AEFFE magazine 27

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MICAM
Special 94th Edition OPINION LEADER Studio Zanoletti DESIGNERS Invicta Simone Di Stasio CRUISE Dior Balenciaga Chanel Louis Vuitton Gucci RUNWAY Man S/S 2023 Total look CHANEL

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COVER STORY: Total look CHANEL

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ISSUE 27/2022
www.giovannifabiani.it Micam Pad.3 stand C01-D02
ROMIT S.p.A._VALENTINO

11Don’t you love contradictions? Get over it

Manolo Blahnik, dopo ‘soli’ 22 anni dall’inizio della battaglia legale, vince la causa presso l’alta corte cinese riguardo la proprietà del suo brand e ora ai più che famosi tacchi stiletto verrà concesso di pungere l’asfalto del paese che ospita il più importante mercato del lusso. Contraddizione: tutto avviene nel momento in cui gli equilibri mutano e la Cina, pur rimanendo una piazza impor tantissima, tende a scoraggiare le importazioni. È un’estremizza zione, ma il messaggio suona un po’ beffardo: ora puoi vendere, ma noi non compriamo più.

E di contraddizioni ci stiamo circondando, nostro malgrado, in ogni ambito e settore. Perciò di contraddizioni si parla anche in questo numero, pur senza addentrarsi in quelle più spinose e complesse dei nostri tempi.

Ne parla Emerson Fittipaldi quando racconta, con piglio da im prenditore puro, il suo amore per la moda, per gli accessori belli e curati in ogni dettaglio, e al tempo stesso dice di esser sempre stato pronto a rischiare tutto per l’adrenalina di una corsa.

Ne parla Maria Cristina Zanoletti quando riconosce i social come mezzo di promozione imprescindibile, anche se a ben pensarci la carta ha ancora un suo valore.

Ne parla Letizia Ferrè analizzando la contraddizione in cui nuota il fashion: ricerca della sostenibilità e successo del fast fashion.

In un certo senso ne parlano anche alcuni servizi moda che con trappongono l’arte (per sua natura immortale) alle tendenze (per definizione mutevoli e periture).

Scoprirete che in tutti questi casi quel ‘dire-contro’ conduce a completezza, pienezza, crescita e apertura. Sono le contraddizioni luminose che ci piacciono, al contrario di altre ben più gravi e pro fonde che conducono solo al buio.

Manolo Blahnik, after ‘only’ 22 years since the start of the legal battle, wins the case in the Chinese high court regarding the ow nership of his brand and now the more than famous stiletto heels will be allowed to puncture the asphalt of the country that hosts the most important luxury market. Contradiction: everything happens when the balance changes and China, while remaining a very im portant market, tends to discourage imports. It’s an extremisation, but the message sounds a bit sarcastic: now you can sell, but we don’t buy anymore.

And we surround ourselves with contradictions, against our will, in every field and sector. We thus talk about contradictions also in this issue, without delving into the most thorny and complex ones of our times.

Emerson Fittipaldi talks about it when he tells, with the air of a pure entrepreneur, his love for fashion, for beautiful accessories and ca red for in every detail, and at the same time he says he has always been ready to risk everything for the adrenaline of a race.

Maria Cristina Zanoletti talks about it when she recognises social media as an essential means of promotion, even though, if you think about it, paper still has its value.

Letizia Ferrè talks about it by analysing the contradiction in which fashion swims: the search for sustainability and the success of fast fashion.

In a certain sense, some fashion services also talk about it, which contrast art (by its immortal nature) with trends (by definition chan ging and perishable).

You will discover that in all these cases ‘speaking-against’ leads to completeness, fullness, growth and openness. These are the bright contradictions that we like, unlike others much more serious and profound that only lead to the dark.

