Piccolo manuale di resistenza contemporanea

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Cyril Dion

PICCOLO MANUALE DI RESISTENZA CONTEMPORANEA Storie e strategie per trasformare il mondo


Cyril Dion Piccolo manuale di resistenza contemporanea Storie e strategie per trasformare il mondo © Actes Sud, 2018 © 2019, Edizioni Ambiente Via Natale Battaglia 10, 20127 Milano www.edizioniambiente.it tel. 02.45487277, fax 02.45487333 Coordinamento editoriale: Marco Moro Traduzione: Bérénice Capatti Redazione: Arianna Campanile, Diego Tavazzi Grafica e impaginazione: Roberto Gurdo Progetto grafico: Mauro Panzeri In copertina: elaborazione di Mauro Panzeri Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’Editore. ISBN 978-88-6627-275-5 Finito di stampare nel mese di agosto 2019 presso GECA S.r.l., San Giuliano Milanese (Mi) Stampato in Italia – Printed in Italy Questo libro è stampato su carta certificata FSC®


5 Prefazione di Roberto Cavallo

13 Premessa 19

1. È peggio di quanto credete

33

2. Ogni gesto conta se...

51

3. Cambiare storia per cambiare la storia

57

4. Cosa regge la narrazione attuale

81

5. Costruire nuove narrazioni

107

6. Quando arriva la rivoluzione?

127

7. È ora di scegliere

133

E adesso?

137 Fonti 139 Note 147 Ringraziamenti



Prefazione

Ho ripreso la lettura del testo di Cyril Dion più e più volte. Sono tornato spesso indietro per cercare di interpretare al meglio il suo pensiero. Ho rianalizzato le sue pagine per provare a capire quanto ci fosse di mio, quanto la storia che si stava svolgendo attorno a noi fosse aderente alla sua narrazione. E così parto dal fondo: il testo di Cyril Dion è quel giusto mix che, a mio avviso, serve per passare davvero all’azione per cambiare le cose. Un testo che, dopo aver rapidamente svelato cifre e numeri, quelli che l’autore definisce come “una solida base alle nostre riflessioni”, sposta il ragionamento sulle difficili leve psicologiche e sociologiche che dovrebbero farci agire in un certo modo e invece paiono farci muovere nel verso opposto. Riprendo allora la scrittura della prefazione ripartendo dall’inizio. Già il titolo del primo capitolo, “è peggio di quanto credete”, proprio nel corso dell’anno passato tra la sua pubblicazione in Francia e l’idea di pubblicarlo in Italia, si dimostra quanto mai vero, anzi aggiungerei che “la situazione peggiora di giorno in giorno”. Infatti l’autore scrive: “Vediamo già le conseguenze del riscaldamento, come l’iceberg grande 55 volte Parigi che si è staccato dall’Artico nell’estate del 2017, come le temperature di 20 °C sopra la media nel gennaio del 2017 in Antartide, come il record assoluto mai registrato sulla Terra nel 2016, o l’altro record di quaranta episodi del genere “uragano” in agosto-settembre del


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2017” e conclude “ma ciò che ci aspetta si preannuncia ancora più spaventoso”. Ed è esattamente ciò che è accaduto nell’ultimo anno. Un periodo di siccità, tra gennaio e aprile 2019, che ha portato un deficit idrico, di oltre 15 miliardi di metri cubi d’acqua nel Po. A maggio 2019, mentre sul bacino mediterraneo le temperature si sono abbassate, in Spagna superavano ampiamente i 30 °C e in Siberia erano oltre i 20 °C. Tra fine giugno e inizio luglio sono state registrate nel sud della Francia le temperature più alte mai registrate in Europa (superati i 46 °C) e in Alaska si superavano per la prima volta nella storia i 30 °C. Mentre scrivo violenti nubifragi devastano la costa adriatica italiana, e alcune zone della Grecia sono interessate da una forte perturbazione che ha causato 6 vittime e oltre 30 feriti. La meteorologia sta riclassificando i Medicane, i cosiddetti Cicloni tropicali mediterranei, che sempre più assomigliano a quelli che devastano regioni a noi lontane. Ma conoscere questi dati, assistere a fenomeni sempre più aggressivi, constatare perfino l’aumento di morti, spesso famigliari e amici, dunque a noi vicini, pare non essere sufficiente per farci cambiare stile di vita. Un po’ come il conoscere i danni causati dal fumo non induce i fumatori a smettere. Cyril Dion ci accompagna in una riflessione, a mio parere interessante e utile, tra cosa ha senso fare come singoli e cosa fare insieme, ci tiene per mano facendoci riflettere su come far coesistere quel delicato equilibrio tra la responsabilità del singolo e l’azione collettiva: e non potrebbe essere altrimenti da parte di uno come lui che ha fondato una Ong battezzandola Colibrì!


