Imperativo energetico

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IMPERATIVO ENERGETICO. 100% RINNOVABILE ORA!

come realizzare la completa riconversione del nostro sistema energetico

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I Kyoto Books sono frutto della collaborazione tra Kyoto Club ed Edizioni Ambiente. Sono scritti dagli esperti che fanno riferimento al comitato scientifico di Kyoto Club e dai protagonisti del dibattito internazionale. I Kyoto Books intendono promuovere lo sviluppo di una consapevolezza diffusa in merito alle maggiori tematiche ambientali.

In collaborazione con:

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HERMANN SCHEER

Presentazione di Gianni Silvestrini

IMPERATIVO ENERGETICO

1 RINNO00% VABILE Come realizzare ORA! la completa riconversione

del nostro sistema energetico

kyoto books

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Edizioni Ambiente

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Hermann Scheer IMPERATIVO ENERGETICO. 100% RINNOVABILE ORA! Come realizzare la completa riconversione del nostro sistema energetico titolo originale

Der Energethische Imperativ. 100 Prozent jetzt: Wie der vollständige Wechsel zu erneuerbaren Energien zu realisieren ist © 2010, Kunstmann realizzazione editoriale

Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it

traduzione: Laura Martini, Paola Zanacca coordinamento redazionale: Paola Fraschini progetto grafico: GrafCo3 Milano impaginazione: Roberto Gurdo

immagine di copertina: © Tom Chance

© 2011, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333 ISBN 978-88-6627-014-0 Finito di stampare nel mese di settembre 2011 presso Grafiche del Liri – Isola del Liri (FR) Stampato in Italia – Printed in Italy Questo libro è stampato su carta riciclata 100% i siti di edizioni ambiente

www.edizioniambiente.it www.nextville.it www.reteambiente.it www.verdenero.it Seguici anche su Facebook.com/EdizioniAmbiente

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sommario

presentazione di Gianni Silvestrini

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cambiamento energetico La sfida definitiva

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parte prima

panoramica della situazione attuale

1. nessuna alternativa alle energie rinnovabili L’imperativo naturale a lungo ignorato

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a. il potere di ciò che già esiste Il quadro mondiale dell’approvvigionamento energetico da fonti fossili e nucleare

41

b. valutazioni errate La mentalità energetica convenzionale

47

c. scenari 100% Dalle opportunità tecniche alle strategie

53

d. conflitto strutturale Il rapporto di tensione tra sistemi energetici opposti

60

e. mobilitazione Il cambiamento energetico come sfida politica globale

65

2. metodo e psicologia del rallentamento Paralisi, rinvii e alleanze (in)volontarie

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a. minimalismo organizzato La trappola concettuale delle conferenze mondiali sul clima e dell’emission trading

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b. ponti fragili Nucleare e centrali elettriche con tecnologia CCS a ogni costo?

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c. autismo del mercato Le quattro menzogne circa la concorrenza delle energie rinnovabili

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d. scarso coraggio civile e politico Il futuro si gioca nel presente

129

3. supergrid come freni pseudo-progressivi Progetti Desertec e nel Mare del Nord, le nuove manie di grandezza

137

a. supergrid Interminabili giri per arrivare alle energie rinnovabili

142

b. tecnologia senza sociologia L’incommensurabile progetto Desertec

145

c. calcoli inaffidabili Le conseguenze economiche di Seatec

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d. conflitto di priorità L’abuso politico dei progetti supergrid contro la produzione di energia decentralizzata

155

parte seconda

persone, margini di manovra e tecnologie per energie 100% rinnovabili

4. accelerazione Libero sviluppo delle energie rinnovabili al posto di una pianificazione tecnocratica

161

a. rompere il sistema Il crescente potenziale tecnologico per le autonomie energetiche

166

b. attori Il movimento sociale ed economico verso le energie rinnovabili

174

c. priorità L’attuale quadro ordoliberale per un approvvigionamento energetico idoneo alla società

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d. bene comune Il ruolo chiave dei provvedimenti energetici comunali

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5. fantasia produttiva La riconversione energetica: un imperativo economico

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a. sinergie Nuovi prodotti per applicazioni multifunzione

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b. conversioni Un nuovo sfruttamento dei settori economici non produttivi

212

c. liberazione Le opportunità dei paesi in via di sviluppo e una “Desert economy”

218

d. prevenzione Le opportunità future dei paesi esportatori di energia

222

6. “agenda 21” reloaded Iniziative federali a livello mondiale per la trasformazione del paradigma energetico

225

a. 350 ppm Azioni di sequestro della CO2 in agricoltura e nelle foreste

232

b. “interessi zero” per zero emissioni Finanziamenti per lo sviluppo delle energie rinnovabili

237

c. il potenziale umano Offensiva formativa internazionale e il ruolo di IRENA

239

d. la fine dell’era atomica L’abbandono dell’energia nucleare attraverso la proibizione delle armi atomiche a livello mondiale

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7. una scelta di fondo Etica sociale anziché economismo energetico

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note

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cambiamento energetico La sfida definitiva

Ultimamente in tutto il mondo si parla delle energie rinnovabili. Ormai quasi nessuno mette in discussione il fatto che le energie verdi rappresentino l’unica prospettiva futura per l’approvvigionamento energetico. Un’opinione, questa, che per lungo tempo è stata considerata un’assurda fantasticheria. Il cambiamento è avvenuto di recente. Nel maggio 2002 sono stato invitato a una riunione dell’ONU, nel suo quartiere generale di New York. Mi era stato chiesto di contribuire, all’interno di un piccolo team di persone selezionate, alla soluzione di un problema che era stato sollevato dall’allora Segretario generale dell’ONU, Kofi Annan. Ci si trovava nella fase finale dei preparativi per il “Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile” che si tenne l’agosto successivo, a Johannesburg. Ma nella bozza della dichiarazione finale, elaborata nel corso di svariate conferenze preparatorie, mancava l’indicazione del ruolo chiave delle energie rinnovabili per uno sviluppo sostenibile della civiltà globale. Dovevamo pertanto elaborare delle proposte al fine di colmare questa lacuna. L’episodio dimostra come, all’inizio del 21° secolo, fosse ancora profonda e diffusa l’ignoranza nei confronti delle energie rinnovabili. L’attuale attenzione mondiale per questo tema è nata in contrasto con il mainstream politico ed economico in ambito energetico, che continua a essere prigioniero dell’idea di un approvvigionamento mondiale basato sulle energie fossili e sul nucleare. Ancora negli anni ’90 i pochi antesignani di un’“era solare”, in cui non si utilizzano né il nucleare né le energie fossili, si scontravano con preconcetti fortemente radicati ed enormi ostacoli pratici.

