La Spezia e la guerra civile spagnola (estratto)

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Nicholas Lucchetti

La Spezia e la guerra civile spagnola

EDIZIONI CINQUE TERRE



PAESE MIO Alla ricerca delle nostre radici

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Prima edizione: ottobre 2011 © 2011 Copyright EDIZIONI CINQUE TERRE Seconda edizione: dicembre 2012 © 2012 Copyright EDIZIONI CINQUE TERRE Viale S. Bartolomeo, 169 - 19126 La Spezia Tel. 347-4431628 Copertina: il generale spezzino Mario Berti, comandante delle truppe italiane in Spagna, al suo sbarco a Napoli (da “Il Telegrafo”, 21 ottobre 1938). Grafica: Salvatore Di Cicco Il simbolo della collana, Paese mio, è un disegno di Edy Duranti ISBN: 9788897070085 internet: www.edizioni5terre.com e-mail: amministrazione@edizioni5terre.com


Nicholas Lucchetti

La Spezia e la guerra civile spagnola

EDIZIONI CINQUE TERRE



INDICE Introduzione ........................................................................ Pag.

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Capitolo 1: Le origini della guerra civile spagnola ................ Pag. Capitolo 2: I primi riflessi spezzini del conflitto ................... Pag. Capitolo 3: Truppe italiane in Spagna ................................ Pag. Capitolo 4: Volontari antifascisti spezzini .......................... Pag. Capitolo 5: Uno spezzino al comando delle truppe italiane in Spagna ........................................................ Pag. Capitolo 6: La conclusione della guerra ............................. Pag.

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Fonti consultate ................................................................... Pag. Bibliografia ......................................................................... Pag. Cronologia ........................................................................... Pag.

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Introduzione

La guerra civile spagnola è uno degli eventi maggiormente caratterizzanti il Novecento. Universalmente ritenuta il prologo del secondo conflitto mondiale, essa catalizzò tutte le tensioni dell’Europa degli anni Trenta, dominata dall’incapacità delle democrazie liberali di tenere a freno la politica aggressiva dei regimi fascisti italiano e tedesco. Tensioni e inquietudini si moltiplicarono in tutta Europa, colpita dai pesanti effetti della crisi economica del 1929, effetti che parvero annunciare un imminente crollo del sistema capitalistico e rinvigorire le speranze dell’avvento di una rivoluzione comunista anche al di fuori dei confini della Russia sovietica. In tale contesto, nell’estate del 1936, divampò il fratricida scontro spagnolo, capace di assumere, fin da subito, i tratti di una guerra ideologica: comunismo contro fascismo, democrazia contro dittatura. Francia, Unione Sovietica, Italia e Germania (che sperimentò sui cieli spagnoli l’efficacia della propria aviazione) inviarono aiuti ai combattenti, internazionalizzando così la guerra. Per l’Italia fascista, reduce dal fulmineo successo sull’impero etiopico, il sostegno ai nazionalisti spagnoli si inseriva nell’ambito di una politica che Mussolini andava perseguendo con l’obiettivo di rafforzare la posizione di Roma nello scacchiere mediterraneo e più in generale su quello internazionale. Il presente volume, senza alcuna pretesa di esaustività e di completezza, intende tratteggiare i legami intercorsi tra il territorio spezzino e la guerra di Spagna facendo ricorso a do-

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cumenti d’archivio, alla stampa coeva ed ai risultati della letteratura. Obiettivo primario del libro è quello di operare una descrizione di come le istituzioni, il fascismo e la cittadinanza spezzini abbiano preso parte ai tragici fatti spagnoli, senza per questo tralasciare riferimenti alla partecipazione del locale mondo antifascista. Su entrambi i fronti in lotta gli spezzini mostrarono attivismo e coraggio: numerosi caddero combattendo, altri furono decorati. Varie furono le motivazioni che spinsero molti spezzini a partire per la penisola iberica. Chi perché convinto della bontà della crociata contro il comunismo; chi perché fascista convinto; chi perché attratto dai facili guadagni e dalla possibilità di avanzamenti di carriera; per altri il conflitto spagnolo fu al contrario l’occasione per imbracciare le armi e combattere contro quel fascismo che in patria aveva soffocato ogni libera espressione. Il volume è articolato in sei capitoli. Nel primo capitolo viene rapidamente esposto il percorso che nel luglio 1936 portò alla sollevazione dei generali nazionalisti, con notizie sulle tensioni vissute dalla Spagna dalla seconda metà dell’Ottocento agli anni Trenta del Novecento, tra accenti rivoluzionari e forti contrapposizioni; nel secondo viene narrata la progressiva internazionalizzazione del conflitto, con particolare attenzione per l’aiuto italiano ai nazionalisti spagnoli, il ruolo ricoperto dalla Spezia nella strategia dell’Italia fascista, e i primi riflessi spezzini dello scontro. Nel terzo capitolo viene descritto l’aumento del coinvolgimento italiano nel conflitto, con l’invio sul suolo spagnolo di un imponente contingente di truppe, il suo impiego, le vittorie e le sconfitte, con informazioni sugli spezzini partiti per combattere al fianco dei generali nazionalisti; nel quarto, di contro, sono

