Adò - Laboratorio Adolescenza - Vol. 2 - n. 1 - 2019

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Volume 2 - Numero 1

2019

DOSSIER

LA MALEDUCAZIONE SESSUALE

MIGRANTI MINORENNI I ragazzi perduti d’Europa

SCUOLA

Intercultura: il liceo all’estero

LA RICERCA

Studio e lavoro: il futuro che vogliamo



Adò

Quadrimestrale Volume 2 - Numero 1

2019

CHI SIAMO - Laboratorio Adolescenza è una Associazione libera, apolitica ed aconfessionale, senza fini di lucro che ha come obiettivo quello di promuovere e diffondere lo studio e la ricerca sugli adolescenti, sotto il profilo sociale, psicologico e medico. L’Associazione nasce dall’idea di creare un punto di riferimento scientifico e culturale, per chi si occupa di adolescenza, che avesse nella multidisciplinarietà il proprio connotato distintivo. Ne fanno parte psicologi, sociologi, pediatri, insegnati, giornalisti, esperti di comunicazione, genitori che a vario titolo, professionale o personale, sono a stretto contatto con l’adolescenza. L’associazione è aperta al contributo di idee e impegno di chiunque abbia interesse - condividendone finalità e statuto - sia a livello individuale che associativo, allo studio e alla ricerca sull’adolescenza. Sito Internet: www.laboratorioadolescenza.org

e-mail: laboratorio.adolescenza@gmail.com L’INDICE

ORGANO UFFICIALE di

L’AGENDA L’EDITORIALE LA RICERCA

Direttore Editoriale Riccardo Renzi Comitato di Redazione Gianni Bona Carlo Buzzi Rocco Cafarelli Teresa Caputo Roberta Consoli Francesco Dell’Oro Alessandra Marazzani Roberto Marinello Gianluigi Marseglia Marina Picca Roberta Quagliuolo Gian Paolo Salvioli Fulvio Scaparro Maurizio Tucci Staff Editoriale Direttore Responsabile Pietro Cazzola Direzione Scientifica Donatella Tedeschi Direzione Marketing e PR Manuela Pavan Comunicazione e Media Ruben Cazzola Grafica e Impaginazione Cinzia Levati Affari Legali Avv. Loredana Talia (Milano) Stampa Lalitotipo s.r.l. - Settimo Milanese

magazineado@gmail.com Tutti i diritti di riproduzione in qualsiasi forma avvenga, sono di proprietà dell’Editore. Registrazione Tribunale di Milano n. 01 del 04.01.2018

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L’ATTIVITÀ DEL NOSTRO LABORATORIO Laboratorio Adolescenza

MIGRANTI: I PEDIATRI NON SI NASCONDONO Gian Paolo Salvioli

STUDIO E LAVORO: IL FUTURO CHE VOGLIAMO Carlo Buzzi

LA MALEDUCAZIONE SESSUALE INFORMAZIONI SCARSE SPESSO SBAGLIATE Maurizio Tucci

LE MST: UNA TRASMISSIONE A BANDA TROPPO LARGA

IL DOSSIER

Riccardo Renzi

LA SESSUALITÀ NEL TEMPO DEI RAGAZZI Alessandra Marazzani MIGRANTI MINORENNI SCUOLA

MITI GIOVANILI DICONO DI NOI

16 18 20 21

PRIMA LI ASSISTIAMO POI LI ABBANDONIAMO Giancarla Panizza

IL LICEO? LO FACCIO ALL’ESTERO Simona Mazzolini

L’ADOLESCENTE RAGNO Edoardo Rosati

CHE COSA NE PENSA EINSTEIN Redazione Scripta Restant

PERCHÉ UNA RIVISTA ONLINE? Sfogliabile e scaricabile su: www.issuu.com - Perché rappresenta la rivoluzione del concetto di rivista, di aggiornamento, di letteratura, accelera la diffusione di idee ed esperienze e sostiene in tempo reale l’evoluzione del pensiero; - Perché fornisce un accesso facilitato ed immediato ad articoli, argomenti, approfondimenti sui temi più vari, a portata di mano senza alcun pagamento; - Perché condivide la conoscenza, attraverso un nuovo approccio alla lettura: la rivista diventa uno strumento fondamentale, che migliora l'innovazione, l'efficienza e l'interazione culturale tra lettori ed Autori; - Perché realizza l’espansione oltre misura della conoscenza, ne permette condivisione e diffusione, attraverso i dispositivi palmari e portatili che ormai appartengono a tutti.

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L’AGENDA

L’ATTIVITÀ DEL NOSTRO LABORATORIO Fulvio Scaparro e Chiara Vendramini (a cura di)

Pacificare le relazioni familiari Tecniche ed esperienze di mediazione familiare Prefazione di Gloria Servetti

VIVERE LE SEPARAZIONI

Quando la separazione tra due coniugi è conflittuale a farne le spese sono quasi sempre i figli, bambini o adolescenti, che diventano strumenti attraverso i quali il padre e la madre sfogano i reciproci risentimenti e la reciproca ostilità. Ecco allora che la “mediazione familiare” – ovvero il cercare di riportare i genitori al dialogo – è lo strumento più efficace per tutelare i minori. Nel libro “Pacificare le relazioni familiari” (ed. Erickson), da poco in libreria, Fulvio Scaparro e Chiara Vendramini parlano proprio di questo e dell’attività che da anni svolge l’Associazione GeA (Genitori Ancòra) di cui sono, rispettivamente, fondatore e presidente. “Pacificare le relazioni familiari” è un interessante incrocio tra un testo che fa scuola su questo argomento e un manuale pratico ma è anche, forse soprattutto, un testo che parla di “diritto”: ovvero del diritto che ogni minore ha di vivere la separazione dei propri genitori nel modo più sereno possibile.

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RICERCA

tra soma e psiche”. Il convegno vuole affrontare importanti problematiche di salute dell’adolescente, in un’ottica nuova e centrale per affermare il concetto di “prendersi cura dell’adolescente”. Conoscenze sempre più aggiornate sono la garanzia di poter essere d’aiuto, sia dal punto di vista medico che psicologico ed umano a questa fascia di età particolarmente a rischio sanitario e sociale. Si parlerà dell’adolescente nella società attuale, di situazioni nell’ambito neuropsicologico quali la depressione, le problematiche dell’apprendimento, del fenomeno delle dipendenze e dell’utilizzo del tatuaggio, infine delle modalità per una transizione efficace, per accompagnare il passaggio dal pediatra al medico dell’adulto.

Indagine “Generi a confronto” È in corso di realizzazione la seconda edizione dell’indagine “Generi a confronto” – realizzata in collaborazione con il MOPI-Italia – su un campione di studenti delle scuole superiori di Milano. L’indagine mira ad osservare quali siano le aspettative dei giovani riguardo la famiglia ed il lavoro in un’ottica di confronto tra la visione maschile e quella femminile. I risultati saranno disponibili entro il mese di giugno 2019.

SCUOLA

Indagine Adolescenti e Stili di Vita È in corso di realizzazione la nostra indagine nazionale annuale Adolescenti e Stili di Vita, realizzata con l’Istituto di Ricerca IARD e la collaborazione di AVIS, Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza, Associazione Culturale Pediatri e Osservatorio Permanente Giovani ed Alcol. L’indagine di quest’anno avrà come campione gli studenti delle scuole medie (fascia d’età 12-14 anni) e tratterà importanti tematiche: dal consumo di alcol al “sonno” (problema che spesso affligge gli adolescenti), al concetto di prevenzione, alla percezione degli adolescenti riguardo la donazione di sangue. I risultati saranno disponibili a settembre 2019.

EVENTI

Sabato 2 marzo – presso il Liceo Einstein di Milano – si terrà un convegno realizzato in collaborazione con l’Ordine dei medici di Milano e la SICuPP- Lombardia (Società Italiana di Cure Primarie Pediatriche) dal titolo “Adolescente

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Prosegue il percorso di Laboratorio Adolescenza nelle scuole con i progetti di alternanza scuola-lavoro e con il format – creato da Laboratorio Adolescenza – “Dillo con parole…nostre” finalizzato a far realizzare ad adolescenti delle campagne di comunicazione destinate ad altri adolescenti. Dopo il successo dello scorso anno con la campagna di comunicazione per AVIS, quest’anno i temi su cui si sta lavorando sono “la prevenzione dal papilloma virus” (campagna supportata da Fondazione Insieme contro il Cancro e Aimac-Associazione Italiana Malati Cancro) e “come combattere il cyberbullismo” (in collaborazione con Mediatyche-compagnia di comunicazione ed il supporto incondizionato di D-Link).


L’EDITORIALE

Gian Paolo Salvioli

Professore Emerito di Pediatria dell’Università di Bologna

MIGRANTI: I PEDIATRI NON SI NASCONDONO U

mente, perché ogni bambino o adolescente abbia una assistenza equa e dignitosa, a vantaggio delle necessità non solo del singolo, ma dell’intero nucleo familiare. Una attività di assistenza che vede impegnati personale medico ed infermieristico pediatrico anche nei drammatici casi, purtroppo assai numerosi, di bambini ed adolescenti che giungono senza alcun accompagnamento. E, da pediatra, sono orgoglioso di registrare come non siano mai stati segnalati casi di mancata assistenza da parte di colleghi pediatri verso i migranti, a testimoniare – al di là di qualunque altra considerazione – la sensibilità e la corretta adesione ai principi deontologici del medico. Fra gli scopi più “medici” del nostro “Gruppo” (oggi lo coordina la collega Simona La Placa della Clinica Pediatrica di Palermo) vi è il permanente aggiornamento su patologie che erano ormai obsolete nel nostro Paese, come ad esempio la tubercolosi, e che si sono riaffacciate non perché “importate” dai migranti, ma causate dalle condizioni igienico-sanitarie del tutto inadeguate nelle quali, spesso, essi vivono in Italia. Altri campi di intervento riguardano le profilassi vaccinali e l’alimentazione, con l’obiettivo di evitare o limitare il consumo del cosiddetto cibo “spazzatura” (a cui si fa spesso ricorso nei contesti con maggiori difficoltà economiche), responsabile di sovrappeso e di obesità: due condizioni molto frequenti tra i bambini migranti. Gli obiettivi sociali – altrettanto importanti – sono rivolti a sfrondare i pregiudizi culturali che purtroppo ancora sopravvivono e a garantire a bambini e adolescenti migranti – nuovi cittadini – le chance per una vita dignitosa. Di fronte ai movimenti migratori che nel mondo riguardano milioni di uomini, donne e bambini – e che indubbiamente impongono strategie concordate fra tutti i paesi meta di migrazione – così come invocato dal nostro Presidente Mattarella e da Papa Francesco, noi pediatri stiamo dando la nostra opera per una efficace integrazione in una società multiculturale.

