedi. “Mi chiedo, dottor Stanmore, se lei è soddisfatto di lasciar perdere la questione in questo modo”.
“E, sentiamo, che potrei fare? Mi è stato chiesto di esaminare un corpo. Trovo tutti gli organi in perfetta salute. Non riesco a rintracciare nessun segno di violenza né rilevare presenza di veleno. Francamente, quali altre prove posso fornire?”
“Posso solo dire che io non sarei soddisfatto”, risposi. “Desidero
aggiungere che sono venuto da Londra deciso a risolvere questo mistero e che alloggerò al Castle Inn”. “E...?”, disse Stanmore. “E dormirò nella stanza stregata”. “Naturalmente lei non crede ai fantasmi”.
“No, credo piuttosto che si tratti di omicidio...A questo punto, è disposto ad aiutarmi, dottor Stanmore?”
“Certo che sì, se posso. Cosa vuole che faccia?”
“Questo...Andrò al Castle Inn domani. Se entro tre giorni non sono di ritorno verrete a cercarmi. Nel frattempo, può spedire questa lettera al mio avvocato londinese, il signor Edgcombe?”
“Se non la vedo entro tre giorni solleverò un polverone che non finisce più”, disse il dottor Stanmore, “E naturalmente spedirò la sua lettera”.
Subito dopo ci stringemmo le mani e mi congedai. Il giorno seguente, dopo un pasto mattutino, mi congedai dal buon locandiere e da sua moglie, e con lo zaino e la macchina fotografica in spalla mi misi in viaggio. Mi premurai di non dire a nessuno che mi stavo recando al Castle Inn, e a questo scopo ripercorsi all'indietro il mio cammino nel bosco, per poi mettermi sulla giusta strada. Il sole stava quasi tramontando quando finalmente mi trovai davanti un logoro cartello sul quale, in caratteri mezzo cancellati, potei leggere
“per Castle Inn”. Mi trovai all'imbocco di un minuscolo sentiero, evidentemente poco frequentato vista la rigogliosa presenza di erbacce. Da dove mi trovavo non riuscivo a scorgere nessuna abitazione, ma proprio in quel momento udii una risata sommessa e piuttosto incomprensibile. Mi girai di scatto e vidi una bella ragazza, dagli occhi luminosi e lo sguardo infantile, che mi fissava con interesse. Avevo pochi dubbi che si trattasse della nipote del vecchio Bindloss.
“Può dirmi gentilmente se è questa la strada per Castle Inn?”, chiesi. La mia domanda evidentemente la spaventò. Fece un salto verso di me, mi afferrò la mano, cercando di spingermi via dall'imbocco del sentiero e farmi tornare sulla strada principale.
“Se ne vada!”, gridò. “Alla locanda non abbiamo stanze adatte ai gentiluomini...Via! Vada via!”, continuava a ripetere mentre m'indicava la strada. Aveva gli occhi in fiamme, ma notai che le tremavano le labbra ed era quasi sul punto di piangere.
“Ma sono stanco e ho i piedi a pezzi”, le dissi. “Vorrei fermarmi alla locanda per la notte”.
“Non lo faccia!”, insisteva lei. “La metteranno nella camera del fantasma. Non vada, non è posto per gentiluomini”. A questo punto, invece di scoppiare in lacrime, cominciò a ridere in maniera stridula e sgradevole, quasi da idiota.
All'improvviso si batté una mano in fronte e, giratasi, volò via veloce come il vento giù per l'angusto sentiero, fino a sparire dalla mia vista.
Mi misi a seguirla con passo rapido. Non credevo affatto che la ragazza fosse così pazza come sembrava, anzi, non avevo dubbi che si sentisse un gran peso addosso.
Alla successiva curva vidi la locanda. Era una dimora cadente, dall'aspetto insolito. Mi fermai un attimo ad osservarla.
La casa era interamente costruita in pietra. Nella parte centrale, di forma quadrata, c'erano due piani, mentre ai quattro angoli si ergevano altrettante torri circolari. La struttura era stata edificata esattamente sul fiume e proprio al di sotto di un'ampia gora. Giunto alla porta bussai col mio bastone. Era tutto chiuso ed aveva un aspetto inospitale, come il resto del luogo. Dopo una certa attesa si aprì uno spiraglio nella porta e vi fece capolino il viso arcigno di una vecchia. “E lei cosa vuole?”, mi chiese.
“Un letto per la notte”, risposi. “Potete alloggiarmi?” La donna guardò sospettosamente prima me e poi la mia macchina fotografica.
“Lei è un artista, non c'è dubbio”, disse, “e da noi non ne vogliamo più”.
Stava per sbattermi la porta in faccia ma misi un piede in mezzo.
“Mi accontento di poco”, dissi. “Possibile che non possiate darmi un giaciglio per la notte?”
“Le conviene non aver nulla a che fare con noi...Vada ad Harkhurst, troverà un alloggio al Crown And Thistle”.
“Vengo da lì”, risposi. “E in verità non sono in grado di fare altra strada”.
“Non vogliamo ospiti al Castle Inn”, insistette lei. A quel punto allungò il collo e mi guardò in faccia. “Farebbe meglio ad andarsene. Lo dicono tutti che questo posto è infestato”. Scoppiai a ridere.
“Non si aspetterà che io ci creda”, dissi. Lei mi squadrò dalla testa ai
piedi. Aveva uno sguardo sinistramente serio. “Farebbe meglio a saperlo, signore...Succede qualcosa di strano in questa casa e non c'è anima viva che sappia dire di che si tratta, perché quelli che hanno visto non sono sopravvissuti per poter raccontare le cose.
Non più di una settimana fa è arrivato qui un giovane gentiluomo.
Era come lei, signore, presuntuoso ed impudente e anche lui voleva una stanza e non avrebbe accettato un rifiuto. Gli dissi chiaramente, come fece anche mio marito, che questo posto è stregato. Non gliene importava, come non importa a lei, signore. Beh, ha dormito nell'unica stanza che possiamo dare agli ospiti ed è lì che è...che è morto”.
“E di cosa è morto?”, chiesi.
“Paura”, fu la sua risposta, breve e laconica. “Ora, vuole sempre alloggiare qui, signore?”
