Valsugana News n. 9/2020 Novembre

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L’editoriale di Waimer Perinelli

Il virus democratico Donald Trump, Boris Johnson, Silvio Berlusconi... Sono alcuni degli uomini politici famosi, perfino ministri alla sanità, colpiti ma non affondati, grazie al tempestivo intervento sanitario, dal Corona 19, il virus che non ha risparmiato nemmeno le teste coronate come il principe Carlo d’Inghilterra e Alberto di Monaco o attori e divi come Flavio Briatore, Giuliana De Sio, Tom Hanks, Paulo Dybala, Cristiano Ronaldo. Un lungo elenco di ammalati a causa di un virus democratico.

È

vero non guarda in faccia nessuno ma a morire sono soprattutto i poveri, quelli ai quali una voce anonima suggerisce di restare in casa e curarsi “ Se poi si aggrava richiami”. Quelli che, non sono poveri ma vivono in comunità forzate, in strutture per anziani. Gli spavaldi che sfidano il virus convinti che la movida lo spaventi o sopravvalutano le difese immunitarie del proprio corpo. Attenti, perché fra le decine di contraddittorie teorie di virologi, immunologi, medici di base c’è anche quella che attribuisce ad una eccessiva reazione di anticorpi del proprio fisico la causa della morte: è come, dicono, se per distruggere una zanzara si impiegasse una bomba in casa. E mentre fioriscono ipotesi si scatenano i tamponamenti sui quali pure esiste qualche ambiguità. Un fotografo padovano è passato dall’essere negativo al positivo in mezz’ora. Tamponando in massa si è scoperto che, beati loro, ci sono quelli che il virus ce l’hanno ma non ne subiscono i danni. Alessandro Manzoni li avrebbe messi fra gli untori. Non è perciò sufficiente chiudersi in casa perché il Covid potrebbe già essere fa di noi. Il premier Giuseppe Conte rassicura: a fine dicembre avremo il vaccino. C’è chi in economia con il Virus ci convive benissimo. Carlo Bonomi, presidente di Confindustria e industriale del settore biomedicale, parla di economia di guerra. È possibile e

Boris Johnson

Donald Trump

credibile che l’industria trainante non potendo essere quella dei carri armati e delle bombe, sia la sua. Ma durante una guerra mentre gli uomini, e le donne, muoiono al fronte aumentano le forze lavoro e non si licenzia, come chiede Maurizio Landini leader della Cgil. E invece crescono come una pandemia i vergognosi contratti atipici, co.co.co, i lavoratori a chiamata, anche oraria. Per i corrieri più fortunati anche due o tre euro a pacco consegnato. Crescono così soprattutto i miliardi dei miliardari. Milena Gabanelli riporta sul Corriere della Sera, non smentita, che negli USA da marzo a settembre il conto bancario di 643 persone è salito di 845 miliardi di dollari mentre 50 milioni di persone hanno perso lavoro e 14 milioni sono ancora disoccupati. Duemilacentocinquantatre (2153) miliardari nel mondo hanno più risorse di 4,6miliardi di persone messe assieme. In Italia Giovanni Ferrero, il re della

Silvio Berlusconi

Nutella, nel 2019 ha guadagnato 8,73 miliardi portando il suo patrimonio a 29 miliardi. E trova il tempo per scrivere romanzi. Paese che vai pandemia che trovi: in Cina dove è nato il Covid, la peste suina ha permesso al miliardario allevatore di guadagnare fior di miliardi aumentando il prezzo della carne. La cosa che infastidisce maggiormente è che, grazie alla legge, questi signori fondano società offshore in paradisi fiscali. Eppure secondo il calcolo di Oxfam, società impegnata nella lotta alla povertà, una tassazione dello 0,5% in più all’uno per cento dei più ricchi consentirebbe in dieci anni di creare nel mondo 117 milioni di posti di lavoro nella scuola e nell’assistenza sanitaria. Una goccia nel girone dei dannati, come quella di vaccino che a dicembre, forse ci verrà iniettata, nell’attesa o avvento, come sostiene qualche politico illuminato, per vivere non ci resta che convivere con il Virus. È la vita bellezza.

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SOMMARIO ANNO 6 - NOVEMBRE 2020 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Chiara Paoli - Elisa Corni COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser COLLABORATORI Waimer Perinelli - Erica Zanghellini Katia Cont - Massimo Dalledonne - Francesca Gottardi Maurizio Cristini - Laura Mansini - Alice Rovati Giorgio Turrini - Laura Fratini - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover - Veronica Gianello Giampaolo Rizzonelli - Mario Pacher CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE - GRAFICA - STAMPA Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN)

PER LA TUA PUBBLICITÀ cell. 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a GRAFICHE FUTURA srl, le loro pubblicità, le loro immagini, i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.

L’editoriale 3 Sommario 5 “Bauli in piazza” 7 A parere mio - Fugatti se ci sei batti un colpo 10 Come eravamo 11 Società oggi - La famiglia allargata 13 A ciascuno il suo 15 Storie di ieri e di oggi 16 Qui Italia - Il rapporto sulle carceri 18 Cronache trentine - La situazione dei trasporti 19 Il personaggio - Angelico Prati 21 Cronache in Valsugana - La residenza San Vendemiano 24 Società oggi - Le microplastiche 25 L’arte nei secoli - Antonio Canova 26 Ieri avvenne - Irpinia la terra trema 29 Tra passato e presente - La Valsugana romana 32 Come eravamo 33 Nerio Fontana e l’immagine femminile 35 Conosciamo il territorio - Il forte di Tenna 36 Natura e società - Le piante e i crimini 39 In ricordo di William Wordswort 42 Ballando con i sensi - Il tango al buio 45 Il personaggio - Felice Fabbro 48 Judo - Irene Pedrotti sul tetto d’Italia 49 Tra passato e presente - San Carlo Borromeo 50 Ecologia, arte e musica - Da ascoltare 53 Battaglia al Covid 55 Degradé e la colorazione dei capelli 56 Economia & Finanza – I fondi pensione 57 Storie di casa nostra - 100 anni della SAT di Borgo 58 Personaggi valsuganotti – Davide e Isidoro Weiss 60 Come eravamo 61 Il personaggio – Alvin Ailey 62 Giovani e società – Il fermoimmagine 65 Altroconsumo risponde 66 Medicina & Salute - L’ortoressia 68 Come eravamo 69 Cose da mamma e da papa’ – Il babywearing 71 Curiosità dal momdo – Il premio IgNobel 72 Tra poesia, pittura e prosa 73 Come eravamo 73 I mulini di Caldonazzo 74 Come eravamo 75 Che tempo che fa 76 Giocherellando 78

Politicando Il taglio dei parlamentari Pagina 8

Ieri avvenne Cade il muro di Berino Pagina 22

L’artista Nerio Fontana Pagina 34

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Attualità di Katia Cont

“Bauli in piazza”

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l 10 ottobre di questo sfortunato 2020, Piazza del Duomo a Milano è stata occupata da 500 “flight case” che, per chi non lo sapesse, non sono altro che i bauli che contengono la strumentazione tecnica necessaria per allestire eventi: cavi, microfoni, fari, aste e molto altro ancora. È stata una protesta educata, silenziosa. Una performance allestita con tutti i crismi e i dettami di un grande evento, organizzata nel dettaglio, in ordine, senza fronzoli e, soprattutto, senza maleducati proclami. “Un unico settore, un unico futuro” – per sostenere professionisti, aziende e lavoratori del settore della musica in crisi a causa della pandemia. Questo lo slogan di “Bauli in piazza”, la manifestazione nata sull’onda del movimento americano “We make events”, che riunisce tutta la filiera del settore gravemente colpito negli ultimi mesi. Oltre ai 500 bauli, però, Piazza Duomo ha accolto anche una folta rappresentanza dei lavoratori dello spettacolo, tutti vestiti di nero. Un colore che si addice particolarmente al difficile momento che questo settore sta attraversando. Basti pensare che in Italia sono oltre 500 mila i professionisti a rischio. La loro voce si è aggiunta al coro di una manifestazione suggestiva, che ha alternato momenti di religioso silenzio a fragorosi applausi, scandita in sottofondo dalla musica creata dal battito delle mani sui tanti bauli presenti. Al centro di tutto un baule rosso, per ricordare tutti i lavoratori della spettacolo che hanno perso la vita facendo il loro dovere. Già, perché quello che i lavoratori dello spettacolo lamentano è proprio una mancanza di rispetto e di riconoscenza verso la loro professionalità. Lavoratori seri e preparati, rispettosi delle regole,

Piazza Duomo - Milano

e con alle spalle un bagaglio enorme di esperienza. Mica lavoratori improvvisati della domenica. Purtroppo, però, questi lavoratori continuano ad essere dimenticati. Lo sono ora e lo erano anche prima di questa pandemia. Mancano infatti contratti, non ci sono tutele e nessuno ha mai considerato l’ipotesi di adottare dei provvedimenti seri per regolamentare il settore. La fortuna di queste persone è che vivono di passione vera per questa professione, che continuano a svolgere nonostante tutto, come tutti quelli che amano ciò che fanno. In questo Paese sono molte le persone che vivono di e con lo spettacolo: padri, madri, famiglie intere che si sostengono grazie all’arte. Non sono alieni, ma persone in carne e ossa, che silenziosamente da anni si muovono dietro le quinte. Sono quelli che ad ogni comizio accendono il microfono, che regolano le luci, e che prima ancora montano il palco, lo stesso palco sul quale sono salite anche quelle persone che ora fingono di non ascoltare, e ai quali ora è rivolto questo “grido” di piazza. Purtroppo, però, le speranze si affievoliscono Dpcm dopo Dpcm, l’ultimo

dei quali – firmato lo scorso 25 ottobre dal Presidente Conte - inserisce tra i luoghi più rischiosi i cinema e i teatri, decretandone quindi la chiusura. Un provvedimento difficile da accettare, soprattutto alla luce di una recente indagine condotta dall’Ufficio Studi e Programmazione dell’Agis (Agenzia generale italiana dello spettacolo), che dimostrerebbe proprio il contrario. Su 347.262 spettatori, si legge su un post condiviso dal Teatro Pubblico Pugliese, «in 2.782 spettacoli monitorati tra lirica, prosa, danza e concerti, con una media di 130 presenze per ciascun evento, nel periodo che va dal 15 giugno (giorno della riapertura dopo il lockdown) ad inizio ottobre, è stato registrato un solo caso di contagio da Covid 19 sulla base delle segnalazioni pervenute dalle ASL territoriali. Una percentuale, questa, pari allo zero e assolutamente irrilevante, che testimonia quanto i luoghi che continuano ad ospitare lo spettacolo siano assolutamente sicuri». Non rimane quindi che aspettare tempi migliori e capire se le manifestazioni civili, organizzate e ordinate possano avere maggiori riconoscimenti di quelle arroganti e distruttive.

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Politicando di Armando Munao'

Gli italiani vogliono meno parlamentari Il referendum del 20 e 21 settembre 2020 è stato indetto per approvare o respingere la legge di revisione costituzionale dal titolo “Modifiche agli articoli 56,57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari” già approvata in Parlamento nell’ottobre del 2019 da tutti i partiti. Il nostro paese, dopo la vittoria del SI’, scende dal primo al quinto posto in Europa per numero di parlamentari, dopo Regno Unito (1.430 rappresentanti), Francia (925), Germania (778) e Spagna (616).

I

l 20 e 21 settembre si è tenuto il referendum costituzionale (il quarto nella nostra storia repubblicana) che chiedeva agli elettori di esprimersi sulla riduzione di un terzo dei nostri rappresentanti alla Camera e al Senato. Di fatto gli italiani dovevano dare il

Palazzo Montecitorio - Camera dei Deputati

Palazzo Madama - Senato della Repubblica

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loro parere su una modifica già approvata in Parlamento, ma sottoposta a referendum per le norme speciali che regolano le variazioni della nostra Costituzione. E gli italiani si sono espressi in maniera chiara e inequivocabile perché i SI’ sono stati il 69,5 per cento dei voti (17milioni 169mila) mentre i NO hanno ricevuto il 30,4 per cento (7milioni 500mila). L’affluenza è stata di circa il 54%. Per effetto di questo risultato dalla prossima legislatura i deputati passeranno da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. Fino ad oggi, ovvero prima di questo referendum che ha determinato la più importante modifica dell’assetto istituzionale nella storia della Repubblica italiana, nel nostro paese veniva eletto un deputato ogni 96 mila abitanti e un senatore ogni 188 mila. Con il taglio referendario ci sarà un deputato ogni 151 mila abitanti e un senatore ogni 302 mila. Inoltre, con la nuova riforma elettorale, saranno ridotti anche i parlamentari all’estero: da 12 a 8 i deputati e da 6 a 4 i senatori. E altra

modifica riguarderà i senatori a vita nominati dai presidenti della Repubblica che dovranno essere massimo 5 e non più otto come prima. È importante precisare che quello cui sono stati chiamati ad esprimersi gli italiani era un referendum confermativo, ovvero si chiedeva loro, non di votare per eliminare una legge, bensì di approvare una riforma del testo costituzionale già vagliato da Camera e Senato. E in questo caso, a differenza dei referendum abrogativi, non era necessario raggiungere il quorum del 50% dei votanti, ovvero una soglia minima di voti per renderlo valido. Vinceva il risultato che avrebbe ottenuto il maggior numero di voti. E ha vinto il SI’. L’ultimo referendum, sul quale gli italiani sono stati chiamati a votare è stato quello del 4 dicembre 2016 (chiamato riforma “Boschi-Renzi”) che si concluse con una vittoria del “NO” al 59%. Tra le proposte bocciate, c’era il superamento del bicameralismo perfetto, in particolare la riforma del Senato e la riduzione del numero di senatori, l’abolizione del CNEL (Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro), la ridefinizione del Titolo V parte II della Costituzione, con una riduzione delle competenze regionali e il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni


Politicando COSA CAMBIA ALLA CAMERA E AL SENATO REGIONE PER REGIONE REGIONE

PRIMA

Referendum

DOPO

REGIONE

Referendum

LOMBARDIA

PRIMA

Referendum

DOPO

Referendum

TOSCANA

SENATORI

49

31

SENATORI

18

12

DEPUTATI

102

64

DEPUTATI

38

24

CAMPANIA

REGIONE

PRIMA

Referendum

DOPO

Referendum

TRENTINO A.A.

CALABRIA

SENATORI

29

18

SENATORI

10

6

SENATORI

7

6

DEPUTATI

60

38

DEPUTATI

20

13

DEPUTATI

11

7

28

18

SENATORI

8

5

SENATORI

58

36

DEPUTATI

17

11

DEPUTATI

LAZIO SENATORI DEPUTATI

PIEMONTE SENATORI DEPUTATI

22

14

SENATORI

55

29

DEPUTATI

DEPUTATI

8

5

SENATORI

16

10

DEPUTATI

16

SENATORI

52

32

DEPUTATI

VENETO

3

9

6

7

3

6

4

MOLISE

ABRUZZO

25

7 BASILICATA

LIGURIA

SICILIA SENATORI

UMBRIA

SARDEGNA

7

4

SENATORI

14

9

DEPUTATI

2

2

3

2

VALLE D'AOSTA

MARCHE

SENATORI

24

16

SENATORI

8

5

SENATORI

1

DEPUTATI

50

32

DEPUTATI

16

10

DEPUTATI

1

EMILIA/ROMAGNA

FRIULI V.G.

SENATORI

22

14

SENATORI

7

4

DEPUTATI

45

29

DEPUTATI

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A parere mio di Cesare Scotoni

Fugatti se ci sei, batti un colpo La “forse pandemia” da Covid 19 mette a dura prova il Sistema Sanitario Territoriale e la Politica. La seconda fase dell’ondata virale è arrivata e la politica ancora s’interroga sulla reale capacità di contrastarla con il ricorso diffuso a precari sistemi di protezione individuale. Sul piano sanitario il Trentino, grazie anche ad una lunga tradizione di generale diligenza, sembra preparato. Sul versante economico ora paghiamo le deleterie conseguenze per il Paese, derivate dalle contradittorie decisioni governative che hanno tolto risorse e spazio di manovra allo slancio riformatore che voleva e tuttora vuole, caratterizzare questa Legislatura Provinciale. Nulla è perduto ma molto è da reinventare.

D

a reinventare localmente c’è di sicuro l’organizzazione. La qualità oggettivamente disuniforme di un esecutivo, complessivamente poco esperto, causa un deficit di complessiva coerenza nelle azioni del Governo danneggiate dal susseguirsi dell’emergenza Covid 19 all’emergenza Vaia ed i singoli assessorati faticano ad uscire dalla preliminare fase di valutazione e redistribuzione delle competenze. L’incertezza figlia delle due emergenze e l’eredità di tematiche controverse quali Life Ursus, N.O.T., rinnovo della Concessione A22 ed il concorrere delle scadenze elettorali delle elezioni europee e comunali, hanno rivelato un insostenibile difetto nella Comunicazione dell’azione di Governo, così come in alcuni momenti si sarebbe potuta evitare la confusione di ruoli a metà tra una Politica della Visibilità e l’impegno nell’Amministrazione, che frenano quel sano pragmatismo che tanto incide sulla credibilità dell’azione della Giunta. È ora tempo di riprendere il disegno riformatore che, facendo inizialmente leva su Economia e Welfare, deve sviluppare e consolidare l’azione politica. Ridare valore all’idea e realizzare dei progetti che guardino al Dopodo-

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mani. Qualche buona intenzione è andata in porto. Lo spostamento della Ricerca sotto Economia e Sviluppo e l’adozione della Carta di Rovereto hanno dato, per esempio, un segnale chiaro per focalizzare alcuni ambiti della ricerca e specializzazione dei territori. Maurizio Fugatti (Ufficio Stampa della Provincia di Trento) Con l’ottimizzazione e la focalizzazione delle risorse e della Mission per le Fondazioni, le Prom e impegnata nel suo Piano Strategico sul ruolo di Hit, c’è stato uno strappo, ad una diversa collaborazione con gli forse salutare, con l’Università e la Enti Locali e nella riorganizzazione e indicazione tra le priorità di nuova modernizzazione dei servizi senza le facoltà di medicina proiettata, si quali s’infrange la volontà politica di spera, verso l’Euregio, dove investire vedere in Trentino un HUB europeo sullo sviluppo di tecnologie e comper la digitalizzazione e la qualificapetenze sempre più indispensabili zione della P.A (dalla Formazione, alle all’assistenza medica dell’immediato tecnologie, alle procedure fino alla futuro. In questa “rivoluzione” cultuloro certificazione). rale giocherà un ruolo importante il Si tratta di una vera sfida alla modernuovo Rettore, chiamato forse a colnizzazione a cui non può sottrarsi il laborare maggiormente con i territori. settore turistico una cui riforma è in Sulla stessa via si evidenzia il nuovo fase di rodaggio preliminare, mentre ruolo di Trentino Digitale finalmente si son viste alcune necessarie inte-


A parere mio

Palazzo sede della Provincia autonoma di Trento in piazza Dante

grazioni alla legge provinciale n6 del 1999. Si va individuando una diversa centralità di Cassa del Trentino rispetto ai Comuni ed alle Partnership Pubblico Privato ed è stato individuato un “percorso” per modernizzare missione e governance di Trentino Sviluppo in un’ottica complessiva di specializzazione ed integrazione. Alcuni Assessorati non hanno però, per ora, elaborato quel proprio modello sulla Specialità Trentina che si vor-

rebbe orientato al futuro, affidandosi piuttosto alla solidità di una collaudata, rassicurante dirigenza, poco incline ai cambiamenti indispensabili per affrontare gli stravolgimenti che da marzo stanno demolendo un quadro di riferimento nazionale ed internazionale di cui il Trentino è una trascurabile porzione che vuole però fare della propria specialità autonomistica un fattore di competitività. Il pragmatismo è un appoggio resi-

liente, ma deve essere sorretto da un impianto ideologico forte e deve dare spazio alla capacità di intraprendere ed innovare in un quadro di generale cooperazione tra gli attori, creando spazi per quella crescita complessiva sacrificata per due decenni da un dirigismo provinciale forte solo delle proprie Risorse Economiche. È vero: la crisi può essere un’opportunità da cogliere con coraggio, quello che hanno i nostri giovani, ai quali serve un segnale forte di cambiamento, innovazione, concretezza. Le risorse calano ma non mancano e, se l’impegno saprà evitare di disperdersi in troppi rivoli, la sufficienza potrebbe non essere lontana ...

L’ Ingegnere Cesare Scotoni è Consigliere di Amministrazione della Patrimonio Trentino spa.

Come eravamo Borgo Valsugana - Largo Dordi (primi 1900)

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ABBIGLIAMENTO E INTIMO DA 0 A 99 ANNI

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Società oggi di Waimer Perinelli

Famiglia allargata e figli surrogati La famiglia composta da madre, padre e figli è un retaggio archeologico. Oggi l’identità familiare è molto labile: ci possono essere due madri o due padri, figli generati da un coniuge con altra persona, o in provetta con l’inseminazione assistita.