na caratteristica del pediatra è stata sempre quella di essere il medico del bambino e dell’adolescente, non solo svolgendo l’attività di diagnosi e cura delle malattie, ma anche valutando le condizioni dello sviluppo psicologico. Ed è per questo che il pediatra è, da sempre e sempre di più, coinvolto nei problemi ambientali e sociali nei quali vive il soggetto in età evolutiva e la sua famiglia. Con queste premesse, 25 anni fa, durante uno dei congressi che avevo organizzato nella mia Bologna, sentii la necessità di affrontare un tema che all’epoca veniva trattato sporadicamente: le caratteristiche e le necessità peculiari del bambino che proveniva da paesi lontani. E così con alcuni colleghi, tra i quali Gianni Bona, costituimmo – all’interno della Società Italiana di Pediatria – il “Gruppo di lavoro sul bambino immigrato”. In quegli anni i bambini immigrati erano essenzialmente bambini adottati, ma già si incominciava a vedere un costante incremento di adulti e di famiglie immigrate nel nostro Paese. Essendo stato il primo segretario del gruppo di lavoro ho potuto seguire la sua attività fin dai primissimi momenti e constatare, con grande piacere, l’entusiasmo con il quale tanti pediatri di famiglia e delle strutture universitarie ed ospedaliere aderirono al gruppo. Avevamo, all’epoca, una situazione legislativa del tutto carente in materia, ma grazie alla volontà ed all’impegno dei colleghi, partendo dall’ambito locale e successivamente a livello regionale e nazionale, siamo finalmente riusciti, in questi ultimi anni, ad ottenere la promulgazione di provvedimenti legislativi che hanno riconosciuto la necessità di fornire assistenza ai bambini e agli adolescenti migranti, da parte dei pediatri e delle strutture ospedaliere del Servizio Sanitario Nazionale. E oggi tutti i pediatri in tutta Italia si adoperano quotidiana-

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LA RICERCA

STUDIO E LAVORO: IL FUTURO CHE VOGLIAMO Gli studenti delle superiori aspirano all’università e a un lavoro soddisfacente. Ma le ragazze appaiono più determinate e disposte al sacrificio Carlo Buzzi Docente senior presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Trento. È referente dell’area sociologica di Laboratorio Adolescenza e membro del Comitato Scientifico di Istituto IARD

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dolescenti e stili di vita” è il titolo della prima indagine nazionale sui giovani studenti della scuola secondaria di secondo grado realizzata da Laboratorio Adolescenza ed Istituto IARD, soggetti con competenze diverse ma che, attraverso una convergenza funzionale dei saperi e una stretta collaborazione sul piano metodologico e organizzativo, hanno gettato uno sguardo originale e per molti versi innovativo su comportamenti e caratteri esistenziali delle nuove generazioni osservate nel corso di una età, quella adolescenziale, nella quale si delineano i primi tratti che daranno forma e contenuti al processo di transizione ai ruoli adulti. Data l’ampiezza dei risultati offerti dalla ricerca, ci limiteremo qui ad illustrare alcuni elementi che si riferiscono alle due tappe iniziali del percorso di crescita: innanzitutto l’esperienza scolastica delle superiori, alla fine della quale si pone la scelta cruciale se continuare gli studi all’università oppure uscire dal circuito formativo per entrare nel mondo del lavoro; in secondo luogo l’immaginario lavorativo, ovvero come gli adolescenti si pongono verso il proprio futuro occupazionale. Nel complesso l’esperienza scolastica sembra essere vissuta con una certa soddisfazione: la percezione di essere in difficoltà è molto limitata e molto pochi sono gli scontenti della scuola scelta e frequentata: solo l’8,5%, contro il 50,2 che sono soddisfatti della propria scelta. I due quinti sono sicuri di proseguire gli studi all’università e circa un terzo lo ritengono molto probabile (pur con differenze sostanziali tra liceali e studenti degli istituti tecnici o professionali). Un quadro pertanto apparentemente molto positivo anche se poi sull’impegno (autopercepito) ci sarebbe

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molto da dire dal momento che un quinto studia assai poco e, nel complesso, la metà degli studenti non supera le due ore di impegno giornaliero. Sul vissuto scolastico si concretizza una prima significativa differenza di genere. Dobbiamo premettere che in molti ambiti toccati dalla ricerca le divergenze tra maschi e femmine sono assai modeste, tanto da poter parlare di una sostanziale omologazione adolescenziale, tuttavia non è sempre vero. In alcuni casi differenze comportamentali e motivazionali si ripresentano in forme spesso anche nuove. In particolare, il coinvolgimento delle giovani donne nel percorso scolastico (quelle che dichiarano di studiare più di tre ore al giorno sono quasi il doppio dei maschi) risulta essere

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assai più evidente rispetto a quello dei coetanei. Le ragazze in generale si dimostrano più impegnate, più studiose, più orientate a valorizzare i processi di apprendimento, tanto da manifestare una tendenza superiore verso la continuazione degli studi all’università. Così come le femmine appaiono anche meno condizionate dai genitori nella scelta della scuola superiore. E se per quanto riguarda lo studio questi dati sono in parte già conosciuti, la novità sembra coinvolgere il mondo del lavoro. All’interno di un quadro complessivo dove domina la sfiducia, le ragazze si dimostrano meno ottimiste dei loro coetanei nel pensare di trovare facilmente lavoro. Tra i maschi si


La scuola %

TOTALE

MASCHI

FEMMINE

Dichiarano di “andar bene” a scuola

54,9

50,7

58,3

Dichiarano di “andar male” a scuola

4,2

5,9

2,9

Studiano non più di un’ora al giorno

20,3

32,7

10,4

Studiano più di tre ore al giorno

20,2

10,0

28,3

Rifarebbero la stessa scelta di scuola superiore

59,2

60,8

58,0

Non rifarebbero la stessa scelta di scuola superiore

8,5

9,1

8,0

Sono sicuri di iscriversi all’università

41,3

35,0

46,3

Sono sicuri di non iscriversi all’università

7,9

12,1

4,5

TOTALE

MASCHI

FEMMINE

Pensano che non sarà facile trovare lavoro

61,6

53,2

68,3

Per ora non pensano al proprio futuro lavorativo

17,2

20,7

14,4

• Soddisfacimento delle proprie passioni

62,5

56,8

67,1

• Sicurezza di non perderlo

62,6

60,4

64,3

• Buona retribuzione

45,1

46,8

43,8

• Possibilità di carriera

38,8

38,4

39,2

• Possibilità di incontri e viaggi

35,6

30,6

39,6

• Buone relazioni con i colleghi

33,9

35,0

33,0

• Buon rapporto con i capi

33,5

31,1

35,4

• Prestigio

17,6

21,0

15,0

• Più tempo libero possibile

17,4

22,5

13,3

• Vicinanza a casa

14,4

17,1

12,3

• Poche responsabilità

7,5

10,3

5,4

Il lavoro %

Il lavoro desiderato (% valore 5 su una scala 1-5)

Il volontariato CHE COSA SARESTI DISPOSTO A FARE RINUNCIANDO A PARTE DEL TUO TEMPO LIBERO? TOTALE MASCHI FEMMINE Aiutare, nello studio, i compagni che hanno qualche difficoltà

62,2

52,1

70,3

Aiutare, nell'imparare la lingua, i compagni che non conoscono bene l'italiano

52,2

41,3

60,6

Collaborare a tenere in ordine e pulita la tua classe e la tua scuola

33,8

32,6

34,7

Fare uscire il cane di persone che non hanno la possibilità di farlo

43,5

35,2

50,1

Doposcuola per i bambini più piccoli

52,4

32,6

68,2

Contribuire a tenere pulita un'area verde della tua città

45,6

45,1

45,9

Fare compagnia a persone anziane o malate

54,6

45,2

62,2

Effettuare commissioni fuori casa per persone anziane o malate

64,3

55,3

71,5

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manifesta piuttosto una minoranza significativa dai tratti esplicitamente presentisti (“per ora non penso al mio futuro lavorativo”) e tra di essi l’occupazione desiderata viene valorizzata da un punto di vista soprattutto strumentale, con il sospetto che si cerchino al di fuori di essa le condizioni della propria autorealizzazione (“deve lasciare molto tempo libero”, “meglio se vicino a casa” ed anche se i maschi che vorrebbero un lavoro “con poca responsabilità” sono pochi, sono comunque il doppio delle loro compagne di studio). Le ragazze invece, pur non deprivilegiando gli aspetti concreti come “sicurezza” e “buona retribuzione” esattamente come i loro coetanei, pongono di più l’accento sulle potenzialità autorealizzative del lavoro in sé (“che soddisfi le proprie passioni”) o come veicolo di una vita interessante (“che dia possibilità di incontri e di viaggi”). È come dire che per gli uni la dimensione professionale abbia perso un po’ della sua centralità esistenziale mentre per le altre sia ancora un territorio su cui giocare la propria identità e il proprio coinvolgimento anche emozionale. Un altro aspetto che differenzia i generi ri-

IL METODO La ricerca è stata realizzata anche con il concorso di diversi partner tra i quali i principali sono SIMA, la Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza; ANCCCOOP, l’Associazione Nazionale Cooperative di Consumo; Mediatyche Compagnia di comunicazione; e con il concorso di due Cliniche pediatriche, quella dell’Università di Pavia e quella dell’Università dell’Aquila. L’indagine è stata condotta mediante somministrazione di un questionario a risposte chiuse ad un campione nazionale rappresentativo di 2654 studenti frequentanti le scuole secondarie (fascia d’età 13-19 anni). L’estrazione casuale delle classi è stata effettuata sulla base di un campionamento nazionale multistadio stratificato a quantità proporzionate (sulla popolazione in target di età), secondo un disegno fattoriale che ha considerato la distribuzione per area geografica (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud, Isole), il tipo di istituto (licei vs altre scuole) e l’ampiezza demografica dei comuni di ubicazione delle scuole (aree metropolitane vs altre). I questionari sono stati somministrati nelle classi tra i mesi di novembre 2017 e aprile 2018. Tra le tematiche trattate: l’esperienza scolastica, i rapporti in famiglia, il lavoro futuro, le abitudini e le competenze alimentari, le pratiche sportive, la parità e il rispetto tra i generi, l’impegno sociale, l’idea di sostenibilità, le informazioni sulle malattie sessualmente trasmissibili e sulla contraccezione, la diffusione e le caratteristiche delle cefalee, la valutazione sui vaccini come strumento di prevenzione.

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guarda il volontariato, ambito in cui è assai più evidente l’orientamento delle ragazze a farsi carico di responsabilità in campo solidaristico e nel lavoro di cura (aiutare gli altri bisognosi, siano essi anziani, bambini, malati, stranieri, compagni di scuola in difficoltà). Il tratto maschile rivela invece un maggiore orientamento individualista, meno portato all’azione solidale. E se la percentuale di femmine e maschi già impegnati in qualche attività di volontariato è sostanzialmente simile (23,2% vs 22,2%), la forbice si allarga molto se ci riferiamo alle intenzioni di dedicare – da adulti – parte del proprio tempo in attività di volontariato. Le ragazze che si dicono certe o possibiliste sono nettamente la maggioranza (58,3%), mentre i maschi non raggiungono il 40%.