Prefazione 7

Ecco un’altra cosa che mi accomuna a Cyril: la goccia in bocca al Colibrì! Quella favola africana che tante volte ho raccontato agli studenti e alle persone che ho incontrato. Quella favola cantata dagli Yo Yo Mundi su un testo scritto dai ragazzi del liceo classico Cesare Balbo di Casale Monferrato, sotto la guida del professor Fabrizio Meni, “sono la goccia d’acqua che scava la coscienza, faccio la mia parte con metodo e pazienza [...] sono la goccia d’acqua che porto in dono, faccio la mia parte, non ho ma sono”. Oggi più che mai l’incendio è davvero da spegnere, non solo a suon di metafore! E per farlo ognuno deve portare la propria goccia, assumersi il proprio pezzo di responsabilità. Questa è la chiave di lettura del testo di Cyril Dion: ognuno insieme a una moltitudine; riscoprirci umani in questo equilibrio tra il singolo e la propria comunità. Un concetto espresso da un altro francese, Jacques Attali, culturalmente distante da Dion, ma con il quale esistono molti punti di contatto. Più volte mi sono trovato a sottolineare come oggi siamo in una fase storica di transizione, anche del pensiero economico, e facciamo fatica ad abbandonare il vecchio per il nuovo; così l’economia circolare o la sharing economy, o la blue economy o l’economia relazionale, non devono solo essere esercizi lessicali per ribattezzare piccoli cambiamenti di dettaglio dell’economia lineare figlia del capitalismo, ma richiedono una vera metamorfosi che ci traghetti dalla linearità del bruco alla libertà della bellezza del volo di una farfalla. Per compiere questa metamorfosi dobbiamo lasciar agire sul sistema economico quegli enzimi in grado di masticarne fino in fondo i paradigmi per ricomporli e farli rinascere in altra forma.


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Io credo che uno di questi cambiamenti necessari debba coinvolgere il concetto di responsabilità e per questo anche qui non basta aggiungere aggettivi al sostantivo, non è una questione di responsabilità estesa o condivisa, ci vuole corresponsabilità. Cyril sostiene, a mio modo di vedere in maniera efficace, che questo cambio deve avvenire attraverso una nuova narrazione, un nuovo modo di raccontare e di costruire la storia. Cyril avvicina così le scienze umane alla tecnologia e sostiene come non sia possibile cambiare davvero il nostro futuro e il futuro dei nostri figli senza costruire una nuova architettura della narrazione: “Cambiare storia per cambiare la storia”. L’attuale architettura della narrazione, che ci accompagna fin da quando siamo bambini, si articola in passaggi che anziché assicurarci la libertà ci imbrigliano in un modello che finisce per imprigionarci: guadagnarci da vivere, vivere per divertirci, rispettare le leggi, con l’illusione di essere liberi. Cyril Dion ci fa riflettere sui limiti dell’attuale gestione mondiale delle risorse, della politica e degli equilibri globali, in cui la ricchezza, e dunque la nostra libertà, è in mano a pochissime persone. Mentre questo tema non è certo una novità, peraltro interpretata da mondi politicamente anche molto distanti ideologicamente, ritengo che la soluzione proposta dall’autore sia innovativa: “Cambiare il nostro racconto personale è un atto di resistenza particolarmente potente”. Abbiamo dati scientifici sufficientemente solidi provenienti da migliaia di ricercatori di tutto il mondo che ci consentono di intravedere che stiamo correndo, sempre più velocemente, verso una catastrofe. Ci restano pochi anni per agire, ci avverte Cyril Dion, e non cambieremo davvero le cose se non agiremo in milioni