S

ono passati 71 anni dal tempo in cui l’antropologo francese Claude Levi Straus descriveva nel celebre saggio “Le strutture elementari della parentela” dinamiche, affetti, scambi familiari. Oggi il suo schema è crollato ed è giusto che sia così, visto che lo scienziato fotografava una realtà esistente, ma non per questo immutabile. In mezzo alle funzioni sociali dell’incesto o dello scambio di donne o uomini, si trova il problema della parentela che in società primitive, come quelle descritte da Levi Strauss, incidono in modo scarsamente incisivo sulla realtà sociale ed economica. Ma in una società complessa e variamente ricca come la nostra, il rapporto parentale è importantissimo per il nucleo familiare e la sua sopravvivenza nel tempo. Tanto importante da essere regolata da precise leggi ed oggetto di contenziosi giudiziari. È il caso di due donne veronesi di 34 e 33 anni conosciutesi ed innamoratesi nel 2016. La meno giovane nel

2017 è ricorsa alla donazione di seme ed ha partorito un bambino. Nel 2018 si sono unite in matrimonio con rito civile. Successivamente anche la più giovane ha avuto un figlio con la donazione del seme. Risultato, due mamme e due bimbi, regolarmente adottati dalla coppia, ma, dicono ora le due donne, giuridicamente non fratelli. Non lo sono nemmeno geneticamente visto che i due innocenti non hanno nulla geneticamente in comune. La loro situazione è uguale a quella della figlia adottiva di Liz Taylor o di Tom Cruise, rispettivamente coniugati con Richard Burton, e l’affascinante Nicole Kidman. Coppie sposate eterosessuali che hanno adottato dei bimbi aventi ora uguali vantaggi ed oneri giuridici. Secondo le due mamme veronesi la loro situazione familiare è identica a quella delle coppie eterosessuali : “Giuridicamente, dicono, i figli di coppie eterosessuali che adottano bimbi, anche di razze diverse, sono fratelli. Perché dunque escludere dai benefici di legge (in primis linea ereditaria e obbligo di assistenza familiare) i loro bimbi? Tanto più che i fratellini sono molto uniti psicologicamente.” Sono convinte che il giudice darà loro ragione. E c’è un precedente positivo nel bolognese. La vicenda apre il sipario sul palcoscenico mondiale

dove casi uguali sono frequentissimi. Ci sono enti ed associazioni che aiutano a superare la sterilità o l’ assenza della bisessualità nella coppia. E godono di ottima salute commerciale. Un ente che ha nella pubblicità l’inquietante frase “ Center for human reproduction”( Centro per la riproduzione umana) ha sospeso temporaneamente il servizio, per “eccesso di domande”. Se ne deduce pertanto che, in questa Clinica modello,che ha sede in Ucraina, ed è leader “ nel campo della medicina riproduttiva, programmi avanzati di ovodonazione e maternità surrogata” hanno finito gli ovuli ed i semi; uteri in affitto compresi. Il futuro sembra ormai quello della riproduzione umana senza sudore, affanni, sospiri..qualche volta piacere..... Tutto lindo, pulito, asettico. Alla faccia della biblica frase della Genesi “Con dolore partorirai i figli”Bibbia da dimenticare mentre si studia un utero artificiale che toglierebbe dolore e lavoro alla madre in affitto. La scienza guarda ormai lontano. Ricordiamo nel 1996 la pecora Dolly il primo mammifero clonato da una cellula e ora Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna i Premi Nobel 2020 per gli studi sul cambiamento del Dna. Gli scrittori di fantascienza hanno anticipato anche questo: figli perfetti, tutti uguali, e, a scelta, senza i difetti dei loro genitori, spesso privi di dubbi morali.

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A ciascuno il suo di Waimer Perinelli

La replica e il capolavoro

I

mmagino la sorpresa della mia amica Tiziana Sembianti davanti alla tela, “Seppellimento di Santa Lucia”del Caravaggio esposta al Mart. Lei è una raffinata copiatrice. Il Centro d’Arte La Fonte le ha dedicato nell’estate del 2013 una mostra dal titolo “Capolavori allo specchio” dove erano esposte alcune opere. “La natività” di George de La Tour, “La ragazza con l’orecchino di perla” di Jan Vermeer, “ Il raccolto “ di Vincent Van Gogh, e “Giuditta prima “ di Gustav Klimt. Sono alcune delle sue copie perché nella bella casa Tiziana custodisce lavori come “Dama con l’ermellino “ di Leonardo da Vinci e altri di scuola italiana, olandese e tedesca. Sono copie autenticate, ovvero assolutamente non falsi, ci tiene ad affermare l’autrice, dipinte con estrema precisione. Ogni opera le costa da uno a tre anni di visita, studio, osservazione, ricerca dei colori naturali con, quando possibile, tele, tavole e pigmenti antichi e infine

"La ragazza con l'orecchino" di Jan Vermeer

la riproduzione delle pennellate. Probabilmente verrebbero in qualche caso autenticate come capolavori da quegli storici dell’arte che nel 1984 riconobbero per vere le sculture in pietra serena di Modigliani ritrovate nel Fosso Mediceo di Livorno. Visto che il confronto, fra storici non pare essersi concluso, malgrado la confessione degli autori della burla, anche per Tiziana Sembianti potrebbe esserci qualche dibattito. Ma lei non ci tiene. Avrebbe voluto invece nel 2013 studiare con calma il dipinto “L’Annunziata” o “Annunciata di Palermo” di Antonello da Messina, portata in prestito al Mart da Cristiana Collu. Non le fu concesso e dovette analizzare il dipinto quasi di nascosto. Davanti alla grande opera di Caravaggio “Seppellimento di santa Lucia” ed alla sua replica digitalizzata in 3d, esposte in questi giorni al Mart, ho apprezzato la generosità della Sicilia, grande sponsor del Trentino e mi sono chiesto che cosa ne pensasse l’amica Tiziana. In primo luogo del modello digitale, la cui perfezione, raggiungibile con centinaia di fotografie ad elevatissima risoluzione, è stata resa difficile dalla instabilità della tela. Ma anche l’originale, così bisognoso di restauri, non brilla nella luce di taglio che pare spegnersi davanti a quella per cui è famoso il Caravaggio. Sembrano elidersi a vicenda e forse ne guadagna l’atmosfera funesta con il braccio destro della Santa che sembra levitare tra la fossa e il terreno. Grazie alla fotogra-

"Giuditta I" di Gustav Klimt

fia di copertina del catalogo, forse la meglio riuscita, si coglie pienamente il volto dell’alto prelato la cui mano, dalla tinta scura della morte, s’alza per benedire o ammonire. Verso di lui, sul filo della luce di Michelangelo Merisi, guarda il becchino di sinistra mentre quello di destra porta visibili i segni di un piccolo restauro sulle gambe. Ben altri restauri spettano all’opera. L’amministrazione provinciale parrebbe intenzionata a coprire tutte o parte delle spese. Visto che il capolavoro di Caravaggio è assicurato per 60 milioni di euro, tanto varrebbe comperarlo e compararlo l’anno prossimo alle opere di Duchamp, Cattelan,il cui water d’oro è stato recentemente rubato dal gabinetto di Wiston Churchil, o Piero Manzoni. Ovvero “Mezzi di produzione e Prodotti.”

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Storia di ieri e di oggi di Marco Nicolò Perinelli

La via Claudia Augusta:

2000 anni di storia lungo 350 miglia La strada si inerpicava ben visibile lungo il fianco del colle, il segno dell’arrivo della civiltà in quella terra ancora in parte selvaggia. Erano passati ottantacinque anni da quando Druso ne aveva iniziato la costruzione e i lavori portati avanti dall’Imperatore Claudio l’avevano resa degna dell’Impero che serviva.

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on era la prima volta che Caio Servilio, Prefetto della Legio XXI Rapax inviata da Vespasiano contro i Batavi in rivolta Germania, cavalcava lungo quel tracciato. Pochi mesi prima aveva scelto di non seguire il resto della sua Legione quando Vitellio aveva deciso di marciare contro Roma stessa e, insieme agli ausiliari al suo comando, aveva fatto ritorno nella sua Aquileia, distaccandosi dal resto dell’esercito e rischiando così la sua stessa vita. Ma ora, ristabilito l’ordine e fiducioso nelle capacità del nuovo Imperatore, aveva risposto alla chiamata e stava dirigendo verso Abodiacum, al di là delle Alpi, dove avrebbe atteso l’arrivo del resto dell’armata, partita da più di una settimana dall’accampamento estivo e diretta a nord. Lungo il tracciato ben delineato della strada, si vedevano qua e là campi coltivati, con bassi vigneti da cui proveniva quel vino retico tanto apprezzato nella capitale. Caio si fermò a guardare il grande specchio d’acqua ai piedi del colle e scese da cavallo per poter appoggiare i piedi al suolo dopo tante miglia. Si mise ad ascoltare in silenzio i suoni che provenivano dalla cima del colle e distinse chiaramente un vociare di bambini. “Loro si godono la pace – pensò amaramente – senza sapere cosa sta accadendo nel resto dell’Impero”. Come si era aspettato, arrivato in cima al pendio, si imbatté in una mutatio, una stazione di posta, dove riposare e ristorarsi. Attorno al basso edificio in pietra, si addossavano alcune case in legno con il tetto in paglia. Animali

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da cortile scorrazzavano qua e là e alcuni bambini li inseguivano per rimetterli nei recinti prima del tramonto del sole. Il suo arrivo non era stato inosservato e un uomo dal volto segnato dagli anni, vestito in abiti civili, si avvicinò appoggiando il passo claudicante a un bastone di vite. Il Prefetto lo osservò e notò il gladio appeso a sinistra, come era solito fare ai centurioni. “Benvenuto – disse l’uomo avvicinandosi e sollevando l’indice in segno di saluto – quali notizie porti, Equites?”. “Ave et tu, Miles – rispose Caio – Sono diretto a nord dove i Germani si agitano al confine”. Il suo sguardo si posò allora su una pietra miliare con incisa la cifra LXI. “Sessantuno miglia da Feltria – disse pensando ad alta voce – per oggi posso fermarmi”. La bellezza del luogo lo aveva colpito e aveva deciso di fermarsi lì a riposare per quella sera, godendosi il calore di quell’ultimo sole primaverile che ancora gli ricordava il Mare Nostrum e i profumi della sua terra affacciata sul mare, una terra che forse non avrebbe rivisto mai più”. Questo è il racconto immaginario di un viaggio che un antico romano, nel 70 d.C., avrebbe potuto compiere per raggiungere la Germania Superiore partendo da Aquileia, una delle città più ricche dell’Impero, passando per Altino, dove avrebbe incrociato la via che collegava il Veneto, l’Emilia Romagna e la Baviera. Una strada che, nelle sue diramazioni, rappresentava una straordinaria via di comunicazione tra il sud e il nord delle Alpi e del quale rimangono alcune importanti tracce archeologi-

Via Claudia Augusta Altinate

La copia di una pietra miliare romana indica a Donauwîrth l'inizio della pista ciclabile Claudia Augusta


Storia di ieri e di oggi

Torre romana - Roncegno (APT Valsugana)

che. Una di queste è a Tenna, proprio dove il nostro Prefetto, Caio Servilio, si sarebbe potuto fermare e vedere quella pietra miliare che ancora oggi si trova in centro al paese a cavallo tra i due laghi della Valsugana. E oggi quel-

la strada rappresenta una straordinaria opportunità di crescita e sviluppo per tutti i territori che attraversa, da Feltre, a Trento, alla Baviera. Un tracciato che – dove identificato - si può percorrere a piedi, in mountain bike o a cavallo, e che rappresenta una attrazione turistica ancora non pienamente sfruttata. A dimostrazione di quanto sia conosciuta all’estero, proprio poche settimane fa, in centro a Tenna, ho incontrato un personaggio molto particolare che, in compagnia di due asini, stava percorrendo a piedi proprio questa via, partito dalla Germania e diretto in Sicilia, lungo la via Claudia Augusta, la Romea e la Francigena. E sono tanti i visitatori provenienti proprio dal nord delle Alpi che vengono alla scoperta di questa strada, lungo la quale per secoli viaggiarono le truppe romane, i mercanti, le popolazioni e, soprattutto, la cultura. Una cultura che oggi è risor-

sa turistica e quindi economica, che unisce la Valsugana con Feltre a Sud e la Baviera a Nord, creando un unico percorso da scoprire e valorizzare.

Busto dell'Imperatore Claudio (Museo archeologico nazionale - Napoli)

Come eravamo Borgo Valsugana - Stazione ferroviaria

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Qui Italia di Nicola Maschio

Rapporto 2019 situazione carceri in Italia

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ome ogni anno, i dati forniti dal Garante dei Detenuti della Provincia Autonoma di Trento sullo stato dell’arte delle carceri in Italia ci permettono di delineare i trend e le situazioni sulle quali porre la maggior attenzione. Il numero di detenuti infatti, negli ultimi anni, ha subìto una leggera flessione, salvo poi tornare ad aumentare in quest’ultimo periodo. Dati comunque distanti dal picco raggiunto nel 2012 (ben 65.701 persone detenute in tutta Italia), ma che restano tuttavia preoccupanti per una serie di motivi. Prima di tutto, la capienza regolamentare e complessiva delle carceri a livello nazionale: nel 2012 infatti, a fronte dei più di 65mila detenuti sopra citati vi erano solamente 47.040 posti realmente disponibili. Numero quest’ultimo che è aumentato nel tempo, prima ai 49.640 del 2015 ed ora, nel 2019, ai 50.688 complessivamente a disposizione. Eppure, questa quantità non si può ancora definire soddisfacente: dopo il calo di detenuti registrato nel 2015, ovvero 52.434 (abbastanza in linea con il numero di cel-

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le disponibili), la quantità dei detenuti stessi è aumentata di circa 2mila unità all’anno, con un incremento stabile del 3,6%. I 3.648 nuovi posti all’interno delle carceri creati negli ultimi otto anni sono dunque ancora insufficienti, a fronte di un numero di detenuti pari a 60.769 nel solo 2019. A pesare, soprattutto in alcune Regioni, è oggettivamente la percentuale di detenuti stranieri sul totale dei presenti in carcere: se la Toscana arriva al 49%, percentuali superiori si registrano in Emilia Romagna (50%), Veneto (54%), Liguria (55%), Valle d’Aosta (65%) ma anche in Trentino Alto Adige, con il dato che si attesta al 62%. Complessivamente, considerando la media a livello nazionale, i detenuti stranieri rappresentano un terzo della popolazione detenuta, anche se in specifiche aree geografiche questo fenomeno è quasi capovolto. Le percentuali minori si registrano in Basilicata (appena il 12%), Campania e Puglia (entrambe al 13%), Abruzzo e Sicilia (ferme tutte e due al 18%). A conti fatti perciò, la media nazionale riporta un

37% di detenuti stranieri contro il 63% di italiani. Ma come sono suddivisi questi 60.769 detenuti sul territorio nazionale? In tutto, il nostro Paese conta 189 istituti penitenziari: ben 23 di questi si trovano in Sicilia, 18 in Lombardia, 16 in Toscana, 15 in Campania e 13 in Piemonte. Chiudono la “classifica” invece Basilicata e Molise con 3 istituti, il Trentino Alto Adige con 2 e la Valle d’Aosta, con appena un carcere per tutto il territorio. I problemi di sovraffollamento sono comunque evidenti, soprattutto in alcuni casi come quello pugliese (2.517 posti contro 3.814 detenuti complessivi), piemontese (3.971 posti a fronte di 4.531 detenuti), ed in particolar modo lombardo (6.199 rispetto ai ben 8.547 carcerati presenti) e campano, dove i 6.164 posti sono decisamente insufficienti se pensiamo ai 7.412 detenuti. Numeri, per così dire, “normali” invece quelli di Sicilia (6.497 posti e 6.445 detenuti), Sardegna (2.710 spazi e 2.288 carcerati) e Marche, che sforano solamente di alcune unità (898 detenuti su un totale di 857 posti). Le Regioni con il maggior numero di stranieri sono invece Emilia Romagna (1.930), Lazio (2.486) e Lombardia (3.630). Rispetto al genere invece, solo il 4% sono detenute donne, mentre il restante 96% sono uomini. Infine, le misure alternative alla detenzione: 18.132 sono gli affidamenti in prova al servizio sociale, 1.040 le semilibertà, 10.429 le detenzioni domiciliari, 18.180 le messe alla prova, 8.314 detenuti sono impiegati in lavori di pubblica utilità, 4.148 in libertà vigilata, 114 in libertà controllata e solamente 3 in semidetenzione.


Cronache trentine di Nicola Maschio

Situazione trasporti in Trentino

È

uno dei temi più caldi in questo periodo Covid. Il sistema trasporti in Trentino è da tempo osservato speciale, soprattutto con il nuovo avvio dell’anno scolastico e con i primi, inevitabili, rischi di assembramento sugli automezzi. Già lo scorso settembre qualche genitore preoccupato aveva manifestato le proprie perplessità: tanti ragazzi, distanziamento difficile da rispettare, capienza dell’80% quanto meno “interpretabile” e, soprattutto, il mancato aumento del numero di autobus e corriere disponibili per suddividere ulteriormente le corse e il carico di studenti. Eppure, contrariamente a quanto si pensi, il sistema trasporti sta reggendo bene. Certo, negli orari più “caldi” (ovvero quelli in cui gli studenti vanno a scuola e successivamente escono dalla struttura) qualche problema si riscontra ancora, ma la società Trentino Trasporti ha voluto fare chiarezza in merito al rispetto delle norme e dei carichi di utenti sulle tratte urbane ed extra-urbane. «È vero, ci sono arrivate segnalazioni, ma abbiamo effettuato i giusti controlli e rilevato un carico regolare in tutti gli automezzi controllati – ha spiegato Roberto Andreatta, mobility manager della Provincia Autonoma di Trento. – Ci siamo semplicemente limitati alla redistribuzione delle persone in piedi, ma solo in alcuni casi. A coloro che lo ignorano, voglio ricordare che la percentuale di occupazione del mezzo pari all’80% fa decadere, di fatto, il rispetto del distanziamento. Stiamo parlando quindi di una mancanza oggettiva, ma assolutamente legittima, studiata ed attuata per far si che i trasporti possano viaggiare praticamente a pieno carico e permet-

tano a studenti e pendolari di spostarsi regolarmente verso scuole e sedi di lavoro». Dunque, un rischio calcolato. Inoltre, i controlli sono stati intensi e puntuali, come ad esempio quelli svolti su tutti gli autobus (33 in totale) provenienti dalla Valsugana, dalla Valfloriana e dall’Altopiano di Pinè, alla fermata di Ponte Alto in direzione Trento lo scorso 8 ottobre 2020. Alcuni esempi: la prima tratta Pergine – Trento prevedeva un totale di 47 posti a sedere, occupati neanche per la metà (23); qualche problematica in più invece sulla seconda corsa, con 43 posti a sedere previsti, ed un totale di 55 persone a bordo (dunque 12 in piedi). Da Civezzano invece sempre 43 posti disponibili e 51 persone totali (8 in piedi), mentre da Fornace su 51 spazi liberi ne sono stati occupati solo una quarantina. Poco scarto sulla prima corsa da Baselga di Pinè (43 posti a sedere contro le 44 persone presenti sul mezzo), mentre da Caldonazzo per un numero di posti sempre pari a 43 si sono registrate solo 41 persone. Insomma, come evidenziato dallo stesso Andreatta, tutti i carichi erano

regolari in relazione alle reali possibilità degli autobus considerati. Anzi, rispetto alla medesima statistica fatta lo scorso anno in gennaio 2019 (alla stessa fermata) è stata registrata, pur con due autobus aggiuntivi previsti da settembre 2020, una diminuzione dei passeggeri complessivi pari a 182 unità. In più, i passeggeri in piedi rilevati a gennaio 2019 erano 133, mentre lo scorso 8 ottobre sono stati 59. Concludendo dunque, sebbene qualcuno ancora non si dica pienamente convinto dal sistema di trasporto pubblico attualmente attivo nella nostra Provincia, i dati sembrano smentire queste perplessità. Anche perché l’eventuale fornitura di nuovi automezzi non è cosa possibile nel breve periodo. «Non esiste un deposito o una struttura all’interno della quale sia possibile comprare autobus già pronti – ha aggiunto Andreatta. - Anzi, la procedura di costruzione e immatricolazione dura in genere un paio di anni. Se ne parla da diverso tempo in tutte le Regioni, ma al momento non c’è una reale disponibilità».

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Il personaggio di Massimo Dalledonne

Angelico Prati

professore autodidatta

È stato il primo docente universitario che ha insegnato all’Università di Pisa senza aver conseguito nessuna laurea. Lui è Angelico Prati, un linguista ma soprattutto un valsuganotto che merita di essere riscoperto. Il ricercatore dell’ateneo trentino Luca Morlino, ricorda come “siamo davanti ad un personaggio poco prati…co nelle sue scelte e nelle decisioni della vita”.

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resso la sala polifunzionale di Agnedo, nelle scorse settimane, l’Associazione Mondinsieme ha organizzato una serata per ricordarne la figura. Figlio del pittore Eugenio e di Ersilia Vassellai, nacque ad Agnedo nel 1883 ed in Valsugana è ricordato soprattutto per il Dizionario Valsuganotto dato alle stampe nel 1960. Un volume di cui non riuscì e vedere l’ultima bozza, il lungo lavoro di una vita. Infatti, morì il 31 gennaio del 1961, all’età di 78 anni. Come ricorda Morlino “colpito da una grave malattia, si trovava all’ospedale di Velletri e chiese di essere trasportato in ambulanza nel suo paese natio. Purtroppo non ci arrivò, spirò durante il lungo tragitto”. Ma Angelico Prati era uno studioso davvero originale. Esperto di filologia, etimologia e di storia, studiò a Trento e ad Este ma non frequentò mai l’università, tranne un paio di mesi in cui seguì le lezioni di Karl von Ettmayer a Friburgo.

Come si legge su Wikipedia “nonostante ciò, dopo qualche anno di insegnamento nelle scuole medie di Orvieto e Modena, nel 1924 conseguì brillantemente la libera docenza in dialettologia italiana. Negli anni precedenti, infatti, si era distinto per aver redatto alcuni interessanti studi, fondati unicamente sulla sua grande passione per l’argomento”. Alla serata di Villa Agnedo tanta gente. Con Morlino anche Bruno Pecoraro di Mondinsieme. “Angelico Prati si formò soprattutto leggendo. Ebbe una vita difficile e scrisse più di cento articoli per riviste nazionali ed internazionali”. Dal 1924 divenne libero docente (1924) di dialettologia italiana e visse appartato dedicandosi agli studî che più lo appassionavano. Nel 1925 si stabilì a Roma dove, per un periodo, lavorò come bibliotecario privato per poi essere assunto dall’Accademia d’Italia per la redazione del Vocabolario della lingua italiana. Appassionato, autodidatta, dei dialetti, soprattutto quelli della Valsugana, di lui si ricorda il volume “L’italiano e il parlare della Valsugana” del 1916 e “I Valsuganotti” edito nel 1923. Nel suo repertorio bibliografico anche “I vocabolari delle parlate italiane” (1931), “Voci di gerganti, vagabondi e malviventi” (1940) oltre al “Dizionario di marina dell’Ac-

cademia d’Italia” (1937), ed il Vocabolario etimologico italiano del 1951. A causa di una grave situazione economica nel 1950 fu costretto a vendere la sua fornita collezione di dizionari dialettali e nel novembre dello stesso anno ottenne l’insegnamento della Storia della lingua italiana presso l’università di Pisa. Vi rimase sino al 1953 allorché, nuovamente colpito dalle ristrettezze economiche, fu costretto a trasferirsi a Velletri. Le sue opere si incentrano principalmente sulle parlate della sua terra natale, la Valsugana. Angelico Prati è un nome da riscoprire, da rivalorizzare soprattutto dai suoi conterranei. Appassionato della storia, usi e costumi della sua terra non ha mai dimenticato le proprie radici. Quei luoghi in cui, prossimo alla morte, ha cercato di ritornare. Per respirare aria di casa. Della Valsugana, della sua Villa Agnedo.