“Certo. Non credo ai fantasmi, io. Voglio quel letto e mi ostino a chiedervelo”.
La donna spalancò la porta.
“Non dica che non l'ho avvertita”, berciò. “Prego, entri, se proprio vuole”. Mi condusse in cucina dove un fuoco ardeva sinistramente nel camino.
“Si accomodi, vi mando subito Bindloss”, disse. “Posso solo assicurarle che le darò quella stanza se anche lui è d'accordo...Liz, vieni un po' qua”.
Si udì un passo rapido e scattante in corridoio e fece il suo ingresso quella bella ragazza che avevo incontrato sul sentiero. Il suo sguardo incontrò il mio, mosse le labbra come per dire qualcosa, ma non vi uscì alcun suono.
“Vai a cercare il nonno”, disse la vecchia. “Digli che qui c'è un signore che vuole una stanza. Chiedigli cosa dobbiamo fare”. La ragazza mi lanciò un lungo sguardo indagatore, poi girò sui tacchi ed uscì dalla stanza. Non appena se n'era andata, la vecchia si fece avanti e mi guardò incuriosita.
“Mi spiace che lei voglia restare”, disse. “Non dimentichi che io l'avevo avvertita...Sappia che questa non è una vera e propria locanda. Una volta qui c'era un mulino, ma ben prima che arrivassimo noi. All'inizio i signori venivano qui in estate e si fermavano per pescare, ma poi si è sparsa la storia del fantasma e
non è più venuto nessuno, soltanto qualche tipo strampalato di tanto in tanto, ma nessuno è ben accetto...nessuno...vede, ci sono state tre morti qui. Già”. Alzò la sua mano ossuta e prese a contare sulle dite. “Sì, per ora tre...e questo è tutto. Ah, ecco che arriva Bindloss”. Si udì un passo strascicato in corridoio, ed un vecchio, piegato dall'età e con una lunga barba bianca, fece il suo ingresso.
“Non abbiamo stanze per forestieri”, disse, parlando con tono alto ed aggressivo. “Non ve l'ha detto mia moglie? Non ci sono letti qui”.
“Se così fosse, allora non dovrebbe esserci quell'insegna alla fine del sentiero”, replicai. “Non sono nelle condizioni di fare altri quindici chilometri per trovare un riparo in un luogo a me sconosciuto. Non potete alloggiarmi in qualche modo?”
“Sam, ho raccontato tutto al signore”, disse la moglie. “E' in tutto e per tutto simile al giovane signor Wentworth, e non è spaventato neanche un po'”.
Il vecchio locandiere venne a piazzarsi proprio di fronte a me. “Mi stia a sentire”, disse. “Lei può rimanere ma a suo rischio e pericolo. Io non voglio che lei resti e nemmeno mia moglie lo vuole. Ora: è un sì o un no?”
“E' un sì”, dissi.
“Abbiamo solo una stanza dove può dormire”.
“Una stanza è sufficiente”.
“E' la stessa in cui è morto il signor Wentworth. Non farebbe meglio a prendere le sue cose e andarsene?”
“No, mi fermo”.
“Allora non c'è altro da dire”.
“Di corsa, Liz”, disse la donna. “E accendi il fuoco in salotto”.
La ragazza uscì dalla cucina, e la donna, presa una candela, disse che mi avrebbe accompagnato nella mia stanza. Mi condusse per un lungo e stretto corridoio, quindi, aperta la porta e scesi due gradini, misi piede nella camera più sorprendente che avessi mai visto. Le pareti erano perfettamente circolari, tappezzate con una carta dai disegni grotteschi. Nel mezzo della stanza, priva di tappeti, spiccava un piccolo letto in ferro con uno stuoino ai piedi. Un lavabo dozzinale, un paio di sedie e un tavolino con uno specchio sfocato stavano contro il muro, al di sotto di una profonda feritoia, davanti alla finestra. Si trattava evidentemente di una stanza in una delle
torri circolari. Non avevo mai visto un alloggio meno confortevole.
“La cena sarà subito servita”, disse la donna e, appoggiata la candela sul tavolino, uscì.
Il posto era freddo e umido e la fiamma della candela tremolava facendo colare il sego da una parte. Non c'era il caminetto nella stanza e, in alto, le pareti convergevano in un punto, dando a quel luogo l'aspetto di un enorme estintore. Feci una frettolosa e necessariamente limitata toilette, quindi andai nel salotto. Stavo in piedi accanto al fuoco, che bruciava miseramente, quando si aprì la porta ed entrò la ragazza, Liz, con un vassoio in mano. Dopo averlo appoggiato sul tavolo si avvicinò in silenzio.
“Solo i pazzi vengono qui”, disse, “e lei è uno di loro”.
“Per cortesia, mi lasci cenare e tenga la bocca chiusa”, le risposi.
“Sono stanco e affamato e voglio andare a letto.
Liz rimase perfettamente immobile per un istante. “Non ne vale la pena”, disse, quindi, con voce meditativa, “no, non ne vale la pena. Non dirò altro. La gente non vuole essere messa in guardia”.
La voce della nonna che la chiamava la costrinse a lasciare la stanza.
La cena si rivelò migliore di quanto mi aspettassi e, una volta terminata, andai in cucina, ansioso di parlare nuovamente con il vecchio. Se ne stava seduto da solo accanto al fuoco, con un grosso mastino accucciato ai piedi.
“Può dirmi perché si dice che la casa sia infestata?”, chiesi all'improvviso, chinandomi verso di lui.
“Come faccio a saperlo?”, berciò raucamente. “Io e mia moglie stiamo qui da vent'anni e non abbiamo mai visto o sentito nulla, ma la gente dice che in questa casa si muore. Fatalmente è qualcosa di spiacevole, perché arrivano i dottori ed il coroner e poi si fa un'inchiesta e si solleva un polverone. La gente qui muore, anche se nessuno li ha toccati con un dito, i medici non sanno dire di cosa sono morti, però sono morti. Guardi, è inutile dire altro. Lei è qui e magari passerà una notte senza problemi”.
“Andrò subito a letto”, dissi. “Ma vorrei qualche altra candela. Me ne può procurare?”