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presenti notizie su taluni spezzini che imbracciarono le armi in difesa della repubblica; il quinto capitolo si sofferma sullo spezzino più illustre, per così dire, che ebbe modo di prendere parte alla guerra di Spagna: il generale Mario Berti, comandante delle truppe italiane dalla fine del 1937. Nel capitolo vengono in particolare elencate le operazioni che sovrintese nella veste di comandante, e il suo ritorno in patria (con i legionari spezzini) sul finire del 1938. Il sesto capitolo, infine, tratta delle ultime fasi dello scontro e dei suoi ultimi riflessi spezzini; una certa attenzione è stata prestata anche all’accoglienza che il generale Berti ricevette una volta rientrato alla Spezia. Completa il lavoro una cronologia sulla guerra civile spagnola e le sue origini, e sui principali riflessi spezzini del conflitto. Nicholas Lucchetti

Desidero ringraziare: il personale dell’Archivio di Stato della Spezia, della Biblioteca “Ubaldo Mazzini” e della Biblioteca “Rina Pellegri”. Un sentito ringraziamento anche al Prof. Marco Lenci che con la consueta disponibilità ha accettato di leggere e commentare il manoscritto. Marco Lenci è docente di Storia dell’Africa - Università di Pisa

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Capitolo 1 Le origini della guerra civile spagnola

Lo scontro fratricida apertosi nell’estate 1936 affondava le sue radici in una lunga stagione di contrasti che interessò la società spagnola lungo tutto il corso dell’Ottocento. Paese economicamente debole, caratterizzato in talune sue zone da estesi latifondi, la Spagna subì pesanti ripercussioni a seguito della crisi del cotone, contestuale alla guerra di secessione americana. Lo scontento degli operai dell’industria tessile si aggiunse a quello dei militari e dei ceti medi, ostili alle tendenze conservatrici della monarchia, e si concretizzò in sommosse in varie località e colpi di stato di ufficiali, che interessarono anche Cuba, la colonia più ricca ancora in possesso della Spagna. Incapace di riportare l’ordine, il re Amedeo di Savoia scelse di abdicare nel 1873 e il vuoto politico così determinatosi venne colmato con la proclamazione della repubblica, abbattuta però dall’esercito già nel 1874. A scuotere ulteriormente l’edificio spagnolo, intervenne poi la guerra con gli Stati Uniti nel 1898, conclusasi con la perdita di Cuba e delle Filippine sotto i colpi del nascente imperialismo americano. In pochi secoli la Spagna era dunque passata dall’essere il perno di un impero immenso, “dove non tramontava mai il sole” secondo una celebre massima, ad un piccolo stato europeo agitato da

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costanti fibrillazioni. La perdita del mercato cubano fu accompagnata da pesanti tensioni a Barcellona, ove si registrarono anche attentati ad opera del movimento anarchico, capace, con i suoi programmi all’insegna del “comunismo libertario”, di innestarsi sul diffuso malcontento popolare e intercettare le necessità delle masse, ignorate dalle classi dirigenti. La scena politica spagnola era infatti dominata dai due grandi partiti, il liberale (che dava voce ai cerealicoltori) e il conservatore (che rappresentava i viticoltori e gli olivicoltori), che si alternavano, con esasperata regolarità, alla guida del governo mediante elezioni viziate da brogli e manipolazioni. Con il passare del tempo crebbe così il solco che separava le classi abbienti dai braccianti e dai lavoratori. Nell’agosto 1917 i socialisti scioperarono, ma l’esercito intervenne con la forza uccidendo numerosi manifestanti. Fra il 1918 e il 1921 ebbe poi modo di svilupparsi il cosiddetto “triennio bolscevico”, che vide i braccianti anarchici prodigarsi in sommosse ed occupazioni di terre che contribuirono ad inasprire ulteriormente gli animi. Per riportare l’ordine, il 23 settembre 1923, il generale Miguel Primo de Rivera prese il potere con un colpo di stato. Erede di una grande famiglia del sud, egli mise fuori legge il movimento anarchico ed avviò un esteso programma di lavori pubblici; ben presto però, il generale si inimicò l’esercito cercando di intervenire sul sistema delle promozioni; frustrò le aspirazioni regionalistiche della borghesia catalana e suscitò il risentimento degli industriali che lo consideravano responsabile del crollo della peseta del 1928. Al principio del 1930 de Rivera rassegnò le dimissioni e il re, Alfonso XIII, diede l’incarico ad un altro militare, Damaso Berenguer.