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Ieri avvenne di Elisa Corni

Novembre 1989 Cade il muro che ha cambiato l’Europa Era il 13 agosto 1961 quando il governo comunista della Repubblica Democratica Tedesca (RDT, o Germania dell’Est) iniziò a costruire con il filo spinato e il cemento tra Berlino Est e Ovest quella che loro definirono l’”Antifascistischer Schutzwall”, il “baluardo antifascista”. Lo scopo di questo muro era quello di impedire ai fascisti, ovvero ai tedeschi d’occidente, di entrare nella Germania dell’Est e di minare quindi lo Stato socialista; in realtà si trattava del sistema migliore per definire il confine tra le due Germanie, cosa che fece egregiamente per quasi trent’anni.

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lla fine della seconda guerra mondiale attraverso una serie di conferenze di pace le potenze vincitrici si divisero la Germania per un controllo preventivo affinché il passato non si ripetesse. La nazione sconfitta fu dunque divisa in quattro zone di occupazione alleate: la parte orientale occupata dall’Unione Sovietica, la parte occidentale divisa tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. Anche se la città di Berlino, capitale di quella Germania divisa, si trovava all’interno della parte sovietica del paese le stesse conferenze di pace la divisero, come il resto del paese, in quattro. Già nel giugno del 1945 truppe americane, inglesi, francesi e sovietiche si impossessarono della città. E così, nel bel mezzo della Germania Est, dove vigevano una politica e un’economia comuniste, vi era un’area dove il capitalismo la faceva da padrona. Opulenta, ricca e consumista era infatti la Berlino Ovest dell’immediato dopoguerra. Era un bel problema per le forze sovietiche, che dovevano in qualche modo arginare l’esodo da ovest a est. Nel 1948 i sovietici istituirono un

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blocco nei confronti di Berlino Ovest per portare alla fame gli occupanti occidentali. Questi, invece di ritirarsi, rifornirono i loro settori della città dall’alto con invio di casse di cibo, generi alimentari e altro. Fu quindi istituito il famoso ponte aereo che nei mesi successivi permise di far arrivare in città più di 2,3 milioni di tonnellate di cibo, carburante e altre merci a Berlino Ovest. Un decennio dopo, nel 1958, le tensioni si riaccesero; da un lato le forze comunista erano rincuorate dai

grandi successi avuti nella corsa allo spazio, ma dall’altro si trovavano di fronte a una fuga di persone impressionante: quasi 3 milioni di cittadini, per lo più operai qualificati, medici, insegnanti e ingegneri avevano lasciato Berlino Ovest nei dieci anni di quiete appena trascorsi. Il 12 agosto si raggiunse il record di disertori: in circa 2.400 lasciarono la Germania dell’Est. Si rese quindi necessario intervenire. Quella notte, il premier Krusciov diede al governo della Germania orientale il permes-


Ieri avvenne

so di fermare il flusso di emigranti chiudendo definitivamente il confine. E così, in sole due settimane, i due lati della città furono definitivamente separati. Prima che il muro fosse costruito i berlinesi potevano muoversi abbastanza liberamente: attraversavano il confine per lavorare, fare acquisti, andare a teatro e al cinema. I treni e le linee della metropolitana trasportavano i passeggeri avanti e indietro. Dopo la costruzione del muro tutto ciò cambiò radicalmente. Si poteva andare dall’altra parte solo se in

possesso di particolari e rari permessi e solo attraversando uno dei dodici Check Point, come il più famoso a Friedrichstrasse „Checkpoint Charlie". Eppure la voglia e il bisogno di varcare quel confine non si fermarono: famiglie divise, lavori perduti, necessità, fame, difficoltà economiche e minacce per posizioni politiche contrarie al partito portarono numerosissime persone a tentare il tutto per tutto, pur di attraversare quel confine. A volte rischiando anche la propria vita. In Almeno 171 persone sono state purtroppo uccise nel tentativo di sca-

valcare, superare o aggirare il muro di Berlino. Ma ciò non poteva fermare le persone: in modi creativi e ormai leggendari tra il 1961 e il 1989, più di 5.000 tedeschi dell’est - comprese circa 600 guardie di frontiera - riuscirono a passare il terribile confine. Il 9 novembre 1989, mentre la Guerra Fredda iniziava a sciogliersi, il portavoce del Partito comunista di Berlino Est annunciò un cambiamento. A partire dalla mezzanotte di quel giorno i cittadini della RDT erano liberi di attraversare i confini del paese. I berlinesi dell’Est e dell’Ovest accorsero al muro, bevendo birra e champagne e cantando “Tor auf!” (“Apri il cancello!”). A mezzanotte furono invasi i posti di blocco. Il muro è infine caduto in quella notte nella quale folle estatiche sciamarono fino al muro con martelli e picconi riguadagnando così la libertà.

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Cronache in Valsugana

La residenza San Vendemiano...

una struttura a dimensione “anziani” Ha aperto le sue porte la “Residenza San Vendemiano”, una struttura situata nel Comune di Castel Ivano, destinata ad accogliere anziani non autosufficienti per un periodo di tempo determinato, persegue oltre al benessere dell’utente, anche quello del familiare, poiché sollevato dall’ assistenza continua del proprio caro, nella tranquillità di lasciarlo in un ambiente protetto che se ne prende cura. D’altra parte la pandemia del virus Covid19 ha portato al venir meno delle peculiarità che sempre hanno garantito continuità assistenziali, tradotte nella riduzione dei servizi socio-sanitari con la chiusura dei nuovi accessi alle residenze per anziani, sia su posto definitivo che temporaneo, portando i caregivers a farsi carico in toto dell’assistenza al familiare.

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nuovi bisogni venuti a crearsi, raccolti dalla Giunta Provinciale dall’Assessore Stefania Segnana, sono stati centro focale di un lavoro sinergico fra tutti gli attori sociali coinvolti per individuare, e rendere operativa, una struttura dedicata all’assistenza temporanea dell’anziano; si è assistito pertanto al consolidarsi di una partnership pubblico-privato sociale, tra l’APSP di Borgo Valsugana nella persona del Presidente Mario Dalsasso e la C.S.A. nella figura del Presidente Tiziano Colotti, il cui lavoro positivo e comune ha portato in tempi record all’apertura della “Residenza San Vendemiano” affidando alle imprese artigiane della Valsugana Orientale gli ingenti lavori di ristrutturazione e dando origine ad oltre 30 nuovi posti di lavoro. La formula pubblico-privato sociale ha coniugato i punti di forza del privato sociale: elasticità e velocità di realizzazione, con quelli del pubblico: Know how e competenza nei servizi residenziali per anziani riuscendo ad erogare, in tempi insperati, servizi all’avanguardia in linea con i nuovi bisogni degli anziani fragili

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e delle loro famiglie. La Residenza San Vendemiano coniuga in sé misure di sicurezza anti Covid19 e comfort, collocandosi in una splendida location contornata da montagne, dotata di ampi spazi esterni, spazi interni accoglienti, e confortevoli stanze singole dotate di servizi igienici le cui terrazze si affacciano sulla valle. L’accesso alla struttura avverrà previa valutazione delle unità valutative multidisciplinari dell’Azienda Sanitaria; la struttura ospiterà un massimo di venticinque ospiti provenienti dall’intero territorio regionale per un periodo di permanenza non superiore alle tre settimane, dando così la possibilità di rispondere al bisogno di un maggior numero di famiglie. La Residenza San Vendemiano e la collaborazione APSP di Borgo-CSA si propone come una risposta comune e condivisa, al bisogno collettivo della Comunità in cui il nucleo familiare è inserito, e pone le basi per un futuro sviluppo di servizi evoluti e moderni rispondenti ai nuovi bisogni che verranno.


Società oggi di Elisa Corni

Microplastiche:

pericolo (quasi) invisibile per tutti

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umenta la consapevolezza che ognuno di noi ha sui danni causati all’ambiente e all’ecosistema da materiali inquinanti. Tale consapevolezza è frutto della corretta comunicazione e al coinvolgimento delle generazioni più giovani. Ad esempio sappiamo tutti ormai che la produzione dei rifiuti è uno dei grandi problemi del nostro tempo e in particolare la plastica, che si disperde ovunque, è una delle più acerrime nemiche dell’ambiente. Pensate che nel Pacifico è stata individuata, con poca difficoltà vista la sua estensione, una vera a propria isola di plastica. Le stime le danno una superficie di 1,6 milioni di chilometri quadrati pari a tre volte quella della Penisola Iberica. Quest’isola si sarebbe formata autonomamente per via delle correnti oceaniche a partire dagli anni Settanta. Ma non sono solo le grandi dimensioni a doverci preoccupare, perché esistono pericoli altrettanto gravi che si aggirano invisibili in mari, oceani e corsi d’acqua dolce: le microplastiche. Come suggerisce il nome si tratta di minuscole particelle di plastica originatesi dall’usura di bottiglie, sacchetti e quant’altro ch’è stato disperso nell’ambiente. La plastica necessita infatti di periodi lunghissimi per degradarsi, si parla di centinaia o migliaia di anni. E mentre attende di essere polverizzata, la nostra bottiglia dimenticata in spiaggia, rilascia piccoli pezzettini di sé nell’ambiente. La dimensione non supera i 5 millimetri e per questo motivo viaggia velocemente ovunque, in tutto il globo! Microplastiche sono state trovate, ovviamente, nell’acqua del mare, nel

terreno dei campi coltivati, negli impianti idraulici, nello stomaco di pesci e altri animali, nei cibi che consumiamo. È di pochi giorni fa l’allarmante risultato di una ricerca del Trinity College di Dublino: i lavaggi ad alte temperature e la sterilizzazione dei biberon ne compromette la stabilità del polipropilene, il materiale utilizzato per biberon e contenitori per alimenti, liberando una quantità impressionante di microplastiche che poi siamo noi stessi o i nostri piccolini a ingerire. Ma non si tratta di un problema così localizzato: dai 5-12 milioni di tonnellate di plastica che vengono gettate in mare, secondo l’ONU si producono 51 mila miliardi di particelle di microplastiche che pesci e altri animali marini ingeriscono. Una fetta di queste ci torna indietro, sotto forma di sushi o pesce al forno - secondo una ricerca del WWF ne mangiamo circa 250 grammi all’anno. Ma una quota notevole va ad avvelenare letteralmente la fauna marina. Sì, perché la plastica contiene

sostanze tossiche per l’organismo degli esseri viventi; ingurgitandone troppa molluschi, pesci e altri animali non si fanno certamente del bene. Secondo uno studio del 2017 condotto dall’UNiversità delle Marche, Green Peace e il CNR di Genova restituisce un dato inquietante: il 30% circa dei pesci esaminati ne contiene in grosse quantità. Certo, gli effetti di queste sulla nostra salute non sono provati scientificamente, ma se la nostra dieta non prevede la loro ingestione, forse non sono l’alimento per noi. Cosa fare? Beh, ormai lo sappiamo, produrre meno rifiuti possibili, fare la raccolta differenziata per un giusto trattamento dei materiali ed evitare prodotti con troppi incarti sono le basi. Fortunatamente a livello europeo si stanno realizzando politiche atte a ridurne l’utilizzo e a migliorarne il trattamento, nonché incentivi per l’utilizzo di materiali sostenibili e per promuovere l’economia circolare piuttosto che la produzione di rifiuti. Staremo a vedere

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L’arte nei secoli di Laura Mansini

Antonio Canova

il genio e il marmo

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er un viaggiatore che voglia scoprire le bellezze d’Italia partendo da Nord, non può sfuggire Possagno, una cittadina di poche migliaia di abitanti, in Provincia di Treviso, ma che, grazie al genio di uno dei suoi figli che hanno fatto grande l’arte italiana dagli ultimi anni del 1700 ai primi dell’800, Antonio Canova, possiede la più importante collezioni d’Europa. Gessi pitture e molto altro ancora ed il suo monumento più rappresentativo della concezione dell’Arte Neoclassica: la Chiesa Arcipretale della Santissima Trinità conosciuta ora come il Tempio Cannoviano, da lui progettata, la cui prima pietra Canova pose l’11 luglio 1819. Il grande tempio è la sintesi dell’arte neoclassica che vuole rendere omaggio all’arte greca con il magnifico colonnato che fa da ingresso e ricorda il Partenone di Atene, mentre il tempio si rifà al Pantheon di Roma. Ricordo ancora la strana sensazione che provai da bambina quando con i miei genitori visitai a Roma, il Museo Borghese che esponeva la stupenda statua di Paolina Buonaparte. Era una figura bellissima adagiata con grande eleganza su un Triclinio. Osservandola, affascinata, mi venne istintivo allungare la mano per accarezzare le pieghe della leggera veste che le copre parzialmente le gambe; oltre al rimprovero deciso dei miei genitori, la fredda sensazione che mi colse quando la toccai mi ritorna in mente ancora adesso. Mi sembrava una morbida stoffa, ma era pur sempre marmo. Fu così che imparai a conoscere Antonio Canova, scultore di estrema raffinatezza, capace di trattare il marmo come una sarta lavora le sue stoffe. Per

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Antonio Canova (da Biografieonline)

Il Tempio di Antonio Canova a Possagno, suo paese natale (da Visittreviso)


L’arte nei secoli

Antonio Canova - Teseo e il centauro (da wikipedia)

Antonio Canova - Paolina Bonaparte Borghese da wikipedia

Antonio Canova - Amore e Psiche (da wikipedia)

Antonio Canova - Perseo con la testa di Medusa

i Veneti il marmo è parte della loro storia, le “cave de marmo” non disturbano gli abitanti, che trovano in questi sfregi delle loro montagne, ricchezza, lavoro e beneficio. Fin da piccoli vengono a contatto con questo meraviglioso dono della natura e ogni famiglia che abita vicino alle Cave ha uno scalpellino in casa. Antonio Canova non faceva eccezione era figlio e nipote di scalpellini. Artista veneto fra i più interessanti del Neoclassicismo, periodo artistico che si insinua fra il Barocco ed il Romanticismo, Antonio nacque a Possagno il primo novembre del 1757 . Rimasto prematuramente orfano di padre, quando la madre si risposò trasferendosi in un paese vicino, venne affidato alle cure del nonno paterno, Pasino abile scalpellino e capomastro. Personaggio burbero e severo col piccolo nipote, al quale insegnò i primi rudimenti del mestiere, seppe tuttavia cogliere nel fanciullo le straordinarie doti nella scultura e nel 1768, a soli 11 anni, lo mandò a Venezia per iniziare il proprio apprendistato. Frequentò la scuola di Scultura, oltre alla pubblica Accademia del nudo, dove realizzò le sue prime opere che gli dettero una certa notorietà nell’ambiente artistico locale. Nel 1773, a soli 16 anni, scolpì “Orfeo e Euridice”, poi il giovane bellissimo “Apollo” e “Dedalo e Icaro” nel 1779. Opere straordinarie, ispirate alla grande tradizione classica, Greco-Romana. E fu proprio per avvicinarsi alla grande Storia che, nel 1779, si recò a Roma, città che lo conquistò a tal punto da decidere di lasciare il Veneto, trasferendosi definitivamente in essa, pur mantenendo i contatti con la terra d’origine. Qui va incontro al proprio destino d’artista. Visita Ercolano, Pompei e Paestum, conosce e fa amicizia con

i più grandi artisti e gli intellettuali, inizia con loro a teorizzare un nuovo ritorno al classico, che nelle sue opere si manifestò sempre più come ad esempio “Teseo e il Minotauro” (1781-83), per proseguire con la serie di sculture, sempre di soggetto mitologico, eseguite sul finire del ‘700 che gli dettero fama internazionale. Fra queste ci piace ricordare “Eros giovinetto”, “Amore e Psiche”, “Ebe”. ” Venere e Adone” e le splendide “Tre Grazie”. Uomo di straordinaria Cultura, venne soprannominato “ Il nuovo Fidia”. Visse a Roma, ma non scordò mai la sua Terra, infatti nel 1801 fu raggiunto dalla madre e dal fratellastro, il giovane abate Sartori. La madre dopo poco tempo, non sopportando la vita frenetica di Roma tornò a Crespano, mentre Giovan Battista, uomo di grande cultura ed intelligenza, rimase per sempre al fianco del fratello aiutandolo come consigliere, segretario, amministratore del patrimonio. Entrambi raggiunsero vette altissime imponendosi nella società del tempo grazie alle straordinarie doti nei loro reciproci campi. Alla morte di Antonio il 13 ottobre del 1822 Monsignor Giovanni, uomo coltissimo e generoso ritornò a Possagno dove si dedicò alla memoria del Fratello, terminando la grande opera di Antonio, costruendo la Gypsoteca nel giardino della Villa, nella quale raccolse tutti i modelli in gesso che si trovavano nello studio di Roma . Alla sua morte lasciò tutti i loro averi al paese di Crespino e di Possagno, con l’impegno di non disperdere quanto ricevuto, nacque cosi “La Fondazione Canova” di Crespano, con sede a Possagno, in via Canova, nella villa del grande artista. Due fratelli, figli di una terra, il Veneto che sa coniugare la ricerca dell’arte con lo spirito imprenditoriale.

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Ieri avvenne di Chiara Paoli

Irpinia 1980 : la terra trema “Ad un tratto la verità brutale ristabilisce il rapporto tra me e la realtà. Quei nidi di vespe sfondati sono case, abitazioni, o meglio lo erano”, Alberto Moravia in “Ho visto morire il Sud” dal settimanale “L’Espresso” del 7 dicembre 1980.

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re 19:34:52, domenica 23 novembre 1980, la terra in Irpinia trema, 90 secondi di paura, 2.914 morti, 8.848 feriti e circa 280.000 sfollati. Campania e Basilicata vengono colpite da scosse di Magnitudo 6,9 della scala Mercalli, l’epicentro del sisma si colloca a 10 km di profondità tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania. I danni si contano su un territorio che si estende per 17.000 km dall’Irpinia al Vulture, una zona che nei secoli è stata ripetutamente colpita dai sismi. Ma gli effetti disastrosi si estendono a tutta l’area centro meridionale, con crolli a Napoli, Poggioreale, dove si contano 52 morti per il cedimento di un palazzo e a Balvano, dove nel crollo della chiesa di Santa Maria Assunta perdono la vita in 77 fedeli partecipanti alla messa, per la maggior parte bambini e ragazzi. La drammaticità dell’evento non viene colta nell’immediato a causa dell’interruzione delle telecomunicazioni e anche i soccorsi tardano ad arrivare, come da intervista al Presidente della Repubblica, Sandro Pertini giunto in elicottero sul posto e trasmessa nel TG2 del 25 novembre 1980: «Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi». Le abitazioni erano già state danneggiate dai terremoti del 1930 e del 1962, ma i mezzi di soccorsi si trovano in difficoltà anche

Terremto Irpina (da Meteoweb)

a causa del crollo di ponti e strade, non sono certo d’aiuto poi l’isolamento geografico di queste zone e l’impossibilità di comunicazione, vista l’assenza di energia elettrica. Ma ad incidere è anche e soprattutto la mancanza di un’organizzazione di protezione civile che potesse garantire un soccorso immediato e coordinato. Di questa mancanza si rende conto immediatamente il Capo dello Stato, che denuncia le inadempienze dei soccorsi, giunti dopo 5 giorni dalla tragedia. L’effetto del discorso di Pertini ha come risvolto la mobilitazione di un ingente numero di volontari, oltre alla destituzio-

Il Presidente Sandro Pertini (da Rai News)

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Ieri avvenne

Terremoto in Irpinia (da Firstonline)

ne del prefetto di Avellino Attilio Lobefalo e le dimissioni di Virginio Rognoni, Ministro dell’interno, che vennero in seguito respinte. Se dapprima la notizia diffusa dai quotidiani e telegiornali parla solo di una scossa di terremoto, “Un minuto di terrore. I morti sono centinaia” titola Il Mattino di Napoli del 24 novembre, ma nei giorni seguenti appare in prima pagina l’entità della catastrofe. I titoli mutano: “I morti sono migliaia - 100.000 i senzatetto”, drammatico l’appello del 26 novembre “Cresce in maniera catastrofica il numero dei morti (sono 10.000?) e dei rimasti senza tetto (250.000?) - FATE PRESTO per salvare chi è ancora vivo, per aiutare

Il Mattino (da Ansa)

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chi non ha più nulla”. Molti sono i paesi non soltanto europei, che intervengono inviando donazioni in denaro, insieme a uomini e mezzi per la ricostruzione. Gli Stati Uniti contribuiscono con 70 milioni di dollari, 136 uomini con 6 elicotteri, la Germania Ovest con 32 milioni di dollari, 1 ospedale da campo con 90 sanitari; 650 uomini e 3 elicotteri; 1 gruppo di esperti della Croce Rossa; 47 volontari-elettricisti, un gruppo di salvataggio, un gruppo depurazione; 16 cani da salvataggio con guida. Dall’Arabia Saudita giungono 10 milioni di dollari, 3 dall’Iraq, 500.000 dollari dall’Algeria. Il Belgio, la Francia, l’Austria e la Svizzera inviano uomini e mezzi.

Purtroppo però questi imponenti aiuti economici ebbero un risvolto negativo con speculazioni e loschi dirottamenti dei fondi, verso aree che non erano state colpite dal sisma e per cui si sono coniati i termini Irpiniagate o Terremotopoli. Questi furono successivamente al centro dell’inchiesta denominata Mani sul terremoto, rientrate nel più noto filone di “Mani Pulite”. Impegnato nella ricostruzione per dare un tetto alla popolazione rimasta senza casa, il gruppo altoatesino Rubner, che crea un apposito stabilimento di produzione a Calitri, offrendo i primi chalet nel febbraio dell’anno seguente e giungendo a 150 abitazioni consegnate il 25 aprile seguente. L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha accertato che in realtà si è trattato di tre diverse spaccature, che si sono succedute nell’arco di circa 40 secondi, generando una frattura lunga 35 km. Studi più approfonditi hanno permesso di appurare che un evento di questo tipo, avviene in questa zona ripetutamente a distanza di 2000 anni. Per far fronte alle spese di ricostruzione post sisma, ancora oggi in Italia è in vigore un’accisa di 0,04 € per ogni litro di carburante pagato.


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Tra passato e presente di Elisa Corni

La Valsugana romana I primi contatti tra Roma e le antiche popolazioni trentine risalgono al III-II secolo a.C., ma è solo dagli inizi del I secolo a.C. che tutta regione a nord del Po fu organizzata in un’autonoma struttura amministrativa, più precisamente con le campagne militari di Druso e Tiberio del 15-16 a.C.