L'uomo si voltò a guardare la moglie, che in quel momento entrava in cucina. La donna andò verso la credenza, aprì una scatola di
legno e, dopo aver tirato fuori tre o quattro candele di sego, me le mise in mano.
Mi alzai, simulando uno sbadiglio. “Buona notte, signore”, disse il vecchio. “Buona notte e tanti auguri”. Un attimo dopo ero nella mia camera da letto e, una volta chiusa la porta, procedetti ad esaminarla attentamente. Per quanto potei capire non c'era un altro ingresso nella stanza all'infuori della porta, che era stata progettata per adattarsi alle pareti circolari. Notai però che c'era uno spiffero inspiegabile e alla fine scoprii che veniva da sotto la pannellatura in quercia che rivestiva le pareti. Non potevo in ogni modo pensare allo spiffero, ma c'era e anche in misura sgradevole. Il letto, come constatai in seguito, era alquanto particolare; non c'erano le rotelline alla base delle quattro gambe, che erano state abbassate di circa un centimetro e mezzo e si infilavano a delle piccole cavità presenti nel pavimento in legno. Questa scoperta ravvivò ulteriormente i miei sospetti. Era evidente che il letto doveva restare fisso in una determinata posizione.
Osservai che si trovava proprio di fronte alla finestrella incassata nello spessore del muro, in modo che chiunque fosse a letto guardasse direttamente in quella direzione. Diedi uno sguardo all'orologio, vidi che erano le undici passate, e dopo aver posato un paio di candele su un tavolino accanto al letto, mi coricai senza spogliarmi. Restai in campana per poter cogliere il minimo rumore, ma le ore passarono e non accadde nulla. Nella casa tutto era silenzio e fuori sentivo distintamente l'energico sciabordio dell'acqua che ricadeva sulla ruota del mulino.
Restai sveglio tutta la notte, ma mentre il giorno albeggiava caddi in un sonno inquieto. Mi risvegliai vedendo la piena luce del giorno che filtrava dalla finestrella.
Feci una rapida toilette, uscii a fare quattro passi, e poco dopo rientrai per fare colazione. La trovai già preparata in cucina, dove il vecchio stava seduto davanti al camino.
“Allora”, disse la donna, “spero che lei abbia dormito bene, signore”. Risposi di sì e capii che il vecchio Bindloss e sua moglie erano di buon umore. Dissero che se ero contento della stanza potevo restare un'altra notte alla locanda. Risposi loro che avevo intenzione di fare molte fotografie, pertanto ero grato per la loro offerta. Mentre
parlavo mi guardai intorno per vedere dove fosse Liz. Ma non c'era da nessuna parte. “Dov'è vostra nipote?”, chiesi alla vecchia.
“Starà via tutto il giorno”, fu la sua risposta. “Per Liz vedere estranei è troppo. Diventa ansiosa e poi le vengono le crisi”. “Che genere di crisi?”
“Non so come si chiamano, ma sono tremende e la indeboliscono, povera cara! Liz non dovrebbe mai agitarsi”. A questo punto Bindloss diede alla moglie uno sguardo come d'avvertimento. La donna abbassò gli occhi, andò al forno e prese a mescolare il contenuto di qualcosa in una pentola.
Quel pomeriggio mi feci prestare delle lenze da Bindloss e, presa una vecchia barca che stava attraccata in riva alla gora, finsi di andare a pesca di lucci. Il tempo era ideale per quel periodo dell'anno.
In attesa del momento giusto, attraccai la barca sull'argine del fiume e, una volta sceso, m'incamminai in direzione della ruota del mulino, sulla quale l'acqua fluiva impetuosa.
Osservando dall'argine mi resi conto che la torre in cui era situata la mia stanza doveva un tempo far parte del mulino stesso e notai anche che la muratura era relativamente recente, a dimostrazione che dovevano essere state fatte delle ristrutturazioni quando la casa venne trasformata da mulino in locanda. Mi arrampicai sul fianco della ruota, reggendomi ai raggi, che erano verdastri e scivolosi, e sbirciai attraverso le pale.
Mentre facevo la mia ispezione, una voce d'improvviso mi fece trasalire.
“Che sta facendo lì?”
Guardai in su. Il vecchio Bindloss se ne stava sull'argine ad osservarmi. Era solo ed il suo volto era contorto in una strana espressione di paura mista a rabbia. Risalii in fretta e furia e mi posi dinnanzi a lui.
“Perché sta curiosando laggiù?”, disse allungando la sua brutta faccia da vecchio verso la mia. “Pazzo! Se fosse caduto sarebbe affogato. Nessuno riuscirebbe a nuotare nella gora. E allora ci sarebbe stato un altro morto e di nuovo tutto quel cancan! Mi stia a sentire, signore, mi faccia la cortesia di andarsene, non la voglio più da queste parti”
“E' mia intenzione andarmene domattina”, risposi in tono conciliante, “e le sono davvero grato d'avermi messo in guardia a proposito del mulino”.
“Farebbe meglio a non avvicinarsi più”, disse con voce minacciosa prima di voltare le spalle in fretta e furia. Lo osservai mentre si arrampicava su per un ripido terrapieno fino a sparire dalla mia vista. Se ne andava in direzione opposta alla casa.
Approfittando della sua assenza, mi avvicinai di nuovo al mulino. Possibile che Wentworth fosse stato scaraventato contro la ruota?
Ma in questo caso ci sarebbero stati segni e lividi sul corpo. Raggiunta la ruota mi arrampicai con piglio baldanzoso. A quel punto stava scendendo il crepuscolo, ma potei scorgere che un prolungamento dell'asse penetrava nella parete della torre. Tutto il meccanismo era assolutamente in ottimo stato.
Quella sera, a cena, pensai a fondo. Percepii che Bindloss era arrabbiato e anche sospettoso ed allarmato. Mi resi chiaramente conto che l'unico modo per scoprire davvero ciò che avevano fatto a Wentworth era quello di far sì che quel vecchio ruffiano ricorresse agli stessi mezzi per sbarazzarsi di me. Era un espediente pericoloso, ma mi sentivo demoralizzato, e la situazione aveva destato intensamente la mia curiosità, così come il mio interesse.