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Il 23 aprile 1931 si svolsero le elezioni amministrative che furono vinte da socialisti e repubblicani, capaci di prevalere nelle città. Il re, consigliato dai suoi più stretti collaboratori, scelse di prendere la via dell’esilio. Fu quindi proclamata la seconda repubblica e per la Spagna si aprì una fase di grandi riforme. L’esecutivo ritoccò i canoni d’affitto nelle campagne, introdusse commissioni arbitrali incaricate di regolamentare i salari e la giornata lavorativa, e promulgò una disposizione sui confini municipali che impediva agli agrari di ingaggiare manodopera da altri comuni prima che fossero esaurite le liste di disoccupati del territorio municipale ove si trovavano ad operare1. Interventi contrastanti interessarono poi una grande realtà del panorama spagnolo: l’esercito. Il 20 maggio 1931 il ministro della Guerra dimezzò il numero delle divisioni (da sedici a otto), portò a 12 mesi il periodo di servizio militare ed abolì il grado di capitano generale. Per sfoltire il pletorico corpo di ufficiali, agli ufficiali in sovrannumero il ministro offrì di andare in pensione a stipendio pieno; insediò una commissione incaricata di rivedere le promozioni disposte al tempo della dittatura di de Rivera e chiuse, per ragioni di bilancio e perché convinto che l’istituto fosse un focolaio di opposizione alla repubblica, l’Accademia militare di Saragozza, all’epoca diretta da Francisco Franco2. Molti militari percepirono le riforme in oggetto come un’aggressione

1 - Abbiamo ripreso queste informazioni da P. PRESTON, La guerra civile spagnola. 1936-1939, Milano, Mondadori, 1999 (ed. or. 1986), pp. 13 – 32. 2 - G. JACKSON, La Repubblica spagnola e la guerra civile. 1931-1939, Milano, Il Saggiatore, 2009 (ed. or. 1965), pp. 51-52, e P. PRESTON, La guerra civile spagnola, cit., pp. 35-36.

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alle prerogative dell’esercito, un sentimento che andò aumentando nei mesi e negli anni successivi. Dal marzo 1932 il ministro della Guerra ebbe poi la facoltà di collocare nella riserva tutti i generali per i quali non fosse stato trovato un incarico entro sei mesi, e tutti coloro che non avessero accettato il collocamento a riposo avrebbero perso la pensione qualora fosse risultato che avevano diffamato la repubblica. Al contempo venne disposto il servizio attivo per gli aspiranti ufficiali, venne istituito uno specifico corpo per assicurare rifornimenti più rapidi alle truppe e venne aumentato il bilancio dell’aviazione3. Tra gli oppositori più accesi della particolare “politica militare” del governo si segnalò un particolare gruppo di generali, i cosiddetti “africanisti”, formatisi durante le guerre coloniali in Marocco, “dove si sono abituati a una guerra selvaggia, senza leggi, nella quale il saccheggio, l’assassinio, la tortura, l’uso di armi vietate e la mancanza di pietà verso il nemico sconfitto sono la norma”4. Tra il 1921 e il 1926 in Marocco era dilagata la ribellione di ’Abd El-Krim. Arrestato più volte, dopo aver tentato di giungere ad un accordo che portasse ad un qualche miglioramento delle relazioni tra colonizzati e colonizzatori, dal 1921 egli si era posto alla testa di una ribellione che era riuscita ad infliggere, grazie ad una tattica imperniata su imboscate e azioni fulminee, numerose sconfitte alle truppe spagnole. Proclamata la Repubblica confederata delle tribù del Rif, dal 1925

3 - G. JACKSON, La Repubblica spagnola, cit., pp. 79-80. 4 - J. M. REVERTE, L’arte di uccidere. Come si combatté la guerra civile spagnola. Una storia militare, Milano, Mondadori, 2010 (ed. or. 2009), p. 13.

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aveva dovuto affrontare l’azione congiunta di Spagna e Francia, per la quale la rivolta di ’Abd El-Krim costituiva una minaccia per i propri possedimenti marocchini. Dopo alcuni incontri diplomatici, necessari per l’approntamento di una comune strategia, le due potenze coloniali avevano concertato un piano militare (che aveva visto in prima linea l’allora colonnello Francisco Franco, alla testa della legione straniera spagnola) per avere ragione degli insorti che nel maggio 1926 aveva spinto ’Abd El-Krim alla resa5. Altro fronte di attrito fu la politica religiosa del governo. Tra le masse popolari era radicato un così diffuso anticlericalismo, che alla proclamazione della repubblica numerose chiese erano state date alle fiamme. Schieratasi a favore del regime durante la dittatura di Primo de Rivera, la Chiesa dovette subire al tempo della repubblica una pesante decurtazione di potere e privilegi. La costituzione, repubblicana approvata in via definitiva nel dicembre 1931, sanciva infatti che la Spagna non possedeva alcuna “religione ufficiale” (Primo de Rivera aveva di contro elevato il cattolicesimo a ideologia di stato) e di conseguenza lo stato non avrebbe sostenuto né ordini né associazioni religiose; la potente Compagnia di Gesù venne sciolta (gli altri ordini si salvarono) ed i suoi beni nazionalizzati, e, forse la disposizione politicamente più pesante, alla Chiesa venne vietato l’insegnamento6.