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Oggi sembra che questi siano stati superati, ma più a parole che a livello culturale e di azione concreta. Tronfie dichiarazioni di governi e aziende del settore energetico, che dicono di impegnarsi a favore delle energie rinnovabili, gettano fumo sulle priorità pratiche. Sebbene le compagnie del settore energetico nel frattempo investano anche nelle rinnovabili, continuano a puntare principalmente sulle energie convenzionali, fino all’ultima goccia di petrolio, fino all’ultima tonnellata di carbone o di uranio e all’ultimo metro cubo di gas naturale. Queste sono per loro le fonti energetiche di maggior valore, dal momento che il calore del sole o il vento non sono commercializzabili. Dalla resistenza alle energie verdi si è passati a una strategia d’accaparramento delle ultime fonti fossili disponibili e di temporeggiamento, mentre si dovrebbe solo dare il via a un cambiamento di rotta, sempre più urgente. In ogni caso, almeno adesso viene unanimemente riconosciuto che il futuro dell’approvvigionamento energetico deve basarsi sulle energie rinnovabili. I rischi e i limiti molteplici legati alle energie fossili e al nucleare hanno raggiunto proporzioni macroscopiche. E già solo per questo motivo non è più possibile ignorare oltre le energie verdi, tanto più che offrono tassi di crescita impressionanti. Solo tra il 2006 e il 2008, gli investimenti annui mondiali in energie rinnovabili sono raddoppiati, passando da 63 a 120 miliardi di dollari americani. Tra il 2006 e il 2009 la capacità produttiva degli impianti eolici istallati a livello mondiale è aumentata da 74.000 a 135.000 MW e quella degli impianti fotovoltaici collegati alla rete da 5.100 a 19.000 MW. Aver ammesso che il potenziale delle rinnovabili è ampiamente utilizzabile ha creato i presupposti per l’abbandono del sistema energetico mondiale atomico/fossile. A loro favore gioca un fattore psicologico: a esse si associa infatti la speranza realistica di un approvvigionamento energetico garantito nel tempo e privo di pericoli. Le rinnovabili presentano pertanto un valore sociale superiore rispetto alle energie atomica e fossile. Ed è questo il punto saliente per la riflessione in ambito energetico. Chi riconosce che le energie rinnovabili non solo rappresentano un’integrazione all’approvvigionamento energetico attuale, ma un’alternativa completa e tangibile, non può rifiutarle. In presenza di un’effettiva pos-

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sibilità di libera scelta, la maggioranza delle persone opterà per le energie verdi, escludendo le altre fonti. La Germania fornisce in questo senso un esempio pratico. In seguito all’entrata in vigore della legge sulle energie rinnovabili nel 2000, la quota di queste ultime a livello di fornitura elettrica è aumentata fino al 2009, nonostante le continue resistenze: dal 4,5 al 17%. E nella fornitura energetica complessiva, si è passati dal 3 al 10%. In parallelo si è evidenziata una fiducia crescente delle persone in questo potenziale energetico, accompagnata dalla speranza e dall’attesa di poter puntare pienamente su questa alternativa al più presto. Secondo i sondaggi, il 90% della popolazione tedesca è favorevole a un ulteriore sviluppo su ampia scala delle energie rinnovabili, il 75% vuole che tale espansione avvenga nella propria regione e in tal senso sarebbe disposto perfino ad assumersi costi più elevati. Meno del 10% si dichiara favorevole alle centrali atomiche o a carbone!1 (ndr, in tema di energia nucleare, un dato significativo per l’Italia è quello registrato in Sardegna al termine degli scrutini riguardanti il referendum regionale del giugno 2011: il 59,49% degli aventi diritto si è recato alle urne e il 97,14% ha manifestato la propria contrarietà all’installazione di centrali e al deposito di scorie nucleari nell’isola. Risultati confermati dal quesito referendario nazionale del 12-13 giugno 2011.) Si è giunti a tanta popolarità nonostante le numerose critiche mosse per decenni alle energie rinnovabili dalle aziende energetiche dei settori convenzionali e dalla maggior parte degli esperti energetici, che hanno cercato di influenzare l’opinione pubblica mediante grandi investimenti nella comunicazione. Critiche che, come noto, non accennano a diminuire. Sia le prime sia i secondi stanno comunque perdendo terreno nello scontro in atto per conquistare l’opinione pubblica, un conflitto che continua immutato, ma che col tempo viene condotto con metodi sempre più sottili. Oggi la discussione si focalizza soprattutto su quanto tempo sia necessario per realizzare il passaggio completo alle energie rinnovabili. Bisognerà aspettare fino al 2100? Oppure potrà essere una realtà già nel 2050? Sono convinto che questo cambiamento sia attuabile più rapidamente, se tutti mobilitiamo le forze necessarie al suo compimento: a livello glo-

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bale ci si potrebbe arrivare nell’arco di circa un quarto di secolo e in alcuni paesi e regioni persino prima. Tale passaggio è realizzabile non solo in virtù dell’enorme potenziale naturale delle energie rinnovabili, ma anche in considerazione del potenziale tecnologico già disponibile. Ed è indispensabile farlo per motivi ecologici e per evidenti ragioni economiche. Non si tratta di un onere insostenibile, ma di una nuova opportunità economica di portata globale per i paesi industrializzati e della grande occasione per i paesi in via si sviluppo. Ma il principale potenziale in tal senso è quello umano: è fondamentale sensibilizzare gli individui a favore delle energie rinnovabili, soprattutto in ambito politico ed economico. È necessario uno sforzo culturale senza precedenti. Del resto la sfida che ci troviamo ad affrontare è di portata unica nella storia. E il fatto di procrastinarla non fa che renderla più difficile. Abbiamo perso sin troppo tempo. Come, quando e perché? Se il passaggio dalle energie atomica e fossile alle rinnovabili viene attuato in modo frammentario e a rilento, ci sono buone possibilità che la civiltà mondiale venga risucchiata in un vortice che non risparmierà niente e nessuno: drammatici cambiamenti climatici minacciano di rendere inabitabili intere regioni, provocando povertà di massa e movimenti migratori di centinaia di milioni di persone. Per contenere i danni prospettati da simili scenari le società dovrebbero affrontare sforzi e sostenere costi superiori rispetto a quelli necessari per il passaggio alle energie rinnovabili. Il calo della disponibilità di fonti energetiche nucleari e fossili e i prezzi crescenti già provocano radicali fratture economiche, e quindi sociali, nei paesi industrializzati e determinano condizioni di povertà sempre più gravi nei paesi in via di sviluppo. Si concretizza la minaccia di un incremento dei conflitti internazionali per garantirsi l’accesso alle risorse restanti, fino a giungere a scenari di guerre per accaparrarsi le fonti energetiche (ndr, per approfondimenti si veda il libro a cura del Centro di documentazione sui conflitti ambientali, Conflitti ambientali, Edizioni Ambiente 2011). Rimangono irrisolti i problemi correlati all’energia atomica, dai pericoli sempre in agguato relativi alla sicurezza

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2. | metodo e psicologia del rallentamento