Finita la cena mi diressi lungo il corridoio che portava in cucina. Indossavo pantofole di feltro ed i miei passi non facevano alcun rumore. Mentre mi avvicinavo alla porta udii Bindloss che diceva alla moglie: “Stava curiosando intorno alla ruota del mulino. Avrei preferito che se ne stesse alla larga”.
“Oh, ma non può scoprire un bel niente”, fu la risposta. “Stai tranquillo, Bindloss. Domattina se ne andrà”.
“Forse”, replicò il vecchio che subito dopo esplose in una sinistra e sgradevolissima risata. Io attesi un momento e poi entrai in cucina. Bindloss era rimasto da solo, curvo sul fuoco a fumare.
“Parto domani mattina presto”, dissi, “pertanto mi prepari il conto, per cortesia”. Dopodiché andai a sedermi vicino a lui, tirando la sedia davanti alla fiamma. Aveva un'aria offesa ma non disse nulla.
“I decessi che si verificano in questa casa m'incuriosiscono molto”, dissi dopo un attimo di silenzio. “Quanti ha detto che sono stati?”
“Non la riguarda”, replicò. “Lei non è mai stato il benvenuto qui, può
andarsene quando vuole”.
“Me ne andrò domattina, ma vorrei dirle qualcosa adesso”. “E cosa sarà mai?”
“Non credo a quella storia della casa infestata”.
“Oh, lei non crede, ma davvero?”...Si tolse la pipa di bocca e puntò il suo sguardo allucinato su di me con un misto di rabbia e un malcelato terrore.
“No”, e dopo una pausa dissi lentamente e con enfasi, “sono tornato al mulino, anche dopo che lei mi aveva avvertito e...” “Cosa?”, gridò, cominciando a camminare per la stanza. “Niente”, risposi. “E' solo che io non ci credo al fantasma”.
Il suo viso non solo sbiancò ma divenne livido. Lo lasciai senza aggiungere altro. Compresi che i suoi sospetti si erano di molto rafforzati dopo le mie parole. Era ciò che mi proponevo. Indurre il vecchio ruffiano a dare il peggio di sé era l'unico modo per estorcergli il segreto.
L'orrida stanza era esattamente come la sera precedente. I grotteschi disegni sulle pareti sembravano staccarsi in rilievo. In quel momento, nella mia immaginazione, sembrava che quei tratti minacciosi assumessero quasi una forma umana, per poi trasformarsi in volti mostruosi e ghignanti. Ero forse troppo avventato? Era sbagliato mettere a repentaglio la mia vita in questo modo? Mi sentivo terribilmente stanco e, per quanto fossi curioso, la mia più grande paura in quel momento cruciale era il timore che potessi addormentarmi. Da due notti quasi non chiudevo occhio, e sentivo che in qualsiasi momento, malgrado tutti i miei sforzi, avrei potuto scivolare nel sonno. Per dare a Bindloss la possibilità di portare a termine il suo piano, era necessario che mi mettessi a letto e fingessi di dormire. Nel mio attuale stato di spossatezza il pretesto del sonno si sarebbe facilmente trasformato in realtà. Seppur molto serio, dovevo comunque correre questo rischio. Senza spogliarmi mi misi a letto, coprendomi ben bene con le coperte. In mano tenevo la rivoltella. Spensi deliberatamente le candele e poi mi stesi senza più muovermi, in attesa degli eventi. La casa era tranquilla come una tomba, non si sentiva alcun rumore e piano piano i miei nervi, da eccitati com'erano, cominciarono a calmarsi. Come mi aspettavo, mi prese un'opprimente sonnolenza e, malgrado tutti gli sforzi, venni
trasportato nel paese dei sogni. Cominciai a sperare che qualsiasi apparizione dovesse manifestarsi l'avrebbe fatto subito per poterla fare finita. A poco a poco, progressivamente, avevo l'impressione di staccarmi dai pensieri del mondo reale per entrare in una strana e terribile fantasmagoria. In quello stato mi addormentai e poi sognai, sognai qualcosa di orribile. Ebbi la sensazione che stessi ballando un valzer con una donna esageratamente alta. Lei torreggiava su di me, stringendomi tra le sue braccia, poi cominciò a farmi roteare sempre più ad una velocità vertiginosa. In lontananza sentivo la musica fragorosa di un'orchestra. Roteavo sempre di più, sempre più velocemente, in una grande stanza vuota. Sentivo che stavo per perdere i sensi e le gridai di fermarsi, di lasciarmi andare. All'improvviso ci fu uno schianto tremendo. Buon Dio! Mi ritrovai sveglio ma sempre in movimento. Dov'ero? Dove stavo andando? Mi tirai su dal letto, solo per barcollare e cadere pesantemente sul pavimento. Che stava succedendo? Perché scivolavo, perché? Ero impazzito all'improvviso o mi trovavo ancora in qualche orrendo incubo? Cercai di muovermi, di alzarmi faticosamente in piedi. Poi, gradatamente, i miei sensi cominciarono a ridestarsi e mi resi conto di dove mi trovavo. Ero nella stanza circolare, la stanza in cui Wentworth era morto; ma quello che stava accadendo a me non riuscivo a metterlo a fuoco. Sapevo solo che stavo roteando ad una velocità sempre maggiore. Al chiaro della luna, che penetrava a stento dalla finestra, vidi che la porzione di pavimento con il letto avvitato sopra stava ruotando, mentre il tavolo si era rovesciato su un fianco ed era stata la sua caduta ad avermi ridestato. Non riuscivo a scorgere altri mobili nella camera. Per quale misteriosa ragione erano stati tolti? Facendo un grande sforzo strisciai al centro di questa orribile stanza e, aggrappandomi ai piedi del letto, mi tirai su con gran fatica. Da qui riuscivo a vedere il contorno della porta. Avevo preso la precauzione d'infilarmi la rivoltella in tasca ed ero certo che se qualche figura umana si fosse palesata avrei avuto la possibilità di vendere cara la pelle. Ma sicuramente l'orrore che stavo provando non era stato pensato da mente umana. Nel momento in cui il pavimento prese a ruotare in direzione della porta feci una corsa verso l'uscita, ma fui subito ributtato indietro e caddi di nuovo pesantemente. Quando mi riebbi
cercai con uno sforzo disperato di aggrapparmi ad uno degli scalini, ma invano; la testiera del letto mi investì in pieno mentre roteava, facendo perdere la presa alle mie braccia. In un altro momento penso che sarei diventato pazzo di terrore. Mi sembrava che la testa stesse per esplodere; era diventato impossibile pensare in maniera consequenziale. L'unica idea fissa in quella situazione era il violento desiderio di scappare da quell'orrido posto. Mi trascinai a fatica verso il letto e, tolte le gambe dalle prese, lo spinsi in mezzo alla stanza, lontano dal muro. Liberatomi del letto riuscii finalmente a raggiungere la porta in sicurezza. Nel momento in cui afferrai la maniglia saltai sul gradino cercando di aprire la porta. Era chiusa, chiusa a chiave dall'esterno e questo vinse ogni mio sforzo. Potevo solo stare in piedi in quel punto. Sotto di me il pavimento della stanza continuava a roteare ad una velocità tremenda. Osavo a malapena guardarlo, poiché il senso di vertigine aumentava ad ogni istante. Un attimo dopo udii distintamente un passo leggero e vidi un bagliore di luce attraverso una fessura della porta. Sentii una mano che armeggiava nella serratura , la porta si aprì lentamente verso l'esterno e scorsi il volto di Bindloss. Per un attimo non si rese conto della mia presenza, poiché ero accucciato sul gradino, e un istante dopo mi scagliai contro di lui con tutta la mia forza. Il vecchio emise un urlo di terrore. La lucerna che teneva in mano cadde e si ruppe, ma io gli avevo già stretto il collo con le mani, affondando le dita in quella sua gola magra e muscolosa.