5 - Nella vasta bibliografia, ci limitiamo a rimandare a S. FABEI, ’Abd El-Krim e la guerra del Rif (1921-1926). Una pagina eroica nella storia della lotta di liberazione del Marocco, in “I sentieri della ricerca”, n. 12/2010, pp. 243-264. 6 - G. RANZATO, L’eclissi della democrazia. La guerra civile spagnola e le sue origini. 1931-1939, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, pp. 133-138.

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Mentre il governo tentava di modernizzare a tappe forzate la Spagna incassando il biasimo delle classi conservatrici che profetizzavano imminenti catastrofi conseguenti alle scellerate (dal loro punto di vista) riforme promosse dall’esecutivo, in vari centri del paese perdurava il malcontento tra le classi più deboli e nelle campagne continuava la violenza. In tale contesto il 10 agosto 1932, maturò il tentativo di colpo di stato del generale José Sanjurjo, che fu presto soffocato. In un clima sempre più avvelenato, nel novembre 1933, la Spagna tornò quindi al voto, ed a prevalere fu la coalizione di destra. Il cambio di governo non fece cessare le violenze: il 1934 vide scioperi e sommosse a Madrid e Barcellona, mentre nelle Asturie si registrò una sollevazione di minatori che venne repressa nel sangue dal generale Franco. Nella violenta repressione, fatta di esecuzioni sommarie e torture, si distinsero le truppe coloniali marocchine7. Alla caduta del governo delle destre, agitato, al pari del fronte avversario, da contrasti, gelosie e attriti, vennero indette nuove elezioni per il febbraio 1936. A prevalere furono le sinistre, raccolte in un Fronte popolare, ma ancora una volta dilagarono le violenze. Tra le vittime illustri vi fu un ufficiale politicamente schierato a sinistra, il tenente José Castillo, che il 12 luglio 1936 venne assassinato da alcuni militanti della Falange, una formazione di ispirazione fascista fondata nell’ottobre 1933 da José Antonio Primo de Rivera, figlio del generale de Rivera. Come rappresaglia, la mattina seguente, alcuni commilitoni dell’ufficiale decisero di uccidere il leader monarchico José Calvo Sotelo. La sua brutale uccisione fece il gioco degli ufficiali che stavano tra7 - Ivi, pp. 220 – 223.

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mando nell’ombra, fornì la prova decisiva dell’anarchia e del disordine che oramai da tempo imperavano in Spagna e spinse anche i militari dubbiosi, tra cui Franco, a passare all’azione. Tra il 17 e il 18 luglio cominciò dunque il colpo di stato. Azioni concertate in tutta la Spagna avrebbero dovuto consegnare il paese agli insorti. I nazionalisti conquistarono località in Galizia e in Andalusia (ove presero per esempio Siviglia), ma non riuscirono ad imporsi a Madrid e Barcellona, ove i due generali deputati alla conquista delle città vennero facilmente arrestati8. A Valencia, ove la cittadinanza era ostile all’insurrezione, il golpe venne soffocato dalle forze lealiste e da contingenti di operai.

8 - P. PRESTON, La guerra civile spagnola, cit., pp. 78-79, 82-89.

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Capitolo 2 I primi riflessi spezzini del conflitto

Allo scoppio della sollevazione nazionalista, l’impegno dell’Italia si limitò inizialmente alla presenza di alcune navi cui spettò il compito di salvaguardare gli interessi e i cittadini italiani presenti nei territori spagnoli. La prima nave straniera a dare la fonda (il 19 luglio) nel porto di Tangeri, città sottoposta ad amministrazione internazionale a partire dalla seconda crisi marocchina, fu la posacavi Città di Milano, partita dalla Spezia il 3 luglio e destinata alla riparazione dei cavi telegrafici passanti attraverso lo stretto di Gibilterra. Trattandosi dell’unica nave presente, la Città di Milano assunse il compito di proteggere i cittadini stranieri ivi residenti e le varie legazioni diplomatiche. Il 22 luglio partì poi dalla Spezia l’incrociatore Eugenio di Savoia che raggiunse Tangeri due giorni dopo e rilevò la posacavi1. Così cominciava il ruolo di primo piano che il porto e l’arsenale spezzini avrebbero giocato nell’ambito dell’intervento italiano in Spagna, ruolo che andò declinandosi, secondo le diverse esigenze, da semplice base militare per unità italiane a centro di raccolta del materiale destinato agli insorti. 1 - Cfr. F. BARGONI, L’impegno navale italiano durante la guerra civile spagnola (1936-1939), Roma, Ufficio storico Marina militare, 1992, pp. 29-31.