E

così, alla fine del I secolo a.C. l’imperatore Ottaviano Augusto divise il territorio italico in undici regioni e il Trentino entrò assieme a Lombardia orientale, Veneto, Friuli e Istria, a far parte della X regio, suddivisa poi in diversi municipi. L’attuale territorio Trentino era ripartito tra i municipi di Brescia, Verona, Trento e Feltre; a quest’ultimo apparteneva la Valsugana, insieme al Primiero e al Tesino. La presenza romana non impedì, comunque, il mantenersi nelle popolazioni autoctone di elementi culturali e di costume precedenti. Rispetto alle epoche preromane, nella prima età di Roma il territorio valsuganotto fu contrassegnato da una generale condizione di abbandono e forte spopolamento, a eccezione del sito di Castel Tesino. Una ripresa insediativa e demografica sembra essersi infine manifestata verso la fine del II secolo d.C. e, soprattutto, nel III secolo, con lo sviluppo di piccoli nuclei rurali in fondovalle grazie forse alla nascita di

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Una necropoli

un’economia legata al pascolo, per la produzione della lana-, e alla selvicoltura. Sempre a quell’epoca risale il maggior numero dei ritrovamenti archeologici di epoca romana in valle, prevalentemente necropoli, che ha permesso agli studiosi di localizzare gli insediamenti abitativi. Ad esempio a Levico sono stati fatti molti i ritrovamenti di oggetti che risalgono al periodo romano, ritrovamenti avvenuti perlopiù sul

finire dell’Ottocento. Nel 1891 fu casualmente scoperto un ripostiglio monetale, un piccolo tesoretto di monete raccolte probabilmente da una stessa persona e nascosto per difenderlo da eventuali furti. Ripostigli come questo sono importanti per gli archeologi perché attraverso le monete possono elaborare ipotesi sui flussi di circolazione del denaro. Il ripostiglio di Levico ha restituito 17 monete del periodo imperiale con


Tra passato e presente

Monete romane

esemplari coniati sotto Galba (3 a.C.69), Traiano (53-117), Adriano (76-138), Antonino Pio (86-161) fino ad Aureliano (214-215) e Treboniano (206-253), tutte conservate presso il Museo del Buonconsiglio a Trento. A metà Ottocento fu invece individuata presso il Capitel del Prà, vicino alla stazione ferroviaria, un’area cimiteriale forse risalente al basso impero (284-476 d.C.). In questo cimitero furono scoperte tombe in muratura, pietra e tegoloni al cui

probabilmente l’attuale Borgo Valsuinterno vi erano ancora resti degli gana, è citata nell’Itinerarium Antonini inumati e i corredi funebri. Se tutto come stazione di cambio lungo il questo materiale archeologico è percorso Oderzo-Trento, l’importante andato distrutto o disperso, tranne un via commerciale tracciata nel III secosarcofago ricavato da un unico blocco lo lungo la Valsugana che si affiancava di pietra calcarea esposta ora di fronte alla molto più famosa via Claudia all’ingresso principale del Parco delle Augusta. Terme, in uno spazio aperto e ideato per consentire a tutti di ammirarlo. Una tomba dell'arte romana Quasi tutte le località della Valsugana hanno restituito, prima o poi, oggetti e reperti di epoca romana. A queste fonti archeologiche si aggiungono sicuramente le indicazioni che sono state rinvenute in scritti e documenti dell’epoca. Ad esempio Ausugum,

Come eravamo Borgo Valsugana - Piazza degli Uffici

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L’artista in controluce

di Nerio Fontana

Nerio Fontana si racconta Non capito tutti i giorni poter pubblicare un particolare articolo all’interno del quale l’artista, di proprio pugno, scrive descrive e presenta l’essenza del suo essere pittore, scultore, fotografo, e le motivazioni che hanno determinato, nel corso delle sua vita, la nascita delle sue opere. E quando ciò avviene, come nel caso del “nostro” carissimo amico Nerio Fontana, che nel mese di aprile, ha lasciato questo mondo, per dipingere la bellezza del cielo e della più dolce e serena eternità, allora ci troviamo di fronte ad un evento giornalistico unico e irripetibile.

N

on ho mai amato molto le teorie, ma cordialmente detesto le teorie in arte. lo non mi pongo problemi di estetica pura, di correnti espressive, non disquisisco su sperimentalismi né verifico e correnti; sono anzi assai semplice nel mio lavoro: ho fiducia nella paziente fatica, credo che l’opera abbia bisogno per nascere di dedizione, attenzione, umiltà e impegno. Privilegio per scelta ed istinto la forma al contenuto: ritengo la forma in sé compiuta e fine a se stessa. Un “di più”, se c’è, emanerà spontaneo da questa.

Nereo Fontana da giovane

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Quando lavoro non voglio spiegare ne dimostrare nulla, ne a me stesso, né tanto meno agli altri. Voglio solo provare delle emozioni e trarre il maggior godimento dal mio lavoro. Trovo le mie ispirazioni nello stretto spazio quotidiano: la famiglia, le donne, i bambini, gli amici nel loro ambiente, niente più. Questi sono i miei soggetti preferiti, quelli che più amo e sento. Qualcuno ha scritto che la mia opera rivela una ossessione per il nudo femminile. Forse sarà anche vero, ho detto e ribadisco che non mi pongo mai dilemmi astratti su teorie, e certamente ancor meno sulla psicoanalisi dell’arte e dell’artista. Troverei più corretto parlare di interesse invece che di ossessione, ma ciò non interessa. Sicuramente la figura femminile, il nudo mi offrono ampia e privilegiata opportunità di esercitare una mia ricerca artistica sulla forma nella sua essenza più pura e sulla luce. La linea, le masse, il chiaroscuro... queste sono le mie ossessioni e non c’è dubbio che il corpo umano, il ritratto, i cavalli, ecc. sono tra i soggetti più idonei a tali esercitazioni. Tutte le tecniche figurative, non ultima quella fotografica, mi hanno sempre avvinto, esaltato e profondamente impegnato anche se, onestamente, devo ammettere che sono le tecniche del disegno e la modellazione in creta ad assorbire la

maggior parte del mio tempo, delle mie energie e del mio impegno di lavoro. Trovo anch’io che, pur con tutto lo spirito di questo mondo, è difficile fare un disegno buono sul serio senza un appoggio nella realtà: in genere io non traccio un segno se non guidato dal vero e scelto con cura attenta. Il mio lavoro si confronta sempre con la realtà, che sono certo non è mai banale, scontata. La realtà non cesserà mai di stupirmi con la sua bellezza e le emozioni che mi regala e che, a conforto di questa mia opinione, al di la delle correnti e delle mode, non ha mai tradito o illuso, lungo tutta la storia millenaria dell’arte. che ad essa si indirizza ed ispira.


In controluce

Nerio Fontana

L’immagine femminile

C

embrano di nascita ma da quasi una vita residente a Borgo Valsugana, Nerio Fontana è un artista polivalente: pittore, grafico, incisore, scultore, fotografo. Vive in una casa che dà sul Brenta (la prima a destra del borgo per chi arriva da Trento) : il suo studio è all’ultimo piano e si affaccia sul fiume, con i suoi brevi ponti rialzati che ricordano quelli dei canali veneziani. Borgo è una cittadina dall’anima veneta, che ha sempre gravitato più su Bassano e Venezia piuttosto che su Trento. E non è un caso che Fontana si sia diplomato all’accademia di Belle Arti di Venezia, che operi come scultore di terracotta nei laboratori d’arte di Bassano, che viva nei suoi quadri un colorismo veneto. La sua avventura di pittore in mostra è iniziata quarant’anni fa con un’esposizione alla Galleria degli Specchi a Trento. Ma in tutti questi anni le sue mostre non sono state molte: ha sempre preferito operare piuttosto che mettersi in mostra, abbandonandosi alla sua passione di pittore, scultore, di fotografo d’arte. Come fotografo artistico “L’Editore”, nel 1991 gli ha dedicato una monografia, un catalogo che rivela in Fontana un

La sua abitazione a Borgo Valsugana

L'interno dell'abitazione

artista dell’immagine fotografica di respiro nazionale. E tuttavia, anche sotto questo aspetto, sono in pochi a conoscerlo. Ci sono critici importanti che si sono occupati di lui: Luigi Serravalli, Palmiro Boschesi, Carlo Pacher, Rinaldo Sandri... Ma nonostante questo Nerio Fontana rimane un artista ancora sostanzialmente da scoprire, complice la sua mancanza di preoccupazione a “tirare per a giacchetta” critici e galleristi. Nerio ha avuto sin da ragazzo una vera ossessione per il disegno: sin da allora disegnava tutto: figure, oggetti, paesaggi, con una stupefacente abilità grafica, frutto di un talento naturale. Quei disegni li ha quasi tutti regalati (quando non sono andati dispersi). Benché la sua magistrale perizia gli permetta di affrontare qualsiasi tema Fontana è soprattutto un’indimenticabile “rapinatore” di immagini femminili (col segno, col colore, col plasticismo, con l’obbiettivo fotografico.) Nerio, la sua ossessione per l’immagine femminile, la sua ginefilia artistica non l’ha mai mascherata, l’ha sempre apertamente esibita. Dice lui stesso: Provo un piacere quasi fisico di fronte a certe figure: anche se raramente - quasi per miracolo - trovano la perfezione plastica, l’equilibrio delle forme, la pienezza della luce...” Il mondo l’eterno femminico lo hanno sempre magnetizzato.

Una scultura di Fontana

Nelle sue opere pittoriche, scultoree, fotografiche i nomi al femminile si sprecano; sono quelli di Isa (sua moglie), Eva (sua figlia), di Marisa, Katia, Roberta, Mirta I, Mirta II... Donne mature, adolescenziali, bambine ritratte vestite e spogliate, di fronte, di fianco, di dietro, dal basso, nudi solari in penombra, in atteggiamenti voluttuosi, assorti, gioiosi, malinconici, misteriosi. Colte in colori acidi, drammatici “Isa” (1996), in eleganze alla Klimt come “Ragazza alla finestra” (1985),o “Roberta” (1992), o un segno guizzante, vitalissimo come in “Camping” (1989). Sono immagini in cui filtra gran parte della pittura di questo secolo, a lungo meditata e metabolizzata: ma vi si espande soprattutto la passione per la vita di questo artista che, aggirando la jungla dei cerebralismi, punta alle sorgenti dell’essere. Pubblicato su gentile concessione del professor Renzo Francescotti.

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Conosciamo il territorio di Fiorenzo Malpaga

Il forte Austro-ungarico di Tenna “Werk Tenna”

I

l forte Austro-ungarico di Tenna è stato realizzato nel periodo 1880 – 1890 con scopi prevalentemente difensivi della città di Trento; tale opera infatti rivestiva un ruolo importante nello sbarramento della Valsugana, a protezione delle eventuali attacchi delle truppe italiane provenienti dal Veneto, appunto attraverso la Valsugana. Il Governo austriaco infatti aveva individuato le zone più adatte per costruire tali opere di difesa, e aveva indicato l’area della collina di Tenna, a sud del paese, quale zona strategica di difesa della vallata, unitamente alla zona del colle delle Benne. In tali aree strategiche, che permettevano il controllo della Valsugana, furono infatti progettati e realizzati, nel decennio 1880-1890, i forti di Tenna e delle Benne, attuando il cosiddetto Sperre Tenna, lo sbarramento della

Forte ala nord, oggi distrutta

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valle a protezione di Trento. Ultimata l’opera, fu realizzata dal 1894 al 1896 la ferrovia della Valsugana, che collegava Trento a Tezze, confine di Stato, con alcune opere di carattere militare, fra le quali un piano caricatore ferroviario per le esigenze specifiche del forte di Tenna, all’altezza dell’attuale hotel Brenta. Il forte è stato realizzato a quota 595,5 metri s.l.m., in una zona sprovvista di acqua e di materiali necessari alla costruzione. Per quanto attiene i materiali, fu deciso di trasportare i grossi sassi, da una cava individuata nella parte nord del lago di Levico, trasportati con barconi fino alla sponda ovest, e mediante una teleferica, trasferiti sulla sommità della collina, nel cantiere del realizzando forte, superando il dislivello di 155 metri, con una lunghezza di circa 600 metri.

Gli abitanti di Tenna accolsero di buon grado la realizzazione di tale opera, che permetteva l’impiego di manodopera del posto, riducendo in parte il fenomeno della emigrazione. Il manufatto fu realizzato in muratura di pietrame, rinforzato poi con calcestruzzo, e protetto da terrapieno nella parte sommitale, dove era situata una grande vasca per la raccolta dell’acqua piovana, necessaria per gli usi alimentari e non degli oltre 200 militari che il forte ospitava . Attorno al manufatto, un fossato lungo 280 metri, largo 6 e profondo 4, a difesa di eventuali incursioni, oggi purtroppo quasi interamente coperto di materiali inerte. Era una struttura a prova di granata, con torri girevoli corazzate a 360°, collegato telefonicamente con il forte delle Benne, monte Rovere e la caserma di Levico; armato con 2 mortai, 8 cannoni e


Conosciamo il territorio mitragliatrici. La fortificazione era alta oltre 14 metri, sviluppata su quattro piani: interrato dove erano ricavate le cisterne dell’acqua, al piano terra le cucine, le camerate, il corpo di guardia, al primo piano gli alloggiamenti, infermeria, direzione di tiro; al piano sopra le torri corazzate collegate con la terrazza per la raccolta dell’acqua piovana. Il manufatto era riscaldato a legna o carbone, ed all’esterno sulla facciata nord, sono stati collocati 5 costoloni, alti 8 metri, per proteggere le grandi finestre da eventuali colpi sparati a lato della fortificazione. Appena ultimato, il forte di Tenna era già superato dalle nuove fortificazioni realizzate sugli altipiani di Lavarone e Folgaria, a partire dal 1907, e da una diversa strategia militare che prevedeva lo spostamento del fronte verso sud, e non subì attacchi durante la grande guerra. Dopo la conclusione della 1° guerra mondiale, anche il forte di Tenna, analogamente alle opere fortificate, vennero destinate a deposito di materiale bellico, e ceduto al Demanio Italiano, a titolo di risarcimento dei danni di guerra. Agli inizi degli anni 30 del secolo scorso, fu radiato e venduto mediante gara pubblica, al dr. Aldo Baruchelli di Tenna; furono rimosse tutte le strutture in acciaio quali gli osservatori, le torrette, le cupole, i serramenti, i montacarichi, per disposizioni generali, nel contesto delle “sanzioni” applicate al governo Italiano. La parte muraria fu in parte rimossa e destinata alla costruzione di varie case di abitazione e all’edificio destinato a scuola elementare, come pure il fossato, “la fonda” la chiamavamo noi a Tenna, fu ricoperta di materiale e la muratura di sostegno demolita. Sulla base di testimonianze dirette di abitanti del paese , durante la seconda Guerra Mondiale, fu utilizzato dai militari tedeschi quale caposaldo per

le comunicazioni, e fu oggetto di incursioni da parte di aerei americani, che volando a bassa quota sopra l’abitato , puntavano a mitragliare tali postazioni. Quando frequentavo le scuole elementari di Tenna, negli anni sessanta, ricordo il grande cartello appeso a fianco della cattedra, con riportato i vari tipi di bomba, con l’avvertenza del rischio di scoppio nel caso fossero stati manipolati; rammento l’incidente occorso ad un ragazzo del posto , che aveva perso alcune dita di una mano, per lo scoppio di una granata al forte. Nel corso degli anni ’90, il Proprietario ha concesso in uso al Comune l’intera struttura, per consentire un parziale recupero e manutenzione, finalizzato all’utilizzo pubblico del manufatto e dell’area circostante. Nel 2005 disponeva la vendita del forte, ma la Provincia Autonoma di Trento, anche su sollecitazione delle oltre 300 firme da parte di cittadini di Tenna, esercitava la prelazione, acquistando il bene. Negli anni successivi la Provincia provvedeva ad un restauro e ripristino di carattere conservativo del manufatto, al fine di consentire la messa in sicurezza, per un possibile futuro uso di accesso al pubblico; con atto del 27 dicembre 2012 concedeva in

uso al comune di Tenna il forte, per un periodo di 20 anni, limitatamente alle visite guidate, con esclusione di utilizzo per iniziative culturali ed artistiche (art 7 convenzione). Nel frattempo il Comune di Tenna acquisiva una rilevante superficie di pertinenza del forte, per realizzare un parco e provvedeva ad eseguire una serie di lavori, quali recinzione, percorsi, punti d’osservazione ecc. volti a valorizzare l’area pregevole dal punto di vista sia storico che paesaggistico, con una vista meravigliosa verso il lago di Caldonazzo. La popolazione di Tenna ed i numerosi frequentatori delle splendide passeggiate attorno alla fortificazione confidano ed auspicano che quanto prima sia reso accessibile e fruibile il forte e il connesso parco, “riappropriandosi” in tal modo di tale opera, che la Comunità ha sempre sentita e vissuta come parte integrante della stessa. Testi consultati per la parte storica: “Tenna cenni storici” ed. Amici della storia di Pergine - capitolo curato dal gen. Gian Piero Sciocchetti “Me ricordo de stiani” ed. Associazione Tennattiva “Tenna anni sessanta” di Fiorenzo Malpaga ed. Publistampa “Il lungo Giorgio” di Luca Girotto edito dal Comune di Calceranica al Lago “Le linee avanzate della fortezza di Trento” Volker Jeschkeit ed. Curcu e Genovese

Forte lato sud-ovest, oggi distrutto

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Natura e società di Elisa Corni

Se le piante aiutano a risolvere i crimini Nella cassetta di un buon investigatore non possono mancare un taccuino, una lente d’ingrandimento e un manuale di botanica. No, non è una battuta divertente: il pollice verde non è una caratteristica da disdegnare in chi vuole risolvere i crimini. Questo perché da molti anni ormai, lo studio e l’analisi d i piante, foglie, spore e quant’altro è entrato a far parte delle conoscenze della cosiddetta scientifica; gli agenti del noto telefilm americano CSI, per intenderci. La disciplina di cui stiamo parlando è la cosiddetta botanica forense, ovvero l’applicazione dello studio delle piante per la risoluzione dei crimini

C

on la giusta formazione e le adeguate capacità deduttive si può riuscire a fare il terzo grado a piante e arbusti. Possono certo sembrare interrogatori fuori dal comune, ma non per questo i risultati che portano sono tutt’altro che banali. Si tratta certamente di una scienza nuova, ma con una storia molto lunga. Avrete sicuramente sentito parlare del “Caso O. J. Simpson”, caso che ha capeggiato le prime pagine dei giornali statunitensi per mesi al punto da arrivare anche sulla nostra stampa nazionale. Il famoso ex giocatore di football fu accusato nel 1994 di aver ucciso l’ex moglie Nicole Brown e il cameriere Roland Lyle Goldman; arrestato anche a causa del suo passato

O.J. Simpson

di marito violento, O. J. fu a lungo il principale e unico sospettato del processo, mosso secondo gli inquirenti da una forte gelosia. Diverse prove, tra cui un paio di guanti insanguinati, sembravano puntare proprio sull’ex marito della vittima, ma a scagionarlo dalle accuse fu anche la testimonianza di una pianta. Sembrava, infatti, che il colpevole si fosse nascosto dietro un arbusto prima di commettere l’atroce gesto. Si trattava di una pianta che in quel periodo dell’anno produceva tanto polline, del quale non si trovò traccia sull’imputato. Anche vicende “di casa nostra” ci raccontano dell’importanza di questa ricerca. Un team di ricercatori, capeggiati dal britannico James Dickson, ha infatti studiato attentamente i muschi e le piante che la mummia più famosa dell’arco alpino, Ötzi, aveva attaccate ai vestiti o nell’apparato digerente arrivando a diverse conclusioni molto interessanti. Tanto per cominciare l’uomo del Simulaun aveva con sé oltre 75 specie di muschi e piante, molte delle quali simili a quelle che ancora oggi, dopo cinque millenni, crescono sulle nostre montagne. Solo che non si tratta esclusivamente di muschi di quell’area geografica. Grazie alla botanica forense gli scienziati hanno ricostruito in parte il viaggio di Ötzi fino a quella valle tra Italia e

Otzi (da en.wikipedia.com)

Austria. Solo il 30% di queste piante sono tipiche di quelle aree e di quelle altitudini, altre invece si trovano in Val Senales, ad esempio. Questa scoperta conferma studi precedenti sui pollini e apre nuove prospettive sulla mobilità dell’uomo del Similaun. Pensate che l’Università di Genova ha attivato, nell’anno accademico 2018-2019, un corso proprio di questa disciplina, atto a formare gli investigatori del futuro. Nel frattempo, sempre negli Stati Uniti, si sta cercando di velocizzare il processo di ritrovamento dei cadaveri sepolti in boschi e foreste grazie a osservazioni aeree. Lo studio è ancora in corso, ma sembrerebbe che il processo di decomposizione comporti delle variazioni spettrografiche nell’aspetto delle piante viste dall’alto. E così basta una fotografia delle chiome degli alberi per scoprire dove si trova un cadavere.

