Impronta ecologica – Usare la biocapacità del pianeta senza distruggerla

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IMPRONTA ECOLOGICA

usare la biocapacità del pianeta senza distruggerla



Mathis Wackernagel e Bert Beyers

IMPRONTA ECOLOGICA Usare la biocapacità del pianeta senza distruggerla


Mathis Wackernagel e Bert Beyers impronta ecologica usare la biocapacità del pianeta senza distruggerla realizzazione editoriale Edizioni Ambiente

First published New Society Publishers Ltd., Gabriola Island, British Columbia, Canada Copyright © 2019 by Mathis Wackernagel Edizione italiana a cura di Gianfranco Bologna traduzione:  Arianna Campanile, Diego Tavazzi coordinamento redazionale:  Diego Tavazzi progetto grafico:  GrafCo3 Milano impaginazione:  Roberto Gurdo

© 2020, ReteAmbiente Srl via privata Giovanni Bensi 12/5, 20152 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’Editore ISBN 978-88-6627-280-9 Finito di stampare nel mese di giugno 2020 presso GECA S.r.l., San Giuliano Milanese (Mi) Stampato in Italia – Printed in Italy il network di reteambiente

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sommario

La nostra Impronta nell’era del coronavirus

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di Mathis Wackernagel

L’Impronta ecologica dell’Antropocene

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di Gianfranco Bologna

Prefazione

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di Mathis Wackernagel

Introduzione – Impronta: perché?

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Prima parte – L’impronta: Lo strumento

1  LA SUPERFICIE COME MONETA – Di quanta biocapacità ha bisogno una persona?

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2  L’HINTERLAND ECOLOGICO – Di quanta biocapacità ha bisogno una città?

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3  TERRENI, FORESTE E OCEANI – Quanta biocapacità abbiamo?

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4  UN SOLO PIANETA – Limiti ecologici: e poi?

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5  L’IMPRONTA COME BUSSOLA – Di quanta biocapacità abbiamo bisogno per vivere bene?

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Seconda parte – L’impronta: Definire le sfide del XXI secolo

6  FERMATE L’OVERSHOOT! – Il segreto è la comunicazione

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7  VINCITORI E SCONFITTI – Le strategie che i vari paesi farebbero bene a considerare

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8  SCENARI DELL’IMPRONTA – Come risolvere l’overshoot globale

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Terza parte – L’impronta: Casi studio

9  CALCOLI SULL’IMPRONTA – Individui, città, paesi, prodotti e aziende

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10  L’IMPRONTA IN ARCHITETTURA E NELLA PIANIFICAZIONE URBANA

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– BedZED, Masdar City, and Peter Seidel


11  CINA – Un nuovo modello di sviluppo?

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12  AFRICA – Proteggere le proprie risorse

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13  IMPRONTA – Una conversazione

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Ringraziamenti

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Glossario

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Note

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La nostra Impronta nell’era del coronavirus di Mathis Wackernagel

Dall’uscita della versione inglese di questo libro, nel settembre del 2019, il mondo è stato trasformato da un essere minuscolo: il nuovo coronavirus. La massa di tutti i coronavirus combinati sul nostro pianeta potrebbe forse arrivare a qualche frazione di grammo. Tuttavia, hanno cambiato tutto. Il brusco arresto dell’economia globale, dovuto agli sforzi dell’umanità di contenere la diffusione del coronavirus, ha ridotto significativamente le emissioni di carbonio e la domanda di risorse nei mesi di lockdown. E si prolungherà nel futuro, gettando un’ombra sull’economia. Tutto questo ha temporaneamente ridotto la pressione sul nostro pianeta, pur con costi umani giganteschi. Una cosa è sicura: non c’è niente da celebrare nell’attuale riduzione dell’Impronta ecologica. La pandemia e le politiche sviluppate per affrontarla ci hanno colti di sorpresa. L’interruzione del business-as-usual è stata causata da un disastro e ha causato enormi sofferenze. Lo shock che stiamo vivendo non può essere frainteso come una trasformazione positiva. La crisi attuale ricorda stranamente la trama di diversi romanzi di fantascienza a buon mercato: la Terra viene invasa da alieni ostili, e l’umanità si unisce per difendersi. Gli “alieni” hanno la forma di un virus molto piccolo che, finora, ha innescato uno straordinario sforzo in termini di collaborazione e compassione. L’era post-coronavirus getta una nuova luce sull’overshoot e sulla necessità di vivere all’interno del budget delle risorse. In qualsiasi ecosiste-


