Neomateriali nell'economia circolare – Automotive

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Neomateriali nell’economia circolare Automotive a cura di Roberto Sposini con i contributi di Emanuele Bompan, Mario Bonaccorso, Rudi Bressa, Luca D’Ammando, Sergio Ferraris, Marco Gisotti, Carlo Iacovini, Marco Moro, Daniela Palermo, Roberto Rizzo, Antonella Ilaria Totaro © 2018, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano www.edizioniambiente.it tel. 02.45487277, fax 02.45487333 Coordinamento: Anna Re Coordinamento editoriale: Marco Moro Redazione: Diego Tavazzi Progetto grafico: Mauro Panzeri Impaginazione: Roberto Gurdo Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’editore

ISBN 978-88-6627-218-2 Questo volume è composto in Sánchez, un carattere disegnato da Daniel Hernández nel 2011 Finito di stampare nel mese di luglio 2018 presso GECA S.r.l., San Giuliano Milanese (Mi) Stampato su carte Favini: copertina Biancoflash Premium 350 g/m2, interno Biancoflash Premium 120 g/m2. Stampato in Italia – Printed in Italy


NEOMATERIALI NELL’ECONOMIA CIRCOLARE

AUTOMOTIVE a cura di Roberto Sposini


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Prefazione di Roberto Giolito La sostenibile leggerezza dell’auto di Roberto Sposini

e processi 1 Materiali produttivi circolari 34

Circolare, circolare! (a circular joyride) di Emanuele Bompan

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Gli oli usati: la raccolta per la rigenerazione

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Il circuito chiuso dell’olio lubrificante

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Da rifiuto a risorsa: il ciclo virtuoso di RadiciGroup

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Non chiamatelo rottame

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La gomma riciclata fa correre la rivoluzione circolare

2 Biobased materials 98

L’automobile è biologica di Mario Bonaccorso

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L’auto biobased made in Canada

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Il biotech motore dell’industria dell’auto sostenibile

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Uno pneumatico smart e biobased che produce ossigeno

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3 Biofuels 134

Il futuro del carburante è bio di Sergio Ferraris

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Rifiuti con energia

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Il diesel del futuro è verde

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Olio fritto per un carburante green

4 Auto elettrica e a idrogeno 160

Quattro ruote a zero emissioni di Roberto Rizzo

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Batterie agli ioni di litio

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Nissan e la “conversione” elettrica

5 Da prodotto a servizio 192

Uso vs. possesso: l’automobile come servizio di Antonella Ilaria Totaro

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Mini-bus elettrico e a guida autonoma

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Fonti

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Gli autori

SOMMARIO


Dal catalogo Dinky Toys (Meccano Ltd.), 1950-1954. 6

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Dalla linea al cerchio

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Prefazione

di Roberto Giolito

Si parla sovente di mappe evolutive dell’automobile e, con sempre maggior chiarezza, con esse si arriva a descrivere tutto il contesto che includerà i veicoli in una visione integrata di prodotti offerti in chiave di servizi. Ci si è sempre chiesti dove andrà l’auto, quali saranno i fattori che ne influenzeranno i maggiori cambiamenti. Al contempo, persiste anche una certa mentalità di resistenza al cambiamento, come se i chiari segnali legati al sempre più evidente concetto di uso e non di possesso, espresso dalle nuove generazioni di consumatori, non stiano già tracciando l’identikit dei nuovi mezzi di trasporto, quelli, per intenderci, destinati ad assicurare un’adeguata mobilità a chi se ne serve per ragioni professionali o per necessità.