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In ricordo di... di Veronica Gianello

Verso una nuova sensibilità: William Wordsworth e i romantici inglesi

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n quest’anno così particolare si celebrano i 250 anni dalla nascita di uno dei poeti più importanti della storia della letteratura inglese. Un poeta che ci ha lasciato pagine di una bellezza che disarma, e che ci ricorda quanto sia importante per l’uomo non dimenticare la potenza del proprio legame con la natura. Il destino di quest’uomo, William Wordsworth, sembra essere scritto già dall’anno della sua nascita: 1770. In quell’anno la Germania si prepara infatti ad essere pervasa dallo spirito travolgente dello Sturm und Drang, movimento culturale precursore del Romanticismo che, tradotto alla lettera, significa impeto e tempesta. Gli anni che aprono la strada al XIX secolo sono infatti anni di grande cambiamento, un cambiamento

William Wordsworth

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soprattutto nel modo di sentire e percepire la realtà. Tra le prime nazioni influenzate dalla Germania romantica ci fu, per l’appunto, l’Inghilterra. L’Illuminismo inglese che aveva profondamente segnato il Paese sembrava ora lasciare spazio all’emotività e all’immaginazione più che alle razionali risposte della scienza. Questi cambiamenti culturali si inseriscono all’interno di un altrettanto movimentato periodo storico: le campagne inglesi si stanno spopolando e le città continuano a ridisegnare confini e architetture per far fronte al sovraffollamento industriale portato dalla rivoluzione. La particolarità dei poeti inglesi tuttavia, almeno quelli della prima generazione, sta proprio nel loro allontanamento dal

Samuel Taylor Coleridge

rumore delle nuove città preferendo il ritiro in luoghi solitari e isolati. Essi vengono infatti raggruppati sotto il nome di “Lake poets”, poeti del lago, per la loro provenienza dalla zona del Lake District, area a Nord dell’Inghilterra particolarmente ricca di laghi e immersa nel verde, e per essere stati fortemente influenzati nella loro poetica da questa loro caratteristica. Il paesaggio e la natura diventano temi portanti della poesia romantica che porta ad una profonda analisi degli stati d’animo del singolo che diventano poi universali e accomunano tutti gli uomini. “Lo scopo principale che ho avuto scrivendo queste poesie è stato quello di rendere interessanti gli avvenimenti di tutti i giorni, rintracciando in essi,


In ricordo di... fedelmente ma non forzatamente, le leggi fondamentali della nostra natura, specialmente per quanto riguarda il modo in cui noi associamo le idee in uno stato di eccitazione. La vita umile e rurale è stata scelta generalmente perché, in questa condizione, le passioni essenziali del cuore trovano un terreno più adatto alla loro maturazione, sono soggette a minori costrizioni, e parlano un linguaggio più semplice ed enfatico.” Questo estratto è parte della prefazione alle Lyrical Ballads, forse la raccolta di poesie più importante della letteratura inglese, pubblicata per la prima volta nel 1798 dai due poeti simbolo del Romanticismo inglese: William Wordsworth e Taylor Coleridge. Destinata a diventare un vero e proprio manifesto del movimento romantico inglese, ne sintetizza i punti cardine. Primo tra tutti, il ruolo del poeta: non più Bardo assoluto, ma uomo

tra gli uomini. Secondo Wordsworth ogni persona sente e si emoziona, e la bellezza vera non si trova nella ricerca estetica, ma nella quotidianità. Quest’idea democratica di poesia e questo desiderio di comunicare tra pari è fortemente innovatore, e per questo spesso incompreso. Cosa differenzia quindi il poeta dagli altri uomini? Una sensibilità particolare che permette all’artista di trattenere la bellezza della natura a riorganizzarla, in un secondo momento, in una forma precisa filtrata nel ricordo. Se Wordsworth rappresenta la parte più razionale di questo binomio poetico, Samuel Taylor Coleridge è il componente più irregolare e propriamente romantica. In Wordsworth si leggono l’isolamento e la potenza della natura, ma è in Coleridge prima e nei poeti della seconda generazione poi, che esplode la sregolatezza

passionale del Romanticismo inoltrato. La ricerca del sublime, che va oltre la bellezza, porta i poeti degli anni successivi a ricercare piacere nel rischio, persino nell’autodistruzione e nella vicinanza al soprannaturale, arrivando in alcuni autori a delle forme d’arte mistiche che riallontanano il poeta dal quotidiano tanto caro a Wordsworth. La varietà nelle personalità dei poeti che hanno reso questo periodo storico così fertile e ricco rende altrettanto difficile parlare di un solo Romanticismo, ma la sua forza risiede proprio in questo: nella ricerca personale della bellezza che deve nascere non più da forme prestabilite e comuni ma da impulsi individuali organici, naturali e quindi veri. Da questa convinzione si può vivere perseguendo una nuova certezza: solo nella verità ci può essere davvero bellezza.

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Ballando con i sensi di Waimer Perinelli

Rodolfo Valentino e tango al buio Dici tango e pensi Valentino. Chi meglio del mitico Rodolfo, lo sceicco bianco, Rudy per le amiche, interpreta la figura del grande ballerino nel più clamoroso dei fenomeni artistico musicali del Sud America e del mondo intero.

I

l Tango: una musica ed un ballo nati, si racconta, sul Rio de la Plata, dall’unione di due danze popolari la Milonga e il tango Andaluz. Ad eseguire la musica un trio composto da violino, fisarmonica e flauto, più tardi anche il pianoforte, e sulla pista, nell’aia, sulla pedana, i virtuosi del movimento. Sensuale, appassionato, irresistibile il ballo argentino è da sempre considerato l’arco di Cupido con cui Valentino conquistava le donne. Ma, pensate, è anche uno strumento didattico un mezzo per comunicare, educare. Parola di Simona Niero. Veneziana, dal 2006 in Trentino, insegnante di tango con diploma all’ACSI, l’Associazione di cultura sport e tempo libero, riconosciuta dal Coni, Simona, arriva al ballo dopo avere praticato vari sport, quali equitazione ed atletica leggera, e fra tutte le danze possibili, s’appassiona al tango. Lo insegna e ne fa uno strumento didattico, in particolare per i non vedenti o ipovedenti. “ Molto spesso, dice Simona, chi ha problemi al senso della vista, in particolare se

Simona Niero impegnata nel Tango

li ha dalla nascita, non ha un’immagine del proprio corpo e quindi non riesce ad assumere una posizione corretta. Può aiutare a fare questo la ginnastica posturale, ma è giudicata spesso troppo noiosa. Il ballo la insegna divertendo”. Il ballo insegna a gestire lo spazio che ci circonda con sicurezza, eleganza e soprattutto divertendo. “Il ballo, dice Simona, è un dialogo fra due corpi attraverso la musica, aiuta ad abbattere il muro fra persone che non si conoscono, e chi vive nel buio ha diffidenza dei nuovi incontri”. È per questo che il ballo, ed il tango in particolare, diventa uno strumento di socializzazione fra persone di età e lingua diverse. Danzarlo ed insegnarlo richiede professionalità. Simona Niero è una persona preparata, tranquilla, ispira simpatia e sicurezza. I suoi corsi le Milonghe al buio sono organizzati con il supporto UICI onlus di Trento, sono aperti a tutti, hanno uno scopo sociale e il ricavato è sempre stato devoluto alle persone non vedenti residenti nel territorio. Partito nel 2015 il progetto generale “Tango al buio: ballando con i sensi” ha coinvolto anche maestri internazionali come Celine Ruiz. Nei primi mesi del 2016 i primi corsi con gruppi da 5-6 coppie miste tra persone vedenti, ipo e non vedenti, e a fine anno le prime uscite. Nel febbraio del 2017 la prima uscita di “Milonghe al buio” organizzata dalla UICI di Trento con oltre cento partecipanti. Sono seguiti incontri e danze a Cavalese e Lavis con le prime

Simona Niero

esibizioni degli allievi in pubblico sul palcoscenico. Per le persone ipo o non vedenti un’esperienza meravigliosa, la conquista del controllo del corpo, dello spazio. Non ci sono note conquiste amorose, come sembrerebbe promettere il ballo argentino. A questo proposito meglio chiarire che Rodolfo Valentino faceva spesso confusione e fra i tanti amori a lui attribuiti o da egli rivendicati, molti non erano proprio di sesso diverso. Ma in questo il tango non ha nulla a che vedere, anche se dobbiamo registrare che quando, nella seconda metà dell’800, la musica folkloristica Milonga veniva suonata, a ballarla, nelle grandi sale dell’Argentina, erano coppie di uomini. Per le donne erano proibite non solo le danze ma tante altre opportunità di svago e d’arte.

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Il personaggio di Chiara Paoli

Con gli occhi del maestro Felice Fabbro In apertura al volume “Con gli occhi del maestro. Racconti e immagini inediti dall’archivio personale di Felice Fabbro”, le parole del sindaco Maurizio Pasquazzo: “Vogliamo contribuire a riportare uno spaccato della nostra comunità, vista con gli occhi di chi – per ben 45 anni – ha insegnato e trasmesso il suo sapere e le sue esperienze a molti di noi.” (1)

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n questo momento storico in cui la scuola è al centro dei dibattiti, tra le chiusure in alcune regioni come la Campania, ma soprattutto ora che appare come un diritto e un dovere tenere aperti questi servizi, utili a bambini e ragazzi, ma anche ai genitori che devono lavorare. Ecco che i maestri e i professori divengono figure di riferimento a presidio del sistema scolastico che è giusto mantenere aperto e in presenza, per il bene di tutti, come appare evidente dopo la chiusura di marzo e le difficoltà della didattica a distanza. Proprio ora appare importante sottolineare e ricordare quelle figure di maestro che hanno accompagnato per lungo corso una comunità, come fece appunto Felice Fabbro. “Chi era Felice Fabbro. Nacque a Ivano Fracena il 30 aprile 1893. Diplomato al corso delle magistrali con il titolo di maestro. Durante la prima guerra mondiale fino al 1917 insegnò a Canal San Bovo. Raggiunse i familiari profughi a Saluzzo, dove fino al 1919 svolse l’incarico di segretario del Comitato Cittadino dei Profughi. Per un anno insegnò come maestro alle scuole di Grigno. Riprese l’insegnamento nel 1922 e proseguì per 45 anni sempre a Ivano Fracena. A 65 anni, nel 1958, fu collocato a riposo per raggiunti limiti di età. Sindaco di Ivano Fracena dal 1956 al 1967. Fece parte dell’allora Patronato scolastico, del Consorzio Industrializzazione della

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Bassa Valsugana, del Consiglio Pastorale, della Mutua Contadina, dell’Aziona Cattolica impegnandosi per la povera gente del disbrigo di pratiche per la pensione, successioni, infermeria, e altro. Morì a Ivano Fracena il 17 novembre 1979, aveva 86 anni.” (2) Don Dario Pret lo ricorda nel suo ruolo di sagrestano sempre attivo e solerte nell’aiutare, prezioso collaboratore in ogni occasione, presente con la sua figura minuta e riservata. Anche come di sindaco era mirabile nell’ impegno sempre volto al bene della comunità, lo si potrebbe definire un maestro di vita, per come ha saputo toccare nell’animo molte, se non tutte le persone che ha incontrato sul suo cammino. L’operato del maestro Felice Fabbro si trova anche all’interno della rivista Campanili Uniti, con articoli che narrano della vita del paese e dei cambiamenti, come quando nel 1969 la scuola di Castel Ivano viene chiusa e le sue classi trasferite nella sede di Strigno. Fedele si occupa anche di luoghi sacri, proponendo nel numero di novembre e dicembre del 1969, un articolo con notizie storiche riguardanti il santuario di San Vendemiano. Nell’anno successivo porta avanti le sue ricerche con nuovi articoli sull’eremo e i

suoi eremiti. Tra i suoi scritti si dedica anche alla leggenda dell’antico Borgo di Careno, dove si trovava un ospizio per viandanti, e che è oggi riconoscibile nel paese che porta il nome di Ospedaletto. Nella sua opera si dedica all’approfondimento di notizie storiche relative alle chiese, cappelle e capitelli di Castel Ivano, compresa la difficile costruzione della nuova parrocchiale nel primo dopo guerra, la cui prima pietra venne benedetta il 30 aprile 1922. I suoi articoli si soffermano poi a lungo sull’argomento dei curatori d’anime e quindi sui diversi sacerdoti


Il personaggio ha memoria fu Pietro Baratto “Giotto” da Fracena. La storia di Ivano Fracena viene descritta dal maestro in molteplici articoli che trattano dell’economia locale, dei Podestà e dei sindaci, di acque e acquedotti, strade, delle famiglie residenti e dei loro cognomi. Dalle parole del maestro Felice Fabbro traspare poi tutto l’amore per il proprio luogo natio, riportato anche sotto forma di poesia. “È un villaggio noto appena / il paesello in cui son nato, / ma un villaggio più incantato/ non lo trovo in altro suol. / Sorge Ivano sopra un colle / e Fracena al piè d’un monte, / scorre un fiume a lor di fronte / e sorride in alto il sol.” (3) che ressero la Curazia di Ivano-Fracena a partire dal dicembre del 1788, quando appare nella Matricola dei nati la firma di don Giambattista Sandri. Le sue narrazioni si ampliano

verso la canonica ed il cimitero, giungendo a riportare notizie storiche anche sulla scuola, sull’edificio scolastico sorto nel 1921 e sui maestri del paese, il cui primo diplomato di cui si

(1) “Con gli occhi del maestro. Racconti e immagini inediti dall’archivio personale di Felice Fabbro” a cura del Comune di Ivano Fracena, prodotto dal Polo Multimediale Senza Barriere Onlus Cooperativa sociale, 2011, Scurelle (TN); pag. 5. (2) Idem, pag.9. (3) Idem, pag. 151.

JUDO - CAMPIONATI ITALIANI UNDER 21

Irene Pedrotti sul tetto d’italia

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l PalaPellicone di Ostia sabato 17 e domenica 18 ottobre si sono svolti i Campionati Nazionali Juniores di judo. Primo ritorno ad un contesto agonistico nazionale da quando,a partire dalla fine febbraio scorso, gli effetti del Covid hanno determinato la sospensione di tutte le attività nazionali ed internazionali. La manifestazione si è svolta a porte chiuse causa ultimo DPCM- Covid. Irene Pedrotti nella categoria fino a 70 kg ha raggiunto il gradino più alto. Trasferita a Bologna ormai da tre anni è iscritta a Scienze Motorie e si allena presso la palestra Dojo Equipe Bologna da ormai quattro anni. Il primo posto individuale Italiano mancava alla lista di Irene che dopo molti sacrifici è arrivato, dopo i podi del 2019 conquistati nella finale Under 21 e nel Campionato Italiano Assoluto. L'atleta trentina in finale ha battuto la napoletana Raffaella Ciano del C.S. Pomilia. Grazie a questo risultato, Irene è stata convocata per rappresentare l’Italia ai Campionati Europei che si terranno a Porec in Croazia dal 4 al 6 novembre. In preparazione di questo europeo, svolgerà gli allenamenti presso il centro olimpico federale a partire dal 26 ottobre. Il coronamento di questo risultato, è frutto di un duro lavoro e tante rinunce; speriamo che sia di stimolo per Irene Pedrotti immobilizza un’avversaria ottenere nuove soddisfazioni nella categoria senior.

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Tra passato e presente di Chiara Paoli

San Carlo Borromeo e la chiesa di Pergine Il 4 novembre si celebra San Carlo Borromeo, patrono dei catechisti, dei vescovi e della regione Lombardia. Il cardinale e arcivescovo nasce ad Arona sul lago Maggiore il 2 ottobre 1538 e viene canonizzato da papa Paolo V a 26 anni dalla sua morte nel 1610. La madre era Margherita dè Medici, sorella di papa Pio IV, che a poco più di vent’anni lo innalza alla porpora cardinalizia e gli conferisce l’incarico di suo segretario privato. Questo ruolo lo porterà una prima volta a Trento per partecipare al Concilio, che lo vedrà protagonista nell’ultima fase, quella che si svolse tra il 1562 e il dicembre del 1563. In questi due anni di lavoro propone ai padri conciliari di procedere all’istituzione di appositi seminari per preparare e formare i presbiteri. Carlo Borromeo interviene anche in merito alla transustanziazione propria dell’eucarestia, ribadendo che in ogni messa celebrata si ripete il sacrificio compiuto da Gesù Cristo; a dispetto della versione proposta dai protestanti, che sostengono che l’ostia consacrata servirebbe solo a ricordare l’ultima cena. Tra i suoi molteplici incarichi, anche quello di presidente della commissione di teologi selezionati dal pontefice per predisporre il Catechismo Romano. Carlo si dedica alla revisione del messale, del breviario e della musica che viene suonata e cantata nel corso della Santa messa. Viene eletto arcivescovo di Milano il 12 maggio 1564 e negli anni giungono nuovi e prestigiosi incarichi. Il

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Carlo Borromeo

suo episcopato si contraddistingue per l’impegno verso il prossimo: con i proventi della vendita del marchesato di Oria aiuta i bisognosi e si impegna anche durante la carestia del 1569-70 e quando si diffonde la peste (15761577). Si dedica a mettere in pratica i dettami del Concilio Tridentino,

riportando gli ordini religiosi alla disciplina, al celibato e al rispetto della moralità. Carlo promuove la fondazione di seminari, avvalendosi dell’aiuto di gesuiti, teatini e barnabiti, dando vita nel 1578 alla congregazione degli Oblati di Sant’Ambrogio. Investe nella costruzione e nel restauro di chiese e


Tra passato e presente

San Carlo, Pergine

San Carlo Borromeo al Concilio Di Trento

Chiesa di San Carlo, Pergine Valsugana

santuari, si dedica alle visite pastorali. Ed è grazie a lui, se i parroci iniziano a scrivere sui registri, in maniera precisa nascite, matrimoni e morti. Carlo cerca di aiutare i cattolici inglesi nella loro missione di evangelizzazione in contrasto con la chiesa anglicana, guidata dalla regina Elisabetta I. Il 22 ottobre 1569 il diacono Gerolamo Donati, dell’ordine religioso degli Umiliati gli spara alla schiena con un archibugio, mentre il vescovo è inginocchiato in preghiera nella cappella del palazzo episcopale. Il colpo miracolosamente lo ferisce solo lievemente; i 4 congiurati vengono giustiziati il 2 agosto 1570 e l’ordine, che si stava avvicinando alle idee protestanti viene soppresso. Carlo si impegna nella lotta ai protestanti in Svizzera, ricorrendo all’Inquisizione e a processi per stregoneria. Si spegne il 4 novembre del 1584, ma la sua figura spicca ancora, con una statua alta 23 metri, sulle sponde del lago Maggiore ad Arona. La figura di San Carlo Borromeo è nota ai perginesi, che conoscono la piccola e bianca chiesetta a lui intitolata, che si colloca a poca distanza dalla parrocchiale. Quella che un tempo era una chiesa cimiteriale, dedicata a San Nicolò da Tolentino e documentata a partire dal 1339. L’interno della costruzione conserva affreschi trecenteschi, opera della scuola di Altichiero e altri sulle pareti della sacrestia, datati tra il 1390 ed il

1410, attribuiti al Maestro Venceslao, autore del ciclo dei mesi di Torre Aquila. Agli inizi del XVII secolo viene invertito l’orientamento della chiesa e nel 1615, data riportata sopra il portale d’ingresso, viene nuovamente consacrata e affidata alla confraternita della Buona Morte, meglio noti come Battuti, per l’autoflagellazione che si imponevano. Il luogo di culto viene riaperto con una molteplice intitolazione a San Giuseppe, San Carlo Borromeo, San Nicola e San Leonardo, con la Beata Vergine e con Gesù deposto dalla croce. Questa chiesa provvedeva un tempo alla celebrazione della messa in lingua tedesca per i minatori germanici che risiedevano nel perginese. Agli albori del 700 viene nuovamente restaurata e nel 1703 viene benedetta dal vescovo di Feltre Antonio Polcenigo e si decide di intitolarla solamente a San Carlo Borromeo. L’edificio nell’Ottocento verrà sconsacrata ed usato come deposito e solo nel 1926 la chiesa viene riaperta ai fedeli, dopo un imponente opera di restauro. Si provvede quindi alla sistemazione del cimitero adiacente e le lastre tombali vengono murate sulla parete laterale della chiesa, dove ancora oggi sono visibili ai passanti. Anche nel XXI secolo si provvede a interventi di restauro e valorizzazione di questo luogo sacro le cui pareti sono arricchite da preziose decorazioni.

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Ecologia, arte e musica di Emanuele Galvan

Un’ecologia da ascoltare

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embra che l’essere umano si sia dimenticato del suono. Eppure, ognuno di noi è quotidianamente immerso in un vasto paesaggio sonoro che influenza le nostre vite plasmando in maniera continua i luoghi in cui viviamo. Ma perché il recupero di un ascolto critico e cosciente della nostra Terra dovrebbe essere preso in seria considerazione dalle società in cui viviamo? Tre brevi esempi ci aiuteranno a comprendere come una più attenta e profonda “lettura” del paesaggio sonoro possa portare a serie considerazioni di carattere sociale, politico, culturale e, soprattutto, ecologico. Una prima importante testimonianza sul ruolo ‘socialè del suono ci è data da una popolazione remota, la tribù dei Kaluli, abitanti della foresta pluviale in Papua Nuova Guinea. In una ricerca durata quasi venticinque anni, l’etnomusicologo Steven Feld scoprì come la vita dei Kaluli, le loro tradizioni, i riti, i miti e i canti siano da sempre influenzati dall’ambiente sonoro della

Suoni liquidi (ph. Emanuele Galvan)

foresta. Da elementi naturali come il vento, l’acqua o il canto degli uccelli prendono vita numerosi aspetti sociali della tribù, del loro linguaggio e del loro modo di orientarsi. La produzione di suoni, così come l’esperienza sensuale e corporale ad essi legata, non ha scopi artistici, ma rappresenta un aspetto centrale del sapere acustico – ed ecologico – dei Kaluli. A proposito di coscienza ecologica, un secondo esempio molto più vicino a noi è costituito dal lavoro di Nicola Di Croce, architetto e artista che nel suo libro Suoni a margine. La territorialità delle politiche nella pratica dell’ascolto ci aiuta a riflettere sul concetto di identità territoriale non solo attraverso l’osservazione del paesaggio fisico ma anche attraverso l’ascolto del paesaggio sonoro. Questo, infatti, così come il paesaggio fisico, è il “risultato di segni e testimonianze impressi dall’uomo” che funge da prova della storia di una popolazione, delle sue tradizioni, delle sue abitudini e pratiche

sociali. Anche la nostra identità, quindi, ha un suono, la nostra storia, la nostra evoluzione. Comprendere tutto questo è fondamentale per lo sviluppo di una coscienza eco-sonora nelle nostre comunità: basti pensare, ad esempio, ai potenziali risvolti di tale approccio sulla pianificazione urbanistica, sul governo di una città, del suo traffico e del suo territorio o, ancora, sulla tutela di aree naturali e di beni intangibili e sullo studio di fenomeni come la gentrificazione o lo spopolamento di determinate aree. Anche una maggiore consapevolezza sonora nell’arte porta con sé delle conseguenze politiche ed ecologiche rilevanti. Il terzo esempio che si vuole portare all’attenzione del lettore ha come protagonista un’opera sonora creata per Arte Sella, un museo all’aria aperta nelle montagne del Trentino. Qui gli artisti sono chiamati ad esprimere la propria relazione con la natura utilizzando esclusivamente materiali di origine naturale. Ogni costruzione è effimera e svanisce nel

Suoni cittadini (ph. Emanuele Galvan)

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Ecologia, arte e musica corso del tempo, ritornando alla nadegli uccelli o il crepitare del fuoco. E tura: si può facilmente intuire quanto quante sensazioni e ricordi risvegliail paesaggio sonoro sia importante no in noi questi suoni, permettendoci per un museo di questo tipo. Ciò che di vivere una vera e propria espeparticolarmente sorprende, però, rienza sensoriale completa. E ancora, è che raramente i visitatori si sono la registrazione dei suoni e rumori accorti di tale dimensione. Bungadi una determinata area urbana o ro, Casillo e De Tassis decisero nel extra urbana è in grado di restituirci 2017 di dare vita ad un’installazione una vera e propria ‘topografia sonosonora dal titolo Arte Sella suona, una ra’ del luogo, permettendoci così di registrazione non solo della varietà effettuare determinati interventi con sonora del luogo ma anche dei suoni una maggiore coscienza sonora ed delle opere esposte. Arte Sella suona ecologica, legata altresì al benessere restituì a tali opere quella dimensione degli abitanti di quell’area. sonora immateriale di cui spesso ci si In tale prospettiva, ascoltare in dimentica, ci invita ad interagire con maniera critica il paesaggio sonoro essa e a considerarla alla base dell’isignifica prima di tutto comprendentità territoriale di quel luogo. Proderne i presupposti ecologici. Un viamo a pensare ad un museo come certo modo di ascoltare il mondo, un grande contenitore che tenti di infatti, deriva dall’interazione che cristallizzare e conservare le memorie abbiamo con esso, ma anche, come dell’uomo, le sue storie, le espressioni ricorda Steven Feld, dal modo in cui artistiche, e così via. Inserire il suono lo rispettiamo e lo apprezziamo: tale in qualità di protagonista in tale conconvinzione è strettamente legata testo, significa riconoscerlo in quanto alla necessità di salvaguardare e tute‘strumento’ centrale per la diffusione lare tanto il paesaggio fisico, quanto di memorie, identità ed espressioni quello sonoro. Un ruolo centrale nel artistiche umane e naturali. percorso di sensibilizzazione verso tali Gli strumenti di registrazione e tematiche può essere sicuramente riproduzione del suono, per l’uomo assegnato alla scuola e all’arte o forse, moderno, costituiscono in questo prima ancora, a quelle istituzioni polisenso una straordinaria opportunità tiche ed economiche che sono chiache oggi ci permette di fermare e mate ad effettuare importanti scelte ‘osservarè il suono stesso, invitandoci ad una riflessione più profonda di quei presupposti sociali, politici ed ecologici a cui si è già fatto riferimento nel presente articolo. In alcuni ambiti questo si è già, almeno in parte, compreso: a chi non è capitato di imbattersi in un video di promozione turistica o culinaria, in cui un abile sound designer mette in risalto suoni caratteristici di un luogo o di un ambiente, come una campana, il vento, il frinire delle Giovanni Wegher - Riondolo - ©Artesella - ph. Giacomo Bianchi cicale e dei grilli, il canto

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ambientali, spesso senza aver prima maturato una coscienza eco-sonora delle comunità in cui lavorano. Inserire foto suoni rocciosi Emanuele Galvan è un giovane musicologo laureato alla Libera Università di Bolzano. Ha collaborato con numerose realtà musicali, tra cui l’Orchestra Filarmonica di Bologna e le Settimane Musicali Gustav Mahler. Attualmente lavora nell’ufficio dell’amministrazione artistica del Festival d’opera lirica di Bregenz. Fin dalla laurea triennale, pubblicata dal comune di Borgo Valsugana, si interessa alla ricerca sul paesaggio sonoro e ai suoi risvolti sulle politiche territoriali e ambientali. Note di redazione Questo articolo, in stesura completa, è stato pubblicato sulla rivista online The Outdoor Manifesto che si occupa di sport, ecologia e natura. Sarà pubblicato a marzo 2021 dalla rivista dell’Orchestra Filarmonica di Bologna. La tematica e un approfondimento dell’articolo saranno presentati a Graz (Austria) ad una conferenza della Junge Musikwissenschaft (“giovane musicologia”), che fa parte della società austriaca di musicologia.