UN’INDAGINE NAZIONALE

ASCOLTARE I GIOVANI

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L

all’edizione 2017-2018 (i cui risultati sono stati recentemente presentati a Milano e di cui si dà ampio spazio in questo numero di Adò) l’indagine nazionale annuale sugli stili di vita degli adolescenti italiani, realizzata tradizionalmente da Laboratorio Adolescenza, presenta due importanti novità: la prima è l’avvio di una strategica collaborazione con l’Istituto di Ricerca IARD, uno dei più importanti riferimenti, a livello nazionale ed europeo, per la ricerca sociale su adolescenti e giovani adulti, la seconda è che il target di età del campione osservato si allarga. L’edizione 2017-2018 è stata realizzata, per la prima volta, su un campione nazionale rappresentativo di studenti delle scuole superiori e non, come era stato da sempre, sugli studenti delle scuole medie inferiori. La scelta è stata quella di alternare di anno in anno i due target (l’edizione 2018-2019 attualmente in corso è ritornata nelle scuole medie), per poter “seguire” l’evoluzione comportamentale degli adolescenti, osservando le medesime coorti di età in tre momenti diversi. Questo allargamento del campione osservato arricchirà ulteriormente il già ampio patrimonio di dati di cui disponiamo, rendendo il nostro osservatorio sugli adolescenti più interessante e completo, ma è soprattutto l’intesa strategica con l’Istituto di Ricerca IARD che garantirà un importantissimo valore aggiunto scientifico a tutto il nostro lavoro. Un grazie sincero va a Carlo Buzzi, Socio fondatore e referente per l’area Sociologica di Laboratorio Adolescenza e membro del Comitato Scientifico IARD, che è stato il preziosissimo trait d’union.

a mission di Istituto IARD è promuovere la conoscenza e l’ascolto delle giovani generazioni come condizione e opportunità per un’azione delle istituzioni e delle agenzie educative sempre più coerente e appropriata. Il “nuovo IARD” vuole unire la prerogativa storica dell’Istituto, ovvero la ricerca sociale in profondità che offre elementi di conoscenza puntuale della realtà, con il sostegno all’implementazione di politiche e progetti orientati alla piena inclusione sociale delle nuove generazioni. Ricerca e valutazione delle politiche sono quindi le strategie che guidano il rilancio dell’esperienza di IARD, per assumere decisioni adeguate al futuro del Paese. La collaborazione con Laboratorio Adolescenza è un’importante opportunità per mettere l’attenzione sugli adolescenti italiani, una generazione che si affaccia al presente della società e che porta elementi di innovazione sociale e culturale, soprattutto nell’ottica degli stili di vita orientati alla legalità, alla giustizia, all’interculturalità, alla mobilità internazionale, all’integrazione delle discipline. La capacità di ascoltare la loro voce, le loro idee sulla società, sui valori, è un criterio per il buon funzionamento della democrazia. Paolo Paroni Presidente di Rete ITER – Istituto IARD www.istitutoiard.org

Maurizio Tucci Presidente Laboratorio Adolescenza

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IL DOSSIER

S

ono più liberi ed evoluti e il sesso, anche a causa di Internet, ha smesso di essere, nella maggior parte dei casi, un mistero. Eppure continuano a essere poco informati sui rischi delle malattie che col sesso si trasmettono (e che infatti si diffondono) e confondono la prevenzione con la contraccezione. E dimostrano una scarsa conoscenza del proprio corpo. Un confronto tra la nostra ricerca e una analoga, condotta 15 anni fa, dimostra che in questo nulla è cambiato. Come allora l’educazione sessuale non trova spazio in famiglia e, quando si attiva la scuola, si scontra spesso con l’opposizione dei genitori. Mentre, avvertono gli psicologi, oltre alle normali difficoltà delle prime esperienze, si segnalano due tendenza in crescita: la scelta dell’astinenza, e una preoccupante frequenza dei comportamenti violenti, non sufficientemente arginati dalla riprovazione sociale.

LA MALEDUCAZIONE SESSUALE


IL DOSSIER

Informazioni scarse spesso sbagliate C’è gran confusione nei letti degli adolescenti. Che in una nostra ricerca dimostrano di conoscere poco i rischi del sesso. Anche perché scuola e famiglia non li aiutano nella prevenzione Maurizio Tucci Presidente Laboratorio Adolescenza

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aboratorio Adolescenza e Istituto di Ricerca IARD – incollaborazione con SIMA (Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza), e con il supporto incondizionato di Dracma Educational – hanno realizzato, nel corso dell’anno scolastico 2017-2018, un’indagine su un campione nazionale rappresentativo di 2800 studenti delle scuole superiori (età media 16,7 anni). Tra i vari ambiti in cui ha spaziato la ricerca, si è indagato sul livello di conoscenza che hanno gli adolescenti riguardo i metodi contraccettivi e le malattie a trasmissione sessuale (MST) e, rispetto a queste, se sanno come possono essere prevenute. Un argomento di grande interesse per un’età in cui è verosimile che i rapporti sessuali entrino nei normali stili di vita se, come emerge da una ricerca del Censis del 2017, l’età media del primo rapporto sessuale, in Italia, è proprio intorno ai 17 anni. Anche se in questo ambito parlare di “media” riporta inevitabilmente al celebre esempio del pollo, statisticamente mangiato metà per uno dai due “commensali”, anche quando uno dei due rimane digiuno. In ogni caso, che abbiano già avuto dei rapporti sessuali completi o che siano statisticamente in età da averli, le evidenze emerse dall’indagine sul livello di consapevolezza degli adolescenti (almeno dal punto di vista della prevenzione) sono indubbiamente poco confortanti. Sul fronte delle MST, se si esclude l’AIDS (conosciuta dal 94,5% degli intervistati), solo il papilloma virus (verosimilmente per via della vaccinazione proposta ai dodicenni) è conosciuto dalla maggioranza del campione (61% delle ra-

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gazze e 53,8% dei maschi), mentre la cono- cace protezione. Fino ad arrivare al 79% di scenza delle altre più comuni oscilla tra il adolescenti intervistati che – confondendo i 45% (candida) e l’11% (condilomi). concetti di prevenzione e controllo – è conE per quel poco o tanto che le conoscono, le vinto che fare frequenti esami del sangue proidee appaiono molto confuse anche sul come tegga dalle malattie a trasmissione sessuale. prevenirle, affiancando informazioni corrette L’unico dato certamente positivo è che gli (anche se spesso non complete) a convinstessi adolescenti sono i primi a “sapere di zioni errate, quando non del tutto assurde. non sapere” e a sentire l’esigenza di avere ulIl 94,8% sa che il preservativo è uno struteriori informazioni sull’argomento. E come mento di protezione generalmente efficace, spesso riscontriamo, quando gli adolescenti ma pochi sanno che, ad esempio, contro il papilloma virus non fornisce una protezione si sottopongono ad una autovalutazione, ad completa, perché la malattia è trasmissibile essere consapevoli del proprio deficit inforanche attraverso altri contatti sessuali, così mativo sono più le femmine che i maschi (72% vs 56%), anche se poi sono proprio i come è trasmissibile anche attraverso attramaschi ad evidenziare le lacune maggiori. verso rapporti omosessuali femminili. A queMa chi dovrebbe dare risposta a questa lesto si aggiunge che un terzo degli intervistati è convinto che una MST non può comunque gittima esigenza informativa degli adoleessere trasmessa attraverso un rapQUALI DI QUESTE MALATTIE SONO SESSUALMENTE TRASMISSIBILI? porto orale. Ma la confusione Totale Maschi Femmine non si ferma qui: se Si No Non Si No Non Si No Non il preservativo va conosco conosco conosco bene, il 58% ritiene Vaginiti 21,6 13,5 63,7 20,5 12,6 65,3 22,4 14,2 62,5 che l’utilizzo di un AIDS 94,5 2,0 2,1 92,9 2,8 2,6 95,9 1,3 1,8 qualunque metodo Acne 7,0 83,5 7,9 10,0 75,5 12,5 4,7 90,0 4,3 contraccettivo (pillola in primis) vada Epatite A 42,1 26,3 30,3 43,1 25,8 29,3 41,3 26,7 31,1 altrettanto bene per Candida 46,3 21,1 31,1 40,9 17,6 39,7 50,7 24,0 24,3 proteggersi dalle Raffreddore 20,0 73,6 4,9 21,8 69,8 6,5 18,6 76,7 3,7 MST, così come Papilloma virus (HPV) 57,8 19,6 21,3 53,8 13,1 31,4 61,0 24,7 13,2 l’85% è convinto Condilomi 11,8 9,4 77,5 13,0 13,8 71,5 10,8 5,9 82,3 che un’accurata igiene dopo un rapDermatite Atopica 8,6 39,5 50,6 10,7 37,1 50,5 6,9 41,5 50,7 porto sessuale sia Epatite B 42,5 22,0 34,1 43,8 22,6 31,7 41,5 21,6 36,0 anch’essa una effiHerpes 56,7 35,1 6,6 56,3 33,7 8,1 57,0 36,2 5,5

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scenti? E qui si apre la questione forse più spinosa. I diretti interessati non hanno dubbi: per l’82% degli adolescenti intervistati è certamente la scuola il soggetto più adatto a parlare di questi argomenti. Anche perché una larghissima parte di loro (74%) afferma che parlarne in famiglia è molto difficile. I dati confermano che la famiglia latita: meno di un quarto del campione (24,9%) ha trovato nella mamma un interlocutore “molto utile” per parlare di sessualità (e per

il 22% non è stata, in assoluto, una fonte di informazione) e poco più del 15% (in grande prevalenza maschi) nel padre. La scuola è avanti in classifica (indicata come interlocutore “molto utile” dal 29%), ma ben lontana da essere quel punto di riferimento che la maggioranza degli adolescenti vorrebbe. Va sottolineato che, mentre il dato riguardante i genitori è abbastanza omogeneo rispetto alle differenti aggregazioni effettuate (area geografica, tipo di scuola frequentata, ampiezza del comune di residenza), il dato relativo alla scuola rivela differenze significative se si passa, ad esempio, dal nord al centro sud (più efficaci nell’in-

QUALI TRA I SEGUENTI COMPORTAMENTI RITIENI SIA EFFICACE PER PREVENIRE LE MALATTIE SESSUALMENTE TRASMISSIBILI? Totale

Maschi

Femmine

Licei

Altre

Una dieta alimentare corretta

19,6

24,9

15,3

16,3

22,8

Uso del preservativo

94,8

93,0

96,3

96,9

92,7

Uso di un qualunque metodo anticoncezionale

58,7

55,7

61,6

59,6

57,8

Un’igene accurata dopo un rapporto sessuale

84,9

84,6

85,2

85,2

84,5

Fare periodicamente gli esami del sangue

79,3

80,5

78,4

81,0

77,6

MASCHI E FEMMINE SONO UGUALMENTE ESPOSTI ALLE MALATTIE SESSUALMENTE TRASMISSIBILI? Totale

Maschi

Femmine

Si

67,7

70,6

65,4

No, sono più frequenti nelle femmine

24,5

19,4

28,5

No, sono più frequenti nei maschi

4,1

4,8

3,6

No, le possono prendere solo le femmine

0,6

1,1

0,3

No, le possono prendere solo i maschi

0,2

0,3

0,1

CON QUALI DELLE SEGUENTI AFFERMAZIONI RIGUARDO LE MALATTIE SESSUALMENTE TRASMISSIBILI (MST) SEI D'ACCORDO OPPURE NON D'ACCORDO? (RISP. D’ACCORDO) Totale