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CCS: aria soffocante per politica e società Le centrali a tecnologia CCS (dove CCS sta per “Carbon Dioxide Capture and Storage”) durante la fase di combustione del carbone o del gas all’interno della centrale catturano la CO2, che deve poi essere stoccata nel sottosuolo o sul fondo del mare. Gli impianti CCS sono quindi centrali elettriche a carbone con fabbrica chimica annessa, con un’infrastruttura pipeline per il trasporto di CO2 e con tecnologie di stoccaggio finale dell’anidride carbonica. Ciò significa che i costi per la produzione di energia superano di gran lunga quelli delle attuali centrali alimentate con combustibili fossili. Nonostante i rischi incalcolabili in termini di costi e inestimabili a livello ambientale, l’impiego di queste cosiddette “centrali elettriche a carbone rispettose del clima” è ormai diventato parte integrante delle strategie nazionali e internazionali a tutela del clima. Chi oggi sostiene e promuove la tecnologia CCS è d’accordo per rinviare la sostituzione delle centrali a carbone con le energie rinnovabili alla seconda metà del 21° secolo. Se le centrali CCS, come di fatto già più volte previsto, diventassero lo standard vincolante per le centrali elettriche a carbone a partire dal 2020 o 2025, significa che questi impianti durerebbero fino al 2070 o 2075 e anche oltre. Nel tempo questo comporterebbe un notevole aumento dei prezzi di carbone e gas, che sarebbero ancora più elevati nel caso delle centrali con impianto CCS, perché il fabbisogno di combustibile per chilowattora ottenuto aumenterebbe a causa della procedura di cattura e sequestro della CO2 e del suo trasporto. Ciò significa anche essere disposti a far fronte a tutte le altre emissioni provenienti dalle centrali elettriche a carbone, indipendentemente da quelle di CO2, nonché a farsi carico del rischioso stoccaggio finale di CO2, i cui pericoli aumentano con il tempo e la quantità immagazzinata. I sostenitori della tecnologia CCS minimizzano anche i problemi legati allo stoccaggio finale, così come fanno i promotori dell’energia nucleare con i rifiuti radioattivi. Già il termine CCS è un modo per abbellire il concetto. La lettera S sta per “storage”, ovvero immagazzinamento. Il termine “stoccaggio finale” viene utilizzato malvolentieri. In un magazzino si conserva qualcosa che si vuole utilizzare per altri scopi. Ma con CCS si intende lo stoccaggio definitivo di CO2 che non potrà ritornare nell’atmosfera.

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Una delle motivazioni a supporto di questo progetto è che nessuno potrebbe dissuadere paesi quali per esempio la Cina, con le sue riserve di carbone e il suo crescente fabbisogno di energia, dal costruire centrali elettriche a carbone. Bisogna tener conto di queste esigenze e quindi inserire le centrali CCS nel catalogo delle misure a tutela del clima e incentivarle politicamente. Questa è una politica climatica realistica. L’opzione di sostituire rapidamente queste centrali con le energie rinnovabili viene ritenuta impossibile dai sostenitori del CCS. L’affermazione secondo la quale questa sostituzione rappresenta un peso insostenibile per le aziende e per la politica economica è però un misero pretesto se si considerano le spese finanziarie necessarie per le centrali CCS, inclusa la speciale infrastruttura di pipeline per la CO2. In realtà questa tecnologia non è altro che un “salvagente” per le grandi centrali a combustibili fossili che hanno numerose conseguenze insostenibili. La tecnologia CCS non è affatto una “tecnologia di passaggio”, bensì una sconfitta di fronte all’interesse economico per la conservazione delle fonti energetiche fossili. Gli istituti di ricerca sul clima e alcune organizzazioni ambientaliste appoggiano il progetto CCS sostenendo che l’opzione vada almeno provata. Ecco cosa dice il WWF: “Non serve a nulla denigrare questa tecnologia senza averla provata, perdendo così in modo avventato un’opportunità di tutelare il clima”.34 Ma cosa c’è da provare? Non ci sono dubbi che sia tecnicamente possibile catturare la CO2 e comprimerla attraverso condutture in giacimenti di stoccaggio finale. Gli esperimenti possono solo fornire informazioni sulle diverse procedure di cattura e sulla loro effettiva produttività e sulle tecniche di stoccaggio finale più o meno idonee, quindi sulla questione del come gestire al meglio l’opzione CCS. Ma la domanda di base deve essere innanzitutto e soprattutto se questa via è giustificata e se effettivamente, ancora una volta, non ci sono “altre alternative”. Ci sono anche argomentazioni chimico-fisiche contro l’opzione CCS, secondo le quali nessuno stoccaggio finale cambierebbe le cose.

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Dove portare la CO2 catturata? La CO2 catturata e poi sequestrata può essere rispettosa del clima solo se resta per sempre nel giacimento dove è stata confinata. Ma nessuno sa, né se la sente di escludere, se prima poi finirà nell’atmosfera. Una prova indiretta di ciò, ovvero del fatto che non si hanno certezze al riguardo né si avranno nel breve termine, sono i contrasti in merito al progetto di legge del governo federale del 2009. In base a quel progetto, l’obbligo di responsabilità dei grandi produttori di energia sullo stoccaggio sicuro della CO2 è limitato a soli trent’anni, in modo da sollevare le aziende da rischi finanziari imponderabili. I grandi gruppi energetici hanno tentato addirittura di ridurre quest’obbligo a vent’anni. A prescindere dal fatto che la responsabilità per la CO2 fuoriuscita non può compensare il disastro che potrebbe provocare, questa procedura ricorda fatalmente le esperienze fatte con lo stoccaggio delle scorie radioattive. Il caso più recente in Germania è lo scalpore suscitato dallo stoccaggio frettoloso e malfatto delle scorie radioattive nella miniera di salgemma in disuso di Asse. Per decenni, i centri di ricerca e gli enti governativi responsabili hanno sostenuto, sulla base di perizie geologiche, l’assenza di rischi di questo deposito. Il criterio da soddisfare era che il giacimento fosse asciutto e che si potesse escludere qualsiasi infiltrazione di acqua. Ma già dopo tre decenni è stato dimostrato che ogni giorno migliaia di litri d’acqua si infiltrano nel giacimento di salgemma, tanto che, con un costo stimato in 4 miliardi di euro, ora si dovrebbero rimuovere più di centomila fusti di scorie radioattive, perché i flussi d’acqua possono inquinare in modo incontrollato ed esteso la falda acquifera. Dopo queste esperienze è inconcepibile avere ancora fiducia negli studi geologici che certificano la possibilità di stoccare in modo sicuro la CO2 per un tempo infinito. La fuoriuscita di CO2 viene giudicata “accettabile” se non supera il 10% in mille anni, che corrisponde allo 0,1 per mille all’anno. Nessuno può garantire questa percentuale, nessuno può calcolarla con precisione e nessuna compagnia di assicurazione si lascerà incantare tanto che, come accaduto per l’energia atomica, sarà ancora una volta la società nel suo complesso ad assumersene la responsabilità. Sarebbe anche ingenuo partire dal presupposto che la CO2 fuoriesca solo