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Mentre nella Spagna metropolitana si combatteva, l’efficiente e spietato esercito coloniale si trovava immobilizzato in Marocco. Era necessario oltrepassare lo stretto di Gibilterra e per questo il generale Franco, comandante militare delle Canarie, scelse di inviare dei propri emissari in Germania e in Italia per chiedere aiuto alle potenze fasciste. Hitler ricevette la delegazione a Bayreuth, il 25 luglio, dopo aver assistito ad una rappresentazione di un’opera di Richard Wagner, decidendo di concedere gli aiuti ai ribelli nazionalisti nell’ambito di una più generale strategia di indebolimento della Francia2, lo storico nemico della Germania, ed anche per motivazioni ideologiche, di lotta al comunismo3. Motivazioni essenzialmente strategiche, sia pure unite ad altre di natura economica ed ideologica, furono alla base della decisione di Mussolini di sostenere gli insorti. Agli occhi del Duce (che già nel 1934 aveva assicurato il proprio appoggio ad un tentativo dei monarchici spagnoli di rovesciare la repubblica), per salvaguardare la posizione italiana nel Mediterraneo, appariva fondamentale impedire un’alleanza tra Spagna e Francia, che in particolare, in caso di guerra, avrebbe potuto trasportare facilmente le proprie truppe coloniali dal Nordafrica all’Europa facendole transitare per la penisola iberica oppure, via mare, appoggiandosi alle Baleari4. 2 - Cfr. G. RANZATO, L’eclissi della democrazia, cit., pp. 303-305. 3 - Alla fine di luglio venne costituita in Marocco la società Hispano-Marroquí de Transportes per inviare merci in Germania in cambio degli aiuti ricevuti da Hitler. 4 - È questa una delle considerazioni più importanti reperibili in J. F. COVERDALE, I fascisti italiani alla guerra di Spagna, Roma-Bari, Laterza, 1977 (ed. or. 1975), ripresa, tra gli altri, da R. DE FELICE, Mussolini il duce. Lo stato totalitario. 1936-1940, Torino, Einaudi, 1996, p. 359 e sgg.

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Nella notte tra il 27 e il 28 luglio, nell’arsenale spezzino vennero così imbarcati sul piroscafo Emilio Morandi oltre venti uomini e complessive 390 tonnellate di materiale (bombe, munizioni, pezzi di ricambio, carburante), poi sbarcate nel porto di Melilla5. All’alba del 30 luglio, 12 aerei italiani, pagati dai nazionalisti in anticipo, dipinti per l’occasione di grigio e con le matricole militari cancellate, decollarono poi dalla base di Elmas (in Sardegna) diretti in Marocco. A causa delle avverse condizioni atmosferiche, solo 9 velivoli arrivarono a destinazione: uno cadde in mare, mentre altri due si sfracellarono al suolo in territorio algerino6. Gli aerei italiani protessero i convogli nazionalisti impegnati nel trasporto delle truppe sul territorio metropolitano spagnolo. Dal 20 luglio era infatti cominciato il (lento) trasferimento delle truppe mediante l’approntamento di un ponte aereo allestito con un pugno di velivoli a disposizione dei nazionalisti, operazioni che in agosto, con l’arrivo di una serie di aerei tedeschi (trimotori da trasporto Junkers 52)7 poterono essere compiute con una certa rapidità, così da consentire il pronto dispiegamento delle truppe marocchine8. 5 - F. BARGONI, L’impegno navale italiano, cit., p. 67. 6 - Cfr. F. PEDRIALI, Guerra di Spagna e aviazione italiana, Roma, Ufficio storico Aeronautica militare, 1992, pp. 34-36. 7 - In settembre e in ottobre la Germania inviò in Spagna anche dei carri armati. Le forze tedesche di terra operanti in Spagna furono guidate dal futuro generale Wilhelm von Thoma, in seguito catturato dagli inglesi durante la battaglia di El Alamein, che si prodigò, tra l’altro, nell’addestramento di personale spagnolo, cfr. B. H. LIDDEL HART, Storia di una sconfitta. La seconda guerra mondiale raccontata dai generali del Terzo Reich, Milano, Rizzoli, 2002 (ed. or. 1971), pp. 143 – 144. 8 - Cfr. P. RAPALINO, La regia marina in Spagna. 1936-1939, Milano, Mursia, 2007, pp. 95, 93-94.