Suoni rocciosi - ph. Emanuele Galvan


Battaglia al Covid di Patrizia Rapposelli

I giovani, nuovi super diffusori?

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ari giovani non siete immuni. In Italia i contagi di Covid continuano a salire come i nuovi positivi, i morti e i tamponi da effettuare: una situazione che degenera. Nessuno è invincibile e anche se per voi giovani non è mortale, vi si attacca addosso come un tornado con una lunga coda. Il mondo giovanile rappresenta il più grande diffusore di virus; infatti la statistica dimostra come l’età di contagio si sia abbassata (15-29 anni). I ragazzi nella società ricoprono il ruolo di giovane con tutti i suoi tipici comportamenti, ma questa fascia forte sembra aver dimenticato di rivestire anche la parte di figlio e nipote. Ogni giorno in questo momento di pandemia si passano in rassegna le regole base per contrastare la diffusione del virus: indossare la mascherina, evitare assembramenti e luoghi affollati, mantenere le distanze e molto altro, non viene imposto un isolamento, ma è richiesta un’attenzione. La maggior parte di loro vive con i genitori e ha legami con i nonni; l’anziano soprattutto in Italia riveste il ruolo fondamentale di ammortizzatore sociale, bada ai nipoti quando papà e mamma lavorano. Inevitabile una quotidianità condivisa e sarebbe impensabile in questa fase non avere alcun contatto, però ci sono delle conseguenze. I ragazzi con sintomi lievi o asintomatici, particolarmente nella fase iniziale, accelerano la capacità del virus di raggiungere le persone più avanti con l’età. Da qui l’appello ridondante” giovani proteggete chi è più vulnerabile di voi”.

Di appelli da marzo ad oggi ne sono stati fatti molti, altrettante le informazioni e i famosi Dpcm: impazza la confusione. Dopo otto mesi, il governo naviga a vista. Non sembra capirci molto, un Dpcm ogni quattro giorni sembra dichiarare al mondo che le misure del decreto precedente non sono servite, ma il nemico Covid è una mina impazzita e l’escalation di contagi crea di per sé disordine e criticità. Sono inevitabili i messaggi contraddittori che arrivano al mondo giovanile, ma altrettanto chiare le conseguenze di questo virus. I ragazzi non hanno paura di morire, ma di sentirsi limitati e di non poter godere della vita. L’idea di morte è lontana, cognitivamente riescono a capire che esiste, ma non li riguarda mai; inclini a soddisfare nell’immediato quelli che sono i propri bisogni dimenticano ciò che li circonda. Nella guerra al virus la generazione Millennials si sta dimostrando dispersiva e narcisista, allo stesso modo le scelte fatte dalle istituzioni e dalla generazione precedente non li aiuta. Porte dei bus che si chiudono a fatica, a bordo tutti hanno la mascherina, ma le distanze sono una fantasia. Potenziare il trasporto pubblico è difficile perché mancano le risorse di personale e vetture. A occhio fuori dalle uscite

di scuola o vicino ai bar la quantità di ragazzi che non portano la mascherina o che la portano abbassata è significativa; manca il pubblico controllo. Le limitazioni e le regole imposte sono molte. Questa pandemia impone una vita diversa da quella di prima con comportamenti contrari a quelli che vengono spontanei. Vivere in sicurezza in questo momento vuol dire avere una consapevolezza rinnovata, fatta di razionalità e aderenza alle regole; uno sforzo non indifferente e contro natura per il mondo giovanile, ma necessario per il bene collettivo. I giovani additati come nuovi super diffusori forse sono un semplice capro espiatorio, ma più capaci e raziocinanti di così lo possono essere. La generazione moderna ritiene che la società debba sempre e comunque comprenderle, come se si trattasse di un diritto acquisito, ma questo è un merito da conquistare. Quello che resta certo è un contagio dilagante e questa consapevolezza merita responsabilità e riflessione.

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In collaborazione con CDC Salone Fashion - Borgo Valsugana

Degradè: cambia il concetto di colorazione dei capelli

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a colorazione tradizionale è sempre stata un’esigenza per la donna, per la sua bellezza e anche per la copertura dei capelli bianchi. In questi ultimi anni è cam-

biato il concetto di colorazione dei capelli. Quindi non più tinte o meches pesanti o aggressivi, ma intrecci di colore attenuti attraverso sfumature realizzate sulla nuance, riducendo l’impiego di prodotti chimici. Il CDC Salone Fashion D’essai è affiliato all’azienda Degradè Conseil la cui essenza e il suo “modus operandi”, nasce dalla corrente artistica dell’impressionismo dove i pittori riproducevano su tela toni e colori. Il CDC Salone Fashion D’essai, con la stessa filosofia, riporta sui capelli l’effetto che la natura è in grado di creare. Il Degradè è una metodo di colorazione innovativo e ben distinguibile dalle tradizionali tecniche di colorazione. Il prodotto viene applicato sui capelli in maniera verticale,

Monica Goner

rispettando così, sia la naturale ricrescita del capello e sia lo sviluppo naturale delle cromie. Il tutto in maniera personalizzato in base a ogni tipologia di donna. Un tecnica che permette, in un unico intervento, di scurire, schiarire, tonalizzare, lucidare e coprire il 100% dei capelli bianchi evitando la visione del fastidioso effetto ricrescita. Una nuova metodologia che valorizza al meglio la personalità della donna. Come dire…“Non esiste una donna ideale per il Degradè, ma esiste il Degradè ideale per ogni donna”. (P.R.)

Via Giuseppe Gozzer, 9 BORGO VALSUGANA (TN)

LO STAFF Per appuntamento: Solo su prenotazione 0461-753333 oppure inviare un messaggio su: Facebook (Salone Fashion D’essai Degradè Conseil – Borgo) Instagram (cdc_salone.fashion_dessai) – www.degradeconseil.it email: salonefashion@hotmail.it

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Economia & Finanza di Armando Munao'

Fondi pensione Tutti i vantaggi fiscali

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n questi ultimi anni, per non dire decenni, la quantificazione finale della pensione degli italiani ha subito e certamente subirà ancora un notevole calo che indiscutibilmente penalizza le classi meno abbienti, ma soprattutto coloro i quali, per motivi di età e di attività lavorativa, non potranno, raggiungere l’agognata pensione, tale da garantire loro, economicamente, un sereno futuro. Secondo una recentissima indagine solo un italiano su 4 ha la previdenza complementare e solo il 23% sta mettendo da parte dei risparmi per integrare la propria pensione. È vero che molti sono i dubbi e gli interrogativi che gli italiani si pongono quando decidono di costruirsi una pensione

di scorta, ma è necessario sapere che la pensione integrativa è veramente uno strumento di risparmio vantaggioso come nessun altro. E anche lo Stato ha pensato a numerose agevolazioni fiscali per coloro i quali intendono crearsi un fondo pensione. Eccone alcune: 1) Tutti gli importi versati annualmente nel Fondo pensione complementare, entro il limite di 5.164,57 euro, sono interamente deducibili dal reddito. Ed è da precisare che nel calcolo di questa soglia non vanno inclusi i versamenti contributivi da trattamento di fine rapporto, il famoso TFR. 2) Grazie al Fondo pensione com-

plementare si potrà godere di una tassazione agevolata, tra il 9 e il 15% 3) Gli eventuali guadagni sono tassati intorno all’11%. Per avere ulteriori e più opportune informazioni è bene rivolgersi agli esperti del settore (proprio consulente finanziario o commercialista) perché sono loro che possono indirizzare verso la giusta e ottimale scelta.

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Storie di casa nostra di Massimo Dalledonne

Il secolo della Sat di Borgo

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ent’anni e non sentirli. I festeggiamenti, a Borgo, per i 100 anni della locale sezione della Sat si doveva tenere proprio in questi giorni. L’emergenza sanitaria, però, ha costretto la direzione a rinviare il tutto (per la seconda volta quest’anno) a data da destinarsi. Presumibilmente nella primavera del 2021. Una storia, quella del sodalizio, che merita di essere raccontata, iniziata la sera di venerdì 16 aprile 1920 con l’ammissione, da parte della direzione di Trento, in massa dei soci della sezione di Borgo. Come si legge nel libro che verrà distribuito nei prossimi mesi “l’atto di nascita viene consegnato nelle mani del delegato locale cavaliere Adone Tomaselli. L’anno precedente, in paese, una decina di persone avevano aderito al Cai. Con Giovanni Regensburger, Giuseppe Pasqualini e Ruggero Lenzi anche don Cesare Refatti, Vittorio Andreaus e Oreste Cadonna. Per celebrare l’evento il 16 maggio del ’20 si organizza la prima gita sociale con salita al Monte Cima, al Tombolin de Caldenave e Cima Ravetta. Durante il ventennio, alla guida della sezione si alternano Ruggero Lenzi, Annibale Moggio e Armando Pagnusat con don Cesare

Una delle prime sedi della Sat di borgo

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Refatti che si occupa della “ripartenza” guidando l’assemblea generale svoltasi il 17 ottobre del 1945 in una saletta del bar Milano. Da allora saranno ben 18 i presidenti che si alterneranno alla guida, a partire da Flavio Dellai a cui succederanno Giuseppe Solenni, Ruggero Lenzi senior, Dario Segnana, Gigi Cerbaro, Marco Ciola, Ezio Menapace, Bepi Janeselli, Renzo Rinaldi. Tullio Zotta, Franco Gioppi, Carlo Galvan, Luca Alberini, Roberto Rosso, Lucio Cazzanelli, Riccardo Segnana, Faustino Terragnolo e l’attuale presidente Andrea Divina. Un’attività dove, oltre alle varie iniziative sociali e gite stagionali, con il tempo assumono sempre più importanza i referenti per i sentieri e la segnaletica. Come si legge ancora nel libro “Nel 1953 nasce la locale Stazione del Soccorso Alpino e nell’anno successivo prende forma il villaggio Sat di Celado. Grazie all’iniziativa del socio Daniele Moser prende forma anche l’idea di costruzione una baita in località Lanzola, in Sella. Edificio che sarà ufficialmente inaugurato il 14 settembre del 1961. Anche il Gruppo Grotte Selva di Grigno entra nei ranghi della sezione di Borgo e domenica 2 ottobre del 1966 in paese si svolge il 72° congresso provinciale della Società degli Alpinisti Tridentini”. In quei anni la sezione è impegnata nell’organizzazione della corsa in montagna dell’Ortigara, prima edizione nel 1968. Dall’anno successivo anche i satini di Olle confluiscono nella sezione di L'attuale sede della Sat di borgo Borgo, così come

quelli di Strigno. Da segnalare anche l’inaugurazione della croce di Cima Dodici; realizzata dall’artista di Borgo Ferruccio Gasperetti viene eretta e posizionata in quota il 28 settembre del 1969, Negli anni ’70 da ricordare la vicinanza dei satini ai terremotati del Friuli (76) e la collaborazione, nello stesso anno, con il Soccorso Alpino nei lavori di costruzione del Bivacco Busa delle Dodese inaugurato il 27 agosto del 1976. Sono gli anni in cui nasce il Meeting del Lagorai, rimesso a nuovo il sentiero dedicato a don Cesare Refatti (1980) ed aperto il primo gruppo giovanile su iniziativa di Alessandro Alberini. Si parla sempre più anche dell’idea di dare vita al grande parco nel gruppo Lagorai – Rava e Cima d’Asta e, siamo nella metà degli anni ’90, prende corpo anche la collana denominata “I quaderni della Sat” curata da Franco Gioppi e Giordano Balzani. Pochi anni dopo si assiste alla ricostituzione del gruppo giovanile, su interessamento di Paolo Marconi e Michela Del Fabbro, al posizionamento di due edicole-ricordo dedicate a Mario Michelini e Pino Andreaus ed al 42° Convegno Regionale CAI-SAT ospitato a Borgo nel novembre del 2000. In questi ultimi due decenni, da ricordare il gemellaggio con la confinante sezione CAI di Asiago-Sette Comuni, i numerosissimi interventi di manutenzione sui sentieri e la segnaletica e l’entrata della Sat nel mondo della scuola locale con laboratori, uscite ed escursioni, proiezioni al fine di legare le giovani generazioni alla natura. Una azione che ha avuto, come logica conseguenza, l’avvento del terzo vivaio sezionale. Giovani “accomunati da quell’amore pei monti – si legge nel libro – che alberga nel cuore di ogni satino”.


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Personaggi valsuganotti di Chiara Paoli

Davide e Isidoro Weiss

di Strigno pionieri dell’incisione

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sidoro Weiss nasce a Strigno il 4 aprile del 1774, mentre il 15 gennaio dell’anno seguente viene alla luce il fratello Davide; i genitori sono Giovan Battista e Caterina di Prospero Lenzi. Nei documenti il cognome compare scritto come Waiz. Ben poche sono le notizie sulla loro gioventù, ma le capacità artistiche di Davide vennero scoperte precocemente dal concittadino Ascanio Castelrotto, Agente alla Corte di Vienna, che lo portò con sé nella capitale. Davide avrà quindi modo a partire dal 1790 di frequentare i corsi proposti dall’”Accademia Teresiana”, osservando gli insegnamenti di Quirino Mark, di Friedrich Heinrich Füger e Uberto Maurer. Terminati gli studi, l’arte dell’incisione gli darà molteplici commissioni, tanto che dopo quattro anni di lavoro, ha le risorse economiche necessarie per

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recarsi a Roma, dove perfeziona il proprio stile e ha modo di osservare i grandi capolavori dell’arte italiana. Intorno al 1800 fa ritorno a Vienna e viene subissato di commissioni e di lavoro, entrando a far parte della cerchia di incisori più ricercati e apprezzati al tempo. L’opera più antica firmata da Davide di cui è rimasta copia è il ritratto datato 1803, di Aloys Rudolph Vetter, professore di anatomia di Cracovia e autore di molteplici volumi dedicati ad anatomia e fisiologia, la stampa risulta essere una copia tratta dal ritratto ad olio eseguito da J. Kappeller. All’epoca i due fratelli vivevano e lavoravano ancora assieme nella città di Vienna; le loro strade però ben presto si dividono e mentre Davide, il più talentuoso e meglio pagato rimane a Vienna, Isidoro cerca fortuna in Lituania. Isidoro nel 1805 ottiene la cattedra di Incisione all’Università di Vilna,

grazie al principe A. J. Czartoryski. Per assicurare agli studenti i testi e le carte geografiche utili allo studio, si decide di investire sul rinnovamento della tipografia, stipulando un contratto con Josef Zawadzki e impiegando anche Isidoro Weiss per la realizzazione di calcografie e per l’insegnamento ai giovani la preparazione grafica ai fini delle pubblicazioni. Tra i suoi allievi vi fu probabilmente Mauritius Carmelita (Skrzycki), in una veduta con rovine di un castello ritroviamo infatti a fianco della sua firma la dicitura: “Isidorus Weiss correxit”. A partire dal 1811 viene preferito a Isidoro un nuovo e più competente professore, Jozef Saunders, che contribuì allo sviluppo dell’arte dell’incisione all’interno della Facoltà di Belle Arti. Non è dato sapere se l’incisore di Strigno sia rimasto attivo nella tipografia universitaria o se si sia dedicato all’insegnamento del disegno in qualche scuola media. Tra le sue opere ancora viennesi, forse la prova d’esame, quella che rappresenta il salumiere Kulik e due donne nella bottega. Si ricordano poi i due ritratti di Hieronim Strzemien Stroynowski, il primo datato 1804 e uno realizzato a distanza di qualche anno. Esegue poi altri ritratti, dieci incisioni per un “Quadro della storia della Polonia” e alcuni temi allegorici. Grazie al barone Leontij Leontiewicz de Benningsen, conosciuto già nel 1807, dopo aver perso la cattedra universitaria, riesce a trovare alcuni mecenati e a eseguire alcuni lavori importanti come avviene a Berlino, con i ritratti della famiglia reale: Federico II il Grande, Federico Guglielmo II, Federico III regnante dell’epoca e la regina Luigia.


Personaggi valsuganotti

Davide Weiss, rimasto a Vienna lavora dando vita ad una propria bottega e mette su famiglia, anche se le notizie in merito a quest’ultima sono scarse. Sappiamo che quando lui ha 48 anni, nasce suo figlio Adolf, che all’età di 13 anni viene iscritto all’Accademia di Belle Arti di Vienna, non ottenendo fama come artista. Tra le sue opere i

ritratti di personaggi politici ottengono un posto d’eccezione per numero e prestigio, tra le rappresentazioni anche l’imperatrice Maria Teresa, Francesco I ed Elisabetta d’Austria. Nei ritratti alterna il fondo neutro, a fondi più elaborati che divengono quasi scene di genere o ambientazioni d’interno che rappresentano

gli interessi della figura ritratta. Tra le commissioni non soltanto clientela austriaca, ma anche molteplici richieste per ritrarre illustri illuministi polacchi. Meno numerose risultano invece le incisioni che raffigurano scene di genere e quelle legate a temi cristiani, rarissime le rappresentazioni storiche. Nel 1842 la sua incisione dal titolo “La tempesta”, su disegno di Petro Fendi viene premiata come miglior stampa dell’anno da “Der Wiener Kunstverein”. Davide muore a Vienna nel 1846. Molte incisioni dei fratelli Weiss sono conservate all’interno di pubblicazioni della prima metà dell’800, conservate in diverse biblioteche europee. Singole incisioni sono invece custodite in collezioni private o pubbliche tra Dresda, Berlino, Lipsia, Roma, Varsavia, Vienna e nella più vicina città di Trento.

Come eravamo Borgo Valsugana - Oggi Corso Ausugum

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Il personaggio di Veronica Gianello

La danza come arma per il cambiamento: Alvin Ailey american dance theatre Stiamo vivendo un periodo di grande fermento. Sì, può sembrare paradossale, vista la pandemia che ci ha colpito qualche mese fa e che ci ha costretti a casa. Eppure, in questo tempo digitale, ipertecnologico e perennemente connesso, nascono reti di persone che diventano idee reali di supporto e cambiamento.

