Navi a perdere

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noir di ecomafia


Carlo Lucarelli Navi a perdere © 2008 by Carlo Lucarelli published by arrangement with Agenzia Letteraria Roberto Santachiara © 2008, Edizioni Ambiente S.r.l., via Natale Battaglia 10, 20127 Milano www.edizioniambiente.it; tel. 02 45487277

Progetto grafico: GrafCo3, Milano Tutte le edizioni e ristampe di questo libro sono su carta riciclata 100% Finito di stampare nel mese di novembre 2008 presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (Pg)

Gli autori devolvono una parte delle proprie royalties al progetto SalvaItalia di Legambiente. VerdeNero è una campagna di mobilitazione contro l’ecomafia e il silenzio che l’avvolge, un’occasione concreta per affermare nel paese una nuova cultura della legalità a difesa dell’ambiente.


carlo lucarelli navi



Fa quel rumore che fanno le navi quando stanno ferme, in mare. Ringhiano, muggiscono, gemono come quando ci si stira, ma non è un sospiro di sollievo, è un mormorio di dolore, metallico e contorto, e ti aspetti di sentire, prima o poi, lo schianto di qualcosa che si spezza. Sarà perché in mare non c’è mai niente di fermo, neanche una nave arenata in una secca, immobile come una balena sulla spiaggia. Nella fotografia il colore che risalta di più è il rosso. 5


C’è il bianco della schiuma delle onde che si infrangono contro gli scogli bassi della battigia. C’è il verde limaccioso di un mare che diventa blu più avanti, al largo, e lì ha ancora quel colore cupo, industriale. Ma quello che si nota di più, che salta subito agli occhi, è il rosso. C’è un ragazzo, in primo piano, che ha addosso una maglietta di quel colore, l’esatta tinta pastello, così umida e sfumata, che c’è sulla nave arenata davanti alla spiaggia. E c’è anche scritto, a piccole lettere bianche, sulla lamiera della poppa: “rosso”. Però non è tutta rossa, la nave. Lo era, una volta, adesso il colore che si vede nella foto le tinge soltanto il fondo, come il sedere di certe scimmie, lasciando il resto della chiglia, fino alla prua, di un bianco esangue da vampiro. Più che un cadavere sembra un fantasma. Piegata da una parte, come se si fosse appoggiata su un fianco, schiacciata da un’agonia infinita, immobile come possono stare immobili le cose nel mare, anche una cosa grande come una nave. Chis 6


sà se lo sente, quel ragazzo, il sospiro metallico di quella balena. Il rantolo vuoto che le attraversa la pancia. Il ragazzo è fotografato di spalle, le braccia inerti lungo i fianchi, la nuca e le gambe che spuntano da sopra e da sotto la macchia rossa della maglietta. Ma anche se non gli si vede il volto dà comunque l’idea di essere preoccupato. Di guardare quella nave con una punta di inquietudine. Ma forse non è vero, forse questa è una cosa mia. Probabilmente sono io che gli attribuisco questa inquietudine perché già la conosco la storia di quella nave. Ed è una storia che non mi piace. Restiamo ai fatti. Si fa presto a farsi prendere dalle emozioni e a giudicare tutto da una fotografia. I dettagli possono essere precisi al millesimo, ma non sono mai neutrali. Fanno da trampolino alla fantasia, che indirizzata da un’idea preconcetta, magari da un pregiudizio, piega da una parte, si infila in un tunnel e quando ne esce è diventata una teoria. 7


Dietrologia la chiamano. dietrologia (die•tro•lo•gì•a) s.f. (pl. –gìe) ~ Nel linguaggio giornalistico, la ricerca, talvolta ossessiva e cervellotica, nell’interpretazione o nell’analisi di fatti, eventi o comportamenti, spec. politici, di quanto ‘sta dietro’, cioè dei motivi veri o presunti che li hanno determinati o che essi nascondono. Comp. di dietro e – logìa. (Devoto-Oli, 2008)