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impronta ecologica

ma, gli squilibri innescano spinte contrarie, che si tratti di malattie, carenze di risorse o conflitti. Gli umani possono usare la loro creatività e le loro abilità intellettuali per attenuare queste spinte, ma alla fine questo implica una maggiore fragilità. L’overshoot finirà, la domanda è come. Possiamo far scegliere alla natura, o possiamo progettare una via d’uscita valida per tutti, perché è possibile prosperare entro i mezzi del nostro pianeta. In realtà, è l’unico modo per prosperare. Sono però troppo pochi quelli che lo riconoscono. Per esempio, i dipartimenti della CSR di molte aziende fanno sventolare bandiere con gli SDG, oppure si assumono impegni eroici da poter spendere ai negoziati internazionali sul clima. Sono tutte cose che alimentano la convinzione che le azioni per il clima siano un costo aggiuntivo, gesti benevoli che sono significativi solo nella misura in cui tutti si uniscono diligentemente al coro. L’implicazione dannosa è che bisogna aspettare la collaborazione globale prima di poter iniziare ad agire. Allo stesso modo, ci sono città e paesi che si innamorano della narrazione per cui l’azione per il clima è possibile solo se c’è l’accordo di tutta la comunità globale, e nel frattempo non agiscono. Proviamo a ribaltare queste convinzioni. Anche supponendo che la collaborazione globale tra i governi e i vari settori industriali rimarrà limitata, si può agire senza indugio. Per prima cosa, una cooperazione debole o assente aumenta i rischi climatici e l’insicurezza delle risorse, rendendo ancora più necessario agire in modo proattivo. In realtà, potremmo persino scoprire che ogni giocatore che lavora al proprio successo in un’economia rigenerativa innesca quella collaborazione di cui abbiamo così disperatamente bisogno. In questo contesto, le entità che si rifiutano di prepararsi per ciò che verrà investiranno davvero sulla propria fine. Questa, per esempio, è una tragedia per gli Stati Uniti, poiché la loro amministrazione ha scelto di lasciare l’Accordo sul clima di Parigi. Anche le aziende che rimangono bloccate nella negazione si privano della possibilità di avere successo a lungo termine.


la nostra impronta nell’era del coronavirus

pensare al clima nel modo sbagliato Tanto per essere chiari: è difficile vedere della lungimiranza nell’attuale contesto, caratterizzato com’è da un approccio sbagliato al cambiamento climatico. Presentato ogni gennaio a Davos ai leader del mondo degli affari e della politica, il World Economic Forum’s Competitiveness Report è un esempio lampante. Valuta la competitività dei vari paesi, ma nessuno dei 103 indicatori che compongono il punteggio (inteso come capacità dei paesi di generare ricchezza economica nel lungo termine) tiene conto delle risorse o dell’ambiente. La cosa è tanto più sorprendente se si considera che il World Economic Forum’s Global Risks Report, basato sulle opinioni di oltre 1.000 CEO, nel gennaio 2020 ha concluso che cinque dei cinque rischi globali più probabili sono o basati sulle risorse oppure legati a questioni ambientali. E anche negli anni precedenti le opinioni dei CEO erano di questo tenore. Dato che per evitare pericolosi cambiamenti climatici dobbiamo arrivare a una piena decarbonizzazione entro un paio di decenni, anche nel breve termine l’idea di competitività – cioè la capacità di un’economia di produrre valore aggiunto – si sovrappone con il concetto di sostenibilità. La narrativa sul clima è obsoleta e non aiuta. In pochi sono pronti a riconoscere che gli sforzi per garantire la sicurezza delle risorse e contrastare i cambiamenti climatici non sono solo dei doni all’umanità, ma anche dei fattori essenziali per costruire un futuro di successo. Non siamo prigionieri di una “tragedia dei beni comuni”. Ecco perché “protezione del clima” è probabilmente il nome sbagliato. Come con il coronavirus, si tratta in gran parte di autotutela. Sappiamo con quale futuro dovranno confrontarsi le nostre città, nel mio caso Oakland, in California: sarà un futuro senza energia fossile, con dei cambiamenti climatici (speriamo non troppo gravi) e con diversi vincoli alle risorse. Questi sono dati di fatto, perché non è possibile abusare del nostro pianeta per sempre, certamente non tanto quanto facciamo oggi. Ma: Oakland si sta preparando per questo futuro? Oppure Oakland continuerà a lavorare per distruggere Oakland?