11 EDITORIAL
Enrico Martinelli
12 Bag A.CLOUD Shoes PREMIATA

INTERVIEW

Giovanna Ceolini

SLIDING DOORS

“Oh dear... heels!” by Ursula Beretta

THE EYE ON “Fine Art Nude” by Luca Cioffi

FASHION TRENDS “Fast fashion” by Letizia Ferrè

OPINION LEADER Studio Zanoletti

Stasio/Invicta

DESIGNERS Simone Di
INTERVIEW Emerson Fittipaldi FASHION September issue #5 Toutes les fleurs de Lena The foggy dew Anthropology Tender is the night Food studies The listener ART Françoise Dedon ART Mcahny CRUISE Dior Balenciaga Chanel Louis Vuitton Gucci RUNWAY Man Milan/Paris S/S 2023 WINDOWS Tips for buying and where to buy PRESS ROOM It’s happen 22 28 ISSUE N.27 SEPTEMBER 2022 34 133 145 38 42 46 130 161 168 17 74 51
FRANCESCOMILANO Nuvola Hungary kft - Sziv utca 6 - 1063 Budapest (HU) - Info@francescomilano.com www.francescomilano.com

Aseguito delle dimissioni da Presidente di Assocalza turifici, rassegnate da Siro Badon lo scorso 26 luglio, Giovanna Ceolini, imprenditrice calzaturiera di Para biago, è stata nominata presidente reggente. Lo sta tuto dell’associazione, infatti, stabilisce che “in caso di cessazione anticipata del mandato del presiden te, il vice presidente più anziano per età ne svolge temporaneamente le funzioni in attesa che venga completato l’iter procedurale per l’elezione del nuovo presidente”.

Con quale spirito ha vissuto il suo impegno in associazione in questi anni e quali i temi che le stanno più a cuore?

“Assocalzaturifici sostiene, promuove e cura gli interessi dell’indu stria calzaturiera italiana nel mondo. Lavorare prima come vicepre sidente e ora come presidente per tutelare un comparto che, nel suo insieme, fattura oltre 14 miliardi di euro, occupa 77.000 addet ti ed esporta l’85% della produzione, è per me motivo di grande orgoglio e soddisfazione professionale. Tra i temi che ho sempre avuto particolarmente a cuore citerei la difesa del Made in Italy che rappresenta agli occhi del mondo un plus unico e straordinario, l’attenzione al mondo fieristico e alla sostenibilità del ciclo produt tivo. Non da ultimo il lavoro quotidiano di dialogo con le istituzioni per portare le istanze dei produttori al Governo e l’impegno verso

il mondo della formazione strategica per prevenire il problema del ricambio generazionale. Tutte queste sfide possono essere affron tate e superate solo lavorando in maniera compatta e sinergica: facendo sistema. Questo è stato, e sarà sempre, il mio modus operandi. Affronto anche questo incarico temporaneo con spirito di servizio, per contribuire all’affermazione e allo sviluppo del si stema imprenditoriale calzaturiero nel mercato italiano e in quello internazionale”.

Un servizio complicato da una congiuntura particolarmente critica…

“Il momento è sicuramente complesso, ma posso contare sul sup porto di tutta la struttura organizzativa e degli associati per su perare questa fase delicata. Stiamo vivendo una contingenza non facile, con un comparto che si sta lentamente riprendendo dopo i contraccolpi dovuti all’impatto della pandemia, a cui si aggiunge anche il rincaro delle materie prime e il rialzo vertiginoso del costo dell’energia. Davanti a me si prospettano sfide importanti. In primis stiamo lavorando alacremente per offrire una eccellente edizione di MICAM che possa confermare la manifestazione quale occasio ne irrinunciabile di business e volano economico dell’intero settore calzaturiero che, ricordo, fa da traino al Made in Italy. Da subito ho iniziato a lavorare con Adriano Sartor, AD di MICAM e sono molto contenta di aver appreso che la prossima edizione sorprenderà i visitatori attesi da tutto il mondo con novità e iniziative di suc cesso. A partire da Micam X con incontri e workshop declinati su tematiche importanti: Retail del futuro, Sostenibilità, Tendenze e Materiali, Art Fashion Heritage & Future. Verrà dato spazio anche alla sostenibilità che vedrà protagonista un progetto di grande pro spettiva come la prima certificazione di sostenibilità specializzata per il settore calzaturiero VCS, Verified and Certified Steps. Come imprenditrice ci credo molto. Ne abbiamo un gran bisogno poiché il tema della sostenibilità è molto complesso e un’azienda da sola non sa da dove cominciare ad affrontarlo”.