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in quantità minime e costanti. È invece molto più probabile che finisca nell’atmosfera prima lentamente e poi sempre più rapidamente e in dosi via via più massicce. Questo potrebbe avere conseguenze mortali per tutti gli animali con respirazione polmonare, arrivando a un vero “CCSGAU”. Allo stesso modo potrebbe verificarsi una perdita nelle condutture. La CO2 concentrata non è altro che aria soffocante, più pesante dell’aria e si sostituisce all’ossigeno. Immaginiamoci la quantità di CO2 che sarà catturata in questo caso. Partendo dall’obiettivo dichiarato, ovvero di dotare in futuro tutte le nuove centrali a carbone con impianto CCS, una centrale da 1.000 MW con una cattura completa della CO2 sequestrerebbe ogni anno 10,75 milioni di tonnellate di CO2 che dovrebbero essere trasportate attraverso le condutture e poi stoccate. Se si tenesse conto delle sole 30 centrali a carbone della Germania con questa capacità, per ognuna delle quali si calcola una durata di vita di 50 anni, si arriverebbe a toccare i 34,7 miliardi di tonnellate di CO2, che richiedono una capacità di stoccaggio pari a 34,7 chilometri cubi! L’ingegnere Ulf Bossel, formatosi all’università di Berkeley in California e direttore dell’European Fuel Cell Forum, ha confrontato diverse varianti di stoccaggio finale di CO2 e le ha valutate in base alla loro regolarità chimico-fisica.35 Una possibile variante è rappresentata dallo scioglimento della CO2 in acqua. La quantità disciolta è pari a 3 grammi per ogni litro d’acqua. Per una centrale CCS da 1.000 MW con una durata di vita di 50 anni, si dovrebbe avere a disposizione un volume d’acqua freatica pari a 254 chilometri cubi. Ma dato che l’acqua sotterranea fluisce e raggiunge anche la falda acquifera, questa non potrebbe più essere utilizzata come acqua potabile. Lo smaltimento della CO2 attraverso la soluzione con l’acqua è garantito solo se la pressione e la temperatura idrica rimangono invariate. Ma a causa dei vari strati del terreno questo è impossibile e quindi esiste il costante pericolo che la CO2 si disperda nuovamente e fuoriesca nell’atmosfera per vie traverse. Un’altra variante è quella dello stoccaggio della CO2 in falde acquifere, ovvero in strati sotterranei che sono per lo più porosi e ricchi di acqua salata (le cosiddette formazioni saline). Le possibilità di stoccare qui la CO2 disciolta in acqua sono estremamente limitate, perché l’acqua non

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può essere compressa. Una terza variante è rappresentata da cavità sotterranee da riempire con CO2, come accade per esempio con i serbatoi per l’aria compressa o lo stoccaggio di petrolio e gas naturale. Ma le esperienze fatte con questi tipi di immagazzinamento non sono paragonabili allo stoccaggio di CO2, perché in questo caso occorre trovare una soluzione duratura, mentre l’aria compressa, il petrolio e il gas naturale possono sempre essere nuovamente estratti. Inoltre, il volume delle cavità per le quantità di CO2 sarebbe di gran lunga insufficiente e si esaurirebbe rapidamente. A ciò si aggiunge il fatto che le caverne sotterranee non sarebbero più disponibili se nel futuro a breve e medio termine fossero usate per stoccare l’aria compressa prodotta dalle fonti energetiche rinnovabili (energia eolica o fotovoltaica o biogas). Una quarta variante sarebbe quella di accumulare la CO2 in strati profondi dei fondali marini, ma questa opzione è stata esclusa dai principali sostenitori dell’opzione CCS, perché il pericolo di fuoriuscita è elevatissimo e potrebbe verificarsi in modo improvviso. La compagnia elettrica Vattenfall, ovvero il più forte promotore delle centrali CCS in Germania, preferisce la compressione in falde acquifere saline e, basandosi sugli studi dell’Istituto federale di scienze geografiche, prevede che in Germania ci sia un potenziale di stoccaggio pari a 20 miliardi di tonnellate, che corrispondono a 20 chilometri cubi. Ma non sarebbe sufficiente per “stoccare senza pericolo per il clima l’intero volume di CO2 prodotto in almeno 60 anni di attività delle centrali elettriche tedesche”, come ha osservato la Vattenfall.36 Ma anche se fosse possibile, le procedure chimico-fisiche accennate suscitano comunque enormi dubbi sull’innocuità del processo. Rischi incalcolabili in termini di costi Anche in termini economici la tecnologia CCS è più che discutibile. Attualmente una moderna centrale elettrica a carbone ha un rendimento di circa il 45%, riferito al carbone utilizzato. Catturando la CO2, che richiede un certo dispendio energetico, questa percentuale si riduce al 35%. E l’efficienza si riduce ancora di più a causa del consumo energetico per il trasporto nelle condutture e per la compressione. Per un effettivo rendi-

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mento energetico è quindi necessario impiegare in una centrale con impianto CCS fino al 40% di energia primaria in più rispetto a una centrale a carbone tradizionale, senza l’opzione CCS. Questo fa lievitare i costi del combustibile, oltre a comportare spese supplementari per la tecnica di separazione, l’infrastruttura di distribuzione, trasporto, compressione e sorveglianza. Vanno quindi preventivati incrementi di costi difficilmente calcolabili. Anche con una stima dei costi moderata, risulta evidente da subito che l’energia prodotta dalle centrali a carbone con tecnologia CCS non è più economica di quella eolica, i cui costi di produzione potrebbero nel frattempo essere ulteriormente ridotti, anche se le centrali con impianto CCS entrassero in funzione nel 2020 o anche più tardi. Enfatizzare un progetto per promuoverlo e ottenere il supporto politico è un metodo ormai diffuso a cui si ricorre per rendere allettanti nuovi grandi progetti ai governi e all’opinione pubblica. Spesso i paladini di questi progetti li sostengono con affermazioni non dimostrate. Per quanto riguarda il progetto CCS, si addusse come prova di “fattibilità” il fatto che l’azienda statale norvegese Statoil catturasse parziali quantità di CO2 presente nel gas estratto direttamente nei propri impianti di estrazione e le comprimesse immediatamente. Quindi la disillusione fu ancora maggiore quando nel maggio 2010 una sommessa Statoil rese noto che il tentativo di catturare e stoccare la CO2 nella sua centrale a gas di Mongstad era stato interrotto a causa di problemi tecnici e per mancanza di redditività. La nuova centrale termoelettrica funziona ora senza la tecnologia CCS. La motivazione ufficiale data da Statoil è la seguente: “La tecnologia CCS si è rivelata molto più costosa di quanto si pensasse e costerebbe più dell’intera centrale elettrica. Tutto è molto più complicato di quanto non avessimo supposto 4 anni fa”.37 Al contempo, il governo norvegese ha dichiarato che non avrebbe messo a disposizione altri fondi per il progetto CCS. Fino a quel momento era stato la forza motrice del progetto, aveva già stanziato un miliardo di euro per lo sviluppo e aveva fortemente promosso il progetto durante le conferenze mondiali sul clima. Non più tardi del 2007 il Primo ministro norvegese Jens Stoltenberg aveva attribuito al progetto CCS la stessa importanza che negli anni ’60 gli Stati Uniti avevano riservato al programma dello sbarco sulla Luna.