Roberto Giolito Laureato in disegno industriale a Roma nel 1985, entra al Centro Stile Fiat nel 1989. Nel 1994 inizia a sviluppare un concetto di monovolume compatta, che porterà la Fiat a presentare e produrre la popolare Fiat Multipla, che verrà esposta al MoMA di New York e al Design Museum di Londra. Nel 2007 debutta con la nuova Fiat 500, premiata anche con il riconoscimento di Car of the Year, e lo stesso anno è nominato capo del Design Fiat e Abarth di Torino. Nel 2015 ottiene l’incarico di responsabile della divisione Heritage di FCA Italy, per dirigere e coordinare le attività e la tutela del patrimonio di tutte le vetture storiche del Gruppo e i suoi marchi. Collabora in master con università e scuole di design, tra le quali il Royal College of Art di Londra, la Facoltà di Scienze dell’ambiente e territorio della Bicocca, il Politecnico Design di Torino, l’Istituto Europeo di Design e l’Istituto Arte Applicata e Design a Torino, la Scuola Politecnica Design e la Quattroruote Academy a Milano. Nel 2016 è stato nominato Ambasciatore dal Museo della Triennale di Milano, per promuovere la cultura del design italiano, in alcune tra le 100 ambasciate selezionate nel mondo per l’Italian Design Day del 2017. 8

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Nella mia esperienza di designer all’interno di una grande casa automobilistica, l’idea stessa di occuparmi di prodotti generalisti e di uso comune mi ha sempre attratto più di qualsiasi altro tema collegato ai prodotti della fascia speciale (oggi diremmo “Premium”), perché nei suoi brief di progetto vedevo interconnessi molti altri aspetti, legati: allo studio sulle abitudini; all’invecchiamento della popolazione con potere d’acquisto; ai ragionamenti sull’uso parsimonioso delle materie prime e agli studi sulla fine della vita funzionale del prodotto; all’organicità del layout calato nel contesto dell’urbanistica e degli spazi di azione disponibili; alla razionalizzazione dei processi produttivi; alla possibile semplificazione dei sistemi (non del progetto, che resta coinvolto nell’irreversibile incremento della complessità a cui andiamo incontro grazie allo sviluppo tecnologico e alla miniaturizzazione dei componenti); ... all’alleggerimento!

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Proprio dalla ricerca della leggerezza, e dal continuo approfondimento sull’aerodinamica, si sono definiti i pochi ma fondamentali elementi base che guidano quello che può essere descritto come il vero design avanzato del settore automobilistico. Poi seguono l’accessibilità, i fattori di efficienza degli spazi fruibili in abitacolo interconnessi con la gestione delle specifiche dinamiche, come la stabilità, la manovrabilità, il comfort, la visibilità (finché occorrerà), lo studio delle zone cosiddette grigie, cioè la percezione dei comandi, l’usabilità e le azioni di ingresso e uscita dal veicolo, lo psico-ambiente e la vivibilità a bordo (oggi diremmo sopravvivenza, visto l’alto carico cognitivo a cui un utente è sottoposto, dovuto all’incremento dei dispositivi residenti nell’automobile e di quelli che vi si apportano dall’esterno).