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Minacciato dalla sollevazione militare, il governo spagnolo, che peraltro aveva esitato a concedere le armi alla popolazione alla notizia del golpe dei generali, aveva sollecitato fin dal 19 luglio un intervento della Francia, retta all’epoca da un governo di Fronte popolare come la stessa Spagna. Ben presto la notizia era trapelata, e il governo francese, una parte dei cui membri era orientata per un massiccio intervento a favore del “regime fratello” spagnolo, era stato fatto oggetto di pesanti contestazioni a mezzo stampa, e, timoroso di perdere l’appoggio di Londra, contraria a qualsiasi forma di coinvolgimento nei fatti spagnoli, decideva di adoperarsi per evitare l’internazionalizzazione del conflitto9. Il 1° agosto la Francia proponeva così un accordo di non intervento nella forma di un embargo collettivo di armamenti per le due parti in lotta (il 6 agosto Parigi avrebbe comunque fornito alla repubblica spagnola alcuni aerei), una proposta che il giorno 4 venne approvata anche dall’Inghilterra. Parigi e Londra dichiararono allora l’embargo nei riguardi della Spagna rispettivamente l’8 e il 15 agosto, ed il 21 e il 24 aderirono anche Italia e Germania10. Una posizione neutrale venne assunta anche dagli Stati Uniti, ancora alle prese con i pesanti effetti della crisi economica del 1929, e che peraltro non avevano da difendere particolari interessi nella penisola iberica. Su proposta del governo francese si formò poi un “Comitato di controllo per il non intervento”, che avrebbe cominciato ad operare dal 9 settembre11. Molte sono a questo 9 - P. PRESTON, La guerra civile spagnola, cit., p. 101. 10 - P. RAPALINO, La regia marina in Spagna, cit., p. 100. 11 - Ivi, pp. 98-101.

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riguardo le analogie tra l’atteggiamento tenuto dalle democrazie europee rispetto ai fatti spagnoli e quello manifestatosi in occasione dell’impresa etiopica dell’Italia fascista. Le “deboli” sanzioni economiche imposte all’Italia a seguito dell’invasione dello Stato africano (“deboli” perché dall’embargo erano stati esclusi il petrolio e il carbone), in un certo senso avevano anticipato l’ambiguo atteggiamento anglo-francese rispetto al coinvolgimento delle potenze fasciste nel conflitto spagnolo. L’ennesima manifestazione di politica di potenza mussoliniana da un lato, e il progressivo riarmo tedesco dall’altro videro le democrazie liberali europee incapaci di assumere una posizione risoluta e decisa, favorendo così il progressivo consolidamento dell’alleanza politico-militare tra Roma e Berlino. Il Comitato per il non intervento apparve infatti più una segreteria amministrativa che un reale organo di vigilanza. Frattanto mentre il conflitto spagnolo stava per assumere i contorni di una guerra mondiale in miniatura, alla Spezia esso divenne oggetto di una qualche “riflessione” cittadina. Il 10 agosto, il vescovo Giovanni Costantini redigeva una lettera con la quale invitava il clero, i religiosi ed i fedeli tutti “a pregare per la Spagna” sconvolta da drammatiche contrapposizioni12. Il 25 agosto il Ministero dell’Interno inviò una comunicazione ai Prefetti del Regno per avere delucidazioni in merito agli effetti degli avvenimenti spagnoli “sulla popolazione in genere e sull’elemento operaio in particolare”13, chie12 - Il particolare è riferito in Tripudio per la liberazione di Barcellona, “Il Corriere Lunense”, 29 gennaio 1939. 13 - Archivio di Stato della Spezia (d’ora in poi ASS), Fondo Prefettura. Archivio di Gabinetto, b. 11, f. 32, telegramma n. 28177/441, 25 agosto 1936.

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dendo di far pervenire entro il mese un “accurato rapporto”14 al riguardo. Chiamata a tastare l’umore della popolazione spezzina, la Questura, il giorno seguente, poté comunicare al Prefetto Adalberto Mariano che “noti eventi spagnoli hanno prodotto in pubblico un sentimento di esecrazione per i misfatti che vengono commessi da parte dei rossi”15, e, pur non potendo escludere simpatie per la causa repubblicana ad opera di “qualche sparuta minoranza che conserva ancora idealità sovversive”, aggiunse che “è vivo il desiderio che l’esercito nazionale abbia ragione sugli anarchici”16. Nel frattempo in Spagna le forze nazionaliste avevano continuato ad avanzare. Al principio di agosto le truppe del generale Emilio Mola, il grande organizzatore dell’insurrezione militare già comandante dell’armata d’Africa, si erano mosse verso San Sebastián e Irùn, nel nord della Spagna, mentre le forze di Franco, raggiunta Mérida ed espugnata Badajoz, nei pressi della frontiera con il Portogallo (paese favorevole ai golpisti), mossero in direzione di Madrid, occupando Talavera de la Reina17. Difesa da 10.000 uomini la cittadina cadde il 2 settembre nelle mani delle esperte truppe africane, che facilmente ebbero ragione delle improbabili trincee approntate dagli avversari18. L’afflusso di materiali provenienti dall’Italia assumeva un volume sempre più consistente e la base spezzina si rivelava un crocevia fondamentale. Dopo un primo viaggio effettuato il 25 agosto con destinazione Melilla con un importante carico 14 - Ibidem. 15 - Ivi, documento del 26 agosto 1936, n. 008006. 16 - Ibidem. 17 - P. PRESTON, La guerra civile spagnola, cit., p. 96 e sgg. 18 - J. M. REVERTE, L’arte di uccidere, cit., pp. 37-38.