Giovanna Ceolini
Rilancio MICAM, sostenibilità e formazione sono i temi su cui si concentrerà la Presidente reggente fino alle elezioni.
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Le priorità e gli obiettivi di un “reggente”?

“Come reggente desidero svolgere con coscienza e scrupolosità, nei limiti che giustamente prevede lo statuto, il compito di traghet tare l’associazione verso le elezioni del prossimo presidente, da svolgersi nelle prossime settimane (L’intervista è stata raccolta a fine agosto, n.d.r.).

Le linee strategiche di cui vi ho parlato prima - rilancio MICAM, sostenibilità e formazione - sono quelle su cui si focalizzarà la mia attività in qualità di Presidente reggente che, lo ricordo, deve por tare avanti l’ordinaria amministrazione dell’associazione. Dopo aver già svolto quasi due mandati come Vice Presidente, del resto, ho condiviso fin dall’inizio gran parte dei numerosi e importanti proget ti che ha varato Assocalzaturifici”.

In the wake of Siro Badon’s resignation as president of Assocalza turifici on last July, Giovanna Ceolini, a footwear entrepreneur from Parabiago, was appointed acting Chair. The statute of the associa tion, in fact, establishes that “in the event of advance resignation from the post of Chair, the most senior Vice Chair in terms of age will temporarily serve as acting Chair until the procedures for elec tion of a new Chair can be completed”.

How did you face your commitment to the association in these past years and which are the dearest themes to you?

“Assocalzaturifici supports, promotes and looks after the interests of the Italian footwear industry in the world. Working first as vice president and now as president to protect a sector that, as a who le, has a turnover of over 14 billion euro, employs 77,000 people and exports 85% of its production, is a source of great pride and professional satisfaction for me. Among the issues that I have al ways had at heart, I would mention the defense of Made in Italy which represents a unique and extraordinary plus in the eyes of the world, the attention to the exhibition world and the sustaina bility of the production cycle. Last but not least, the daily work of

dialogue with the institutions to bring producers’ requests to the Government and the commitment to the world of strategic training to prevent generational change issues. All these challenges can be faced and overcome only by working in a compact and synergistic way: by creating a system. This has been and always will be my modus operandi. I also face this temporary assignment with a spirit of service, to contribute to the affirmation and development of the footwear business system in the Italian and international markets”.

A service complicated by a particularly critical situation… “The moment is certainly complex, but I can count on the support of the entire organisational structure and all our members in getting through this difficult time. We are experiencing a difficult situation, with a sector that is slowly recovering after the repercussions due to the impact of the pandemic, in addition to the price increase of raw materials and the dizzying rise in energy costs. Important challenges lie ahead of me. First of all, we are working hard to offer an excellent MICAM edition that can confirm the event as an indispensable business opportunity and economic motivator for the entire footwear sector which, I recall, is the driving force behind Made in Italy. I immediately started working with Adriano Sartor, CEO of MICAM and I am very happy to have learned that the next edition will surprise the expected visitors from all over the world with news and successful initiatives. Starting with Micam X with meetings and workshops on important topics: Future Retail, Sustainability, Trends and Materials, Art Fashion Heritage & Future. Space will also be given to sustainability featuring a project with wide perspectives like the first specialised sustainability certification for the VCS, Verified and Certified Steps footwear sector. As an entrepreneur, I believe in this. We are in great need of it because the issue of sustainability is very complex and a company alone does not know where to start addressing it”.

What are the priorities and goals of an “acting Chair”? “As acting Chair I wish to carry out the task of guiding the associa tion towards the elections of the next president, to be held in the coming weeks (the interview was recorded at the end of August, editor’s note) with conscience and thoroughly, within the limits that the statute rightly provides.