Tra i tanti progetti di cui mi sono occupato, mi è sempre piaciuto raccontare la mia visione su tutto questo attraverso delle realizzazioni di concept car che, pur affrontando temi differenti, potessero rappresentare in maniera plausibile e tecnicamente comprovata il lavoro svolto sulla leggerezza e sull’efficienza del veicolo in questione. Tra questi, l’estrema compattezza (1993, Fiat Downtown, 2,5 metri, 3 posti, guida centrale, motori elettrici integrati nelle ruote posteriori, facilità di ingresso e uscita in piedi); la convivialità e la praticità nell’uso di un’auto da famiglia (1996, Fiat Multipla, 6 posti più 500 litri di bagagliaio in 4,00 metri di lunghezza, modularità, costruzione affidata a macchinari controllati da dispositivi digitali); l’essenzialità in persona e la semplificazione del dismantling a fine vita (1999, Fiat Ecobasic, 4 posti, 750 chilogrammi di peso, 100 chilometri percorsi con 3 litri di carburante); la realizzazione del miglior layout della categoria 3 porte hatch-back del segmento A (2004, Fiat Trepiùno, linguaggio di forte evocazione della Fiat 500 storica, ergonomia e sicurezza tarate al top degli standard, entra in produzione come Fiat 500 nel 2007, in anticipo sull’entrata in vigore dei nuovi standard di sicurezza 5 stelle NCAP ed emissioni Euro 5). Ma quando si parla di leggerezza, di un concetto esteso di alleggerimento di ciò che si muove, che deve vincere un’inerzia e deve penetrare l’aria (anche se a velocità modeste, come per le vetture che si muovono prevalentemente in città), allora lo schema mentale di chi progetta e di chi compone il quadro strategico nel quale un nuovo prodotto tenterà di avere successo, si allinea di colpo a un bagaglio tecnico e metodologico enorme, un’eredità dei grandi luminari dell’automobile, fatta di progressi e, anche, di improvvisi ravvedimenti su ciò che si era appena scoperto, e dove, a volte, non basta un’intera carriera professionale per mettere assieme un nuovo paragrafo su come si progetta e si produce un veicolo più leggero ed efficiente di quello che si va a rimpiazzare. Ecco perché gli argomenti che Roberto Sposini ha messo insieme in questo libro rappresentano, più che un testo di lettura e di approfondimento, un carnet di strumenti operativi per chi affronta il progetto dell’automobile nel suo quadro più ampio, influenzato, mai come prima nella storia, da una presa di coscienza su cosa un veicolo rappresenti per la crescita, la libertà e l’emancipazione di una società intera. Soprattutto in questo preciso momento – descritto talvolta come l’era dell’accesso, delle nuvole di dati o della smaterializzazione dei prodotti – che è pur sempre bisognoso dell’ingegno e di soluzioni innovative capaci di abbinarsi alla perfezione a noi, esseri umani abitudinari e sempre più pigri, e alla qualità dell’ambiente in cui viviamo. Prefazione

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La sostenibile leggerezza dell’auto

di Roberto Sposini

Henry Ford posa accanto alla 10milionesima Model T prodotta, l’auto che ha cambiato per sempre la mobilità. Credit: Ford Motor Company.

Nella pagina accanto: 1960: siamo ancora lontani dalla prima crisi petrolifera, ma Panhard – dopo aver puntato sulla leggerezza con l’uso dell’alluminio per la Dyna Z – promuove la nuova PL17 già evidenziando i consumi ridotti. 10 franchi di benzina e il weekend è assicurato.