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rlare sui social “Io non ci sto più” è una pratica ormai facile e comune, e non per questo il loro contenuto perde forza, anzi. Uno dei tanti hashtag nati da tristi episodi di cronaca è stato in questi mesi il #BlackLivesMatter, diventato poi motto contro ingiustizie e abusi razziali. Cambiano i tempi e il modo di esprimersi, ma quella delle minoranze, in questo caso quella afro-americana, è una lotta ininterrotta. Ogni grande pensatore del secolo scorso ha compreso l’importanza di far sentire la propria voce utilizzando mezzi e parole consoni al proprio tempo e alla propria persona. Siamo negli anni ’50 degli Stati Uniti d’America e Martin Luther King parla al mondo di sogni e futuro. Nella stessa meticcia nazione un giovane afro-americano parla delle difficoltà del suo popolo, degli stessi sogni e futuro, utilizzando il movimento. La danza moderna e poi contemporanea è in piena sperimentazione e creazione, una danza che diventa più di un semplice virtuosismo tecnico, che trascende l’arte in sé per diventare la voce di una comunità. Cum tempus, contemporaneo, che avviene nello stesso tempo. Così arte e vita annullano la distanza e si caricano in spalla il peso di vivere davvero il proprio tempo. 62

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Alvin Ailey

Negli anni ’50 è un giovanissimo danzatore afro-americano, pupillo del grande Lester Horton, già impegnato nella stessa causa di giustizia e uguaglianza. Nato a Rogers, in Texas nel 1931, Ailey si trasferisce ancora bambino con la madre a Los Angeles e qui inizia ad interessarsi all’arte contemporanea e in particolare alla danza. È proprio a Los Angeles che inizia a studiare con Horton che diventerà suo maestro e mentore, instillando in lui una sempre viva curiosità e desiderio di ricerca. Mentre studia con Horton, Ailey segue all’università corsi di lingue romanze, frequentando la UCLA, il Los Angeles City College e la Berkeley. Inizia a farsi strada l’idea di un danzatore, e più in generale di

un artista, che non limita le proprie conoscenze all’ambito in cui opera, ma espande il proprio studio a tutto il materiale che possa essere funzionale alla crescita personale, alla propria arte e alla comunità in cui vive e opera. L’ormai affermato maestro Horton nelle sue coreografie si lascia spesso ispirare da artisti come Klee, Lorca e Ellington ma anche e soprattutto dalle culture minoritarie come quella dei Nativi Americani, e il giovane Ailey cerca di assorbire più insegnamenti possibili. Ha solo 22 anni, quando Horton, prima di morire, gli affida il compito di portare avanti la già rinomata Lester Horton Dance Theatre diventandone coreografo e direttore, e abbracciando le responsabilità di


Il personaggio

Alvin Ailey da giovane

dover usare la propria voce in quanto cittadino e artista afro-americano. Nel 1958 dopo aver creato numerosi spettacoli nell’eredità di Horton, fonda una compagnia tutta sua: la Alvin Ailey American Dance Theatre(AADT), la prima a prevedere un ensemble di soli ballerini afro-americani. Uno dei primi lavori, Blues Suite, è già densa dei temi razziali e di giustizia caratteristici del lavoro di Ailey, dove musica e ambiente sono fortemente connotati dai tradizionali spirituals e dalla vita della comunità negli Stati del Sud. Con questa prima produzione, Ailey scende letteralmente in strada: carica sogni e ambizioni su un camioncino e inizia a portare il suo messaggio attraverso la danza in giro per la nazione in quello che sarà poi noto come il “station wagon tour”. In pochi anni la potenza del lavoro di Ailey arriva a sempre più persone: nel 1960 la Compagnia diventa residente del Clark Center e inizia a lavorare a

nuove produzioni. Sono gli anni di grande fermento artistico di Alvin Ailey che in quello stesso anno presenterà il suo più grande capolavoro Revelations, rappresentato ancora oggi in tutto il mondo e considerato un vero e proprio tesoro culturale. Qui troviamo il grande dolore di un popolo sottomesso, ma anche la gioia di sapere che Dio avrà cura di quello stesso popolo. Si palesa qui con una profondità e un’onestà estrema la visione di Ailey: l’arte è un’arma potente per il cambiamento. Questo concetto rimane ancora oggi il pensiero cardine dei seguaci di Ailey che coltivano oggi la sua eredità rendendo la AADT una realtà contemporanea e viva. Riconosciuta già agli esordi come fonte di prestigio per la nazione dal presidente Kennedy che li volle nel suo

programma internazionale speciale per le presentazioni culturali, riveste ancora oggi un ruolo centrale nella sensibilizzazione e nella creazione di una consapevolezza comunitaria. Su queste premesse venne fondata nel 1969 anche la Ailey School, centro di eccellenza per lo studio della danza contemporanea, con sede a New York. Alley muore in ospedale a New York nel 1989 a 58 anni. A portare avanti l’eredità di Ailey è oggi Robert Battle che allinea il proprio pensiero a quello del suo grande mentore. “È facile—sostiene Battle—essere miopi invece di guardarsi intorno e chiedersi ‘Cosa succede attorno a me?’. L’artista deve mettersi in ascolto perché qui si gioca una partita importante. L’arte deve celebrare l’umanità e contribuire alla bellezza del mondo nella propria diversità. Siamo tutti umani. Questa è la cosa più preziosa a parer mio che Alvin ci ha lasciato: il suo costante tentare di reggere uno specchio davanti alla società, di modo che ogni singolo individuo potesse vedere e ricordare che è bello, nel senso più vero del termine”.

Alvin Ailey - Il suo teatro della danza

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Centre for Contact Lens Research | University of Waterloo I School of Optometry & Vision Science cclr.uwaterloo.ca

Presbiopia

Che cos’è? Cosa posso fare? Posso correggerla con le lenti a contatto?

Mettere a fuoco da vicino è sempre più complicato dopo i 40 anni. Succede a tutti, si chiama presbiopia. La presbiopia compare quando il cristallino, la lente intraoculare, perde con il passare del tempo la sua elasticità e flessibilità. La visione da vicino diventa difficoltosa

ma non è da confondere con l’ipermetropia.

Allontanare lo smartphone o il libro ti permetterà di migliorare la visione. Questa sarà un’ottima soluzione per un

anno o giù dì lì, finché non scoprirai che, purtroppo, le tue braccia non saranno abbastanza lunghe per permetterti di vedere chiaro!

Ci sono diverse opzioni per poter migliorare la visione da vicino. I classici occhiali da lettura permettono di vedere da vicino ma renderanno sfocata la visione da lontano. Gli occhiali progressivi, caratterizzati da una gradazione graduale del potere, aiutano a vedere sia da vicino sia da lontano. Con le lenti a contatto hai una buona visione a tutte le distanze e in tutte le direzioni di sguardo.

Vi sono diversi metodi per correggere la presebiopia con le lenti a contatto.

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Il design delle lenti a contatto multifocali permette contemporaneamente la messa a fuoco da vicino e da lontano. La monovisione è quella tecnica che utilizza un occhio per mettere a fuoco da vicino e il controlaterale da lontano. Se intendi indossare le lenti a contatto solo occasionalmente, le monouso giornaliere offrono questa opzione flessibile ed economica.

Non preoccuparti di come funzionano i design di queste lenti, i tuoi occhi sapranno adattarsi perchè hanno una capacità innata. Il tuo contattologo potrà aiutarti a trovare la lente a contatto multifocale con il design più adatto a te.

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Giovani e società di Elisa Corni

Fermoimmagine:

la pandemia raccontata da e per i giovani Il Piano Giovani di Zona, dei Laghi ha promosso un progetto proposto in coordinamento tra l’Associazione Tennattiva e APPM - Associazione provinciale per i minori, con la partecipazione di Movin’Sounds e con il patrocinio dei comuni di Tenna e Calceranica, Levico e Caldonazzo. Si chiama: feromimmagine al tempo del coronavirus. In realtà a spingere perché si realizzasse sono stati i ragazzi stessi, i nostri giovani, mossi dalla pressante necessità di raccontare qualcosa che ha cambiato la vita di tutti noi, ovvero il lock-down imposto dalla grave crisi sanitaria che ancora oggi sembra non voler cedere il passo alla serenità e alla quotidianità. È stata proprio la quotidianità della quarantena, l’isolamento fisico da amici e compagni di scuola, l’impossibilità di socializzare se non attraverso strumenti tecnologici, la difficoltà per chi era abituato a vedersi tutti i giorni anche solo sulla corriera per la scuola ad aver ispirato questo progetto di story-telling attraverso diversi media. L’obbiettivo del progetto, finanziato appunto dal PGZ che dovrebbe vedere la luce entro dicembre, è appunto quello di raccontare e far raccontare ai giovani della zona laghi la loro e altrui quarantena. Cosa significa raccontare un’esperienza come questa e quali sono le strade intraprese dai ragazzi che hanno aderito al progetto? Sono diverse vie proprio perché, sotto la guida di esperti nella comunicazione, sono stati proprio loro. E alcune di queste modalità sono davvero originali. La più “banale” è sicuramente quella che vede, attraverso la realizzazione di una serie di video interviste a diverse persone, la produzione di un documentario

video attorno al tema della quarantena e dell’emergenza sanitaria. Per le interviste sono state scelte persone di estrazione sociale diversa, con età e professioni variegate, oltre che con esperienze molto diverse. Ad affiancarli in questo percorso alcuni professionisti della comunicazione, dal giornalismo al coordinamento al video-making, con l’obbiettivo comune di realizzare una serie di mini-video per i social e un documentario più lungo che sarà proiettato, covid-permettendo, nei mesi di novembre e dicembre. Le interviste, poi, saranno archiviate e costituiranno il corpus iniziale per un archivio della memoria. Ogni buon video deve però essere accompagnato da buona musica e quindi, alcuni dei ragazzi hanno optato per un oggetto comunicativo meno usuale: scrivere musica. Insie-

me all’associazione Movin’Sounds e grazie ad APPM stanno componendo e registrando una serie di brani originali ispirati proprio dalla loro esperienza di isolamento forzato. Sempre con Movin’Sounds i ragazzi che partecipano al progetto stanno familiarizzando con la fotografia. Ma è forse l’ultimo dei progetti all’interno di Fermoimmagine il più sorprendente: la realizzazione, in collaborazione con Contra la Pared, di due murales. Il primo, terminato, è stato realizzato sulla parete esterna della palestra di Calceranica. L’altro, in fase di completamento, è realizzato su due tavole di compensato e girovagherà per gli altri tre comuni che hanno aderito all’iniziativa. Un’iniziativa che, attraverso gli occhi, i linguaggi e la creatività dei più giovani, vuole aiutarci a leggere un triste capitolo della nostra storia.

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Dalla parte del consumatore

Risponde il Prof. Marino Melissano

Altroconsumo risponde Il 22.09.2020 ho acquistato un prodotto al supermercato ma tornata a casa mi sono resa conto che era avariato. Ho quindi controllato la data di scadenza che indicava “da consumarsi preferibilmente entro il 20.09.2020”. Riportato il prodotto al negozio, la responsabile del supermercato si è scusata e mi ha dato un altro lotto non scaduto. Mi chiedo quindi se il supermercato poteva vendere quel prodotto.

L

’indicazione della durabilità di un prodotto purtroppo non ha una posizione precisa in etichetta ma deve comunque essere riportata sulla confezione, e le diciture che possiamo trovare a riguardo sono diverse: 1. la vera e propria data di scadenza -riportata con la dicitura”da consumare entro”. Sta a indicare che, superata la data riportata, il prodotto non va effettivamente consumato perché potrebbe mettere a rischio la nostra salute; 2. il termine minimo di conservazione indicato dalla dicitura “da consumarsi preferibilmente entro”. Questa dicitura concede invece la possibilità di consumare il prodotto anche qualche giorno dopo (ad esempio, nel caso di una merendina) o anche qualche settimana dopo (ad esempio, nel caso della pasta

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o del tonno in scatola), a seconda dei prodotti, avvalendosi di vista, olfatto, gusto per verificare se realmente è edibile. Queste diciture le troviamo in quasi tutti i generi alimentari ad eccezione di frutta e verdura fresca, vini, pane e pasticceria fresca, aceto, sale, zuccheri e gomme da masticare. Per gli alimenti che richiedono particolari modalità di conservazione, prima e dopo l’apertura della confezione, è obbligatorio precisarne i dettagli (come la temperatura) in frasi del tipo “conservare in frigorifero +4°C”. In questi casi spesso viene anche indicata una nuova durata del prodotto poiché, una volta aperta la confezione, non è più la scadenza indicata in etichetta a far fede. Per quanto riguarda la commercializzazione di prodotti alimentari confezionati, la Cassazione, anche in un’ottica di contrasto allo spreco alimentare, ha sancito che la vendita

di prodotti scaduti non soggetti a veloce deperimento non ha rilevanza penale e il commerciante può vendere il prodotto a suo rischio e pericolo. In quest’ottica, già da tempo, molti supermercati offrono prodotti vicini alla data di scadenza a prezzo ribassato. Infatti, in alcuni casi, dedicando a queste offerte spazi appositi. È sempre buona abitudine quando si acquista un prodotto verificare la data di scadenza. Nei casi nei quali ci si imbatta in un prodotto scaduto è sempre consigliabile far notare il fatto al rivenditore; in questo modo lo si aiuterà a porre in essere un comportamento corretto e tutelare l’incolumità dei consumatori. Ovviamente se la violazione della data di scadenza viene riscontrata su più prodotti o se addirittura lasciano perplessi le modalità di conservazione degli alimenti, è consigliabile presentare una segnalazione alle autorità competenti


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Medicina & Salute

di Erica Zanghellini *

L’ortoressia U

n nuovo disturbo, si sta facendo strada piano piano. Complice la facilità nel recuperare informazioni, anche grazie al Web, stanno emergendo sempre di più casi di ortoressia. Non so quanti di voi abbiano mai sentito questo termine, ma sta ad indicare una nuova categoria dei disturbi alimentari. Anche se è stata definita da Bratman nel 2001, è uno di quei disturbi che è stato riconosciuto solo recentemente. Mi spiego meglio, grazie a Internet possiamo reperire infinite informazioni, tra cui: cucinare in modo light le pietanze, come sostituire alcuni ingredienti, ma soprattutto la composizione dei vari generi alimentari. Queste informazioni sono importanti se una persona le usa in modo funzionale, ovvero se le utilizziamo per migliorare il nostro stile di vita, ma diventa invece un problema se noi ci “fissiamo” e tutto viene condizionato

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da questo. Un conto è cercare per esempio di alimentarsi con prodotti senza olio di palma, oppure con poco zucchero raffinato o ancora cercare delle “versioni” più sane di una pietanza, un altro è mangiare solo alimenti che hanno determinate caratteristiche. La linea di confine tra stile salutistico e disturbo alimentare è sottile, ed è possibile che molte persone che in realtà crediamo siano solo molto attente abbiano qualcosa di più. L’ortoressia è proprio questo, una vera è propria ossessione per il mangiare “pulito” che però inficia anche altre aree della nostra vita. Ricerche maniacali su cibi naturali, oppure biologici o ancora non contaminati da alcune sostanze artificiali, o anche privi di un certo ingrediente diventeranno la priorità a scapito di qualsiasi altra cosa. Le persone, di solito sono scarsamente consapevoli che la loro ricerca di

vivande “sane” porta ad importanti conseguenze. Spesso infatti, vengono eliminati dalla dieta cibi ritenuti pericolosi, ma che in realtà possono essere importanti per il nostro corpo. Si possono creare squilibri sia a livello di nutrienti introdotti giornalmente sia un vero e proprio deficit sul piano nutrizionale che alla lunga può causare danni considerevoli, soprattutto se l’esordio avviene in alcune fasi di vita. È una malattia subdola, perché inizia come una scelta nel migliorare le proprie opzioni alimentari e poi diventa una vera e propria ossessione a cui non si può trasgredire. I criteri di ammissibilità di un alimento diventano sempre più restrittivi fino ad arrivare all’eccesso, l’eliminazione totale. Si può quindi giungere ad abolire intere categorie di elementi nutritivi in realtà necessari al fabbisogno giornaliero e arrivare a un indebolimento del


Medicina & Salute nostro corpo o nel caso più drastico ad una vera e propria malnutrizione. Gli effetti più devastanti comunque frequentemente sono quelli a livello mentale. Se è vero che questo disturbo alimentare a differenza degli altri non va ad incidere sulla quantità di cibo introdotto, ma sulla qualità delle pietanze, si può tradurre in vere e proprie paure per il cibo ad esempio preoccupazioni eccessive ed incontrollate su eventuali “contaminazioni”, o che siano contenute anche in minima parte qualche sostanza “non consentita”. L’effetto di queste paure, oltre a creare vari evitamenti si tradurrà in stati d’ansia più o meno consistenti che a loro volta rafforzeranno gli evitamenti per non provare stati emotivi così inficianti. Per gestire tutto ciò, si riscontra frequentemente che la persona adotti la strategia di mangiare solo ed esclu-

sivamente quello che cucina personalmente o qualcuno di sua fiducia e questo inevitabilmente avrà delle manifestazioni nella sfera della socialità. Il non poter consumare pasti perché ignari degli ingredienti diventerà un problema insormontabile. Per cui aperitivi, cene e quant’altro verranno banditi dalla routine di chi soffre di questo disturbo andando a minare tutta la vita amicale e amorosa. Sinteticamente e schematicamente se dovessimo fare un identikit della persona che soffre di ortoressia dovremmo ritrovare i seguenti sintomi o segni: 1. Bisogno di conoscere e controllare la composizione di qualsiasi alimento; 2. Necessità di pianificare i pasti che vengono consumati; 3. Paura di contaminare il proprio corpo con sostanze ritenute

pericolose; 4. Tendenza a sentire il bisogno di depurare il proprio corpo, costantemente; 5. e infine una rigidità nel seguire pedissequamente quel tipo di alimentazione e sentirsi profondamente in colpa qualora si trasgredisse alla dieta. È facilmente intuibile da questo identikit che la persona con questa disfunzione dovrà affrontare forti limitazioni e dovrà sostenere forti disagi, la scelta di migliorare il proprio stile di vita è solo un lontano ricordo che fa spazio invece, a rigide regole fortemente limitanti e invalidanti.

* Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel- 3884828675

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Cose da mamme… e da papà di Elisa Corni

Il babywearing:

indossare il bimbo

È sempre più facile vederli in giro: uomini e donne con strani zaini sulla schiena o addirittura appesi davanti che ospitano i loro bimbi. Sono le mamme portatrici e i papà canguri, genitori che fanno spesso di una pratica millenaria, quella del trasporto dei figli tramite fasce, marsupi e altri supporti, un’abitudine; quasi una filosofia.

N

el web ma non solo è noto come “babywearing”, letteralmente “indossare il bambino” ed è meno semplice di quanto sembri. Ma una volta entrati in contatto con questa pratica difficilmente i genitori se ne separano. Ci sono molti modi di “portare”, come dicono i genitori che praticano questa abitudine, ma tutti sono accompagnate da una serie di effetti positivi oggettivi e universali. Pensate che spesso l’uso di fasce è incentivato fin dalla nascita ad esempio per combattere la depressione post partum che a volte accompagna le neomamme. Questo perché il contatto fisico con il proprio bebé incrementa la produzione dell’ossitocina, l’ormone della felicità, con innegabili effetti su entrambi. Ma più in generale, diversi studi hanno evidenziato come la vicinanza fisica prolungata con mamma e papà aiuti a creare legami più profondi. Più in generale questa arte, perché tra legature particolari e fasce belle come dipinti è di questo che si parla, sta prendendo sempre più piede in contrapposizione a quella filosofia di genitorialità tradizionale che invitava le mamme a “non tenerlo in braccio che poi si abitua”. Novità per noi, molto meno per altre culture, come quelle africane che i loro bambini li portano sulla schiena da millenni. Ma il contatto fisico è uno degli ele-

menti importanti per i primi periodi di crescita del bambino. Pensate al cosiddetto “pelle a pelle”, quel momento intimo e indimenticabile che segue immediatamente il parto e durante il quale la mamma può tenere per la prima volta il suo bimbo; e lo fa senza indumenti addosso. Questo nuovo stile di genitorialità che promuove attaccamento e contatto è spesso vincente ma non sempre. Non sempre fa i conti con chi, magari, di essere portato non ha voglia. Se esistono infatti bambini “cozza”, ovvero ad alto contatto e che pretendono la dose quotidiana di abbracci, è altrettanto vero che altri

rifiutano qualunque forma di trasporto a contatto. In quel caso, purtroppo, è possibile che si debba arrendersi al fato. In ogni caso l’approcciarsi al babywearing deve essere accompagnato, proprio perché non si tratta di una pratica banale e automatica. Alcuni incroci di stoffa, le cosiddette legature, sono complesse e soprattutto con i bambini più piccoli è importante non costringerli in posizioni errate. Per questo il consiglio è di fare sempre riferimento ai consulenti, persone esperte, spesso produttori di supporti o rivenditori, genitori canguri loro stessi che vogliono diffondere il corretto portare. Corretto perché non tutti i supporti in commercio sono ergonomici, ovvero sono costruiti in modo tale da evitare posizioni scorrette - ad esempio è fortemente sconsigliata la posizione fronte mondo, ovvero con il bambino che guarda il mondo e non il busto del proprio genitore. Oppure il supporto di cui vi innamorate perdutamente potrebbe non essere adatto a voi o al vostro bambino. La prossima volta che incontrerete una mamma con il bimbo in fascia non siate ironici, non domandatele “respira”, perché potete starne certi non solo respira ma in quel momento potrebbe essere l’essere più felice della terra.

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Curiosità dal mondo di Francesco Zadra

Premio IgNobel

quando follia e genialità s’incontrano

A

differenza del fratello maggiore nordico, scintillante sugli abiti da sera di eminenti studiosi, attivisti per i diritti umani e ieratici economisti in gessato, il premio IgNobel (sic), capeggia sulle mensole dei ricercatori che hanno dato il loro contributo alla scienza e all’umanità seguendo vie “non convenzionali”. Istituito nel 1991 dalla redazione della rivista scientifica “A.I.R.”, questo riconoscimento semiserio si propone di premiare le 10 ricerche scientifiche più improbabili e bizzarre, ma che in quanto a rigore accademico e scientificità non hanno nulla da invidiare ai loro corrispettivi acclamati a Oslo e Stoccolma. Dobbiamo spostarci dalla fredda Scandinavia e volare nel ben più mite Massachusset per assistere alla cerimonia di premiazione che si svolge annualmente sotto i riflettori del Sanders Theatre, Università di Harvard. La giuria, che spesso annovera tra i propri membri anche vincitori del “vero” premio Nobel, assegna il trofeo secondo diverse categorie che spaziano dalla Medicina all’Economia. Ha fatto epoca l’IgNobel per la Fisica assegnato nel ‘99 all’Università di

L'italiano Silvano Gallus

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Sidney per aver calcolato l’angolazione migliore con cui inzuppare un biscotto, per non parlare del dispositivo “anti-cats” che impedisce ai nostri amici felini di camminare sulle tastiere del PC, brillante intuizione di un informatico dell’Arizona. Stanchi di turarvi il naso per cambiare il pannolino ai vostri figli? Contattate Iman Farahbakhsh, eclettico inventore del macchinario “lava bebè”, IgNobel per l’ingegneria 2019. Pure le tematiche umanitarie non sono sfuggite all’attenzione dei giurati: il riconoscimento per la Pace è andato, ironicamente, all’inventore di un antifurto per auto con lanciafiamme incluso. Lo scorso anno sono stati invece premiati gli sforzi di una equipe euroasiatica nel calcolare i benefici psicologici dei...grattini sulla schiena. La Pace dei sensi! Ma cos’hanno a che fare statistiche sullo scaccolamento degli adolescenti o studi sull’aerodinamica delle patate con la vita quotidiana? Che contributo dà l’analisi dei gas intestinali (ehm…) bovini al progresso scientifico? Secondo le intenzioni dell’ideatore, Marc Abrahams, bisogna abbattere il preconcetto che la serietà sia una virtù, “laugh first, think second” è difatti il motto dell’IgNobel Prize. Serio e faceto non sono per forza in contrapposizione, anzi: scoperte epocali sono spesso frutto di errori o di battute ironiche prese alla lettera, Fleming e la sua penicillina insegnano. Un concetto tanto innovativo quanto rivoluzionario, dalla “Laus Stultitie” (elogio della follia) di Erasmo da Rotterdam all’ormai iconico monito “stay

Marc Abrahams (da Wikipedia - ph David Kessler)

hungry, stay foolish” che Jobs rivolse nel 2005 ai laureandi della Standfort, le menti che più di tutte hanno lasciato un segno nella storia sono state proprio quelle che hanno saputo fare del “pensiero divergente” e apparentemente anomalo la forza motrice del loro successo. Dopotutto, il cervellone per antonomasia Albert Einstein lasciò scritto ai posteri che “la creatività è l’intelligenza che si diverte”. Se il buon Albert non ci inganna, il lampo di genio potrebbe essere sempre dietro l’angolo, anche nei luoghi e momenti più inaspettati. È il caso di Karl Kruszelnicki , ricercatore australiano, premiato nel 2001, che scoprì la causa del formarsi di lanugine nell’ombelico: l’atrito della peluria corporea fa migrare verso il centro le fibre dei vestiti indossati dando origine ai caratteristici batuffoli ombelicali. Insomma, la prossima volta che verrete accusati di perdere tempo a guardarvi l’ombelico potrete ribattere con la scusa di dover dare il vostro contributo alla Scienza.