In maniera convulsa ed eccitata lo trascinai lungo il corridoio fino ad una finestra attraverso la quale splendeva la luce della luna. A quel punto liberai la presa dalla sua gola ma gli puntai immediatamente contro la rivoltella.
“In ginocchio o sei un uomo morto!”, gridai. “Confessa ogni cosa o ti sparo al cuore”.
Il coraggio lo aveva evidentemente abbandonato, poiché cominciò a piagnucolare e lamentarsi amaramente.
“Risparmiami la vita”, gridò. “Ti dirò tutto, però risparmiami la vita”.
“Sbrigati”, dissi. “Non sono dell'umore di aver pietà. Sputa il rospo”. Restavo in ansiosa attesa d'udire il passo della moglie, ma a parte il sommesso ronzio delle macchine e lo sciabordio dell'acqua non
sentivo nulla.
“Parla!”, dissi dando una scrollata al vecchio. Le sue labbra tremavano, le parole gli uscivano incerte.
“Ha fatto tutto Wentworth”, disse ansimando.
“Wentworth? L'uomo assassinato?”, gridai.
“No, no, suo cugino. Quel farabutto è stato la maledizione della mia vita. Per effetto di quell'ultimo decesso è lui che eredita tutta la proprietà. E' lui il vero proprietario del mulino ed è lui che ha ideato il pavimento girevole. Ci sono stati dei morti, oh sì, certo, Era tutto così facile e a me facevano gola i soldi. La polizia non ha mai avuto sospetti e nemmeno i dottori. Wentworth era molto duro con me ed io ero ormai in suo potere”. A questo punto si mise a singhiozzare.
“Sono un miserabile vecchio, signore”, disse ansimando.
“E così hai ucciso le tue vittime per denaro?”, dissi afferrandolo per le spalle.
“Sì”, rispose. “E' così. L'ufficiale giudiziario aveva con sé venti sterline in oro. Nessuno ha mai saputo nulla. Le ho prese e per un po' sono riuscito a tenere a freno Wentworth”. “E che mi dici di Archibald Wentworth?”
“Quello è stato opera sua. Io ho solo preso i soldi”. “E adesso volevi sbarazzarti di me?”
“Sì, perché lei aveva dei sospetti, signore”. Mentre parlavo intravedevo alla luce spettrale della luna la vicinanza di un'altra porta. Dopo averla aperta vidi che si trattava di un piccolo sgabuzzino buio. Ci spinsi dentro il vecchio, girai la chiave nella toppa e corsi giù. Sua moglie era ancora inspiegabilmente assente. Andai ad aprire la porta d'ingresso e tutto tremante, esausto, intriso di sudore, mi ritrovai all'aria aperta. Avevo tutti i nervi scossi. In quel terribile momento non ero minimamente padrone di me stesso. Il mio unico desiderio era di battermela da quell'orrendo posto. Avevo appena raggiunto il cancelletto quando una mano, leggera come una piuma, si posò sul mio braccio. Mi voltai. La ragazza, Liz, era lì al mio fianco.
“Lei è salvo”, disse. “Grazie a Dio! Ho cercato in tutti i modi di fermare la ruota. Lo vede? Sono inzuppata fradicia...ma non ci sono riuscita. Perlomeno ho messo sotto chiave la nonna. Sta in cucina, sembra che si sia addormentata. Le ho fatto bere un bel po' di gin”.
“Ieri dove è stata per tutto il giorno?”, chiesi.
“Mi hanno rinchiusa in una stanza nell'altra torre, ma sono riuscita a sgattaiolare dalla finestra, anche se per un pelo non mi sono ammazzata. Lo sapevo che se lei fosse rimasto avrebbero agito stanotte. Grazie a Dio è salvo”.
“Ora non mi trattengo”, dissi. “Sono salvo per miracolo. Lei è una brava ragazza e le sono molto riconoscente. Un'altra volta dovrà dirmi come ha fatto a sopravvivere in tutto questo orrore”.
“Non sono forse una pazza?”, fu la sua patetica risposta. “Oh, mio Dio, quanto soffro!”...Si premette una mano sul viso, l'espressione nei suoi occhi era tremenda. Ma io non potevo fermarmi oltre a parlare con lei e me ne andai frettolosamente.
In che modo raggiunsi Harkhurst non saprei dirlo, ma alle prime ore del mattino ero lì. Andai direttamente alla casa del dottor Stanmore e, dopo averlo tirato giù dal letto, gli raccontai la mia storia.