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Se Oakland decidesse di investire nel proprio successo a lungo termine potrebbe rendere più probabile anche il successo di altre città, perché il successo di una città aiuta anche le altre. Diventa un gioco a somma positiva. Cosa stanno aspettando Ancona, Bologna, Como, fino a Padova, Quartu Sant’Elena, Roma, Siena, Torino e Venezia?

cosa ci ha insegnato il coronavirus? La domanda che dobbiamo farci è come uscire dalla crisi del coronavirus e costruire il futuro che vogliamo creare. Quando verrà il momento di far ripartire le nostre economie, implementeremo le strategie che garantiranno la prosperità del nostro pianeta? Aumentare la sicurezza delle risorse dovrà essere il fulcro della strategia per avere successo. La nostra esperienza collettiva con il coronavirus ci ha dato alcune lezioni importanti. 1. Quando le persone capiscono che sono in gioco le loro vite e quelle delle persone che amano e che possono fare qualcosa al riguardo, la volontà politica e il comportamento collettivo possono allinearsi rapidamente e con efficacia, rendendo possibile ciò che sembra impossibile – perseguire un obiettivo condiviso. 2. Siamo tutti connessi e le nostre decisioni a qualunque livello hanno conseguenze per tutti quelli che ci stanno intorno. In passato potremmo aver accettato la realtà dell’interconnessione come un concetto, ma ora tutti l’abbiamo sperimentata direttamente. Abbiamo una sola biologia e i nostri destini sono intrecciati. Dipendiamo gli uni dagli altri. Lo stesso vale per i cambiamenti climatici. 3. Infine, la cosa probabilmente più importante: abbiamo imparato che proteggere noi stessi serve a proteggere anche gli altri. Mentre proteggiamo le nostre famiglie e le nostre comunità rendendole adatte al futuro, contribuiamo efficacemente alla salvaguardia del nostro pianeta e di tutti gli altri esseri umani.


la nostra impronta nell’era del coronavirus

Per prevenire gli impatti più distruttivi dei cambiamenti climatici, l’umanità deve eliminare gradualmente i combustibili fossili prima del 2050. Ecco perché ogni sindaco, governatore, ministro e CEO deve chiedersi adesso: quanta parte della nostra infrastruttura per il 2050 è già stata costruita? Quanto è adatta per questa trasformazione? Quanta parte delle nostre risorse sarà bloccata? Cosa possiamo fare per essere pronti? Questo libro vi aiuta a rispondere a queste domande. Va anche oltre, aiutandovi a riconoscere la vostra biologia e la vostra dipendenza da una biosfera sana. Vi dà degli strumenti. Dimostra come la contabilità delle risorse sia essenziale per evitare il fallimento ecologico – non solo perché, ma ancora più importante come.

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L’Impronta ecologica dell’Antropocene di Gianfranco Bologna

Ci sono un paio di considerazioni innegabili relative ai modelli economici di produzione e consumo attualmente dominanti nel nostro mondo: 1. essi sono ormai in totale rotta di collisione con i sistemi naturali da cui la nostra specie deriva e senza i quali non riesce a vivere; 2. e hanno accumulato, attraverso un’incontenibile e continua trasformazione del flusso di materia ed energia ricavato dall’eccessivo prelievo dai sistemi naturali, un deficit ecologico drammatico e quasi impossibile da ripianare, che ci ha condotto in una chiara situazione di insostenibilità, situazione che non può non farci preoccupare per il nostro futuro. La drammatica pandemia da SARS-CoV-21 che ha scosso il nostro mondo ci obbliga a riflettere seriamente sulla situazione che abbiamo prodotto, in quella che possiamo definire l’“epoca degli umani”, l’incredibile periodo attuale che stiamo vivendo, caratterizzato dalla trasformazione quasi totale della biosfera, la sottile fascia di aria, acqua, suolo ed esseri viventi, unico luogo nel quale possiamo vivere sul nostro pianeta Terra. Ci obbliga a riflettere sul fatto se sia ancora possibile continuare sulle strade sin qui intraprese per lo sviluppo sociale ed economico delle no1  Questa è la designazione attribuita al nuovo Coronavirus dal Comitato Internazionale della Tassonomia dei Virus (International Committee on Taxonomy of Viruses).