In effetti è facile trovare delle connessioni. Ci sarà sempre una città che si trova a una distanza dalla piramide di Cheope che moltiplicata, sottratta, divisa ed elevata al quadrato fa 666, il numero della Bestia. Sarà un caso? Qualcuno che è passato da un luogo prima o dopo che sia successo qualcosa. Sarà una coincidenza? Un denominatore comune che lega gente diversa, tutti piduisti, o massoni, illuminati, templari, membri del rotary, del circolo delle bocce, amici di un amico di un amico di un amico di un cugino... Sarà un complotto? 8


c’è un Unico Disegno? E che dietro questo disegno c’è un unico Grande Vecchio? E chi è questo Grande Vecchio? Elvis Presley. Ecco, per esempio, capita che la gente muoia. È nell’ordine delle cose, prima o poi succede a tutti. E capita spesso che la gente muoia all’improvviso. Anche questo è nell’ordine delle cose, e così va la vita per legittimi, naturali e banalissimi motivi. Vuol dire che era arrivata la sua ora, si dice dalle mie parti, in campagna. Ora, capita che molta gente faccia cose importanti, sempre, e quando arriva la sua ora ecco che muore all’improvviso mentre sta facendo proprio una cosa molto importante. Tutto qui. Tutto qui? Vediamo. Restiamo ai fatti. E i fatti, in questa storia, sono questi. Il 12 dicembre 1995 è un martedì e sta piovendo a dirotto. Diluvia, proprio, con l’acqua che picchia 9


la spazzano via con il cigolio isterico e costante della marcia veloce, tutta la ghiera sulla leva di destra avanti, fino in fondo. Chi guida sta attaccato al volante, con gli occhi bene aperti, e non solo per la pioggia che brilla sul vetro, illuminata dai fari delle auto davanti, ma perché è notte, una notte buia di inverno, sono le undici passate da un pezzo. Corre, la Tipo, corre sulla Salerno-Reggio Calabria, che è un’autostrada su cui è sempre meglio stare attenti, e corre perché ha un sacco di strada da fare, ancora. Ne ha fatta, e anche in fretta, perché è partita da Reggio Calabria attorno alle sette di sera e adesso è già dalle parti di Nocera Inferiore, che sta vicino a Salerno, ma deve arrivare fino a La Spezia. Sono più di mille chilometri, undici ore. C’è da viaggiare tutta la notte, e sotto quella pioggia. Tutta una tirata, perché mangiare hanno già mangiato, si sono fermati dalle parti di Nocera, hanno cenato in fretta e sono ripartiti. Nell’auto sono in tre, uno al volante, uno seduto davanti e uno dietro. Quello seduto dietro, però, è strano. 10


addormentato. È una fortuna riuscire a dormire in macchina, soprattutto in un viaggio come quello. Però lui non dorme. Respira male, ha il volto lucido di sudore e tiene gli occhi socchiusi. E quando quello sul sedile davanti si volta e lo chiama, perché è strano quel dormire lì, non risponde, neanche quando l’altro allunga un braccio e lo scuote risponde, e il sudore che gli bagna la fronte e la faccia è un sudore di ghiaccio, freddo e cattivo. Quello al volante e quello sul sedile del passeggero non sono medici, sono militari. Anzi, sono Carabinieri, e quella Tipo, anche se ha una targa normale e un colore anonimo, è una macchina loro, un’auto civetta dei Carabinieri in forza presso la Polizia Giudiziaria della Procura di Reggio Calabria. E anche quello seduto dietro, con gli occhi socchiusi e il respiro affannoso, anche lui è un militare, anzi un marinaio. È un capitano di corvetta, comanda la Capitaneria di Porto di Reggio Calabria e si chiama Natale, Natale De Grazia. Bene, non sono medici i suoi compagni, sono militari, ma che il capitano De Grazia stia male lo 11