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per i nazionalisti (tra cui dei carri armati veloci)19, il 4 settembre, il piroscafo Nereide, diretto a Palma di Maiorca, lasciava il golfo spezzino con un carico di 3 aerei da caccia, 20.000 bombe a mano, 5 tonnellate e mezzo di polveri, 6.000 bombe da aereo, 14.000 bombe da 2 kg e 660.000 proiettili per mitragliatrice; il 15 partiva, con destinazione Vigo, il piroscafo Aniene con un carico di 12 aerei da caccia e 10 da ricognizione, e 4 motori aeronautici Alfa Romeo 750 R; il 23 sarebbe stata la volta del piroscafo Città di Bengasi, diretto ancora a Vigo, con a bordo 19 carri armati veloci, 4 stazioni radiotelegrafiche mobili, 38 cannoni, 800 granate, 15 ufficiali, 45 sottufficiali e 104 soldati; il 9 ottobre, infine il piroscafo Argentina si sarebbe mosso alla volta di Cadice con un carico di 8 complessi navali, 4.800 cariche di lancio e 4 operai montatori20. Oltre a questo traffico di materiali militari, La Spezia era anche punto d’approdo per numerose persone che avevano abbandonato il territorio spagnolo sconvolto dalla guerra civile. Spesso definite, con un chiaro fine politico, “profughi”, il loro arrivo nel golfo spezzino fu occasione per pubblicare pezzi sapientemente orientati, con i quali, tra informazione e propaganda, la stampa locale cercava di fornire un qualche spaccato delle vicende spagnole. Al principio di ottobre “Il 19 - Cfr. F. BARGONI, L’impegno navale italiano, p. 41, e S. ALES, A. VIOTTI, Le uniformi e i distintivi del Corpo Truppe Volontarie Italiane in Spagna. 1936-939, Roma, Ufficio storico Stato maggiore Esercito, 2004, p. 7. 20 - Traiamo queste informazioni da P. RAPALINO, La regia marina in Spagna, cit., pp. 305-306. L’Aniene era una nave spagnola, varata con il nome di Ebro, che a seguito del pronunciamento dei generali nazionalisti aveva riparato in un porto francese, e si era in seguito rifugiata a Genova. Il governo italiano la requisì e, mutatone il nome in Aniene, la destinò al trasporto di aiuti ai nazionalisti, cfr. F. BARGONI, L’impegno navale italiano, cit., p. 106.

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Telegrafo” pubblicò, per esempio, un articolo su una connazionale, tale Marta Giordana, nata a Spezia da padre genovese e madre romagnola, che ad appena sei anni di età si era trasferita con la famiglia a Madrid per aprire una tipografia. Riportata in Italia dal piroscafo Tevere, e arrivata in città da Genova, non avendo parenti, il Podestà Enzo Toracca21 diede disposizioni affinché fosse alloggiata, a spese del comune, presso l’albergo Giappone. Rinfrancatasi, la donna poté così raccontare di aver subito un’irruzione da parte di un “plotone di guardie rosse”22 nella propria casa madrilena che, dopo aver crivellato il ritratto di Mussolini appeso alla parete, l’aveva tratta in arresto. Dopo interminabili ore era stata raggiunta dal proprio legale, che, recando un foglio che ne stabiliva la liberazione, l’aveva condotta alla stazione ove erano ad attenderla funzionari dell’ambasciata italiana. Insieme ad altri diciassette connazionali, aveva raggiunto Valencia dove il console italiano l’aveva condotta a bordo di una piccola imbarcazione tedesca che si era mossa alla volta di Barcellona, ove la donna si era imbarcata sul piroscafo Tevere che l’avrebbe riportata in Italia23. Non meno rocambolesca fu la vicenda che vide per protagonisti tre cittadini spagnoli. Nello stesso periodo “Il Telegrafo” diede infatti notizia dell’arrivo 21 - Classe 1900, avvocato, Toracca aveva preso parte alla prima guerra mondiale e nel marzo 1920 si era iscritto ai Fasci di combattimento, cfr. M. MISSORI, Gerarchie e statuti del P.N.F. Gran Consiglio, Direttorio nazionale, Federazioni provinciali: quadri e biografie, Roma, Bonacci, 1986, p. 282. Toracca aveva partecipato anche alla guerra d’Etiopia, ricevendo la Medaglia d’argento al valor militare, cfr. N. LUCCHETTI, La Spezia e il colonialismo italiano, La Spezia, Edizioni Cinque Terre, 2011, pp. 54, 58-59. 22 - I tragici giorni vissuti da una spezzina fra le turbe sanguinarie dei comunisti, “Il Telegrafo”, 4 ottobre 1936. 23 - Ibidem.