Maschi

Femmine

Alla prevenzione delle MST dovrebbero pensarci più le donne

23,3

31,4

16,8

Non è bello che una ragazza abbia con se i preservativi

31,5

27,1

35,0

Chiedere al partner di mettere il preservativo è un segno di sfiducia

14,6

19,0

11,0

Pillola e preservativo non si possono utilizzare insieme

23,8

28,7

19,9

Alla prevenzione delle MST dovrebbero pensarci più gli uomini

25,0

29,1

21,7

Parlare di sesso con i genitori è difficile

73,8

67,8

78,5

La vaccinazione contro l’HPV (Papilloma Virus) è solo per le donne

44,9

32,6

54,7

Con i rapporti orali non c'è il rischio di prendere MST

31,0

33,4

29,1

Le MST possono trasmettersi anche con un bacio

33,7

36,2

31,7

Alcune MST sono contagiose anche se non si hanno rapporti sessuali

35,8

37,9

34,1

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EDUCAZIONE SESSUALE: LO SCONTRO SCUOLA-GENITORI Le scuole italiane sono ricche di percorsi formativi sulla “affettività”. Alcuni anche ben fatti, ma tutti orientati a fornire consapevolezze che si fermano “prima”. La sessualità, quando l’argomento è affrontato, è trattata in termini di rispetto, di scelta consapevole, di gestione delle emozioni. Tutto straordinariamente utile, ma è sempre un accompagnamento che si ferma sulla soglia della fatidica “porta”. È facile, secondo voi, in una normale famiglia italiana, chiedere, a sedici anni: “mamma, ma il papilloma virus si può prendere anche attraverso un rapporto orale? No, non è facile, e lo conferma l’82% degli adolescenti che hanno partecipato all’indagine. E allora, sebbene si possa essere assolutamente in grado di gestire le emozioni, di rispettare il corpo e i sentimenti propri e del partner, e di essere assolutamente consapevi della scelta che si sta facendo… chi risponde alla domanda? La scuola; e chi sennò. E la scuola, lo abbiamo visto dai risultati dell’indagine, qualcosa fa; certamente più di “mamma e papà”. Ma, come dice impeccabilmente Alessandra Condito, dirigente scolastica del liceo scientifico Einstein di Milano: “Non possiamo immaginare che tutto ricada sempre e solo sulla scuola. Sia per oggettivi motivi di tempo, sia perché, per paradossale che sia, quando si tratta di affrontare argomenti che attengono alla sessualità, sono spesso proprio le famiglie a porre ostacoli”. Si, paradossale, ma drammaticamente vero. Nella realizzazione della nostra indagine, da qualche scuola abbiamo avuto un rifiuto alla somministrazione del questionario (guarda caso proprio in relazione alla parte sulle malattie a trasmissione sessuale) perché – così ci hanno riferito i dirigenti, costernati – non accettato dai genitori. (Questionario anonimo, nessuna domanda attinente a comportamenti o preferenze, ma finalizzata solo a registrare il livello di conoscenza). E allora che fare? Alessandra Condito propone una suddivisione di compiti organica e concordata tra agenzie formative, che sia in grado di garantire agli adolescenti una consapevole autonomia per orientare i propri stili di vita. Una autonomia – aggiungiamo – che non è una gentile concessione da parte di noi “adulti”, ma un loro sacrosanto diritto. Laboratorio Adolescenza ci sta e mette a disposizione tutte le sue competenze.

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RIGUARDO LE MALATTIE SESSUALMENTE TRASMISSIBILI (MST) E LA LORO PREVENZIONE, QUALI SONO STATE LE TUE LE FONTI DI INFORMAZIONE E QUANTO TI SONO RISULTATE UTILI? Molto utile M

Per nulla utile M

Molto utile F

Per nulla utile F

TV

28,7

10,9

15,9

16,4

Scuola

34,2

9,8

35,0

8,3

Mamma

32,2

20,4

31,2

17,1

Papà

31,2

23,0

16,5

32,9

Sorelle

11,5

52,7

10,2

57,8

Fratelli

14,6

52,0

6,7

64,2

Altri parenti

11,7

45,7

5,9

57,2

Amici/amiche coetanei/e

26,5

16,3

23,6

14,2

Amici/amiche adulti/e

21,1

25,2

17,0

31,0

Internet - siti di medicina

30,9

21,7

32,1

19,9

Internet - siti pornografici

21,1

44,4

3,2

81,0

TV/Radio

20,2

25,5

10,6

39,2

Giornali e riviste

16,3

10,0

29,8

35,0

Medico/Ginecologo

31,1

32,7

40,9

24,3

Consultorio/ASL

20,0

44,3

23,2

46,5

Depliant informativi

15,5

41,3

11,8

44,6

Testi/libri specialistici

23,0

39,4

20,2

39,3

Altro

14,4

46,9

7,5

49,7

formare le scuole del nord) o dai licei (più efficaci) alle altre scuole. Il resto dell’informazione considerata “molto utile” passa attraverso gli amici/amiche coetanei (26,6%), con il rischio evidente di sommare ignoranza ad ignoranza; dalla televisione (22%) e da Internet (24%). Per il 21% sei maschi, invece, il “know how” su sesso e dintorni si fa sui siti porno. Il medico/ginecologo è stato indicato come fonte di informazione “molto utile” da circa il 30% (in prevalenza femmine) degli adolescenti che lo frequentano abitualmente. Un buon risultato, peccato che gli adolescenti che frequentano abitualmente il medico sono molto pochi. Volendo trarre una sintetica conclusione da questo lavoro, dobbiamo inevitabilmente constatare che l’esordio dell’approccio con il sesso da parte degli adolescenti non avviene

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certo in condizioni di adeguata consapevolezza e sicurezza. Ma ciò che più stupisce, ed in qualche modo allarma, è che nulla sembra mutare nel tempo. Confrontando i dati dell’indagine attuale con quelli di un’indagine realizzata dalla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia e dall’Istituto IARD nel 2003 (su un campione nazionale e con una metodologia confrontabili, anche quella curata da Carlo Buzzi e dal sottoscritto), troviamo che – a distanza di 15 anni – il livello di conoscenza riguardo le MST e gli strumenti di protezione è rimasto pressoché simile. In quindici anni che in alcuni ambiti – primo tra tutti proprio quello della comunicazione – hanno segnato un progresso straordinario, non si sono fatti passi avanti per rendere i nostri adolescenti più informati su tematiche di straordinaria importanza per la loro vita.


Anche l’infinita mole di informazioni reperibili su Internet dà pochi frutti se l’utilizzo della rete non à correttamente orientato. Sempre confrontando le due indagini, nel 2003 solo lo 0,5% del campione aveva affermato di avere Internet come fonte di informazione per questi argomenti contro il 30% di oggi. Ci si chiede, allora, cosa cercano e cosa trovano, su Internet, se il livello di conoscenze è rimasto lo stesso. Una parziale risposta possiamo già darcela: quando gli adolescenti vanno alla ricerca di informazioni legate alla salute lo fanno prevalentemente in situazioni di emergenza come, ad esempio, per il ricorso alla pillola del giorno dopo o per interpretare “sintomi” già evidenti. Ciò che manca in loro – ed è una naturale caratteristica dell’età – è il concetto di prevenzione. Se non riusciamo a parlare di sesso, con loro, cerchiamo almeno di parlare di prevenzione. Chissà che questo non li induca – anche su ciò che attiene al sesso – a cercare informazioni giuste e, soprattutto, per tempo. Maurizio Tucci e-mail maurizio.tucci@gmail.com

UN MANUALE (E UN FUMETTO) PER I RAGAZZI C

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ragazzi di Pasteur

Grazie al link qui sotto (pubblicato anche sul sito dell’Istituto Superiore di sanità) si può scaricare questo manuale destinato ai giovani, realizzato da I ragazzi di Pasteur, una progetto nato dalla collaborazione tra Ibsa Foundation, un’autorevole fondazione svizzera dedita alla prevenzione, e l’Istituto Pasteur Italia. Al suo interno anche una storia a fumetti (a destra). https://www.ibsafoundation.org/wp-content/uploads/2018/11/10-le-infezioni-sessualmente-trasmesse-suligoi.pdf

DOBBIAMO AFFIDARE L’EDUCAZIONE ALLE SERIE TV? Da Parmenide in poi filosofi e scienziati si sono arrovellati sull’esistenza del “vuoto” in natura arrivando, con diverse sfumature, sempre a negarne l’esistenza o, al massimo, a non riuscire a provarne l’esistenza. L’“horror vacui”, che già Aristotele considerava essere essenza della natura e degli uomini, porterà a colmare in qualunque modo possibile questo vuoto. Fuori dalla metafora: gli adolescenti – che natura vuole che comincino a praticare il sesso, con buona pace di mamma e papà – iniziano a farlo con uno sconfortante “vuoto” informativo che loro stessi percepiscono e denunciano. Non credo quindi sia un caso se la serie Tv “Sex Education” – disponibile in Italia sulla piattaforma Netflix – sia già diventato un “must” per migliaia di adolescenti. “Sex Education” è un “drama”, ambientato in Inghilterra, con una trama semplice e lineare: Otis, il protagonista, è un sedicenne con un bel po’ di problemi sessuali e figlio di una psicologa-sessuologa. In collaborazione con un’amica e forte di conoscenze teoriche sulla sessualità (derivanti dall’ambiente familiare in cui vive), si inventa una attività di consulenza per dare consigli (spesso efficaci) ai coetanei con problemi sessuali. Radio Deejay così commenta: “La sessualità che viene raccontata è quella del quotidiano, quella reale, affrontata da adolescenti che si avventurano alla sua scoperta con un cocktail di cono-

scenze/credenze/stereotipi/desideri diverso per ognuno. È una sessualità inclusiva di tutti i generi, tutti gli orientamenti e tutte le identità, sviscerata in tutte le sue sfaccettature, senza pregiudizi e senza stereotipi, saltando da esperienze ludiche (rimming) a condizioni piuttosto serie (vaginismo)”. Ilenia, 18 anni, che lo ha visto, dice che è piacevole, ma un po’ un fumettone, mentre Dario e Gaia (rispettivamente 14 e 13 anni) lo hanno trovato interessante e utilissimo. Ed il problema è proprio questo: “Sex Education” non è un corso di educazione sessuale, ma è – e vuole essere – un “drama”. Realizzato certamente bene, e con interessanti elementi educativi (finalmente si dà spazio e dignità ai problemi sessuali degli adolescenti maschi), ma con tutte le approssimazioni e le semplificazioni del caso. Un piacevole fumettone, appunto, come dice Ilenia, che rischia però di apparire utilissimo a tutti i Dario e Gaia che hanno un vuoto da colmare. Possibile che il nostro bigottismo non ci consenta di colmarlo noi – famiglia – quel vuoto? O di lasciarlo fare liberamente alla scuola? Possibile che a quelle domande che ogni adolescente si pone a quell’età – sul sesso, non sulla affettività – non ce la sentiamo di dare risposta e li mandiamo a cercarsela dove capita? E ci va già bene se incappano in “Sex education” e non nella tanta spazzatura che c’è sul web.