Prefazione 9

attraverso una cooperazione tra cittadini e politici per superare l’influenza delle potenze finanziarie e il motore più potente per permettere questa mobilitazione è proprio nella capacità narrativa. Secondo Cyril Dion accanto agli imprenditori e i tecnici che dovranno cambiare la loro capacità di raccontare saranno i film, i fumetti, la pittura o le opere grafiche ad aiutare questo cambiamento nella narrazione, arrivando a scrivere una nuova storia che ispirerà soprattutto se non avrà come obiettivo quello di convincere né di evangelizzare. Sono proprio le leve emozionali che, dal palco della COP 24 a Katovice, è riuscita a toccare Greta Thunberg, pochi mesi dopo. Una nuova fonte del messaggio, un nuovo stile narrativo, nuove parole chiave: “Ho quindici anni e vengo dalla Svezia. Molte persone dicono che la Svezia sia solo un piccolo paese e a loro non importa cosa facciamo. Ma io ho imparato che non sei mai troppo piccolo per fare la differenza. Se alcuni ragazzi decidono di manifestare dopo la scuola, immaginate cosa potremmo fare tutti insieme, se solo lo volessimo veramente. Ma per fare ciò dobbiamo parlare chiaramente, non importa quanto questo possa risultare scomodo. Voi parlate solo di una crescita senza fine [...] perché avete paura di diventare impopolari. Parlate solo di andare avanti con le stesse idee sbagliate che ci hanno messo in questo casino. [...] Ma non mi importa risultare impopolare, mi importa della giustizia climatica e di un pianeta vivibile. [...] Se avrò dei bambini probabilmente un giorno mi faranno domande su di voi. Forse mi chiederanno come mai non avete fatto niente quando era ancora il tempo di agire. Voi dite di amare i vostri figli sopra ogni cosa, ma state rubando loro il futuro davanti agli occhi.”


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L’autore arriva a farci immaginare un nuovo modello educativo, “Immaginate, per esempio, un mondo in cui fin dalla più tenera età i bambini imparino la collaborazione, in cui oltre alla matematica, la grammatica e la storia, si insegni loro a comunicare con gli altri, a esprimere i propri bisogni, a risolvere i conflitti. Immaginate che imparino non solo l’igiene fisica attraverso lo sport, la doccia e il lavarsi i denti, ma anche l’igiene psichica con la pratica della piena consapevolezza, della comunicazione non violenta, delle terapie comportamentali”. Certo siamo sempre nel paradosso del “abbiamo poco tempo” e “puntiamo sulle scuole” e il “militante agguerrito replicherà che non abbiamo tempo di fare piccoli passi e che la situazione è troppo grave e seria. Che è troppo tardi.” Ma Cyril Dion, proprio come me ha sempre un esempio di speranza che lo rende persona sorridente e ottimista: “si proponeva ad alcuni volontari di meditare venti minuti sull’altruismo ogni giorno. Dopo sole quattro settimane i ricercatori hanno osservato modifiche funzionali del cervello, cambiamenti comportamentali – più collaborazione, comportamenti prosociali, aiuto reciproco – e strutturali. Le zone del cervello più sollecitate quando proviamo empatia, amore materno e più in genere emozioni positive erano leggermente più ampie” proprio come l’allenamento dei muscoli delle braccia in palestra! Come afferma Matthieu Ricard “l’altruismo è il filo di Arianna che lega a breve termine l’economia, a medio termine la qualità della vita e a lungo termine l’ambiente. Senza l’altruismo non c’è nessun sistema intellettuale capace di tenere in considerazione i tre livelli”. di Roberto Cavallo


Dobbiamo passare al più presto da una società rivolta alle cose a una società rivolta alle persone. Quando macchine e computer, profitto e diritti di proprietà sono ritenuti più importanti delle persone, il trio dei giganti – razzismo, materialismo e militarismo – non può essere sconfitto. Martin Luther King Jr.

“Oltre il Vietnam. Il momento di rompere il silenzio”, discorso pronunciato a New York il 4 aprile 1967.



Premessa

“Perché il suo discorso non lascia il segno? In che modo convincere la gente come me, che avrebbe voglia di cambiare le proprie abitudini ma non ci riesce?” È il 9 dicembre del 2005. Siamo sul set di un programma televisivo molto conosciuto. Dall’altra parte dello schermo, tre milioni di telespettatori guardano il dibattito, probabilmente con occhio distratto. Sulla poltrona di fronte a me Yann Arthus-Bertrand sembra sconfortato. Da parecchi minuti la giornalista che è lì per commentare i nostri film* – eletta di recente miglior intervistatrice francese – ci sta addosso. Accanto a lei lo scrittore-cecchino, chiamato a fare altrettanto, mantiene un’espressione scettica. Lei prosegue, rivolgendosi a me. Il film è patinato, la gente che mostriamo troppo perfetta. Quando l’ha visto si è sentita soffocare: “Mi è venuta solo voglia di prendere l’aereo, farmi un bagno pieno di schiuma e mangiarmi una bella bistecca”.1 Sostiene che non ci poniamo nel modo giusto. Che non le facciamo venire voglia di agire per evitare la catastrofe ecologica. Come se fosse nostra responsabilità scuoterla. Conservo un ricordo strano di quel momento. Le parole che pronunciavo erano come ovattate, ricoperte. È strano, pensavo, come questi discorsi (sul collasso ecologico) vanno da soli in certi contesti e facciano un buco nell’acqua in altri... Alcuni mesi dopo, il pubblico aveva parzialmente smentito la teoria di Léa Salamé. Il discorso che avevamo proposto in Domani *  Yann Arthus Bertrand era appena uscito con il film Terra e io avevo girato il documentario Domani con Mélanie Laurent.