Immaginare il futuro della mobilità è un po’ come guidare con la nebbia, più guardi lontano e meno vedi. E se allora guardassimo indietro? O se guardassimo dentro, dentro quell’auto che vista ai raggi X sta cambiando nelle sue trame più intime, nella sua essenza, nei pertugi più invisibili all’occhio umano? In quel viaggio verso una leggerezza che non è solo fisica, diretta conseguenza di quelle restrizioni che il mondo le impone per ridurre il suo impatto. Ma che è anche concettuale, dove il rapporto uomo-auto, sempre più stretto e frequente negli ultimi cento anni, è destinato sempre più a diluirsi, in quel passaggio fra proprietà e utilizzo che renderà questo rapporto sempre meno esclusivo, privato. In una parola, più leggero. Eppure, prima di condurvi, nelle pagine di questo libro, attraverso l’affascinante viaggio dentro l’auto, un salto nel passato ci serve. Ci serve per capire il presente. Ma anche il futuro. E ci serve soprattutto per capire come mai l’auto sta cambiando a una velocità che cent’anni fa, nemmeno i futurologi più illuminati avrebbero immaginato. Proprio loro, che invece di cose, già nel 1918, ne avevano immaginate molte, spesso decisamente realistiche, su come sarebbe stato il XXI secolo. Sapevano che la corrente elettrica avrebbe avuto un ruolo sempre più strategico nella vita delle persone. Sapevano che gli spostamenti sarebbero diventati una vera ossessione per l’uomo, non importa se per mare, terra o cielo. L’uomo si sarebbe spostato, sempre di più. Di lì a poco i fratelli Wright avrebbero incantato il mondo con il loro aeroplano, già allora alle prese con la leggerezza; e se non fosse stato per l’ampio impiego del leggero alluminio, il loro Kitty Hawk non si sarebbe mai alzato da terra. Tutt’altro che leggera invece – il suo telaio era in longheroni di acciaio al vanadio – in quegli anni arriva la prima auto democratica della storia, anche la prima a essere costruita in catena di montaggio. Era la Model T; Henry Ford ne sfornava una ogni 93 minuti, 5.000 l’anno. Il peso allora non era un tema, bastavano il costo contenuto e la ragionevole sicurezza di partire sapendo che si sarebbe arrivati alla meta, asciutti, riparati e quasi sempre senza rotture. Cent’anni dopo, quella leggerezza, anche in Ford, acquista un peso decisamente diverso. E allora facciamo un primo balzo in avanti, 1918-2018. Seguiteci. Oggi negli Stati Uniti il modello Ford più venduto è l’F150, un pick-up di dimensioni, pesi e consumi a dir poco anacronistici. Oggi. Ma in Ford lo sanno bene che la leggerezza è un tema ineludibile. Così gli inventori della Model T, cent’anni dopo, pensano a una bambù car. “Il bambù è incredibile”, ha dichiarato Janet Yin, Materials Engineering Supervisor presso il Nanjing Research & Engineering Centre, Ford. “È vigoroso, flessibile, totalmente rinnovabile e abbonda in territori come la Cina e in molte altre parti dell’Asia.” Capito? Il bambù può combinarsi con materiali La sostenibile leggerezza dell’auto

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plastici per la realizzazione degli interni, resiste alla trazione e agli urti. E al calore, anche oltre i 100 °C. Ma del bambù e delle straordinarie caratteristiche di altre fibre vegetali avrete modo di scoprire molto fra le pagine di questo libro. Scoprirete anche che la leggerezza è il sostantivo che più spinge l’innovazione nel settore dell’automotive, che solo in apparenza sembra ancora concentrato sui sistemi propulsivi o sulle prestazioni. Ma che da anni guarda altrove. Guarda a consumi ed emissioni, ovvio. Ma guarda anche a una rivoluzione che ha volti e risvolti diversi. La guida autonoma, l’idrogeno, l’ibrido e l’elettrico. E poi quel lento passaggio fra possedere e usare, la voglia crescente di car sharing, seppur confinata ancora nelle grandi città. Insomma, siamo di fronte a una radicale trasformazione di un modello di consumo e di business. Come leggerete più avanti, non si tratta di una trasformazione né facile né indolore. Una cosa però è certa. La natura ci aiuterà. La ricerca sui nuovi materiali ci aiuterà. Perché servono nuove prestazioni. Più leggerezza. Serve robustezza legata a sostenibilità. Serve un uso delle risorse che tagli i consumi e aumenti la durevolezza. Riciclabilità e rinnovabilità saranno sempre più a bordo delle nostre auto anche quando, come vedremo, dell’aspetto che conosciamo oggi non avranno più nulla. Niente volante o pedali, niente ruote o leve del cambio. Non importa se avranno le ali (più avanti scoprirete quanto è concreta l’ipotesi...) e se faranno la spesa per noi (leggasi alla voce “blockchain”). In tutti i casi, i neomateriali saranno sempre più protagonisti della trasformazione. Entreranno – in realtà lo stanno già facendo – nei componenti delle carrozzerie, pervaderanno gli interni, trasformeranno gli pneumatici. Non è un caso se una rassegna mondiale come il Paris Motor Show 2018 ospita per la prima volta Mondial Tech, dedicato a tecnologia e innovazione con la sezione chiamata Material & Weight Reduction. È una rivoluzione lenta e per lo più invisibile. Un esercito di biopolimeri, di fibre di origine vegetale, animale o riciclate. Ma anche materiali derivati da scarti della filiera agroalimentare. E poi vetro, alluminio, acciaio e plastiche, anche loro daranno apporti sempre più consistenti all’alleggerimento dell’auto. Alcune delle fantasiose forme di mobilità immaginate dall’artista Jean-Marc Côté nel 1899. In fondo, i suoi taxi e postini volanti non erano così lontani da un possibile scenario futuro (vedi Airbus fra qualche pagina). Wikimedia Commons.