Dopodiché andammo subito dal sovrintendente di polizia. Dopo aver nuovamente esposto la mia avvincente avventura salimmo tutti e tre su un calesse facendo ritorno a Castle Inn. Fummo sul posto un po' prima delle otto del mattino seguente. Ma come l'ufficiale di polizia si aspettava, il luogo era deserto. Bindloss non era più rinchiuso nell'oscuro bugigattolo e sia lui che la moglie, come anche Liz, erano spariti. Il dottore, il poliziotto ed io salimmo nella stanza circolare, quindi andammo giù nello scantinato e, dopo un'accurata ispezione, scoprimmo una bassa porticina, attraverso la quale entrammo quasi strisciando. Ci ritrovammo sotto una volta oscura, piena di macchinari. Ispezionammo il tutto alla luce delle lanterne, arrivando infine alla spiegazione dell'intero stratagemma. L'albero della ruota del mulino che penetrava nel muro della torre era la continuazione dell'asse di una ruota dentata verticale e, tramite un movimento di propagazione, faceva girare una grossa ruota orizzontale nella quale s'incastrava un secondo albero verticale. Quest'albero era al centro delle quattro traverse che sostenevano il pavimento della stanza in cui mi ero addormentato. Tutt'intorno al bordo circolare del pavimento era collocato un cerchio in acciaio che si trasformava in una sorta di presa circolare. Era sufficiente un tocco per mettere in moto quest'orribile marchingegno. La polizia si mise subito alla ricerca di Bindloss ed io tornai a Londra.
Quella sera, insieme ad Edgcombe, feci visita al dottor Miles Gordon. Da vecchio medico realista qual'era, restò letteralmente sbalordito quando gli narrai la mia storia. Mi spiegò che qualsiasi individuo si fosse trovato sul pavimento rotante avrebbe rischiato, per via della forza centrifuga, una fortissima congestione cerebrale. Il piano girevole, infatti, indurrebbe ad una condizione artificiale di apoplessia. Se la vittima fosse drogata o anche stesse solo dormendo pesantemente ed il pavimento cominciasse a muoversi lentamente, una forma d'insensibilità verrebbe subito indotta, portando in poco tempo al coma e alla morte; e soltanto poche ore dopo l'autopsia non rivelerebbe alcuna causa di decesso, poiché il cervello apparirebbe perfettamente in salute e con nessuna fuoriuscita di sangue.
Lasciato il dottor Gordon, Edgcombe ed io andammo a Scotland Yard e affidammo l'intera faccenda alla polizia londinese. Grazie agli indizi che avevo ottenuto quasi a costo della mia vita, arrivarono a chiudere il cerchio velocemente. Wentworth fu arrestato e, messo sotto pressione, fornì una completa confessione, anche se il vecchio Bindloss mi aveva già raccontato il succo della storia. Il padre di Wentworth era stato il proprietario del mulino, poi si era messo nei guai con la legge e aveva cambiato nome. Difatti aveva passato cinque anni ai lavori forzati, prima di andarsene in Australia dove aveva fatto fortuna. Morì quando suo figlio era un ragazzo. Il giovane ereditò tutti i vizi del padre. Visitò il mulino ed avendo una mente meccanica ideò il pavimento girevole. Trasformò il mulino in una locanda, la diede in gestione a Bindloss, uno dei suoi scagnozzi, allo scopo di assassinare, di tanto in tanto, ignari viaggiatori ed impossessarsi del loro denaro. Tuttavia finì per essere ricercato dalla polizia per falsa fatturazione, e così pensò bene di darsela a gambe. L'intera gestione della locanda restò in mano a Bindloss. Tormentato da Wentworth, che lo aveva in pugno per un grave crimine commesso anni addietro, fu egli stesso in un paio di occasioni a macchiarsi di omicidio ricorrendo alla stanza circolare. Nel frattempo si erano verificati diversi inattesi decessi nel ramo più vecchio della famiglia Wentworth ed il solo Archibald Wentworth si trovò tra suo cugino e un più che consistente patrimonio. Wentworth fece infine ritorno a Castle Inn e, con l'aiuto di
Bindloss, trovò il modo di attirare Archibald nella propria rete. Il giovane artista dormì nella stanza fatale e la sua morte ne fu la conseguenza. In questo momento Wentworth e Bindloss sono sotto processo all'Old Bailey (*)e non c'è dubbio alcuno su quello che potrà essere l'esito.
Naturalmente il mistero del fantasma di Castle Inn è stato chiarito una volta per tutte.
(*) The Old Bailey, nel centro di Londra, è l'edificio che ospita il Tribunale.
IL GUARDIANO DELLA PORTA
“Se non ci crede, può leggerlo lei stesso”, disse Allen Clinton salendo sulla scala e cercando tra i volumi del ripiano superiore.
Mi riaccomodai in poltrona. I raggi del sole al tramonto brillavano attraverso le vetrate della vecchia biblioteca, dando pennellate di rosso e di giallo alla lunga fila dei volumi rilegati in pelle nera.
“Ecco qua, Bell!”
Mi trovai tra le mani un tomo ammuffito che Allen Clinton aveva dissotterrato dopo chissà quanto tempo dal suo letargo.
“E' più o meno a metà libro”, disse ansiosamente. “Lo vedrà scritto in grossi caratteri di stampa Old English”.
Sfogliai le pagine contenenti l'albero genealogico e altri documenti d'archivio della famiglia Clinton finché arrivai a quello che stavo cercando. Riguardava la maledizione che, dal 1400, gravava su quella famiglia.leggenditaly.com Lentamente e con difficoltà decifrai le parole di questo terribile anatema.
“In questa segreta giaccia la bara, una bara priva di forma umana, ragion per cui nessun terreno consacrato potrà accoglierla. Qui ricada la maledizione sulla famiglia di voi Clinton, di generazione in generazione. Per questa ragione, ogni volta che l'anima di un primogenito lascerà il corpo essa diventerà il guardiano della porta, di giorno come di notte. Di giorno come di notte il suo spirito veglierà alla porta, tenendola chiusa fino a quando il figlio non libererà il padre dal suo compito prendendone il posto, fin quando il figlio del figlio, a sua volta, morirà. E colui che varcherà la soglia di questa segreta sarà prigioniero dell'anima che custodisce la porta, fino a quando essa non lo lascerà libero”.