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era arrivato alla gente. Perlomeno al milione e duecentomila persone che erano andate a vederlo nelle sale. Dopodiché il film era uscito in trenta paesi, aveva vinto un premio César. Ogni giorno ricevevamo messaggi di persone che ci raccontavano ciò che avevano fatto dopo essere uscite dal cinema: iniziato a fare il compost, creato una moneta locale, cambiato mestiere... Avevamo raccontato una storia “che fa bene”, a detta loro. Avevamo “ridato speranza”, li avevamo “ispirati”. Eppure quell’avversaria di una sera non aveva tutti i torti. Nel complesso noi ecologisti non riusciamo a trasmettere il nostro messaggio. Per lo meno non abbastanza. Nonostante tutti gli sforzi che facciamo, la situazione continua a peggiorare con sconcertante rapidità. A riguardo, l’estate del 2017 ha battuto tutti i record: giganteschi iceberg che si staccano dalla banchisa, uragani di intensità mai vista, temperature massime mai registrate sulla Terra, inondazioni micidiali in India, incendi catastrofici in Portogallo e California, studi uno più allarmante dell’altro... E il famoso articolo di David Wallace-Wells di cui parlerò più avanti. Anche a essere animati da un’incrollabile fede nell’umanità, nelle sue capacità di far fronte al peggio per opporvi il meglio, non essere terrorizzati da ciò che ci aspetta nei prossimi decenni denota o uno spensierato ottimismo o una notevole audacia. Leggendo tante notizie catastrofiche, per anni il nostro impulso è stato quello di lanciare l’allerta ancora e ancora... È inevitabile constatare che non serve. Snocciolare informazioni, postarle freneticamente sui social network, organizzare campagne, fare ciò che noi, attivisti, Ong, stampa specializzata, ci sfianchiamo a fare da anni è utile ma complessivamente inefficace. Per quanto possa parere incredibile a tutti quelli che percepiscono l’urgenza assoluta della questione ecologica, questi argomenti non riscaldano le folle. Certo, negli ultimi vent’anni l’attenzione rivolta alla protezione del pianeta è progredita, si può anche dire che non sia mai stata tanto grande. Eppure, le


Premessa 15

mobilitazioni contro il cambiamento climatico sono tanto deboli da risultare ridicole. La marcia più rilevante degli ultimi anni, organizzata a New York nel mese di settembre del 2014, ha riunito 300.000 persone, nonostante la risonanza mediatica e la sfilza di star americane del cinema che si erano messe alla testa del corteo. Il 28 e 29 novembre del 2015, poco prima del grande appuntamento del vertice mondiale di Parigi sul clima (la famosa COP 21), è stata organizzata (e proibita a Parigi in seguito agli attentati del Bataclan) una marcia globale, mondiale. Secondo l’Ong 350.org sono stati circa 2.300 i cortei che hanno percorso le strade di 175 paesi, per un totale di 785.000 persone2 (600.000 secondo il Guardian).3 A titolo di confronto, un milione e mezzo di francesi si sono accalcati sugli Champs-Élysées a Parigi per festeggiare la vittoria della Francia ai Mondiali di calcio e almeno 500.000 per i funerali di Johnny Hallyday. Certo, l’attenzione per l’ecologia si è diffusa in questi anni, ma rimane trascurabile. Molto spesso i neo-ecologisti, seppure animati da un entusiasmo contagioso, non sapendo bene da dove cominciare, si sfiancano in piccole azioni dall’impatto irrilevante e si sentono realizzati portando avanti progetti che non si integrano con le organizzazioni sociali, politiche, economiche che li circondano. Nonostante i loro (i nostri) sforzi, la distruzione è sempre più rapida della rigenerazione. Infinitamente più rapida. E noi dormiamo. Ogni tanto la vastità della catastrofe ci scuote, poi la quotidianità riprende il sopravvento. Inesorabile. Perché amiamo questo mondo materialista. In ogni caso ci siamo abituati. Tanto abituati che non sappiamo più vivere altrimenti. Oggi dobbiamo andare più veloce, più lontano. Ci troviamo davanti a un pericolo di portata paragonabile a quello di una guerra mondiale. Probabilmente anche più grave. Pericolo generato da un’ideologia materialista, neoliberista, intenta soprattutto a creare ricchezza, comodità, ad accumulare profitti. Che considera la natura come una vasta fonte di risorse disponibili e da saccheggiare, gli animali e gli altri esseri viventi



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