The strategic lines I mentioned earlier - MICAM relaunch, sustaina bility and training - are those on which my activity as acting Chair will focus, who, I remember, must carry out the ordinary admini stration of the association. After serving already almost two man dates as Vice President, I have shared most of the numerous and important projects that Assocalzaturifici has launched since the very beginning”.

MICAM relaunch, sustainability and training are the themes on which the acting chair will focus until the elections.
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Oh dear... heels!

Sono tornati in maniera prepotente. O forse non se ne sono mai andati. Nascosti e ammirati in silenzio; amati e poi denigrati fino a finire… rasoterra. E ancora sconfessati e odiati per quel loro essere, in maniera più o meno consa pevole, indicatore particolare di una certa realtà. Che sa di benessere, ma anche del suo contrario. Che parla di relazioni e, al contempo, trasmette e rivela una fotografia economicamente pregnante e, perché no, assolutamente veritiera del reale e di tutte le sue declinazioni. Sono le scarpe con il tacco, per cui vale la pena scomodare Marylin Monroe e le sue parole che ne riassumono in maniera incisiva l’importanza, al netto di ogni simbolismo: “Non conosco chi abbia inventato i tacchi, ma le don ne gli devono molto”. E anche gli uomini, sarebbe da aggiungere, ma questo è un altro discorso. Fatto sta che se le scarpe con il tacco sono cambiate molto attraverso i decenni arricchendosi man mano di nuove declinazioni - dallo stiletto ai plateau, dai kitten he els ai più confortevoli coni - quello che è rimasto invariato è il loro stretto legame con le trasformazioni sociali. Per esemplificare il concetto è sufficiente ripensare all’ultimo bien nio pandemico quando, dati alla mano (e sono quelli forniti dalla società di ricerche di mercato americana NDP Group), le vendite di scarpe col tacco sono crollate fino al 70% parallelamente alla débâcle delle occasioni, sociali o lavorative che fossero, nelle quali indossarle. E se è vero che è rimasto invariato il loro alto coeffi ciente di feticcio – come dimenticare Helmut Newton che, nei suoi scatti intrisi di voyerismo, mostrava come una donna anche svesti ta con i tacchi a spillo non fosse mai nuda? –, è innegabile negare che di fronte alla necessità di indossare scarpe comode per una vita forzatamente ridotta entro le mura di casa, anche gli stiletto abbiano beneficiato di un periodo di riposo forzato. Nel biennio passato abbiamo assistito al trionfo di scarpe pragmatiche e sen sibili, attente cioè a non urtare l’atmosfera volutamente dimessa di un vivere che aveva perso le sue velleità sociali per ridursi a mera sopravvivenza o giù di lì, lasciando per strada la componente sen sualità per adottare una sola parola d’ordine: stabilità. E conforto. Ma è stata una parentesi.

Certo, non esiste nulla, parlando di moda, di più divisivo dei tacchi, capaci di creare schieramenti femminili (ma non solo) tra chi li ha abbandonati e chi non ne farebbe mai a meno; considerati tanto un’appendice dell’essere donna che uno strumento di asservimen to al maschio. Fatto sta che ad ogni cambio di passo del mondo loro diventano il perfetto e prezioso indicatore delle oscillazioni eco nomiche e sociali che ne conseguono. Riassunto perfettamente in quell’High Heel Index creato dal futurologo inglese Trevor Davis che ha mostrato come, in tempi di recessione, il tacco lentamente scompaia per poi riapparire prepotentemente alla prima avvisaglia di ripresa. Ed è quello che non solo le passerelle, ma anche l’analisi di milioni di post e di hashtag nei canali social di tutto il mondo, ha constatato oggi, assegnando alle scarpe taccate il compito di farsi manifesto di un ritrovato miglioramento. Una ventata di ottimismo ad altezze sempre più vertiginose – e visto il parallelismo con la realtà, non c’è che da augurarsi lo strapotere assoluto degli stiletto killers - a cui si aggiunge, necessariamente, altro.