Questo libro vi porterà alla scoperta di una mobilità poco indagata. Perché indagare la sostenibile leggerezza dell’auto significa non fermarsi all’apparenza. Non basta il design, la prestazione. Non basta il prezzo o il marchio di un’auto. Serve un viaggio che entri nel sempre più diffuso concetto di sostituibilità. Serve la capacità di mettere a nudo quegli abitacoli in cui sempre più il comfort

dei materiali è legato alla loro resistenza e riparabilità. Bisogna comprendere il significato di durata e rinnovabilità dei materiali, a cui si lega il tema del loro costo, spesso un ostacolo difficile da superare. E ancora: il significato complesso di remanufacturing, il valore crescente della riciclabilità, già oggi più dell’80% del materiale che compone un’autovettura è integralmente riciclabile, inclusi olio, batterie e pneumatici. Esempi virtuosi? Kia, fra i primi cinquanta nella classifica Best Global Green Brands di Interbrand, ricicla il 93,7% dei materiali di scarto, riduce ogni anno 12

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la quantità di materie prime utilizzate per ogni singola vettura, riutilizza gli scarti di vernici e solventi, riduce l’utilizzo di acqua e recupera il vapore condensato utilizzato nei processi produttivi. Ecco, a tutto questo serviranno queste pagine. Un viaggio, chiaro e documentato, intrigante e denso di dettagli insospettabili. Ma prima di partire, torniamo nel passato. A quella Model T, all’inizio della democratizzazione dell’auto. Già allora le conseguenze di quanto sarebbe successo erano abbastanza chiare. Nel mondo occidentale ogni famiglia avrebbe posseduto un’automobile, lo sapevano già i futurologi nel 1918. E a giudicare da come sono ridotte le nostre città oggi, la previsione era al ribasso. Almeno fosse andata come aveva immaginato Jean-Marc Côté, il geniale illustratore francese; avremmo avuto sottomarini trainati da balene e mezzi volanti appesi a grandi uccelli. La mobilità sostenibile sarebbe una realtà da tempo. E invece... Le conseguenze di quella mobilità diffusa, democratica, ancora oggi in preoccupante crescita (pensate alla Cina, che con 28,8 milioni di autovetture vendute nel 2017 – di cui per fortuna 800.000 elettriche, un primato mondiale – rappresenta da sola quasi il 41% dell’intero mercato mondiale), erano già note. Nel 1896 lo scienziato svedese Svante Arrhenius l’aveva detto: il raddoppio della concentrazione di CO2 nell’atmosfera causerà un aumento della temperatura del pianeta fra 5 e 6 °C. Era noto che tutto il carbone bruciato dalle industrie avrebbe infranto il limite nel giro di qualche secolo. Carbone e derivati del petrolio, prima o poi, sarebbero diventati un problema. Si sapeva. Sarebbe bastato ascoltare Alexander Graham Bell, l’inventore del telefono; lui, che nel 1917 immaginava già l’utilizzo del sole, delle onde e delle maree per produrre energia pulita. L’avessero ascoltato, oggi il viaggio verso la sostenibile leggerezza dell’auto sarebbe meno accidentato. Accidentato, pieno di asperità e di incertezze: è questo il viaggio che ci attende verso la mobilità del futuro. Perché se gli ultimi cento anni sono stati abbastanza prevedibili, i prossimi cento lo saranno meno. Scettici? Proviamo insieme a immaginare alcuni scenari. Mai sentito parlare della Passenger Economy? Già, proprio così: nell’incertezza del futuro, mentre l’industria dell’auto si arrovella per capire come e quando sarà finalmente possibile affidarsi alla guida autonoma, c’è chi, come Intel (sì, proprio la multinazionale statunitense dei processori e dell’IoT), è già un passo avanti. E oltre a piazzare eserciti di chip nelle future auto autonome, si preoccupa già di come monetizzare l’inattività dei guidatori quando diventeranno passeggeri. Capito signori? Secondo Intel,