M. T.

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IL DOSSIER

Le MST: una trasmissione a banda troppo larga Nonostante le campagne di prevenzione, il miglioramento delle cure e perfino un vaccino (anti HPV) le infezioni del sesso restano un’emergenza sanitaria. E non si sa bene quanto. Riccardo Renzi Giornalista

UN RAGAZZO SU QUATTRO NON VUOLE USARE IL CONDOM Ma quanti sono i ragazzi che si proteggono dalle malattie sessualmente trasmesse? L’Anlaids (Associazione Nazionale per la lotta contro l’Aids) ha svolto una ricerca, condotta su un campione di 3900 ragazzi dai 15 ai 18 anni, proprio per chiarire questo aspetto. L’indagine (condotta nelle province di Milano, Monza, Mantova, Roma e Latina), non è ancora stata pubblicata, ma siamo in grado di anticipare alcuni dati preliminari. Nel campione di ragazzi interessato:

95 - il 53% non ha avuto rapporti sessuali completi; - il 25% tra quelli che hanno avuto rapporti non usa il preservativo.

- il % ha sentito parlare dell’opportunità dell’uso del preservativo;

Perché un ragazzo su quattro non si protegge? Il 10% di loro sostiene che “rovina l’atmosfera”. Una piccola percentuale (il 3%) sostiene di preferire altri metodi, il che ovviamente è sbagliato perché non esistono altre protezioni valide dalle malattie. In questi casi si torna a fare confusione tra prevenzione e metodi anticoncezionali. La risposta più comune è però un’altra: perché i maschi temono che l’uso del condom (e il tempo necessario per indossarlo) rischi di rovinare la prestazione. Problemi di insicurezza quindi, particolarmente acuta alle prime esperienze.

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M

ST, malattie sessualmente trasmesse. Una volta si chiamavano “veneree” e non è chiaro perché questo aggettivo sia stato abbandonato. Forse perché appare troppo sessista, attribuendo alla figura femminile di Venere il ruolo di untore, anzi “untrice”, (mentre in realtà i maggiori untori sono i maschi, omo ed eterosessuali); o forse perché questo termine richiamava soprattutto sintomi della sfera genitale, mentre alcune di esse, Aids in testa, non danno segnali di quel tipo. Molti medici poi preferiscono non chiamarle nemmeno malattie, ma infezioni, quali sono, ponendo l’accento sulla causa, un agente batterico, un visus, un protozoo che di solito viene passato da persona a persona. E richiamando quindi la necessità di prevenire questo “passaggio”. Le IST o MST comunque, lo dicono tutti, costituiscono un problema sanitario. Tanto che anche nel 2018, il ministero della Salute, in collaborazione con gli Ordini dei medici, ha lanciato una campagna di prevenzione. Tanto che giace in parlamento una legge, proposta dai 5 stelle, per ridurre l’Iva (e quindi il costo) dei preservativi, cioè dello strumento più efficace di protezione. Il che può essere certamente d’aiuto, nelle fasce di popolazione più povere, ma non è certo decisivo, visto che la motivazione al mancato uso del condom è raramente economica. Così come non mancano iniziative, lodevoli e spesso contestate, di distribuzione gratuita dei condom. Periodicamente inoltre giungono allarmi di “esplosioni” delle infezioni sessuali, della Clamydia o della sifilide, in Usa o in Europa (soprattutto nei paesi dell’est). E si sa che la fascia di popolazione più esposta è quella giovanile, dall’adolescenza ai 24 anni, quando le relazioni sono nuove o instabili, anche se alcune delle malattie conseguenti vengono diagnosticate più tardi. Attualmente inoltre sappiamo che sono più colpiti i ragazzi delle

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ragazze, soprattutto perché pesa la componente dei maschi omosessuali. Ma quanto sono veramente diffuse queste infezioni in Italia? E qui, come si dice, casca l’asino. Perché anche in questo campo si constata una “debolezza” tipica della nostra sanità: la mancanza o il ritardo dei dati epidemiologici. Una carenza aggravata dal fatto che non tutte le infezioni di questo tipo sono soggette a comunicazione obbligatoria all’autorità sanitaria e che comunque il sistema di rilevazione funziona male. Il tutto complicato dal fatto che la natura “intima” delle MST porta a nasconderle, a non rivelarle. Tranne nei casi più gravi, per esempio l’Aids, in cui diventa necessario ricorrere al Servizio sanitario. “La carenza di dati aggiornati è per noi uno dei problemi più grossi”, dice Massimo Galli, direttore del reparto Malattie Infettive 3 dell’ospedale Sacco di Milano. “Gli ultimi dati disponibile dall’Istituto superiore di Sanità sono stati pubblicati nel 2015 e si riferiscono al 2013. Complessivamente sono segnalati (escludendo l’Aids) circa 4mila casi all’anno di infezioni sessualmente trasmesse fino al 2005 e poi un aumento a 5.200 fino al 2013. Le infezioni più diffuse risultavano il papilloma virus e la sifilide. Dopo non si sa. Sono comunque dati sottostimati. Molti attribuiscono questo aumento all’allentamento dopo il 2005 dell’attenzione e della paura dell’Aids, dopo


che sono entrate nell’uso le moderne terapie”. È sconfortante trovare al primo posto proprio il papilloma, visto che dal 2007 la vaccinazione HPV contro questo virus, che è la causa principale dei tumori della cervice uterina, è fornita gratuitamente in tutte le regioni italiane (vedi box). Così come colpisce l’allarme ricorrente sulla diffusione della “vecchia” sifilide. “In realtà un forte aumento dei casi di sifilide si è verificato dal 2000 al 2005, poi sembra essere calata, poi sembra essere tornata a risalire” – dice Galli – “Comunque abbiamo a che fare con 41mila persone che ricorrono alle cure quando la malattia si ripresenta e si stima che ci siano almeno 9000 casi di infezione latente, portatori per ora sani, ma comunque infettivi”. Diverso è il caso dell’Aids, sottoposta a un regime di sorveglianza specifico e per la quale i dati sono più aggiornati. È vero che sta tornando a crescere? “In realtà la cattiva notizia è che non diminuisce, nonostante tutte le campagne di informazione e prevenzione. Il numero di nuove diagnosi è stabile, attorno alle 4mila all’anno. L’età media è di 36 anni, ma l’infezione può essersi verificata molti anni prima. Sono diminuite le donne colpite, aumentano i maschi, in particolare (ma non solo) omosessuali. In totale in Italia seguono il trattamento più di 100mila persone e si stima un “nascosto” (chi è stato infettato, ma non lo sa) del 17-18%”. E per quel che riguarda le altre infezioni, quali sono le più diffuse? “La Clamydia è al primo posto in entrambi i

sessi, mentre al secondo posto troviamo la gonorrea (infezione batterica) tra i maschi, soprattutto adolescenti e giovani adulti, e il Thrichomonas (un protozoo parassita) tra le femmine. Proprio l’infezione batterica da Clamydia, in molti casi asintomatica, risulta essere la più comune nella classe d’età giovanile (dai 15 ai 19 anni). In Italia è anche la più frequente tra gli stranieri (di provenienza europea), più

al nord che al sud, e tra le donne che prendono la pillola (perché non usano altre protezioni) e che non hanno una relazione stabile”. Tanti guai insomma, che possono essere la conseguenza dei rapporti non protetti. E che, anche se sembrano meno gravi rispetto all’Aids e alla sifilide, possono comunque avere serie conseguenze se non sono diagnosticate e curate adeguatamente.

CONTRO IL PAPILLOMA UNA CAMPAGNA DI FONDAZIONE INSIEME CONTRO IL CANCRO, AIMAC E LABORATORIO ADOLESCENZA Fondazione Insieme contro il Cancro (e il supporto incondizionato di MSD), Aimac (Associazione Italiana Malati Cancro e Laboratorio Adolescenza) stanno realizzando, con la consulenza scientifica della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza, un progetto di comunicazione per la prevenzione del papilloma virus rivolto agli studenti delle scuole medie inferiori. La campagna di comunicazione che uscirà nel mese di marzo (un video ed un poster) sarà interamente realizzata da studenti delle scuole superiori su un format creato da Laboratorio Adolescenza “Dillo con parole… nostre”, la cui “filosofia” parte dal presupposto che i messaggi diretti agli adolescenti siano più efficaci se pensati e formulati da altri adolescenti, piuttosto che dagli adulti. Due le scuole coinvolte, volutamente molto distanti geograficamente e per indirizzo: il Liceo Classico Manzoni di Milano e l’Istituto Alberghiero Umberto di Pasca di Potenza. In ciascuna scuola è stata identificata una piccola equipe di comunicatori in erba alla quale sono state fornite – da medici della SIMA e da esperti di comunicazione – informazioni scientifiche e tecniche per realizzare una campagna corretta dal punto di vista dei contenuti e coerente dal punto di vista delle “regole” della comunicazione. Ma le “idee” e la realizzazione, con tutta la freschezza, l’entusiasmo e gli ovvi limiti dell’età, sono esclusivamente loro.

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IL DOSSIER

Alessandra Marazzani Psicologa

La sessualità nel tempo dei ragazzi Come vengono affrontate la scoperta del sesso e le prime esperienze? Nella maggioranza dei casi nell’ambito di coppie affettive e monogamiche, anche se di breve durata. Ma anche con l’astinenza o la violenza

P

er comprendere cosa rappresenta la sessualità per gli adolescenti e come essi la affrontano dobbiamo anzitutto domandarci da che cosa la sessualità, in questa fase della vita, è principalmente influenzata. Il primo fattore d’influenza è rappresento dall’uscita dalla pubertà: il corpo è messo al centro di ogni azione ed è veicolo di continuo interesse. Ne consegue che il racconto del corpo fatto dagli adolescenti nelle conversazioni interpersonali e sui social funzioni da stimolo ad andare oltre e a spingersi verso le prime pratiche sessuali. L’investimento affettivo verso i coetanei, il mol-

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tiplicarsi delle relazioni amicali, l’incremento delle opportunità di scambi relazionali costituisce un secondo fattore, un humus favorevole per nuovi rapporti sentimentali e sessuali. L’energia, la carica ormonale aumentata e un’acerba istintività più incline all’azione che alla speculazione orienta la relazione tra i pari verso una dimensione prevalentemente fisica e sessuale. Il quarto fattore è costituito dalla spinta al “mettersi alla prova”. Si tratta della spinta a collaudare la propria capacità di provare e dare piacere sessuale. Inoltre, si vuole anche sperimentare la forza attrattiva del proprio corpo. Un corpo di cui si ha maggiore

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consapevolezza ma verso cui si rivolgono anche critiche e preoccupazioni di adeguatezza. Infine, bisogna ricordare che l’età adolescenziale è anche il periodo in cui i ragazzi definiscono il proprio orientamento sessuale identificandosi con un genere, preciso ed è questo il quinto fattore. Questa sorta di dichiarazione fatta a se stessi, questa scelta di campo li legittima a sperimentare la direzione presa, e li predispone alle pratiche sessuali. Ma quali sono le principali tipologie di comportamento sessuale che ci consentono di comprendere la fitta trama della psicologia adolescenziale in tema di sessualità?