Tra poesia, pittura e prosa

Pensierini di vita di Bianca Pecoraro

LA FELICITA' Se la felicità la si può trovare dovunque... ...dimmi mio Signore, il luogo, il giorno, l'ora. Ho chiesto a chiunque, cos'è la felicità? Nessuno ha saputo definirla. Se la felicità è un brivido di piacere in questa vita, Se la felicità è gioia e consolazione, Se la felicità è gloria e amore, dimmi, mio Signore, cos'è ciò che io provo? CERCARE LA FORZA DI VIVERE Lungo l'argine del fiume stai camminando, il corpo eretto le mani chiuse a pugno quasi a voler trovare una forza che più non hai. La notte è ormai scesa e sul greto del fiume hanno trovato il corpo di un uomo. Tutto di lui è irriconoscibile, tranne le mani che sono ancora strette a pugno quasi a voler cercare, prima di morire, la forza di vivere.

A TE CHE NON ESISTI Qualcuno ti chiede chi sei, e tu non rispondi gli giri le spalle e continui per la tua strada. Ragazzo venuto dal nulla. Te ne vai nel nulla come sei venuto. I tuoi occhi senza espressione vagano nell'infinito immenso. La tua mano sfiora qualcuno. Chi? Nessuno! Tu non esisti, cammini nel vuoto sopra un tappeto di foglie ingiallite. Il rumore dei tuoi passi lo può sentire solo chi ti ama.

Come eravamo

Strigno - La vecchia fontana

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Storie di casa nostra di Mario Pacher

I mulini di Caldonazzo

E

rano ben quattro in un lontano passato, i mulini a Caldonazzo costruiti lungo il torrente Centa per poter attingere da quel rio l’acqua per l’alimentazione. Come ci ha testimoniato la maestra e storica Agnese Agostini, si trovavano lungo il greto di quel torrente in località Pineta, un tempo rione Caorso, che venne abbandonato nel 1758 a causa di continue inondazioni e l’acqua, che proveniva dal lago di Lavarone, usciva dalla roccia formando le cascate del Vallempac. Di questi manufatti sono ancora visibili alcuni residui cementiti, come quello del Goto (Coto) situato a poca distante dalla strada romana “Imperiala” e che vediamo in questa foto di Carpentari presente nel libro della maestra “All’ombra della Vigolana”, così come quello dei Cleccheri (Polentoni), stessa firma nella medesima pubblicazione. L’ultimo ad essere abbandonato, ci ricorda ancora la signora Agnese, 95 anni compiuti il 3 maggio 2020 ma ancora lucida da far invidia ad una ragazzina nonchè autrice in passato di corpose pubblicazioni storiche come “all’ombra della Vigolana” che ci mostra in questa foto, ma anche tante altre, fu il mulino dei grandi Prati che divennero artisti di fama mondiale portando alto il nome di Caldonazzo e sul quale si è soffermata a raccontarci la sua ricca pagina di storia. In origine, ci dice, il padrone era Domenico Prati e la proprietà passò poi al tredicesimo figlio, Cesare Giulio, che visse dal 1860 al 1940 e che pure lui divenne pittore per la passione trasmessagli dal fratello maggiore, il famoso Eugenio Prati. Nel 1896, all’età di 36 anni, dopo aver frequentato l’Accademia di Brezza a Milano, Cesare Giulio va in America, in Uruguay, attratto dall’entusiasmo per l’arte che sembrava offrire buone prospettive di lavoro e anche su richiamo dei fratelli più anziani di lui Leone, Probo, Stefano e Anacleto. Nel 1903 ritorna a Caldonazzo dove trasforma il piccolo mulino artigianale, che serviva solo per uso personale e per pochi altri privati, in mulino industriale, lavorando così grandi quantità di granoturco ed altri prodotti che provenivano non solo dalla piana di Caldonazzo, ma soprattutto dall’Argentina e dall’Ungheria. Oltre al mais in quel mulino si macinava il frumento, l’avena, l’orzo, la segala e la panizza la cui farina si usava per confezionare una particolare polenta. Nella zona di Caldonazzo, infatti, la panizza era coltivata da tante famiglie di allora, ed è per questo che gli abitanti di Caldonazzo ancora oggi vengono chiamati i “panizzari”.

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Lo stabile costruito nel 1923 sulle fondamenta del mulino Prati

La maestra ci mostra un suo librofondamenta del mulino Prati.

Il mulino “Goto o Coto"


Storie di casa nostra Frattanto ai tre figli Giulia, Mario e Jolanda nati durante il periodo in cui Cesare Giulio risiedeva in America, si aggiunsero Aldo e Lindo mentre Carlo nascerà nel 1917 durante l’esodo come profugo in Moravia. Edmondo Prati, pure lui grande pittore, figlio di Michelangelo, così descrive il mulino: “Il nonno Meneghin (soprannome di Domenico) lo aveva costruito secondo i criteri del tempo. Al piano terreno c’era il mulino completo con tutti i suoi accessori e nel primo piano tre grandi stanze con finestre alte e grandi, e con tutti i suoi scuretti”. Allo scoppiare della prima guerra mondiale, il mulino Prati rappresentava, assieme alla Torre dei Sicconi delle famiglie Curzel ed altre, un punto strategico per le batterie italiane che sparavano da oltre il Pizzo di Levico. Di conseguenza quel mulino fu raso al suolo e Cesare Giulio, con

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i figli, vide in diretta la distruzione. La sua casa scomparve in pochi secondi per le grosse cariche di tritolo sparate dai guerrieri dell’Impero Austroungarico, e assieMulino Polentoni me spariva anche l’azienda creata con tanti sacrifici. L’attuale fabbricato, sorto sulle fondamenta del vecchio mulino Prati, fu ricostruito nel 1923. Dopo il ritorno dalla Moravia, come appare anche da scritti in possesso dello storico Mario Pola, Cesare Giulio intraprese l’attività

agricola per garantire alla famiglia un sostentamento di vita, e, nei ritagli di tempo, riprese l’attività pittorica che gli permise di realizzare buoni guadagni. Con la sua scomparsa avvenuta nel 1940, finisce l’era della grande famiglia dei pittori Prati.

Come eravamo

utti gli anni in occasione dell’anniversario viene ricordato con una cerimonia il tragico evento accaduto nel luglio del 1954, quando a Quaere di Levico durante una esercitazione di tiro, perirono per lo scoppio improvviso ed inaspettato di un mortaio, cinque marinai del Battaglione San Marco. Grazie alla disponibilità dello storico e fedele lettore della nostra rivista “Valsugana News” Ferruccio Galler, siamo in grado di fornire anche un’immagine della sfilata del battaglione a Levico, nella centralissima via Dante, al termine della cerimonia funebre officiata in loro memoria nella Arcipretale levicense. (M.P.)

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Che tempo che fa di Giampaolo Rizzonelli

Settembre 2020: un mese freddo anzi no “meteo bufale”

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e certamente il mese di ottobre 2020 rimarrà negli annali trentini per il freddo (probabilmente faremo un articolo nel prossimo numero a tal riguardo, per verificare anche il contesto Europeo e planetario in cui si è collocato questo episodio di freddo), soprattutto nelle prime due decadi, con nevicate anche a media quota (vedi fig. 1 neve in Panarotta l’11 ottobre) e gelate fino in fondovalle, non si può dire altrettanto del mese di settembre 2020, che per un episodio a fine mese ha fatto percepire a molti che fosse stato un mese particolarmente freddo, il tutto però calato in un contesto del mese complessivamente con caldo sopra media. Addirittura si è arrivati a titolare, compresi alcuni quotidiani nazionali, “il settembre più freddo degli ultimi 50 anni”, ovviamente stiamo parlando di una “meteo bufala”. Il freddo a settembre, si, ci è stato, ma solo per pochi giorni a fine mese, a causa dell’afflusso di aria di origine polare, scesa fino alle nostre latitudini in seno ad una saccatura, dopo aver portato un deciso raffreddamento anche su gran parte dell’Europa Centro Occidentale, le nevicate, fino a quote molto basse per il periodo, testimoniano si un evento straordinario per settembre ma durato pochi giorni. La vera notizia che si doveva dare in quei giorni era “il freddo di questi ultimi giorni ha permesso di raggiungere temperature tra le più basse per settembre degli ultimi anni” e non dire che è stato il settembre più freddo degli ultimi 50 anni, che sembra più un titolo da negazionista dei cambiamenti climatici. Per dimostrare quanto un titolo “il settembre più freddo degli ultimi 50 anni” sia una “meteo bufala” ci affidiamo ai numeri, che non sono opinioni e non mentono mai. Partiamo da Levico Terme: Qui di seguito i valori normali di minime e massime e medie confrontati con i valori rilevati a settembre 2020.

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Fig. 1 - Neve sulla Panarotta (11 ottobre 2020)

Fig. 2 - Temperature Medie Italia Settembre 2020 deviazione da media 1981/2010

Fig. 3 - Temperature Terra anomalie rispetto a 1901/2000


Che tempo che fa Temperature mese di settembre 2020 confronto con valori normali VALORI NORMALI °C

SETTEMBRE 2020 °C

DIFFERENZA °C

MEDIA DELLE MINIME

+11,1

+10,9

-0,2

MEDIA DELLE MASSIME

+22,6

+24,2

+1,6

MEDIA MENSILE

+16,9

+17,4

+0,5

Quindi un mese sopra media di mezzo grado per Levico Terme con una massima di +30,2°C rilevata il giorno 17 e una minima di +4,0°C rilevata il giorno 27.

Fig. 4 - Estensione ghiacci artico (18 ottobre 2020)

E a livello nazionale? Dall’analisi effettuata dal CNR ISAC, vedi immagine fig. 2, risulta che il mese di settembre 2020 è stato l’8° più caldo dal 1800 con un’anomalia di temperatura di +1,4°C rispetto al trentennio 1981/2010 (più caldo fu il settembre 1987 con un’anomalia di +2,55°C, più freddo il 1851 con un’anomalia di -4,67). E a livello mondiale? Il grafico di figura n. 3 del NOAA USA (NOAA National Centers for Environmental information, Climate at a Glance: Global Time Series, published October 2020, retrieved on October 19, 2020 from https:// www.ncdc.noaa.gov/cag/) ci dice che il settembre 2020 è stato il più caldo in assoluto dal 1880 con un’anomalia di temperatura di +0,97°C rispetto al periodo 1901-2000. E i ghiacci polari? Anche in questo caso le notizie non sono buone, il grafico di fig. 4 ci mostra la superficie dell’Artico al 18 ottobre in cui è presente almeno un 15% di ghiaccio, la linea del 2020 ha raggiunto (negativamente) il valore record raggiunto nel 2012. Per quanto riguarda le elaborazioni al mese di settembre ci dicono che l’estensione media del ghiaccio marino artico per il mese è stata di 3,92 milioni di chilometri quadrati, la seconda più bassa nel registro satellitare di 42 anni, dietro solo a settembre 2012. L’estensione è 350.000 chilometri quadrati al di sopra del minimo record e 2,49 milioni di chilometri quadrati al di sotto della media 1981-2010, per dare un termine di paragone a quest’ultimo dato, la superficie dell’Italia è di 302.073 km quadrati, quindi manca all’appello rispetto alla media 1981/2010 una superficie pari a oltre 8 volte l’Italia. La mappa di figura 5 ci rende ben evidente quanto sia ampia la superficie di ghiaccio mancante, in bianco viene indicato il ghiaccio presente al 20 ottobre 2020 mentre la riga colorata mostra quella che era la superficie media per il periodo 1981/2010. Migliore è la situazione dei ghiacci antartici che è riportata in fig. 6 che mostra una situazione migliore del 2019 e migliore della media 1981-2010.

Fig. 5 - Mappa ghiacci artici al 20 ottobre 2020

fig. 6 - Estensione ghiacci antartici (18 ottobre 2020)

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o d n a l l e r e h c io

G

Cristini io iz r u a M a cura di

CRUCI...TRENTINO CRUCI... TRENTINO

COSA SIGNIFICA ?

1

2

3

4

5

10

Assegnate a ciascuna delle parole sotto indicate, il suo corretto significato scegliendolo fra quelli dati in elenco alla rinfusa. Leggendo nell'ordine le lettere riportate al termine di ogni esatto significato, troverete la parola che comunemente indica... il puntale della fibbia che si fa entrare nel foro della cinghia.

13

PETRICORE =

gioco con la luce solare riflessa da uno specchio su una parete (G)

TURCASSO =

incrocio fra un cavallo e un'asina (L)

37

GIBIGIANA =

profumo della terra bagnata dalla pioggia (D)

38

22

15

ANGUE =

45

serpente (I)

49

stanghetta degli occhiali (R)

DIASTEMA =

spazio tra i denti incisivi superiori (N)

APOTROPAICO =

29

25

30

34

31

35

36

42

46

26

32

39

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A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il nome di un tipico salume del periodo autunnale prodotto anche nella zona dell'Alta Valsugana. A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà ORIZZONTALI: 1. Isalume tacchini didel Canezza - 5. Comune del bellunese che avrebbe voluto passare sottodell’Alta Trento - 10. Si il nome di un tipico periodo autunnale prodotto anche nella zona celebrano quelli della S. Pasqua e del S. Natale - 11. Quelle delle acque minerali devono essere certificate sull'etichetta Valsugana. delle bottiglie - 13. Abbagliato da luce intensa - 15. Non si dice insieme a me! - 16. Nei film western è abbreviato in

Doc - 17. A Levico Terme si esibisce sul piazzale presso la chiesa - 19, Il fiume di Berna - 20. Il Gianni che conduceva

SOLUZIONI NR. DI OTTOBRE 2020 CRUCI...TRENTINO: ROYAL GALA CRUCI... TRENTINO 1

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A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il nome di una pregiata varietà di mela molto coltivata in Trentino.

QUESITO A SCHEMA: QUESITO A SCHEMA ALFABETO

A SCHEMA 1 3

ORIZZONTALI: 1. Arbusti e ramaglie secche - 7. Conifere per scandole da tetto - 12. Generoso vino rosso Campano - 14. Noi... a Malaga - 15. Il nome di Capone - 16. I signori... per l'oratore - 17. Lo Stato con Nairobi - 19. Conduce Che tempo che fa con Fabio Fazio (iniz.) - 20. Un peccato capitale - 21. Aprono e chiudono l'album - 22. Lungo fiume siberiano - 23. Il nome dell'attore Gullotta - 25. Un bene mondiale da proteggere - 27. La bevanda... delle cinque! 28. Il fiume che scende dal Monte Falterona - 30. Indugiar... col can per l'aia - 31. Articolo spagnolo - 32. Un passo alpino tra Lombardia e Trentino - 33. Cantava del Cerutti Gino (iniz.) - 35. Isernia - 36. Lo è una tipica giornata novembrina milanese - 39. C'è quella Egizia e quella Micenea - 42. La Barbara cantata dai Beach Boys - 43. Detersivo in polvere tra i primi negli anni '50-60 - 44. Il sottoscritto - 45. Le classiche spade dei legionari romani - 47. Un orale... senza fine! 2 - 49. Può esserlo uno stato - 51. Il Nielsen attore comico del film Una pallottola spuntata - 53. Famosa marca di costosi ortologi - 54. Si ripetono nella barba - 55. Può essere breve o magistrale - 56. Sono pari in tavola.

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Mixer in TV - 21. La nota in questa frase - 23. Catania - 24. Il più famoso Capo di Stato cinese - 25. Trasformano il ORIZZONTALI: 1. I tacchini di Canezza - 5. Comune del bellunese che avrebbe cardo in calco - 27. Il pilone... meno pio! - 29. In fondo alla gabbia - 31. Il forte ciclista slovacco che è stato tre volte voluto passare sotto Trento Si signorina celebrano quelli S. Pasqua delpiccole S. NataCampione del mondo su strada (iniz.)-- 10. 33. Una buonasera del della video - 37. Fa spesso leeore - 38. Avere detestare - 39. Un personaggio di tante fiabe per piccini - 41. La targa della città dello Spumante Moscato - 42. le -rancore, 11. Quelle delle acque minerali devono essere certificate sull’etichetta delle Arbore cantava che "brilla" in ogni casa - 44. Il più alto Capoluogo d'Italia (targa) - 45. Un treno che fa concorrenza al bottiglie - 13.- 47. Abbagliato da luce intensa - 15. Non sisono dice insieme a -me! - 16. Neiche a Freccia Rossa Lo sono le scandole - 49. Sia Destro che Sinistro frazioni di Avio 50. L'ex mulino Borgo Valsugana ospita una Mostra della Guerra. film western è abbreviato inPermanente Doc - 17. A Grande Levico Terme si esibisce sul piazzale pres1. La Il frazione piùdi occidentale PieveIlTesino - 2. Una articolata - 3. in L'isola so VERTICALI: la chiesa - 19, fiume Berna -di20. Gianni chepreposizione conduceva Mixer TV di- Penelope 21. 4. Il suono dell'orologio - 5. Il nome del regista Besson - 6. La sua capitale è Riyad - 7. Il gas che esce dai becchi della La cucina nota -in questa frase - 23. Catania - 24. Il più famoso Capo di Stato cinese - 25. 8. La sua fascia ha un buco che desta preoccupazione - 9. E' agli antipodi dell'Italia (sigla) - 11. Il segno tra i Trasformano il cardo in calco 27. Il- pilone... meno pio! -mortali 29. In fondo gabbia- 18. Il fattori - 12. Si può spedire anche da un -cellulare 14. Un fungo che ha specie diffuso anchealla in Valsugana decilitro - 20. ciclista Sono uguali nella femmina Stretto con spago Campione - 26. Bimba condel gli stessi anni disu miastrada figlia - 28. Il - 31. Il forte slovacco che- 22. è stato trelovolte mondo valore di un danno - 30. Il punto culminante di una vicenda - 31. Lo fu un esodato valsuganotto della I° Guerra (iniz.) - 33.in Moravia Una signorina buonasera delsenza video - 37. spesso le ore - 38. Mondiale - 32. L'ultima nota - 34. Tuta... capo! - 36. IlFa tallio del chimico - 40.piccole Un Guglielmo arciere 43. Unrancore, vegano... indetestare breve - 45. Precede V° inpersonaggio gara - 46. In mezzodi ai pollai L'inizio delle Olimpiadi. Avere - 39.il Un tante- 48. fiabe per piccini - 41. La targa della città dello Spumante Moscato - 42. Arbore cantava che “brilla” in ogni casa - 44. Il più alto Capoluogo d’Italia (targa) - 45. Un treno che fa concorrenza al Freccia Rossa - 47. Lo sono le scandole - 49. Sia Destro che Sinistro sono frazioni di Avio - 50. L’ex mulino che a Borgo Valsugana ospita una Mostra Permanente della Grande Guerra.

VERTICALI: 1. La frazione più occidentale di Pieve Tesino - 2. Una preposizione articolata - 3. L’isola di Penelope - 4. Il suono dell’orologio - 5. Il nome del regista Besson - 6. La sua capitale è Riyad - 7. Il gas che esce dai becchi della cucina - 8. La sua fascia ha un buco che desta preoccupazione - 9. È agli antipodi dell’Italia (sigla) - 11. Il segno tra i fattori - 12. Si può spedire anche da un cellulare - 14. Un fungo che ha specie mortali diffuso anche in Valsugana - 18. Il decilitro - 20. Sono uguali nella femmina - 22. Stretto con lo spago - 26. Bimba con gli stessi anni di mia figlia - 28. Il valore di un danno - 30. Il punto culminante di una vicenda - 31. Lo fu un esodato valsuganotto della I° Guerra Mondiale in Moravia - 32. L’ultima nota - 34. Tuta... senza capo! - 36. Il tallio del chimico - 40. Un Guglielmo arciere - 43. Un vegano... in breve - 45. Precede il V° in gara - 46. In mezzo ai pollai - 48. L’inizio delle Olimpiadi.

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F U 1. ConcimeRnaturale - 2.FLa moneta diAMaria Teresa Nd'Austria -T3. Le... ali dell'emù! E - 44. Lussuosa S auto VERTICALI: inglese (sigla) - 5. Una cima nel Gruppo del Bondone - 6. Molti lo chiamano "lockdown" - 8. La capitale della Turchia -

e un pozzo nel deserto! - 34. Un simbolo di Venezia - 37. Cambiano l'alice in elica - 38. La... discoteca dei romagnoli 40. La più popolosa città della Provincia di Bologna dopo il capoluogo - 41. Un colore6 rosa-violaceo - 45. Segue la lettera effe - 46. Altro nome del lago Sebino - 48. Azienda Sanitaria Locale - 49. Il simbolo tra i fattori - 50. La Anna cantante di origini albanesi - 52. Sono vocali in più! 7

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1,5 € - COPIA OMAGG

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9. Fiume del Tirolo - 10. Un canide come lo sciacallo - 11. Una varietà di giallo - 13. Nere di rabbia - 18. Allontanato, T A - 24. LeM A di tutto,Tcome gli orsi T - 26. Articolo I indeterminativo N - 29. Quattro A palme messo in disparte belve che mangiano

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EWS

ANNO 6 - novembre

d’inform

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A N LEVICO TERME

ab, ac, bre, co, co, der, e, e, el, fan, fe, fur, ghe, glio, glit, go, len, li, li, lo, lu, ma, mat, me, mi, mis, mo, mo, na, na, ni, o, pia, po, qua, quo, ra, ras, re, ri, rio, sa, sio, sta, ta, te, te, ter, ti, to, to, u, u, via, vo le parole rispondenti alle definizioni date, aiutandovi auganaTrovate con le sillabe qui elencate alla rinfusa. Dalle lettere nelle

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