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La sospensione dell’esperimento di Mongstad avrebbe dovuto essere un motivo sufficiente per bloccare la tecnologia CCS e accelerare senza altre titubanze il passaggio alle energie rinnovabili. Perché perseguire un’opzione che è discutibile, sarà più costosa delle energie rinnovabili e la cui realizzazione richiede molto più tempo che non la mobilitazione per le energie rinnovabili? Una tecnologia CCS che richiede enormi capacità di stoccaggio finale che si presuppone siano disponibili, contraddice inoltre l’affermazione secondo la quale non ci sarebbero sufficienti capacità di stoccaggio per le energie rinnovabili sotto forma di aria compressa, biogas, idrogeno o anche nel sottosuolo. Un compromesso analitico che non regge Non si deve però pensare che i sostenitori della tecnologia CCS si lascino influenzare da ciò. Nel frattempo molti si sono fatti coinvolgere dal progetto: oltre ai produttori di energia e ai governi, ci sono anche organizzazioni ambientaliste quali il WWF e addirittura l’Istituto di ecologia applicata tedesco (Deutsches Öko-Institut). Il progetto è stato presentato come l’“uovo di Colombo”, ovvero un compromesso che accontentava sia gli interessi dei produttori di energia sia la tutela del clima. Si tratta evidentemente di una pista sbagliata, seguita nonostante l’insegnamento ammonitore dell’energia atomica. Quasi dal giorno alla notte il progetto è diventato una nuova promessa e ha messo in moto la macchina politica, dopo che il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici – la cui denominazione ufficiale è Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – nel suo Rapporto del 2005 aveva definito l’opzione CCS come irrinunciabile nella tutela del clima. Senza alcuna analisi preliminare, questa tecnologia è stata immediatamente integrata nelle previsioni energetiche e nelle pianificazioni. Si è stanziato il denaro pubblico necessario e sono state introdotte condizioni di legge favorevoli in un ordine di grandezza e con una rapidità mai visti per le energie rinnovabili. Nel 2008 l’UE incluse il CCS come opzione operativa nella sua direttiva sullo scambio di emissioni. Con il Climate Change Act, il governo inglese attribuì al progetto un’importanza di spicco per la tutela del cli-

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ma, insieme all’energia atomica. La direttiva CCS dell’UE è del 2009. Il governo federale presentò la bozza di legge sul CCS che però fu ritirata all’ultimo minuto, nella settimana stessa in cui avrebbe dovuto essere votata nel giugno 2009, perché nel frattempo c’era stata un’ondata di proteste e le elezioni federali erano alle porte. Il governo australiano istituì il Global CCS-Institute con un budget annuo di 100 milioni di dollari americani, un importo che è di ben sei volte superiore a quello destinato per il 2010 della neo-nata Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA), che conta oltre 140 stati membri. L’UE stanziò una sovvenzione di 2 miliardi di euro per dodici centrali elettriche con impianto CCS, l’Australia 1,2 miliardi di dollari americani, il Canada 1,2 miliardi e il governo americano 3,4 miliardi. Si fece tutto il possibile per far riconoscere le centrali con impianto CCS come strumento del CDM (Clean Development Mechanism) per la tutela del clima.38 La più grande organizzazione ambientale americana, il Natural Resources Defense Council (NRDC) che conta 1,3 milioni di soci, divenne la principale sostenitrice della tecnologia CCS, sperando di accelerare la lotta alle emissioni di CO2, poiché riteneva senza speranza le possibili alternative alle centrali a carbone.39 L’organizzazione per la tutela ambientale norvegese Bellona definì l’abrogazione del progetto CCS Mongstad come una “pugnalata alla schiena” e se ne dispiacque: “Abbiamo speso un sacco di energie per difendere questa politica”.40 Così la tecnologia CCS è ormai diventata in tutto il mondo il punto chiave strategico degli interessi energetici convenzionali. Come già citato nell’introduzione, il gruppo Shell ha interrotto tutte le sue attività per le energie rinnovabili e ha annunciato il passaggio strategico alla CCS. I produttori di energia, con il loro portafoglio di centrali elettriche a carbone e le aziende tecnologiche che si basano sulla tecnologia CCS promuovono campagne pubblicitarie con finanziamenti comuni, così come fa IZ Klima (il centro d’informazione tedesco delle centrali a carbone verdi). Un’altra organizzazione, la DEBRIV (associazione tedesca dei produttori di lignite), pubblica regolarmente sui quotidiani lunghi articoli in cui professori e scienziati dicono tutti la stessa cosa: il carbone può e deve essere utilizzato con la tecnologia CCS a tutela del clima, per-

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Etica sociale anziché economismo energetico

Nel luglio 2010 l’Assemblea Generale dell’ONU dichiarò che l’accesso all’acqua potabile è un diritto dell’umanità. Questa dichiarazione però non basta ancora a rendere esigibile questo diritto elementare da parte dei singoli individui. Quando ciò avverrà, le conseguenze saranno davvero enormi e arriveranno fino al divieto di adottare procedimenti produttivi che contaminano le acque e che mettono quindi in pericolo la salute dell’uomo. I diritti umani sono principi etici il cui rispetto non può dipendere dalla loro “convenienza” o dal fatto che mettano a rischio la “competitività”. La decisione dell’Assemblea Generale dell’ONU in merito al diritto umano di avere accesso all’acqua potabile è il risultato di sforzi enormi che mirano a promuovere e realizzare i diritti umani e a renderli il più possibile esigibili. Si tratta di diritti che vanno oltre il diritto generale alla libertà e all’uguaglianza e che si estendono fino a includere il rispetto dei fondamenti naturali della vita. Con la crisi sociale mondiale, che non può essere scissa da quella ecologica, la dimensione dei diritti umani si è estesa. La disposizione contenuta nell’articolo 2 della Costituzione tedesca, in base alla quale ogni uomo ha diritto alla propria “incolumità fisica”, è da tempo interpretato principalmente come un divieto alla violenza fisica nei confronti dell’uomo e come protezione dai danni fisici. Occorre però sottolineare che l’incolumità fisica è ampiamente pregiudicata dall’inquinamento ambientale. L’articolo 1 della Carta per l’Ambiente, che nel 2004 è stato aggiunto al preambolo della Costituzione francese, sancisce: “Ognuno ha il diritto di

