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I FENICE UN PIATTO IMMORTALE

a Fenice è un uccello di grande bellezza e rilevanti dimensioni, dall’estetica simile per alcuni versi al Fagiano dorato, per altri al pavone, con un becco grifagno simile all’aquila, una corona di piume sul capo – simbolo di Osiride e chiamata in egiziano Atef – con un portamento aggraziato degno di un airone. Le piume, color oro e cremisi, nella tradizione russa le sono valse il nome di “Uccello di fuoco”, ma hanno anche una qualità cangiante e iridescente, virando a seconda della luce sul violetto, arancio, blu lapislazzulo.

Conosciuta in quasi tutte le culture antiche, è presente nella tradizione egizia, araba, greco-romana e – con nomi diversi – celtica e orientale.

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Nota per il suo canto melodioso e soave e per le sue capacità curative (si dice che una sua lacrima guarisca da ogni male), deve la sua fama soprattutto alla capacità di rinascere dalla morte.

Nella tradizione, raggiunti i 500 anni la Fenice si fabbrica una sorta di pira funeraria fatta di legni ed erbe aromatiche, tra cui vengono spesso citati cannella, incenso, mirra, mirto, sandalo, cedro e spigonardo (qualunque cosa sia). Composta e accesa la catasta, vi si adagia e rende l’anima. Appena ridotta in cenere risorge (non è chiaro se come uovo o come implume), e in tre giorni è di nuovo adulta e pronta a ricominciare la sua vita immortale. In pochissimi dichiarano di averla vista, ma in genere si concorda che ve ne sia solamente una al mondo. Immortale e solitaria: non stupisce che il suo canto sia così malinconico da struggere l’anima. Ma quello che più ci interessa in questa sede, è la sua preziosa valenza in cucina.

Le sue carni sono squisite, morbide, simili a quelle della faraona, ma con un retrogusto aromatico dovuto alle progressive rinascite immerse in essenze preziose che ne hanno impregnato le carni. La si può cucinare in vari modi, al forno, in padella e in casseruola, con patate e carote a richiamare i colori del piumaggio, ma la modalità migliore, quella che garantisce la massima fedeltà alla tradizione, è senz’altro alla fiamma del camino: è questa la ricetta che andiamo a proporvi.

La parte più singolare e bizzarra della questione per un altra: recenti scoperte scienti c e hanno dimostrato che la Fenice rinasce e dalle ceneri cresce anche dopo essere stata mangiata: è sufciente, dopo esservene pasciuti, ettare nella amma viva ossicini, pelli, becco, zampe utto quanto non avrete ritenuto commestibile.

La Fenice entro tre giorni risorgerà in forma smagliante, pronta a essere cucinata nuovamente, non prima di averci allietato con il suo canto dolcissimo.

Considerato che una Fenice di medie dimensioni può sfamare agevolmente una famiglia di quattro persone per almeno tre giorni, le prospettive sono vertiginose: se solo fosse possibile far moltiplicare a dismisura il numero delle fenici viventi, per clonazione, osmosi o gemmazione che sia, si potrebbe ritenere una volta per tutte risolto il problema della fame nel mondo.

La Fenice non ha bisogno né di riparo né di nutrimento. Non solo: con le sue lacrime potremmo debellare le malattie, e con le sue piume (anch’esse destinate a riformarsi) realizzare lussuosi cuscini e caldi piumoni. Ci afdiamo alla valent a de li scienziati: una s da ardua, ma merita di essere a rontata. Certo, ci si potrebbe chiedere quanto sia piacevole per il povero pennuto vivere la sua immortalità in un eterno alternarsi di amma e tavola imbandita ma, a parziale consolazione, si può ritenere fortunato: almeno non rischia di estinguersi anzitempo, come il dodo o il rinoceronte albino.

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