La maggioranza degli adolescenti vive la sessualità nell’ambito della coppia che si costituisce su basi affettive e, se anche di breve durata, è di natura monogamica. Nell’intimità della coppia se da una parte prendono forma e trovano accoglienza le prime pratiche sessuali, dall’altra si costruisce una marcata differenziazione dal mondo adulto genitoriale. I genitori infatti, anche quando vengono resi partecipi delle vicende sentimentali della giovane coppia sono di fatto esclusi dalla loro esperienza sessuale. Da ciò è possibile comprendere quanto le prime esperienze costituiscano una tappa fondamentale del percorso di crescita, di separazione e individuazione di sé dalle figure genitoriali. La comunicazione attraverso il web e i social, di cui gli adolescenti sono i primi protagonisti, in questi anni ha profondamente modificato sia il significato del corpo che i valori e le pratiche della sessualità. Il corpo viene reso più visibile, è esposto, esibito. Diviene strumento di una rappresentazione di sé verso il pubblico degli amici, un veicolo di popolarità, di ricerca di riconoscimento e consenso. Il corpo, così mostrato sui social, che allude a intenzioni e pratiche sessuali, ha diffuso valori e costumi improntati verso una maggiore libertà sessuale i cui effetti devono ancora essere valutati appieno per le loro implicazioni psicologiche e culturali. Pertanto, se la sessualità viene prevalentemente vissuta nella coppia, è la comunicazione web based che ha contribuito a diffondere e ad anticipare (età d’inizio) le pratiche sessuali dentro e fuori dalla coppia. Vi sono poi altri due tipi di comportamenti di segno opposto che vale la pena segnalare in quanto in tendenziale aumento: l’astinenza dal sesso e il comportamento violento a sfondo sessuale. Il primo si manifesta come una vera e propria astensione da rapporti e pratiche sessuali di ogni tipo, un disinteresse espresso e talvolta teorizzato verso qualunque relazione intima e accompagnata dal contatto fisico e dal piacere del corpo. Questo comportamento, quando non è espressione di una psicopatologia specifica, sembra essere la conseguenza di almeno due cause: la prima è legata ad un timore della valutazione della propria capacità di prestazione sessuale. La seconda, più complessa, è collegata alla difficoltà nello stabilire rapporti di autentica vicinanza con i coetanei, che è la porta di accesso a rapporti affettivi e sessuali. Anche il mondo del web, avendo virtualmente annullato le distanze, ha di fatto complicato la capacità tra i ragazzi di una vera

vicinanza, rendendo anche quest’ultima più virtuale che reale. Infine, vi sono da considerare i comportamenti violenti a sfondo sessuale. Questi ultimi costituiscono tra gli adolescenti un fenomeno che non appartiene più all’eccezionalità, si è più diffuso negli ultimi anni e riguarda principalmente gli adolescenti maschi. I comportamenti violenti sono meno noti di quello che dovrebbero essere perché rimangono troppo spesso nel “chiuso” delle relazioni tra coetanei. Possono essere caratterizzati anche da un crescendo della violenza: si passa dai messaggi offensivi e volgari via chat, all’imporre la visione di video pornografici fino alla richiesta di rapporti non consenzienti. I comportamenti sessuali violenti sono sempre esistiti ma ciò che preoccupa è il loro diffondersi senza che questo, troppo spesso, generi una contrapposta e adeguata riprovazione sociale da parte di chi ne è testimone o al corrente o di chi lo subisce. Questi comportamenti tra adolescenti sono il prodotto

di più cause: l’erosione di alcuni valori di rispetto dell’altro, la difficoltà di sentire e riconoscere le emozioni e i sentimenti provati dal partner che viene ridotto a oggetto di piacere, e vi è poi la difficoltà a procrastinare e a limitare la soddisfazione dei propri desideri sessuali, fuggendo da ogni forma di rinuncia e frustrazione. La sessualità oltre che rappresentare un’esperienza formativa della personalità degli adolescenti è anche fondativa dei valori che in un individuo caratterizzeranno la relazione con gli altri nel corso dell’esistenza. Per l’importanza che la sessualità riveste nella vita delle persone, proprio in età adolescenziale dovrebbe essere il più possibile affrontata in modo aperto, ed educata, all’interno della famiglia. Troppo spesso invece, viene trascurata o peggio censurata. Alessandra Marazzani e-mail alessandra.marazzani@gmail.com

IL PROBLEMA NON È IL SESSO MA IL DESIDERIO Oggi la sessualità si vede ovunque, non occorre andarla a cercare. Genitori e figli sono bombardati da immagini più o meno velatamente riferite al sesso, ma di sessualità non si parla. La cultura ipersessualizzata si contrappone ad una “rimozione collettiva” che rende difficile ai genitori pensare e riconoscere le pulsioni sessuali dei propri figli. Non ci turba il fatto che i nostri figli siano circondati da immagini esplicitamente sessuali, ma non riusciamo a parlare di desiderio. Eppure l’argomento è centrale, riguarda la crescita, la separazione dai genitori e la relazione con gli altri. L’adolescente, per la prima volta, ha a che fare con un desiderio sessualizzato, figlio dei cambiamenti puberali e delle modificazioni che stanno avvenendo in lui anche a livello cerebrale e del pensiero. Fino a qualche decennio fa la sessualità degli adolescenti era una delle più diffuse preoccupazioni della società: sembrava presentare aspetti oscuri ed inquietanti, rischi e pericoli, tra i quali le malattie sessualmente trasmissibili, le gravidanze indesiderate e le violenze. Oggi queste preoccupazioni, seppur talvolta presenti, non sembrano essere in primo piano. Le ragioni si possono rintracciare nella facilità del reperimento delle informazioni sulla rete che rende il confronto/scontro con gli adulti apparentemente meno necessario. Del resto è forse lo scontro ad avere abdicato davanti a dei genitori amici dai quali è molto più difficile separarsi. Ci troviamo sempre meno spesso davanti a figli arrabbiati e determinati a modificare lo stato delle cose e sempre più spesso di fronte ragazzi confusi e alle prese con una ricerca del piacere immediata che spesso esula dalla relazione con i coetanei. La fatica riguarda la ricerca di un’identità, il capire chi si è e cosa si vuole fare, ma questa ricerca prova a fare a meno del rapporto con gli altri. I genitori e gli adulti di riferimento saranno dunque preoccupati a causa dell’isolamento dei ragazzi, delle loro dipendenze (dalla rete, dalle sostanze, dal cibo, dall’alcool), dagli attacchi al corpo e da tutta una serie di sintomi che parlano al posto loro. Il sesso non è quasi mai un problema perché i problemi veri sembrano altri, perché questi sintomi fanno paura agli adulti e li attivano sul piano delle azioni e delle preoccupazioni. Forse però di sesso bisognerebbe ricominciare a parlare, non solo perché le malattie sessualmente trasmissibili si diffondono a fronte di una preoccupante disinformazione, ma perché il sesso, quello vero, riguarda la crescita, la relazione, l’intimità, il rispetto reciproco dei limiti e la consapevolezza di sé. È solo nell’incontro con l’altro che l’immagine di sé assume sempre più confini e chiarezza.

Giorgia Pierangeli

Psicoterapeuta Giorgiapierangeli@libero.it

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MIGRANTI MINORENNI

PRIMA LI ASSISTIAMO POI LI ABBANDONIAMO

Centinaia di operatori si assumono l’arduo compito di aiutare gli adolescenti arrivati da soli in Italia. Ma poi, quando compiono 18 anni…

Giancarla Panizza Assistente Sociale Fondazione L’aliante

L

a realtà degli adolescenti stranieri in Italia è estremamente complessa in quanto comprende minori non accompagnati, minori ricongiunti ai genitori, spesso dopo anni di separazione, o appartenenti alle seconde generazioni.A differenza di realtà europee con una storia coloniale come la Francia o la Spagna, l’immigrazione italiana è caratterizzata da una pluralità di provenienze e di culture. Nella sola città di Milano sono presenti oltre 160 nazionalità. L’adolescente straniero quando giunge nel

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nostro Paese è portatore di regole e stili di vita legati alla sua cultura d’origine. Ma anche chi si occupa di loro (insegnanti, educatori, medici, assistenti sociali) portano in sé impliciti culturali, a partire dal concetto stesso di adolescenza, che richiedono una consapevolezza non sempre semplice da conseguire. Elementi della comunicazione di base, per esempio, possono essere fonte di fraintendimenti e di “incidenti culturali”. Qualche anno fa l’erronea interpretazione di uno sguardo provocò una rissa all’interno di un Istituto di