Oggi negli Stati Uniti il modello Ford più venduto è l’F150, enorme, pesante, inquinante. Ma la stessa Ford sta inseguendo la leggerezza; fra gli studi, quello affascinante di una bambù car, in corso presso il Nanjing Research & Engineering Centre.

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quando noi viaggeremo sui sedili posteriori, in quell’inevitabile evoluzione della specie che ci allontanerà sempre più da volanti, cambi e pedali, per le aziende si aprirà un’opportunità economica da 7.000 miliardi di dollari. Tanto varrà l’economia dei passeggeri, quella Passenger Economy che secondo un recente studio condotto dalla società di analisi Strategy Analytics, che esplora le potenzialità di natura economica che si realizzeranno nel momento in cui i guidatori di oggi diventeranno i passeggeri di domani, prevede una crescita economica esplosiva: da 800 miliardi di dollari nel 2035 a 7.000 miliardi di dollari nel 2050. Perplessi? Non dovreste. D’altro canto la storia ha dimostrato che la tecnologia è stata spesso il catalizzatore di trasformazioni radicali della società. E chi non si adatta, si estingue. Internet, la connettività, gli smartphone, hanno già dato origine a economie interamente nuove. Ecco, la guida autonoma avrà gli stessi effetti. Quali? Le auto diventeranno i dispositivi mobili che genereranno la maggiore quantità di dati, come gli smartphone ma con le ruote e potenzialità maggiori. La guida autonoma e le smart city, le città intelligenti, non modificheranno solo la mobilità o le nostre abitudini, ma rivoluzioneranno interi settori. Peggio (o meglio?): ne inventeranno di nuovi. Noi avremo più tempo e, soprattutto, nuove risorse mentali da impiegare. Case automobilistiche, investitori, policy maker e start-up sono avvisati, “l’annuncio di oggi è un campanello d’allarme mondiale per mettere al lavoro le menti migliori su questa sfida, così come fu la corsa allo spazio negli anni Sessanta”. Le parole di Greg Lindsay, urbanista e futurologo della mobilità, contengono tutta la forza di quel progresso tecnologico che plasmerà il nostro futuro, ben oltre la mobilità, ben oltre l’impatto di quella Ford Model T cent’anni fa. Che se ne dica, la diffusione di veicoli con funzionamento realmente autonomo non arriverà prima del 2040. C’è tempo per preoccuparsi. E gli scenari cambieranno ancora, fluidi e veloci come mai nella storia della mobilità. Ma la leggerezza, vedrete, quella sarà sempre un elemento centrale. Lo era già negli anni Quaranta, quando le prime Jaguar XK120 utilizzavano pannelli di alluminio, quando le C-Type e D-Type che dominavano a Le Mans negli anni Cinquanta avevano chassis e carrozzeria in alluminio. Oggi tutte le Jaguar hanno “pelle” e motori in alluminio, riciclabile e di un terzo più leggero dell’acciaio. Il vantaggio? Ogni 100 chili di peso risparmiati riducono le emissioni di CO2 di 9 g/km e migliorano i consumi fino a 800 litri nell’arco del ciclo di vita di un’auto. Lo sarà, di nuovo, quando l’evoluzione dei servizi dei veicoli senza pilota genererà 200 miliardi di dollari di ricavi (a dirlo è sempre lo studio commissionato da Intel). Lo sarà, ancora, quando secondo stime prudenziali, fra il 2035 e il 2045, 585.000 vite umane potranno essere salvate grazie ai veicoli che si guidano da soli e alla Passenger Economy. Perché i veicoli a guida autonoma fra vent’anni saranno lontani anni luce dalle auto di oggi. Saranno capsule di trasporto esperienziali, saloni di bellezza mobili, uffici in movimento, fast food per pranzi informali. Saranno cliniche mobili. Saranno hotel in movimento, per chi vorrà addormentarsi a Milano e svegliarsi a Londra senza mai scendere dal letto. O, più probabilmente, assomiglieranno a Sedric, la “self driving car” elettrica di Volkswagen: oggi già pronta per la guida autonoma di livello 5, il più avanzato, quello in cui volante e pedali nemmeno esistono. Un veicolo (auto pare stonato) che vi viene a prendere sotto casa grazie a un’app, zeppa di infotainment, comandi vocali e gestuali. Chi ci è già salito (come chi scrive), descrive l’esperienza come “magica”, silenziosa, rilassante. Insomma, quando sarà, sarà un nuovo modo di muoversi. Il prezzo da pagare? La privacy. Forse per allora il termine suonerà persino desueto. Inutile opporsi, il processo, già iniziato, è irreversibile. Nelle nostre capsule, leggere, efficienti, ci propineranno contenuti multimediali, annunci pubblicitari che terranno conto della nostra posizione e dei nostri 14