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vivere in un ambiente equilibrato e favorevole alla propria salute”. L’articolo 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea afferma: “Un elevato livello di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile”. Finché resteremo ancorati al sistema energetico convenzionale, la realizzazione di questo diritto fondamentale nella realtà quotidiana è difficile, così come lo è l’attuazione del diritto umano in materia di acqua potabile o del già discusso, ma non ancora ufficialmente dichiarato, diritto umano all’aria pulita, all’energia disponibile o alla saggezza economica sostenibile. Questi diritti, che interessano tutte le generazioni, possono essere realizzati solo con il passaggio alle energie rinnovabili, che diventa quindi un dovere dell’azione politica, giustificabile a livello dei diritti umani.80 Poiché questo passaggio è tecnicamente realizzabile, non sussiste più alcuna giustificazione etica per prorogarlo. Le obiezioni economiche non sono più convincenti. Claudia Kemfert, che dirige la divisione per l’energia e l’ambiente presso il Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung (DIW) ha calcolato che per la sola Germania i costi fino al 2015 per scongiurare i danni climatici ammontano a 50 miliardi di euro: 10 miliardi di euro sono necessari per gli investimenti iniziali, mentre i costi crescenti dell’energia fossile pesano per gli altri 40 miliardi. Entro il 2025 i costi dovrebbero salire fino a 290 miliardi di euro.81 Un rapporto pubblicato nel luglio 2010 dalle Nazioni Unite sui danni ambientali causati dalle 3.000 principali aziende al mondo giunge a una conclusione drammatica anche dal punto di vista dell’economia politica, ovvero che l’abuso delle risorse naturali da parte delle aziende – soprattutto attraverso la contaminazione delle acque e le emissioni di gas serra e altri inquinanti – causa ogni anno danni per due miliardi di dollari americani. Se venissero valutati i danni che derivano dalle varie attività economiche e quelli causati dall’approvvigionamento energetico atomico e fossile, i costi sarebbero ancora maggiori: a partire dagli uomini che muoiono nelle miniere di carbone e uranio o che si ammalano di leucemia, perché vivono nelle vicinanze di una centrale atomica, passando per le sovvenzioni pubbliche e nascoste per l’energia nucleare e fossile – che ammontano

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ogni anno a centinaia di miliardi di dollari – fino ai costi politici e militari per la “sicurezza energetica internazionale”, che Amory Lovins, in Winning the Oil Endgame, ha stimato per i soli Stati Uniti in centinaia di miliardi di dollari all’anno.82 Niente più scuse E questo succede ancora, nonostante tutti i calcoli economici qui presentati, secondo i quali la riconversione energetica non costerebbe di più – anzi, tendenzialmente costerebbe di meno – del mantenimento del sistema tradizionale di approvvigionamento energetico. Oltre ai vantaggi sociali, anche in termini di economia politica i benefici derivanti al passaggio alle energie rinnovabili non possono più essere contestati in modo credibile. Al contrario, gli attuali investimenti nelle energie rinnovabili sono la condizione per ottenere un’energia sicura, ecologica, economica e sufficiente per tutti e per il futuro. La generazione attuale ha la responsabilità di portare a termine la transizione energetica, a vantaggio delle prossime generazioni. Non ci sono più scuse. Tutte le difficoltà che potrebbero insorgere possono essere facilmente superate. Ritenere che le recenti catastrofi abbiano rafforzato la volontà di passare alle energie rinnovabili e che abbiano accresciuto le probabilità che ciò avvenga è un grande errore socio-psicologico. I grandi sforzi presuppongono infatti una società sufficientemente stabile e non dominata dallo stato d’emergenza. Questo libro ha illustrato in modo approfondito i motivi per cui questo processo non può essere affidato all’industria energetica convenzionale, che è interessata unicamente a rallentarlo e a impiegare le energie rinnovabili in modo tecnologicamente parziale e sub-ottimale. Si tratta di una posizione che si basa su calcoli economici anziché sugli interessi della società. Un modo più preciso per descrivere il cambio di sistema energetico, rispetto alla formula “centralizzazione versus decentralizzazione”, sarebbe quello di definirlo come il passaggio da un sistema di approvvigionamento energetico organizzato in un’unione più grande, e quindi caratterizzata da interdipendenze reciproche, a uno autonomo e modulare:

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individuale, locale, regionale, organizzato cioè secondo scale differenti, che vanno dalla più piccola alla più grande. Non si tratta solo della contrapposizione tra grandi e piccoli impianti, poiché laddove il fabbisogno energetico è maggiore anche i grandi impianti possono fornire un approvvigionamento energetico modulare o gestito in modo isolato (per grandi aziende, comuni o regioni). Anche con le energie rinnovabili si può pensare a un sistema di approvvigionamento con tante sedi produttive decentralizzate, collegate in un’unione internazionale e in armonia tra loro. Ma, considerato il potenziale delle energie rinnovabili, non sussiste alcun obbligo predefinito, come invece avviene per le energie convenzionali. A eccezione delle abitudini mentali legate alla struttura tradizionale di approvvigionamento energetico, nulla obbliga a seguire questa strada. Sarebbe come cercare di organizzare attraverso vie lunghe e imponderabili quello che può essere realizzato per vie brevi e chiare. La tensione tra produzione e utilizzo molteplice e autonomo da un lato e dipendenza organizzata dall’altro non caratterizza solo il conflitto tra energie convenzionali e rinnovabili, bensì anche il dibattito sulla struttura di un futuro sistema di approvvigionamento energetico che utilizzi solo energie rinnovabili. L’accelerazione o il rallentamento della transizione deciderà anche quale sarà il modello da seguire e quali decisioni politiche potranno influenzarlo. È empiricamente dimostrato che il potenziale di accelerazione più ampio si trova nelle strutture modulari. L’idea che una gestione della rete internazionale e centrale regoli la domanda e quindi la produzione con una Borsa elettrica – e questo non solo per poche grandi società, ma per gli innumerevoli produttori collegati in rete – convince solo a livello teorico. Con questo tipo di fornitura di energia ciò che è indipendente e trasparente tornerebbe a essere dipendente e nebuloso. Ciò che appare come la massima razionalità economica sarebbe in pratica intollerabile. Non a caso l’era dei computer contraddice questa apparente ragionevolezza. È inconcepibile pensare di poter pianificare le capacità di centinaia di milioni di laptop. Anche l’impiego di massa dei laptop rappresenta una sovracapacità produttiva difficilmente calcolabile e altamente dispendiosa da un punto di vista econo-

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micistico. Occorre qualcosa di più creativo e vicino alla realtà. Non sono solo ragioni di economia aziendale a determinare se una tecnologia dei servizi maneggevole e autonoma riuscirà a imporsi. Uno sviluppo simile alla rivoluzione IT si fa strada anche nel settore delle energie rinnovabili. Sintesi dei valori Le energie rinnovabili, disponibili in modo sempre più autonomo e democratico, permettono di ottenere sintesi di valori insospettate tra: s INDIVIDUALISMO E BENE COMUNE CLASSICO TEMA DELLA RICERCA FILOSOFICA

poiché il loro utilizzo autonomo aumenta la libertà individuale e non danneggia gli altri; s VALORI IDEALI E MATERIALI POICH£ SARÍ POSSIBILE SODDISFARE GLI INTERESSI MAteriali dell’uomo senza arrecare danni alla società e alla natura. La crescente popolarità delle energie rinnovabili, che si basa sul riconoscimento o anche solo sull’intuizione delle loro potenzialità, è facilmente spiegabile. Gli uomini sono consapevoli del loro potenziale molto più dei governi e di quanto l’industria energetica tradizionale voglia riconoscere. Questo è confermato dai risultati di un sondaggio contenuto in un rapporto delle Nazioni Unite. L’80% dei consumatori attribuisce importanza ai processi produttivi ecologici e si dice pronto a sostenere misure atte a limitare il mercato, e afferma di non riconoscersi nell’immagine dell’homo oeconomicus propugnata dall’ideologia neoliberista. Un altro sondaggio sull’atteggiamento concreto dei cittadini rispetto alle energie rinnovabili è ancora più eloquente. Il 75% del campione è a favore del passaggio completo alle energie rinnovabili, il 48% ritiene che sia già possibile, il 74% vuole mantenere l’attuale livello di incentivazione, il 61% è a favore di iniziative a livello comunale e il 58% sarebbe disposto a parteciparvi. L’82% degli intervistati vuole sapere a quanto ammontano le esternalità rispetto al prezzo dell’energia; l’88% chiede che queste vengano indicate nella bolletta, mentre il 76% ritiene che debbano essere a carico dei gestori. Solo il 19% si dice soddisfatto dell’impegno dei politici nazionali e comunali per le energie rinnovabili e il 91% pretende da loro maggiore impegno.83