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scuola secondaria di secondo grado tra due gruppi etnici (italiani e filippini), che sfociò in numerosi ferimenti. Un successivo lavoro di decodifica della comunicazione rivelò l’equivoco alla base della violenza e consentì di mediare una riconciliazione, favorendo una maggior disponibilità alla comprensione reciproca. Coloro che giungono in adolescenza in un Paese straniero, come dice George Devereux, vivono la frattura dell’involucro culturale, cioè di quel “guscio protettivo” dato dalle certezze dei propri riferimenti che, fuori dalla patria,


vengono meno o non sono del tutto spendibili. Essi portano con sé elementi di continuità, quale il credo religioso, e elementi di discontinuità, come ad esempio l’esigenza di inserirsi in un nuovo contesto. Le strategie per integrarsi possono essere diverse: acculturazione, assimilazione, melting pot, … È necessario tener conto di tutti questi elementi di complessità per entrare in una relazione positiva e costruttiva con l’adolescente che proviene da altri mondi e con la sua famiglia, sia essa presente in Italia o in patria. In particolare quando l’adolescente è solo, quel che tecnicamente viene definito “minore straniero non accompagnato”, è portatore di un mandato migratorio familiare che lo indirizza verso la precoce assunzione di responsabilità, di sostegno economico per la famiglia. Per questo la sua accoglienza deve essere particolarmente attenta e lasciare spazio all’ascolto, in quanto si rischia di occuparsi in modo emergenziale della sua situazione e di trascurare la ricostruzione del suo passato, partendo da un “qui e ora” che nega di fatto l’importanza della sua vita precedente, dei suoi ricordi affettivi e dei traumi vissuti nel viaggio e della sua esigenza di ricoprire un ruolo adulto. È perciò importante accogliere le sue narrazioni, le rappresentazioni e le aspettative verso il paese di arrivo, facilitando un percorso di consapevolezza e un confronto realistico con le possibilità rappresentate dall’“approdo”. Si tratta quasi sempre di un minore che ha intrapreso un viaggio solitario, molto rischioso e investito di aspettative. Nelle situazioni peggiori, non rare, chi proviene dall’Africa è transitato per i campi profughi libici, da cui è spesso fuggito portando con sé esperienze traumatiche plurime (fame, torture, somministrazione di droghe in sostituzione del cibo, violenze assistite, perdita di compagni di viaggio, minacce). All’arrivo in Italia il ragazzo impatta con un sistema di regole altre – che vietano per esempio a un minore di vivere in autonomia – e, il più delle volte, viene collocato in strutture di accoglienza: fino a qualche tempo fa in comunità educative e ora, soprattutto nelle aree metropolitane, prevalentemente in centri che accolgono grandi numeri di minori. A un minorenne, adultizzato dalla sua famiglia, viene proposto un percorso “regressivo”, verso progetti che lo ricollocano nel ruolo di soggetto depositario di diritti di tutela. Per chiedergli poi, in modo repentino, di

autonomizzarsi di nuovo al compimento del 18esimo anno, e di fatto, di tornare a essere solo ad affrontare la complessità. A questa nuova adultizzazione “anagrafica” è accompagnata una nuova frattura di relazioni e nuove esperienze di solitudine e di abbandono. Quest’ultimo periodo, connotato da una totale incertezza rispetto al futuro a causa delle recenti norme contenute nel “Decreto Sicurezza”, mina la possibilità di costruire un progetto coi minori non accompagnati, ponendo nuovi interrogativi sul lavoro possibile con questi adolescenti. Essi infatti avrebbero biso-

gno di apprendimento della lingua italiana, in alcuni casi di cure psicologiche o mediche, formazione, prospettive lavorative, elementi che perdono di senso e che faticano a trovare una motivazione se la prospettiva è la permanenza irregolare in Italia o il rimpatrio, al momento del compimento del diciottesimo anno d’età. L’intenso lavoro svolto da molti operatori rischia così di essere vanificato o svuotato, a fronte dell’esiguo numero di permessi di protezione internazionale che verranno riconosciuti, con una dispersione di risorse umane e economiche insensata.

I RONIN CHE SI AGGIRANO PER L’EUROPA

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minori non accompagnati, per lo più adolescenti di 16-17 anni, sono circa il 15% delle popolazioni giunte in Europa attraverso strade diverse e diverse traversie. Ma quanti sono veramente in Italia? 18.303 secondo un rapporto di Save the Children del 2017, 10.787 secondo il data room di Corriere.it quelli attualmente presenti, considerando che negli ultimi tre anni più di 8 mila tra quelli censiti non erano in realtà minorenni come dichiarato (per non rischiare l’espulsione), mentre poco più di 20mila sono diventati nel frattempo maggiorenni. Complessivamente in Europa, secondo dati Eurostat del 2017, si aggirava per l’Europa un esercito di circa 31mila ragazzi soli. C’è da averne paura? Sì, soprattutto per loro stessi. Perché solo una piccola percentuale (in Italia il 10% circa) trova un’accoglienza stabile, mentre in gran parte giacciono nei centri di accoglienza o comunque strutture provvisorie “di passaggio”. E un numero rilevante di essi è semplice-

mente scomparso, dopo esser stato registrato: 4.307 solo in Italia (che ha il record di scomparse), appartenenti a 23 etnie diverse, secondo Eurostat nel 2017, mentre 5.229 sono gli “irriperibili” secondo Corriere.it nel 2018. Dove sono finiti? Non bisogna necessariamente pensare ad eventi drammatici. La maggior parte di loro è arrivata da sola con l’intento di ricongiungersi alla propria famiglia già immigrata e a gruppi di connazionali, gran parte di loro (si spera) ci sono riusciti. “Scomparsi” in Italia sono forse ricomparsi in Germania o in Svezia. Ma non tutti. Alcuni di loro (qualche migliaio?) sono allo sbando, vivono di espedienti, cercano di sfuggire a regole e confini. E a loro si aggiungono i diciottenni, che per l’anagrafe perdono ogni protezione e diventano “clandestini”. Per definirli si è adottato un termine giapponese, ronin, che anticamente definiva i samurai rimasti senza padrone. Ma è un termine inappropriato: più che guerrieri sono facili prede.

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SCUOLA

IL LICEO? LO FACCIO ALL’ESTERO Non solo all’università. Anche alle superiori si può studiare per un anno in un altro Paese del mondo, grazie al programma Intercultura. Con quali vantaggi e quali rischi? Simona Mazzolini Giornalista

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uando si parla di studi all’estero, molti pensano all’Erasmus durante l’università, ma un’esperienza analoga si può fare anche al terzo o quarto anno delle scuole superiori.

COME FUNZIONA «Una nota del Miur del 2017 (n. 3355) ha chiarito che le esperienze di studi all’estero sono “parte integrante dei percorsi di formazione e di istruzione” e la normativa italiana consente, dopo un anno scolastico frequentato all’estero, di accedere alla classe successiva senza ripetere l’anno. Queste esperienze, inoltre, sono equiparate ai progetti di alternanza scuola lavoro». A spiegarlo è Franca Volonnino, presidente del Centro locale Potenza e consigliere di amministrazione nazionale dell’Associazione Intercultura (https://

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www.intercultura.it), organizzazione che promuove e sostiene gli scambi educativi internazionali. Dunque, studiare un anno all’estero da adolescenti si può, supportati da soggetti qualificati che si occupano sia dell’aspetto organizzativo, sia dell’accompagnamento step by step dei ragazzi e delle loro famiglie (quelle di provenienza, ma anche quelle ospitanti) lungo tutto il percorso, dalla scelta di partire al ‘reinserimento’ una volta tornati a casa.

NE VALE LA PENA? Ne vale davvero la pena? Volonnino non ha dubbi: «Un periodo di studi all’estero è un percorso educativo, prima ancora che scolastico. I ragazzi che lo fanno vivono in un’altra famiglia, in un altro Paese, si inseriscono in un

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sistema scolastico differente dal loro, incontrano amici con stili di vita diversi, parlano un’altra lingua per la maggior parte del tempo, sono immersi in un’altra cultura. In questa esperienza niente è scontato: ci si mette in gioco a 360°. E si ‘cresce’ moltissimo». E la scuola? Un anno all’estero non è indolore: sistemi e programmi scolastici diversi non danno la stessa preparazione e c’è comunque da affrontare un ‘jet leg linguistico’ di ritorno. Molti istituti si sono attrezzati: organizzano corsi di recupero e programmi di reinserimento personalizzati, e chiedono agli studenti di studiare durante l’estate e sostenere prove in alcune materie. Così come non è raro trovare resistenze – anche forti – da parte di dirigenti scolastici e insegnanti che vedono una minaccia per la continuità didattica e per l’apprendimento di alcune materie.


QUELLI CHE PARTONO, QUELLI CHE TORNANO Una famiglia intercultura: l’esperienza raccontata a un anno di distanza.

RAGAZZI INTERCULTURA Cosa ne pensano i diretti interessati? Samuel è partito a 16 anni per studiare negli Stati Uniti: «Volevo uscire dalla routine, provare un altro stile di vita». L’ha trovato? «Negli USA si sta a scuola la gran parte del tempo, il rapporto con gli insegnanti è molto meno formale che in Italia, le materie extrascolastiche contano moltissimo». È un bene o un male? «È diverso e basta». Durante l’anno trascorso negli Stati Uniti, Samuel ha imparato che non serve giudicare, e che è più importante analizzare le diversità. Gabriel è brasiliano. In Italia da pochi mesi, ha le idee chiarissime: «Se puoi, parti! È qualcosa che a 17 anni puoi fare una sola volta nella vita». Ineccepibile. Ma non è troppo presto? Non secondo Hana, arrivata dalla Bosnia-Erzegovina a inizio anno scolastico: «A 16-17 anni si ha già una personalità definita, ma c’è il vantaggio che non si hanno ancora preconcetti. Dopo diventa più difficile». «Certo – precisa Sofia arrivata in Italia dall’Argentina – , per sfruttare tutte le opportunità devi avere una mentalità aperta». Francesco (17) è reduce da un anno a Hong Kong: «Ho capito che abbiamo un sacco di pregiudizi, pensavo ai cinesi come a un popolo arretrato… in alcuni ambiti sono anni luce avanti a noi». È vero che lui è finito nella

parte più ‘occidentale’ della Cina, ma le differenze restano. «I rapporti tra le persone sono molto meno diretti. Se hai sbagliato, nessuno te lo viene a dire, devi capirlo da solo. Ho imparato a farmi domande che prima non mi facevo, su di me e sugli altri». E ha saputo fare di necessità virtù: «Certo, mi mancavano le persone più vicine, sopratutto gli amici con cui parli di tutto. Ho legato con altri ragazzi stranieri che erano lì come me e avevano la stessa esigenza».

INTERCULTURA È UNA ONLUS PRESENTE IN 65 PAESI DEL MONDO, CON

STATUTO CONSULTIVO PRESSO L’UNESCO E IL CONSIGLIO D’EUROPA. IN ITALIA È ATTIVA IN 157 CITTÀ.

Simona Mazzolini e-mail simo.mazz@gmail.com

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Simona, la mamma – «Elena è partita per la Thailandia a 17 anni. Pensavo di essere pronta, ma quando ti separano migliaia di chilometri e sai che non puoi essere lì con lei, è un’altra cosa». Come se ne esce? «Il confronto con altri genitori nella stessa situazione aiuta tantissimo. Intercultura ci ha messi in contatto e il dialogo è proseguito sui social. Abbiamo vissuto tutti le stesse incertezze, gli stessi problemi pratici, gli stessi stati d’animo: gli scambi con le altre famiglie sono stati preziosi». Il momento più impegnativo? «Il rientro a casa. Più si avvicina, più l’attesa si carica di aspettative e dubbi. Ci si sente, ci si scrive, si scambiano messaggi, ma nove mesi – specie a 17 anni e in un contesto così diverso – sono abbastanza per cambiare una persona». Dopo non basta ritrovarsi, tocca ‘riconoscersi’ un po’ per volta. Elena, la figlia – «Prima di partire ho preferito non crearmi aspettative, non volevo rischiare di essere delusa. Però ci sono cose che dai per scontate: una casa te la immagini come una casa, più o meno come le nostre, magari di un altro stile. Invece la realtà, nel bene e nel male, supera di molto l’immaginazione». In cosa l’ha cambiata questa esperienza? «Mi sento più consapevole di me, delle mie capacità e dei miei limiti. In Thailandia affrontavo le difficoltà dicendomi “Questa situazione prima o poi finirà”; ora che sono tornata mi dico “Ricordati cosa sei riuscita a fare in Indonesia”». Che è cambiata glielo dicono anche i coetanei: qualche amicizia importante si è ridimensionata e qualche rapporto meno intenso si è rinsaldato. Ricky, il figlio ospite – D’accordo con Elena, quest’anno Simona si è proposta come ‘famiglia ospitante’: fino a giugno Ricky, diciassettenne di Caracas, Venezuela, studierà a Milano e vivrà con loro. Come sembra a lui questa esperienza, dopo i primi mesi? «Aspetta un momento», dice: gli serve un po’ di tempo per cercare le parole in italiano. Vuole esprimere il suo stupore positivo davanti a ogni novità, come «uscire con gli amici il pomeriggio» o «prendere la metropolitana»: non è così dappertutto, e ‘dappertutto’ c’è qualcosa di diverso da qui. Qualcosa che vale la pena di vivere, soprattutto da adolescenti.