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Si chiama Brain-to-Vehicle la tecnologia sviluppata da Nissan che potrebbe riscrivere il futuro della guida. Presentata in occasione del CES di Las Vegas 2018, si tratta di una tecnologia che consente ai veicoli di apprendere dalla mente umana.

Il progetto anticipa un futuro in cui i veicoli potranno interpretare i segnali emessi dal cervello. Quando (e se) sarà, saremo di fronte alla totale ridefinizione dell’interazione tra esseri umani e automobili. Fra i vantaggi possibili, la riduzione dei tempi di reazione dei conducenti, con notevoli vantaggi per la sicurezza.

“Quando si parla di guida autonoma, quasi tutti pensano a un futuro molto impersonale, in cui gli esseri umani delegano il controllo ai veicoli. Invece la tecnologia B2V va esattamente nella direzione opposta, perché sfrutta i segnali del nostro cervello per rendere la guida ancora più emozionante e godibile”, ha spiegato Daniele Schillaci, Executive Vice President di Nissan.

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gusti. Inserzionisti e agenzie ci bombarderanno di messaggi più e meglio di quanto Google e Facebook non facciano già oggi. La nostra auto, qualunque forma essa avrà, di noi conoscerà tutto, ascolterà le nostre conversazioni, leggerà nella mente i nostri desideri (Nissan ha già dimostrato che è possibile, oggi, non fra mille anni; la tecnologia si chiama Brain-to-Vehicle e permette ai veicoli di interpretare i segnali emessi dal cervello umano, praticamente di leggerci nel pensiero. Come funziona? Il nostro cervello emette degli impulsi durante la guida. L’auto li mappa, li abbina a dei desideri, o ai movimenti, et voilà, ecco l’auto che anticipa, apprende e impara i desideri del pilota. Mica quisquilie, come avrebbe detto il grande Totò.) La mobilità trasformerà il lavoro, uffici e appartamenti come li conosciamo oggi potrebbero estinguersi. E, a sorpresa, i primi luoghi della terra in cui tutto questo avverrà, potrebbero non essere le metropoli di oggi, troppo pesanti, eredi di stratificazioni urbanistiche complesse. Anche qui serve leggerezza. Le città che sapranno prima e meglio ospitare la mobilità del futuro saranno le nuove smart city. E c’è chi scommette che quelle città non saranno i centri del potere di oggi. Seguiteci. Non ci sono molte metropoli in Occidente in grado, velocemente, di creare l’infrastruttura necessaria a supportare le auto a guida autonoma. Pensate però alle Filippine, all’Africa, a certe regioni della Cina. Molto probabilmente la mobilità del futuro nascerà lì, dal nulla. In quelle parti del mondo più “leggere”, senza eredità, dove sarà più facile ripensare integralmente nuovi modi per muovere persone e merci. Nelle nostre città fra trent’anni non si potrà più possedere un’auto privata. Nessun problema, almeno se andrà come sostiene da tempo Bob Lutz, presidente di General Motors fino al 2009: “L’industria dell’auto è già spacciata. Chi oggi possiede un’auto se ne disferà entro cinque anni”. Al