“Che cosa orrenda!”, dissi, dando un'occhiata al giovane che mi osservava mentre leggevo. “Ma lei dice che questa segreta non è mai stata individuata. Io direi piuttosto che la sua esistenza è un mito e, ovviamente, la maledizione sull'anima del primogenito costretto a fare da guardiano ad una porta chiusa è un'assurdità. La materia
non soggiace alla stregoneria”.
“La cosa strana”, rispose Allen, “è che ogni altro dettaglio dell'Abbazia a cui si fa riferimento nei registri è stato identificato. Soltanto questa segreta col suo orribile contenuto non è mai stata individuata”.
Si trattava certamente di una singolare leggenda, e ammetto che mi abbia fatto una certa impressione. Immaginavo che da qualche parte avessi già sentito qualcosa di simile, ma sul momento non riuscii a ricordarmi di più.
Ero giunto a Clinton Abbey tre giorni prima per una battuta di caccia al fagiano.
Tutto questo accadeva una domenica pomeriggio. La famiglia, ad eccezione di Allen e del vecchio sir Henry, si trovava in chiesa. Sir Henry, ormai quasi ottantenne ed invalido cronico, si era ritirato nella sua stanza per il riposino pomeridiano. Il giovane Allen ed io eravamo usciti a fare una passeggiata nella tenuta e, una volta tornati a casa, la conversazione era caduta sulla storia della famiglia, toccando infine la leggenda della maledizione. In quel momento la porta della biblioteca si aprì lentamente e sir Henry, con indosso una giacca da camera in velluto nero che formava un sorprendente contrasto con la barba e i capelli di un niveo candore, fece il suo ingresso. Mi alzai dalla poltrona e, porgendogli il braccio, lo aiutai ad accomodarsi sul suo divano preferito. Il vecchio si lasciò sprofondare in quella lussuosa comodità con un sospiro, ma nel farlo il suo sguardo si posò sull'antico volume che avevo appoggiato sul tavolo accanto. Si tirò su quel tanto per prendere il libro in mano, poi si rivolse al figlio.
“L'hai tirato giù tu questo libro?”, chiese bruscamente. “Sì, padre. L'ho preso per mostrarlo al signor Bell. Lui è interessato alla storia dell'Abbazia e...”
“Allora rimettilo subito al suo posto”, lo zittì il vecchio, i cui occhi neri avvampavano di una rabbia improvvisa. “Lo sai come non gradisca che si tocchino i miei libri, e questo in modo particolare...Fermo, dammi qua!”
Si alzò a fatica dal divano e, preso il volume, lo chiuse a chiave in uno dei cassetti dello scrittoio, per poi sedersi di nuovo sul sofà. Aveva le mani tremanti, come se qualche improvvisa paura si fosse
impadronita di lui.
“Hai detto che domani arriva Phyllis Curzon?”, chiese poi nervosamente al figlio.
“Sì, certo, padre, non ricorda? Mrs. Curzon e Phyllis saranno nostre ospiti per un paio di settimane...e, a proposito”, aggiunse alzandosi in piedi, “questo mi fa venire in mente che devo andare a dire a Grace...”
Il seguito della frase si perse mentre la porta veniva chiusa. Una volta rimasti soli, sir Henry mi guardò per alcuni istanti senza aprire bocca. Poi disse:
“Mi spiace di essere stato così brusco prima. Non sono più me stesso. Non so cosa mi stia succedendo. Sono a pezzi. Non riesco più a dormire. Non penso che mi sia rimasto più molto tempo da vivere, e sono preoccupato per Allen. Il fatto è che sarei disposto a tutto pur di mandare a monte il fidanzamento. Vorrei che non si sposasse”.
“Mi spiace che lei dica così, sir”, risposi. “Pensavo che lei fosse ansioso di vedere suo figlio felicemente sposato”.
“Quasi tutti lo sarebbero, ma io ho le mie buone ragioni per desiderare altrimenti”.
“Cosa intende dire?”, non potei evitare di chiedere.
“Non posso spiegare. Vorrei poterlo fare. Sarebbe meglio che Allen facesse estinguere il nome della nostra vecchia famiglia. Forse sono uno sciocco a pensarlo e naturalmente non posso far nulla per impedire questo matrimonio, ma sono preoccupato ed angosciato per molte cose”.
“Vorrei poterla aiutare, sir”, dissi impulsivamente. “Se c'è qualcosa che posso fare, sappia che non ha che da chiedermelo”.
“La ringrazio, signor Bell. Lo so che lo farebbe. Ma non posso dirle nulla. Un giorno, forse. Ma, vede, ho paura...una paura spaventosa”. Il vecchio fu nuovamente preso dal tremore e si coprì gli occhi con le mani, come a voler cancellare una visione terrificante.
“Non faccia parola di quanto le ho detto ad Allen o ad altri”, disse improvvisamente. “E' possibile che un giorno io le chieda di aiutarmi...Se lo ricordi, Bell, io mi fido di lei”.
Mi tese la mano ed io la strinsi. Un attimo dopo entrò il maggiordomo con le lampade ed io approfittai dell'interruzione per recarmi in
salotto.
Il giorno successivo arrivarono i Curzon e mi bastò una rapida occhiata per vedere quanto fosse incantevole Phyllis. Era una ragazza slanciata, esile, dal fisico dritto ma nondimeno grazioso e un viso molto bello e alquanto fiero. Osservandola nei momenti di silenzio la sua espressione poteva sembrare un po' altera, ma non appena si metteva a parlare il suo viso assumeva un'aria straordinariamente vivace, piacevole, affascinante. Aveva una risata gioiosa, un sorriso dolcissimo e un modo di fare simpatico. Senza dubbio la scelta di Allen era assai lodevole.
Trascorsero alcuni giorni e infine giunse la sera che precedeva il mio ritorno a Londra. La madre di Phyllis era andata a letto un po' prima, lamentandosi del mal di testa, e Allen, visto che era una notte perfetta, propose di goderci una bella passeggiata al chiar di luna.