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impronta ecologica

stre società, strade che ormai si sono dimostrate molto pericolose per il futuro dell’umanità (come dimostrano la stessa pandemia che, di fatto, ha toccato la vita di miliardi di persone, e il libro sull’Impronta ecologica che state leggendo), o se è invece ormai indispensabile, senza perdere altro tempo, avviare un vero e proprio cambiamento trasformativo del nostro vivere sull’unico pianeta che ci consente di esistere. Il nostro pressante intervento sulla natura infatti ha trasformato l’evoluzione della biosfera, e la situazione che stiamo vivendo è paradossale: oggi siamo i principali responsabili della distruzione della biosfera senza la quale non possiamo vivere. Come scrive il geologo Robert Hazen:2 “Ci stiamo insomma avventurando su un terreno sconosciuto, mentre sulla Terra stiamo svolgendo un esperimento su scala globale, mal congegnato e forse diverso da tutto ciò che è accaduto prima. [...] Insomma, se decidiamo di preoccuparci, dovremo farlo in prima istanza e soprattutto per la nostra famiglia umana, perché siamo noi quelli più a rischio. La vita andrà avanti nella sua grandiosità, ma la società umana, perlomeno con la sua attività sregolata attuale, potrebbe non farcela”. Fermiamoci un attimo a riflettere: ogni anno gli esseri umani mangiano qualcosa come 65,8 miliardi di polli. Si tratta di una cifra che gli studiosi ritengono possa essere sottostimata, considerato che la durata della vita media di un pollo va dalle 5 alle 7 settimane e che abbiamo una standing population mondiale di polli di circa 22,7 miliardi, costantemente rinnovata.3 Abbiamo iniziato ad allevare polli circa 6.000 anni prima della nascita di Cristo, in diverse aree del Sud-Est asiatico, pratica che si è poi diffusa con il passare del tempo in tantissime altre aree del pianeta. Si ritrovano ossa di pollo in numerosi scavi archeologici, alcune risalenti a qualche millennio fa, tanto che la presenza di queste ossa potrebbe essere persino considerata un marcatore biostratigrafico per indicare l’attuale periodo terrestre, dominato dalla presenza umana, l’Antropocene. 2  Hazen R.M., Breve storia della Terra, il Saggiatore, Milano 2017. 3  Bennet C. E. et al., “The broiler chicken as a signal of a human reconfigured bio-

sphere”, Royal Society Open Science, http:77ox.doi.org/10.1098/rsos.180325.


l’impronta ecologica dell’antropocene

Se, prendendo spunto anche da questo dato, andiamo a verificare le conoscenze più avanzate che abbiamo sullo stato della biomassa (la massa di tutti gli organismi viventi) presente sulla nostra Terra, non possiamo che restare esterrefatti. Il più recente studio in merito ci dice che tutte le specie di mammiferi presenti sulla Terra hanno una biomassa che può essere distinta in questo modo: il 60% circa è costituito dalla massa di animali che noi esseri umani abbiamo fatto crescere a dismisura per i nostri scopi alimentari, quelli che alleviamo e di cui ci nutriamo (buoi, vacche, maiali, pecore, capre ecc.). Il 36% circa è costituito dalla nostra biomassa (costituita da oltre 7,7 miliardi di esseri umani sulla Terra) e solo il 4% circa è costituito dai mammiferi selvatici, per capirci dalla grande balenottera azzurra agli elefanti, dalle tigri ai gorilla, dai canguri agli scoiattoli, dai pipistrelli ai panda ecc. Se consideriamo invece gli uccelli riscontriamo un 70% costituito da tutti gli uccelli che alleviamo e di cui ci nutriamo (polli, oche, anatre ecc.) e circa un 30% costituito dagli uccelli selvatici.4 Stiamo letteralmente modificando i connotati della biodiversità planetaria che è alla base della nostra stessa esistenza. Contestualmente all’incredibile crescita della popolazione (che all’inizio della Rivoluzione industriale intorno al 1750 era di 700-800 milioni, ha raggiunto il primo miliardo nei primi anni dell’Ottocento mentre oggi è a quota 7,7 miliardi di abitanti con la proiezione delle Nazioni Unite della variante media di 9,7 miliardi per il 2050),5 l’umanità ha avviato un modello di sviluppo che invece di seguire i processi circolari che hanno sempre avuto luogo nella biosfera – nell’ambito dei quali il rifiuto non esiste, perché qualsiasi prodotto di qualsiasi processo biologico viene poi recuperato e riutilizzato – ha creato processi lineari alla fine dei quali si produce sempre uno scarto, un rifiuto, in pratica un tipo di inquina4  Bar-On Y.M., R. Phillips, R. Milo, 2018, “The biomass distribution on Earth”, Pro-

ceedings of the National Academy of Sciences, 6506-6511. Si veda anche Smil V., Harvesting the biosphere, MIT Press, Cambridge 2013. 5  United Nations, World Population Prospects 2019 (https://population.un.org/wpp).

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