loro posto ci sposteremo con moduli a guida autonoma, ripete a tutti Lutz. E come lui la pensano quelli della start-up italiana Osvehicle, oggi OpenMotors, che pensa proprio ad auto modulari con progetti open source, scaricabili e migliorabili da tutti. Quante incertezze sul futuro della mobilità. Ma l’incertezza genera il nuovo, il non convenzionale. Sembra così, in molti ambiti. E quella nebbia di cui si diceva, quella che crea incertezza e poca visibilità sulla mobilità del futuro, oltre che un limite può diventare una risorsa. Perché mentre l’industria automobilistica tenta di decodificare un possibile futuro, nel clima di incertezza si creano nuove opportunità, player “unconventional”, giocatori liberi, start-up, chiamateli come volete. Alcuni li abbiamo visti. Altri li vedrete raccontati nelle prossime pagine. Gente non convenzionale con idee non convenzionali. Perché se la domanda del mercato è chiara, veicoli che consumino e inquinino meno, più leggeri, sicuri ed efficienti, la strada per i costruttori di auto è ancora lunga. Già, e la passione? Che fine farà la passione per l’auto come la conosciamo oggi? Che fine faranno le supercar con l’avvento della guida autonoma? Resisteranno. Muteranno. “Ma non perderanno mai volante e pedali”, sostengono in Lamborghini. Dove la supersportiva del futuro l’hanno già immaginata. Si chiama Terzo Millennio, è elettrica (ma con un supercondensatore che garantirà una densità di potenza straordinaria), emozionante e, guarda caso, leggera. Già, anche per Lamborghini la riduzione del peso grazie all’utilizzo di nanomateriali è centrale. C’è di più: la Terzo Millennio, grazie a speciali nanocariche in grado di immagazzinare l’energia elettrica, avrà la capacità di effettuare un’auto-diagnosi della carrozzeria, rilevando crepe e danni e “autoriparando” i piccoli danni. Quanto alle emozioni di cui si diceva, anche su questo in Lamborghini hanno le idee chiare: “La propulsione elettrica richiede una nuova definizione del suono che possa sostituire quello dell’attuale V12”. E se volante e pedali quasi certamen-

Nella pagina accanto, in alto, e sopra, Sedric, l’auto autonoma secondo Volkswagen. Concepita, sviluppata e costruita in collaborazione con il Future Center Europe e il Group Research di Wolfsburg, è già pronta per la guida autonoma di livello 5, quello in cui l’uomo non interviene in alcun modo sulla guida.

Nella pagina accanto, in basso, e qui sopra, EDIT, la prima auto elettrica a guida autonoma modulare “open source” per flotte personalizzate e adattabili a diverse necessità di trasporto (OSVehicle). La sostenibile leggerezza dell’auto

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Nel futuro passione e divertimento potrebbero avere le forme affascinanti della Lamborghini Terzo Millennio. Elettrica, leggera, è realizzata con nanomateriali in grado di monitorare l’intera struttura in fibra di carbonio, di rilevare i possibili danni e di auto-ripararli.

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