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Il movimento sociale a sostegno delle energie rinnovabili si basa su molteplici motivazioni che, nonostante i valori, gli interessi o gli orientamenti politici differenti, devono essere viste come un tutt’uno. Anche se una sola di queste motivazioni – la tutela globale del clima, la qualità della vita, l’innovazione tecnologica, nuove prospettive economiche, l’autodeterminazione e la democratizzazione delle condizioni di vita – potrebbe bastare, una sola ragione non è sufficiente per dare vita a un movimento che deve nascere attraverso quella che io chiamo la socio-logica delle energie rinnovabili. Il più grande errore che i protagonisti del settore delle energie rinnovabili possono fare è quello di lasciarsi incastrare in un dibattito puramente economico, che riduce il tutto a un confronto con i prezzi attuali. Determinanti per il passaggio di sistema sono invece il significato sociale e la visione di cui le energie rinnovabili sono espressione, non gli sforzi politici e opportunistici per ottenere il consenso e azzerare le critiche, non il punto di vista dell’industria energetica tradizionale e neppure quello dell’ambizioso settore delle tecnologie per le rinnovabili, che si divide sempre più in singoli interessi nello sforzo di diventare un’azienda “normale”. Naturalmente, produrre tecnologie per le energie rinnovabili anziché per l’energia nucleare o fossile rappresenta una differenza etica fondamentale per le aziende e i loro collaboratori. Ma a livello di economia aziendale devono fare i loro calcoli come tutte le altre aziende. Un dibattito sulle energie rinnovabili condotto solo come una discussione settoriale sull’“economia solare” si focalizza esclusivamente su considerazioni puramente energetico-economiche, e perde così di vista i valori sociali delle energie rinnovabili. Tutte le campagne contro le rinnovabili si focalizzano su considerazioni energetico-economiche e sono sempre state organizzate dall’industria energetica tradizionale che, con l’aiuto di istituti di scienze energetiche da loro incaricati, cercano di deviare l’attenzione dai problemi e dalle questioni fondamentali. Nel settembre 2010 l’associazione tedesca dell’energia e delle acque avviò una campagna contro la legge sulle energie rinnovabili. Furono affissi manifesti con lo slogan “il carbone (la grana) è quasi esaurito”, alludendo non al carbone come materia prima, bensì ai

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sussidi per le tecnologie solari destinati ai cittadini. Le domande, retoriche, si moltiplicavano: “Quanti incentivi solari sono sufficienti? Quanti sono troppi? Quando e come si avrà l’integrazione del mercato? Occorrono alternative alle energie alternative? E quali sono le risposte? La Germania è pronta per il dibattito energetico”. Altri slogan della campagna erano: “In Germania ci sarà buio solo se lo vorranno. Negli Stati Uniti ci sarà buio per 144 minuti all’anno, che lo si voglia o no”. L’implicazione di queste frasi è quindi: “È meglio assumersi tutti i rischi climatici e i rischi legati all’energia nucleare piuttosto che dover affrontare un paio di minuti di black-out energetico causati dalle energie rinnovabili! La quota di rinnovabili sarà troppo elevata e la sua introduzione deve essere concordata con noi! L’alternativa alle energie alternative è ciò che facciamo noi! La Germania è pronta ad arrestare l’espansione delle energie rinnovabili”. Se si considerano i 20 miliardi di euro di utili annui guadagnati dai quattro grandi gruppi energetici tedeschi e i costi sociali da loro causati, campagne di questo genere sono davvero sfrontate. Separano in modo artificioso i consumatori di energia dai cittadini, nonostante ogni consumatore di energia sia, senza alcuna eccezione, anche un cittadino che deve accollarsi i costi sociali pagando tasse e contributi assicurativi che non figurano in bolletta. Campagne di questo tipo mirano a delegittimare le energie rinnovabili, e possono avere successo solo se riescono a ridurre la discussione sulle rinnovabili a un dibattito sui prezzi. Puntano a rallentare il passaggio alle energie rinnovabili e a mantenere il monopolio nelle mani dell’industria tradizionale, bloccando così il movimento sociale a favore delle rinnovabili. Questo movimento vive grazie al fatto che finora non ha subito battute d’arresto significative. Lo sviluppo registratosi in Germania a partire dagli anni ’90, grazie soprattutto alla legge sulle energie rinnovabili, è diventato il motore e l’ispiratore del risveglio delle energie rinnovabili a livello internazionale. Ecco perché questo conflitto ha un’importanza mondiale. Se ci fosse un arresto temporaneo, questo potrebbe rallentare il movimento internazionale per le energie rinnovabili.

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Decisione sistemica Se si considera il punto che è già stato raggiunto, la Germania è l’arena del conflitto strutturale, poiché qui siamo ormai di fronte a una decisione di sistema. Già ai tempi della coalizione rosso-verde, quando cominciò il risveglio delle energie rinnovabili, si evitò di decidere. Vennero promossi entrambi i sistemi energetici, potenziandone il relativo peso, e così ora due treni corrono sullo stesso binario. Da un lato abbiamo la legge sulle energie rinnovabili, un forte programma di incentivi di mercato per le rinnovabili, una legge sulla cogenerazione, un programma di risanamento delle vecchie strutture energetiche, un’ecotassa che è rimasta scarsa e la legge sul graduale abbandono dell’energia nucleare. Dall’altro si è rimandata per anni la creazione di un’autorità per la regolamentazione della liberalizzazione del mercato dell’elettricità e del gas, si è stimolato il processo di concentrazione dell’industria energetica ed è stata approvata una legge sullo scambio di emissioni che ha incrementato di molti miliardi i margini di profitto dei grandi gruppi energetici. Per la legge sull’abbandono dell’energia nucleare è stato pagato un prezzo politico, chiamato “consenso”. Si tratta di una sorta di “divieto di lotta”, in base al quale i privilegi economici dei produttori di energia nucleare restano invariati. Comprende anche accantonamenti esentasse, il mancato versamento di una tassa sui combustibili nucleari e un’assicurazione di responsabilità civile che ogni anno garantisce al settore privilegi per circa 6 miliardi di euro. Il risultato pratico finora raggiunto con la legge sull’abbandono dell’energia nucleare è che i grandi produttori di elettricità continuano nel processo di accentramento e che il governo federale concede loro di non dover spegnere le centrali nucleari grazie a un prolungamento della loro durata di vita. L’“appello politico-energetico”, pubblicato nell’agosto 2010 su tutti i quotidiani tedeschi, riflette il pensiero dell’industria energetica tradizionale. Il linguaggio dell’appello, che occupava intere pagine dei giornali, tradisce la pretesa di godere della rappresentanza esclusiva e della “competenza unica” su tutte le questioni energetiche. Vi si potevano leggere frasi come “accettare la sfida: il futuro appartiene alle energie rinnovabili”, ma in fondo si specificava “prive di CO2”, contrabbandando così