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MITI GIOVANILI

Edoardo Rosati Giornalista, cinefilo ed esperto di fumetti

L’ADOLESCENTE RAGNO È il più popolare e amato dei supereroi. Forse perchè è un ragazzo timido e impacciato.

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’adolescenza, si sa, è terra di magiche Museo del Fumetto di Milano. «Erano trasformazioni. Fisicamente radicali. gli anni Sessanta, epoca in cui spopolaNell’adolescente il corpo diventa all’imvano supereroi adulti e improbabili provviso un fardello ingombrante, ingecome Superman (un alieno) e Batman stibile. Che spariglia le carte sul tavolo (un miliardario genialoide): la storia di della vita e spiazza la mente. Ossa che un ragazzino schivo e impacciato, che s’allungano, masse muscolari che s’iperacquisisce superpoteri e decide di trofizzano, peli che imboschiscono la metterli al servizio del Bene per venpelle, timbri vocali che mutano, piedi che dicare un torto subito, non poteva che lievitano, insopprimibili incendi sessuali, essere vincente». I giovanissimi amerismottamenti ormonali… Metamorfosi cani, e più tardi quelli italiani (nel 1970, che si realizzano in maniera piuttosto grazie alla benemerita Editoriale Corno), rapida. E che generano curiosità ma per la prima volta si sono identificati in anche spavento allo stesso tempo. Sarà un adolescente normalissimo. In effetti, da attribuire a questo personalissimo e l’imberbe età del protagonista fu la trouniversale terremoto somatico la pasvata azzeccata e innovativa: sino ad alsione degli adolescenti per la letteratura lora il teenager era la semplice spalla e il cinema horror, dove impazzano per dell’eroe. L’esempio più eclatante? l’appunto le folli anarchie dei corpi? Del Robin, il pard dell’Uomo Pipistrello. resto, è lo psicoanalista Angelo Moroni «Questa è la chiave del successo lonche definisce il cinema dell’orrore una gevo: un giovane in procinto di divencornice “rappresentativo-narrativa” per tare adulto (per inciso, snobbatissimo contenere gli effetti traumatici dei mudalle ragazze e pure bersaglio dei bulli tamenti sperimentati da un adolescente. a scuola) si ritrova a vivere non solo le Ci piace, per fotografare il senso della mille insicurezze della maturazione ma nostra premessa, citare le parole di Moanche l’improvviso fardello delle reroni: «Come il bambino può avvicinarsi sponsabilità», è il commento del proalle proprie emozioni mediante il gioco, fessor Gino Frezza, docente di allo stesso modo l’adolescente, attraSociologia dei processi culturali all’Universo il cinema, può avvicinarsi e penversità di Salerno. Eh, già: Peter è un rasare al dramma identitario che sta Il primo disegno del primo numero dell’Uomo Ragno (1962). gazzotto (un nerd, come si direbbe vivendo, utilizzando un terreno artioggi) che, attraverso quel corpo spetstico-transizionale, uno “spazio potenziale”, un vere di Peter Parker, l’occhialuto studente (ortacolarmente mutato (allegoria sublime delle “ambiente onirico”». E allora, su questa scia, fano di entrambi i genitori) morso nell’agosto trasformazioni fisiche cui accennavamo all’inivogliamo diversificare il ragionamento e ap- del 1962 da un ragnetto radioattivo sulle pa- zio), deve cominciare a scordarsi la beata inprodare nei territori, sempre immaginifici, dei gine di Amazing Fantasy. Però, eccoci al punto, coscienza dell’infanzia e incamminarsi sul colle supereroi in calzamaglia, che sono spesso ra- il personaggio partorito da Stan Lee (il leggen- dell’età adulta. «La forza del personaggio», gazzi e ragazze alle prese, guarda un po’, con dario fumettista scomparso il 12 novembre conclude il professor Gino Frezza, «sta tutta una… mutazione organica. E nel pantheon 2018) e Steve Ditko continua sì a guizzare tra qui: se Clark Kent, l’identità segreta di Superdelle super celebrità brilla più che mai lui, i grattacieli ma perennemente immortalato man, finge di essere imbranato, il magrolino l’Uomo Ragno: tanto per rimarcare la sua nei panni dell’adolescente timidone e riserPeter Parker è autenticamente goffo. fama evergreen, Spider-Man – Un nuovo uni- vato, alle prese con quotidianissime verecon- Credo proprio che il fattore umano “insicuverso, il recentissimo cartoon dedicato al Tes- die giovanili e beghe familiari. «Già: il successo, rezza” sia l’ingrediente vitale di questa ricetta. siragnatele, ha vinto il Golden Globe nella oseremmo dire il mito, di Spider-Man va ricer- Perché le generazioni si susseguono, è vero, categoria “Miglior film di animazione”. Ana- cato soprattutto nell’idea originale dei suoi ma i dilemmi e le crisi dei ragazzi appartengraficamente ha 56 anni: tante sono le prima- due creatori», ci dice Luigi Bona, direttore del gono a ogni epoca.

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DICONO DI NOI

CHE COSA NE PENSA EINSTEIN A cura della redazione di Scripta Restant, giornale del Liceo Einstein di Milano Sara Caneri, Ylenia Genovese, Adelina Marcu, Carolina Sole Panella, Giuseppe Reschigna

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’inchiostro sulla pelle

facciamo a noi stessi (sempre se i soldi sono nostri, altrimenti, il minorenne dovrà prepararsi a una lunga battaglia per ottenerli). Vogliamo sentirci a proprio agio con il nostro corpo e se nella nostra mente ce lo rappresentiamo con un dragone cinese rosso e giallo ,che parte dalla coscia e percorre tutto l'arto inferiore, che sia. L'importante è essere sicuri e avere le idee chiare su quello che si sta facendo.

È più forte di noi, a volte, mostrare quello che siamo o come vorremmo essere considerati. Il modo più semplice passa attraverso i social, sui quali condividiamo ogni sciocchezza che ci capita, per dimostrare, spesso più a noi stessi che agli altri, che siamo diversi da come appariamo. Ma per moltissimi questo non basta. Occorre un'ulteriore prova, un'altra conferma che possa essere visibile a tutti, che possa apparire ogni giorno davanti ad uno specchio. Qualcosa di permanene. Mentre prima veniva considerata una pratica da "duri", ora anche le bellezze raffinate si affidano all'inchiostro sia per disegni polisemici, sia per schizzi che possano arricchire unicamente la figura a livello estetico. E ci sono poi quelli che agiscono in modo empirico e impulsivo, per cui scelgono un disegno artistico carino e poi ci costruiscono l'impalcatura di un complesso pensiero filosofico. Solamente per dare un senso a quello che può essere considerato semplicemente un capriccio. Questi ultimi, di solito, sono quelli che si stancano prima del pezzo di carne macchiato a vita... ed allora sono dolori, in tutti i sensi. Altro ci sembra il discorso dei piercing. Bucare zone cartilaginee e non (ora pare che stia spopolando la famigerata moda del dermal, ovvero un brillante incastonato sulla pelle, come se fosse un bottone cucito sull'epidermide) per incastrarci un orecchino, che il più delle volte rimarrà coperto dai capelli o dalle magliette, appare più che altro inutile. Nell’uno e nell’altro caso poi, spesso questa scelta estetica e psicologica è affrontata con superficialità, senza seguire le precauzioni e le cure che bisogna prestare alla zona del corpo interessata, ultrasensibile per giorni e giorni dopo la perforazione (sono sempre aghi che iniettano inchiostro o segmenti metallici in fin dei conti); e quasi mai poi viene chiesto consiglio al dermatologo. Ma vale davvero la pena dormire su un fianco solo anche per mesi, nell’attesa che guarisca l'helix (che voi ci crediate o no, ogni piercing è contrassegnato da un nome specifico) o spalmare quintalate di crema solare sulla cute tatuata, con il rischio di non avere un'abbronzatura uniforme o vedersi rincorrere dal nonno schifato da tale obbrobrio su una così bella carnagione? In una società dove il senso comune suggerisce che ognuno può fare quello che gli pare, la risposta non può che essere affermativa. È uno dei tanti regali che

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ell’oceano del lavoro

Non possiamo fingere che i nostri parenti non ci indirizzino a scegliere una scuola piuttosto che un’altra e non possiamo mentire a noi stessi che la suddetta scelta non ci spinga in una direzione piuttosto che in un’altra, dopo la maturità. Ovviamente ci sono anche casi in cui, armati della più grande ed ammirevole forza di volontà, ci si ribella all’equazione banale liceo = università e istituto tecnico = azienda. Ma volenti o nolenti, prima o poi ci si ritroverà nel freddo oceano del mondo del lavoro, a tentare di non annegare spingendo giù gli altri in lotta per lo stesso scopo: essere assunti. E i casi sono due: o si aspetta l’agognato call back” o ci si reinventa, soprattutto ora, nell’era in cui si può dare più sfogo alla creatività per costruire dal nulla nuovi impieghi e nuove professioni. Una a caso? L’ influencer”: uno scheletro con una colonna vertebrale di prime impressioni, dalle falangi sempre attive nella scrittura di post (ed in generale self-promoting” sui social network) e un osso sacro, che nessuno nota, di sana recitazione e robusta finzione. Ma il percorso, in mancanza di veri e propri legamenti e muscoli, può solo avere un raggio limitato all’hic et nunc e non va molto lontano. Eppure, nei nostri coetanei, sentiamo come se la tensione verso l’erudizione, il progresso e la ricerca sia stata sostituita da una ricerca viscerale per il divertimento nel senso dell’ entertainment”. L’avere successo ha ceduto il passo all’avere fama, ovvero all’essere famosi senza aver necessariamente contribuito a costruire qualcosa. Accontentandosi di essere al centro delle chiacchiere di corridoio. Perché? Forse siamo troppo disillusi e siamo convinti di che non saremo noi quelli che cambieranno il mondo? Forse, sconcertati dalla situazione attuale, non siamo troppo disposti a mettere davvero la mani in pasta e sporcarcele? Forse siamo disinteressati a quelle carriere che non rappresentano il nostro sogno ideale?

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