Phyllis rise di gioia al suggerimento e corse all'ingresso a prendere uno scialle appeso all'attaccapanni.
“Allen”, disse al suo innamorato che le stava dietro. “Tu ed io andiamo avanti”.
“No, signorina, in questo caso voglio essere io ad avere il privilegio”, disse sir Henry dopo essere apparso all'ingresso annunciando, con nostra grande sorpresa, l'intenzione di accompagnarci nella passeggiata.
Phyllis gli rivolse uno sguardo meravigliato, poi gli posò delicatamente la mano sul braccio, annuì ad Allen con un sorriso e si portò avanti con passo rapido. Io ed Allen restammo indietro.
“Cos'ha intenzione di fare mio padre?”, mi domandò Allen. “Non esce mai di sera. Ma ultimamente non sta molto bene. A volte ho l'impressione che stia diventando sempre più strano”.
“Di certo non sta molto bene”, risposi.
Restammo fuori una mezz'oretta, infine tornammo a casa per un sentiero che portava ad un ingresso laterale dell'abitazione. Phyllis ci aspettava nel vestibolo.
“Dov'è mio padre?”, chiese Allen andandole incontro.
“Era stanco e se n'è andato a letto”, rispose. “Buona notte, Allen”.
“Non vieni un po' in salotto?”, domandò con una certa aria di stupore.
“No, sono stanca”.
Fece un cenno, senza nemmeno toccargli la mano. Non potei fare a meno di notare che i suoi occhi avevano un'espressione strana. Poi salì di corsa le scale.
Mi accorsi che Allen era rimasto sconcertato dal suo modo di fare, ma siccome non disse nulla, io feci altrettanto. Il giorno dopo a colazione venni a sapere che i Curzon erano già partiti. Allen era assolutamente stupefatto e, da quel che potevo vedere, parecchio infastidito. Lui ed io facemmo colazione da soli nella vecchia biblioteca. Il padre era troppo indisposto per scendere. Un'ora più tardi ero anch'io di ritorno per Londra. Molte altre cose, a quel punto, attirarono la mia immediata attenzione ed Allen, con il suo fidanzamento, sir Henry e la vecchia maledizione di famiglia finirono più o meno nel dimenticatoio.
Tre mesi dopo, il 7 di gennaio, con grande dispiacere lessi sul Times l'annuncio della morte di sir Henry Clinton.
In quel periodo, di tanto in tanto, avevo saputo dal figlio che il padre stava deperendo in fretta. In altra occasione mi aveva fatto sapere che il suo matrimonio era stato fissato per il 21 dello stesso mese ma, a quel punto, doveva ovviamente essere posticipato. Ero veramente dispiaciuto per Allen e gli scrissi subito una lunga lettera di condoglianze.
Il giorno seguente ricevetti un suo telegramma, in cui mi implorava di raggiungerlo il prima possibile, in quanto si trovava in grandissima difficoltà.
Feci un po' di bagagli in fretta e giunsi a Clinton Abbey alle sei di sera. La casa era silenziosa e malinconica. Il funerale si sarebbe tenuto il giorno seguente. Clinton scese all'ingresso e mi strinse calorosamente la mano. Notai subito il suo aspetto sciupato e preoccupato.
“E' stato molto gentile, Bell”, mi disse. “Non so dirle quanto le sia grato per essere venuto. Lei è l'unico che possa aiutarmi, so che ha molta esperienza in questioni del genere. Venga in biblioteca e le dirò ogni cosa. Ceneremo da soli stasera in quanto mia madre e le ragazze preferiscono restare nelle loro camere”.
Una volta seduti si abbandonò subito al suo racconto.
“Devo fare un piccolo preambolo a quanto è appena accaduto”, cominciò col dire. “Lei ricorda, l'ultima volta che è stato qua, in che
modo brusco se ne andarono Phyllis e sua madre?”
Feci di sì con la testa. Ricordavo bene.
“Il giorno dopo in cui lei partì ricevetti una lunga lettera da parte di Phyllis in cui mi parlava di una richiesta straordinaria che mio padre le aveva fatto durante quella passeggiata al chiaro di luna...né più né meno, il pressante augurio che lei rompesse il nostro fidanzamento.
Con grande franchezza, com'è sua abitudine, lei mi assicurava il suo immutato amore, la sua devozione, ma, date le circostanze, riteneva assolutamente necessario avere una spiegazione. Spinto da una rabbia quasi ingovernabile andai a cercare mio padre nel suo studio. Gli misi la lettera di Phyllis sotto il naso chiedendogli cosa significava. Lui mi guardò con un'indicibile espressione di stanchezza e commozione.
“Sì, ragazzo mio, è tutto vero”, mi disse. “Phyllis ha ragione, è quello che le ho chiesto, l'ho supplicata, come solo un vecchio può fare, di rompere il vostro fidanzamento”.
“Ma perché?”, gli chiesi. “Perché?”
“Questo mi è impossibile dirtelo”, rispose.
“Allora persi la pazienza e gli dissi certe parole di cui ora mi pento. Lui non mi rispose. Quando finii di parlare, mi disse lentamente:
“Comprendo pienamente le tue emozioni, Allen. I tuoi sentimenti sono più che naturali”.
“Padre, lei mi ha inferto una ferita molto dolorosa”, ribattei. “Cosa potrà pensare Phyllis di tutto ciò? Non sarà mai più la stessa...Ho intenzione di andare da lei oggi”.
“Non pronunciò più alcuna parola e me ne andai. Mancai da casa per una settimana circa. Mi ci volle quasi tutto quel tempo per convincere Phyllis a non tener conto della sconcertante richiesta di mio padre e a far sì che le cose andassero avanti come erano sempre andate. Dopo aver riaggiustato il fidanzamento, se possibile ancora più saldamente di prima, e fissato la data del matrimonio, tornai a casa. Appena arrivato dissi a mio padre quello che avevo fatto”.
“Come vuoi”, si limitò a dire e poi sprofondò in un'infinita tristezza. Da quel momento, sebbene badassi a lui giorno e notte con tutto l'affetto e la tenerezza possibili, non diede mai l'impressione di riprendersi. Parlava a stento e ogni qualvolta mi avvicinavo a lui