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dell’incrociatore Colleoni con a bordo tre giovani spagnoli militanti della Falange, scampati ad un’esecuzione sommaria a Barcellona; il Prefetto Mariano diede disposizioni affinché la cittadinanza offrisse loro un’ospitalità “improntata da sentimenti della massima cordialità”24. Nello stesso periodo giunse anche un gruppo di persone proveniente da Palma di Maiorca, comprendente diciannove spagnoli, un italiano, un tedesco, e quattro donne sudamericane, una delle quali, in particolare, una volta sbarcata dalla nave, non mancò di rivolgere al comandante “la gratitudine di tutti gli scampati ai quali, a bordo, non è stato fatto mancare nulla”25. La locale stampa cattolica, per parte sua, denunciava la possibile deriva rivoluzionaria spagnola. “La Domenica”, pubblicazione della diocesi, registrava con inquietudine come la Spagna fosse in potere “del principe delle tenebre che la insanguina, deturpa e ne scambia il bel volto sereno nel tragico volto di Medusa e di Erinni”26. In seguito “Il Corriere Lunense”, “settimanale per l’azione cattolica”, avrebbe descritto la strategia messa in campo dai “rossi”, soffermandosi in particolare sul massacro di Castellon27, ove le “autorità marxiste” avrebbero “passato a fil di spada” diverse centinaia di individui, e sulla tattica della “terra bruciata” che metodicamente li vedeva distruggere, “col ferro e col fuoco, città e villaggi”28. 24 - Tre giovani spagnoli condannati a morte salvati a Barcellona dall’incrociatore “Colleoni”, “Il Telegrafo”, 6 ottobre 1936. 25 - Altri venticinque profughi giunti con l’Incrociatore “Pola”, in Ivi. 26 - Alcazar, “La Domenica”, 11 ottobre 1936. L’articolo era pubblicato in prima pagina, ove il giornale accoglieva anche una foto dei generali Franco e Mola, “capi dei nazionalisti spagnoli che combattono contro il bolscevismo”. 27 - Cfr. Notiziario settimanale, “Il Corriere Lunense”, 3 luglio 1938. 28 - Cfr. Notiziario settimanale, “Il Corriere Lunense”, 17 luglio 1938.

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Con queste considerazioni la stampa spezzina metteva in evidenza solo un aspetto del dramma spagnolo: la violenza emanazione del fronte repubblicano scatenatasi dopo la sollevazione militare. Molti vennero uccisi perché ritenuti nemici della causa repubblicana, altri come reazione alle violenze nazionaliste, altri ancora per fatti personali e vecchi rancori che in numerosi centri del paese trovarono concretizzazione in atti di terrorismo contro esponenti di destra e del clero29. La stampa spezzina taceva però che ogni paese conquistato dai nazionalisti veniva messo a ferro e fuoco, che molti degli abitanti venivano passati per le armi, prima che le truppe, dislocata nelle varie località una guarnigione, riprendessero l’avanzata.

29 - Cfr. P. PRESTON, La guerra civile spagnola, pp. 179-180.

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Capitolo 3 Truppe italiane in Spagna

Mietuti i primi successi, sul finire di settembre le truppe di Franco raggiungevano il bivio stradale che consentiva di raggiungere Madrid o Toledo. Piuttosto che optare per una marcia sulla capitale, Franco, che era riuscito ad emergere come il leader della compagine nazionalista facendosi nominare comandante supremo dalla Giunta di Burgos, l’organo che gli insorti avevano costituito fin dal 24 luglio1, decise di dirigersi verso Toledo, ove la guarnigione nazionalista era da tempo cinta d’assedio dalle milizie repubblicane, riuscendo a liberarla il 26 settembre. La conquista si concretizzò in un massacro. Secondo la precisa sintesi di Jorge M. Reverte, “l’ingresso degli africani a Toledo avviene secondo la semplice logica del macello. I miliziani vengono assassinati a centinaia, sono fucilati anche gli ostaggi che si trovano nell’Alcázar [la fortezza situata nella parte più alta della città, ove era asserragliata la guarnigione nazionalista],

1 - P. PRESTON, La guerra civile spagnola, cit., pp. 103-104. La scalata di Franco alla leadership del fronte nazionalista fu favorita anche dalla morte, il 20 luglio 1936, del citato generale Sanjurjo. Dopo il fallito colpo di stato del 1932, il generale aveva preso la via dell’esilio in Portogallo. Sanjurjo era perito in un incidente aereo mentre rientrava in Spagna per assumere il ruolo di capo dello stato.

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