chiamano il 112 e intanto cercano di fare qualcosa. Tirano fuori Natale dall’auto, lo stendono sull’asfalto bagnato, gli tolgono la camicia e cercano di fargli un massaggio cardiaco, sotto la pioggia. Ma non serve a niente. L’ambulanza arriva, lo porta all’ospedale di Nocera ma il capitano di corvetta Natale De Grazia non ce la fa e muore. Arresto cardiocircolatorio. Va bene, succede che la gente muoia. Succede anche che muoia all’improvviso, mentre fa cose importanti. Perché il capitano di corvetta Natale De Grazia stava facendo una cosa molto importante. Restiamo ai fatti. E un altro fatto è questo. 14 dicembre 1990, questa volta è un venerdì, un venerdì mattina. Capo Vaticano è uno dei punti più belli della costa calabra, quella che sta dalla parte del Tirreno. 12


mare, però, e il mare cambia, può essere una macchia di olio blu come nelle fotografie dei depliant turistici o spaccarsi nelle creste nere di onde che fanno paura. Quel venerdì mattina c’è mare grosso perché c’è vento di maestrale forza 7. Quasi una bufera, bisogna stare attenti. Più o meno davanti alla costa di Falerna c’è una nave, che sta attraversando quello specchio di mare arrabbiato, da Capo Vaticano alle isole Eolie, sulla rotta che va a La Spezia. È una motonave da carico, navi Ro-ro, si chiamano: roll-on, roll-over, in inglese, perché caricano e scaricano auto e merci dalla rampa posteriore, ma le chiamano anche portacontainer, o più semplicemente traghetti. Lo scafo basso e piatto, il ponte che si stacca come un lungo becco dal blocco del cassero di poppa, che sembra un palazzo di quattro piani, un casermone di quelli da edilizia popolare di una volta. La ciminiera che ci sta sopra è squadrata e tozza, come un mattoncino di Lego. Il mattoncino è nero, con una stella bianca disegnata sopra, anche il casermone popolare è bianco, 13


opera morta, mascone, giardinetto, bolzone, tutto il resto è rosso. E infatti è così che si chiama quella nave, rosso, scritto a piccole lettere bianche, a poppa, dopo una scritta più grande che copre quasi tutta la fiancata, linea messina, che è il nome dell’armatore che possiede la nave, Ignazio Messina & Co., di Genova. Rotta: la Spezia-Napoli-Malta. E ritorno. Bene. Il 14 dicembre 1990, alle ore 7 e 55 di mattina, il comandante della Rosso – Luigi Giovanni Pestarino si chiama – si attacca alla radio e lancia un allarme. Il comandante Pestarino chiede aiuto perché la Rosso sta imbarcando acqua, dice che ne imbarca tanta e le cose si stanno mettendo male. Ci sono molte navi da quelle parti e ce n’è anche un’altra della ditta Messina, la Jolly Giallo. Si chiamano tutte così le altre navi della Linea Messina, Jolly Verde, Jolly Zaffiro, Jolly Corallo e così via. Intanto si sono fatte le 9 e 50, c’è un aereo della marina militare che sorvola la Rosso e arrivano anche tre elicotteri da Catania. I marinai della Rosso tagliano l’antenna radio 14


ché ce n’è un altro, un motorista della ditta Messina che si è aggiunto all’equipaggio, più il capitano Pestarino, che alle 10 e 30 abbandona, per ultimo, come è giusto, la nave. A questo punto la Rosso dovrebbe affondare. Dovrebbe inclinarsi sempre di più, e poi scivolare veloce verso il basso, un’ultima macchia di rosso tra le onde nere e poi più niente. Giù, adagiata sul fondo del Tirreno, a più di cinquecento metri di profondità, a lanciare i suoi muggiti metallici nel silenzio compatto del mare, come una balena. È già successo. È già successo altre volte, tante volte, e proprio lì, in quel tratto di mare. Però questa volta non va così. Non c’è mai niente di veramente certo, in mare. Ma soprattutto, non c’è mai niente di veramente fermo. Improvvisamente la Rosso si raddrizza. Da sola, sotto le raffiche di maestrale forza 7, spinta dalle onde, si tira su, fa mezzo giro su se stes15



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