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l’energia nucleare e le centrali con tecnologia CCS come “energie del futuro” insieme a quelle rinnovabili. Anche le sedi produttive delle energie rinnovabili erano già state definite: “L’energia eolica arriva dal Mare del Nord e dal mar Baltico, l’energia solare dall’Europa meridionale e forse prima o poi dal Sahara”. Si poteva poi leggere: “Il potenziamento delle rinnovabili richiede enormi investimenti, che devono essere forniti dalle industrie energetiche”, come se gli investimenti importanti in energie rinnovabili potessero arrivare solo da loro. Secondo gli autori dell’appello, la tassa sui combustibili atomici introdotta dal governo federale, così come l’ecotassa, “impedisce gli investimenti futuri”. Al contrario, l’impiego di energie nucleari e fossili porterebbe più rapidamente all’introduzione delle rinnovabili, perché i grandi produttori di elettricità vorranno senza dubbio concentrare i loro utili derivanti dall’energia nucleare e fossile sulle rinnovabili. L’inserzione prosegue poi con: “Molte delle nuove energie saranno prodotte lontanissimo dai centri dove si trovano i consumatori della Germania occidentale e meridionale”. Quindi sarebbe necessario “sviluppare e realizzare nuove reti elettriche potenti e intelligenti e accumulatori di energia”, per le quali occorrerebbero “meno burocrazia e autorizzazioni più rapide”. Questo è indirettamente un voto a favore delle supergrid, e ciò nonostante non si faccia parola del fatto che la maggior parte delle energie rinnovabili possono essere prodotte vicine ai consumatori. E conclude con: “Il cambio di paradigma energetico non può essere messo in atto dall’oggi al domani. Le rinnovabili necessitano di partner forti e flessibili. Tra questi figurano le più moderne centrali a carbone e l’energia nucleare... Un loro abbandono prematuro disperderebbe un capitale miliardario, a discapito dell’ambiente, dell’economia politica e degli abitanti del nostro paese”. Secondo gli autori dell’“appello politico-energetico”, i costi sociali ed ecologici dell’energia atomica e fossile non meritano di essere menzionati. In realtà, essi ubbidiscono al motto secondo il quale la civiltà mondiale è già finita in un circolo vizioso: bisogna favorire di più la crescita inquinante per avere i mezzi sufficienti a eliminare i danni causati dalla crescita. Una logica davvero perversa!

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Chi vuole spingere su un binario morto le nuove tecnologie, fino a quando quelle vecchie sono ancora in grado di funzionare, non fa altro che impedire il rinnovamento. Joseph Schumpeter, uno degli economisti più brillanti del XX secolo, parla della necessità della “distruzione creatrice” per spianare la strada alle innovazioni economiche. L’industria energetica consolidata è evidentemente esentata da questa necessità, per lo meno nell’opinione dei quattro colossi energetici tedeschi, che hanno sottoscritto l’“appello politico-energetico”. L’elenco comprende il presidente della Deutsche Bank e i presidenti del consiglio direttivo di BASF, Bayer e Thyssen-Krupp, che non si rendono conto di che cosa significherebbe se anche gli altri settori economici facessero valere la pretesa dei gruppi energetici di tutelare il loro patrimonio. Se così fosse, un governo dovrebbe garantire il massimo sfruttamento di tutti i centri di produzione di tutte le aziende, tenendo lontano dal mercato i concorrenti così da evitare la perdita di qualsiasi investimento. Si tratta di un’idea assurda, che cerca di rimandare gli investimenti indipendenti nelle energie rinnovabili e che rinuncia a dare speranze per il futuro alla società. La riconversione energetica è inevitabile, sia a causa dell’esaurimento delle fonti nucleari e fossili sia a causa delle esternalità associate al loro impiego. Tuttavia, per tale passaggio è inevitabile anche un cambio di sistema che deve essere programmato in anticipo ma che può essere arbitrariamente ostacolato. Per troppo tempo si è accettato che i grandi gruppi energetici, che si presentavano spesso e volentieri in nome “dell’economia” e che si assegnavano autonomamente un mandato politico, fossero i detentori del primato dell’approvvigionamento energetico a livello di gestione e competenza. L’emancipazione intellettuale e pratica dal sistema energetico tradizionale da parte della società, della sua economia che produce tecnologie e delle istituzioni politiche è quindi il requisito fondamentale per un rapido cambio di paradigma energetico. Solo così si potrà arrivare alla completa emancipazione tecnologica dalle strutture energetiche convenzionali. Completare e rendere vivibile questo passaggio adesso e non tra una generazione di uomini e una di centrali elettriche tradizionali ha un’importanza fondamentale per la storia della civiltà. Il cambio di sistema che deve essere realizzato ora è quindi uno di que-

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gli “imperativi etici da non prendere alla leggera” dei quali parla il filosofo Peter Sloterdijk in Devi cambiare la tua vita. “Gli apprendisti stregoni dell’organizzazione planetaria hanno dovuto sperimentare che l’incalcolabile anticipa i calcoli strategici”, per cui “non esiste un diritto che impone di affrontare solamente i problemi di cui si riesca a trovare la soluzione con gli strumenti di bordo”.84 Il rapido passaggio al 100% alle energie rinnovabili nascerà quindi dalla moltiplicazione di attori variamente motivati che rifiuteranno la logica sistemica del regime energetico tradizionale. La principale massima politica è: aprire questi spazi d’azione e ampliarli in modo costante. Per farlo sono necessarie due svolte urgenti. La prima consiste nel tradurre in stimoli economici i vantaggi sociali e di politica economica delle energie rinnovabili, almeno per come sono stati introdotti dalla legge sulle energie rinnovabili. L’istituzione di una tassa sulle emissioni sarebbe l’approccio giusto e riguarderebbe l’intero sistema di approvvigionamento energetico. La seconda consiste nel dare priorità alle energie rinnovabili anche nel piano urbanistico, così da liberare la strada da ostacoli burocratici anacronistici. A tutto il resto pensa quasi da sola la società con le sue forze economiche, soprattutto a livello comunale, e con le tecnologie che si sviluppano a livello industriale. Per riuscirci non occorre alcun “progetto generale politico-energetico” concordato con i grandi colossi e che prevede compromessi con i sostenitori dell’energia nucleare e delle centrali a carbone, bensì decisioni politiche che diano spazio a innumerevoli investimenti a favore delle transizione energetica. Se il cambio di paradigma energetico promosso dalla società avverrà velocemente è questione politica. L’imperativo energetico è: accelerazione finale.

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