Che il ritorno del tacco simboleggi anche il ritorno alla vita e ai rapporti sociali, poi, va da sé. Il tacco è da sempre l’accessorio più osservato e capace di qualificare con immediatezza chi si ha da vanti: nessun oggetto rivela un così grande valore allegorico come l’altezza delle scarpe, con il suo corollario di interpretazioni psicosociologiche che dalla passerella arrivano alla vita vissuta, al quo tidiano come alla definizione di sé, tanto nella dimensione privata che in quella professionale.

Senza dimenticare l’alto coefficiente narrativo che le scarpe con il tacco comportano. Appartiene alla loro preistoria squisitamente maschile che le ha viste indossate in prima battuta da uomini e so prattutto associate, in virtù dei maschi che le sceglievano (dal per siano Shah Abbas che guidava la cavalleria più grande del mondo fino a Luigi XIV e le sue suole rosse), a vero e proprio simbolo di potere. Bisognerà aspettare l’epoca vittoriana affinché le don ne abbiano l’esclusiva su quei tacchi destinati a diventare oggetto del desiderio per eccellenza. E ancora prima che Carrie Bradshaw ne facesse un oggetto di culto da ammirare religiosamente e che Alexander McQueen ne portasse al parossismo il loro forte conte

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nuto artistico – forse che le celeberrime Armadillo non siano molto più vicine a un oggetto di design che a un paio di calzature pronte per l’indosso? -, fu un certo Andy Warhol a innalzare la scarpa taccata (per la cronaca, la classica Mary Jane) al rango di opera d’arte con le sue serigrafie per l’adv dell’azienda americana I. Mil ler che mandarono in brodo di giuggiole le redattrici di moda. La strada per diventare veri e propri capolavori da portare ai piedi è stata costellata di rialzi via via più seducenti, che, dalle travolgenti décolleté delle pin up ai tacchi sottilissimi del New Look di Christian Dior, sono arrivati a esplodere definitivamente negli anni ‘90 del secolo scorso fino a formare un vero e proprio heels vocabulary che ogni donna conosce a menadito. Ma “il tacco a spillo è l’arma che gli uomini non hanno” (Monsieur Louboutin dixit) è un adagio che potrebbe avere vita breve, sempre per l’essenza di cartina di tornasole della realtà che lo stiletto contiene. Il perché è semplice: il tacco come icona di femminilità e strumento di distinzione di ge nere è destinato a essere una definizione con le ore contate nella misura in cui l’appiattimento delle barriere sessuali diventa sempre più la regola. E un’occhiata alle collezioni del già citato Christian Louboutin e di Jimmy Choo, ricche di tacchi nei numeri alti baste rebbe a titolo di esempio.

Ma questa è un’altra storia. Il tacco è morto, viva il tacco!

They have come back in an overbearing way. Or maybe they ne ver left. Hidden and admired in silence; loved and then denigrated until they landed… close to the ground. And still disowned and hated for their being, in a more or less conscious way, a particular indicator of a certain reality. That tastes of well-being, but also the opposite of it. Which speaks of relationships and, at the same time, transmits and reveals an economically meaningful and, why not, absolutely truthful photograph of reality and all its declinations. We are talking about high heels, for which it is worth bothering Marylin Monroe and her words that incisively summarise their importance, net of any symbolism: “I don’t know who invented high heels, but all women owe him a lot”. And men too, it should be added, but this is another matter. The fact is that if high heeled shoes have changed a lot over the decades, enriching themselves with new variations - from stilettos to platform shoes, from kitten heels to more comfortable cones - what has remained unchanged is their close bond with social transformations.

To exemplify the concept, it is sufficient to think back to the last two years of the pandemic when, data at hand (and these are those provided by the American market research firm NDP Group), sa les of high-heeled shoes collapsed up to 70% in parallel with the débâcle of opportunities, social or work that they were, in which to wear them. And if it is true that their high fetish coefficient has remained unchanged - how can we forget Helmut Newton who, in his voyeuristic shots, showed how a woman even undressed in high heels was never naked? -, there is no denying that faced with the need to wear comfortable shoes for a forcedly reduced life within the walls of the house, even stilettos have benefited from a period of forced rest. In the past two years we have witnessed the triumph of pragmatic and sensitive shoes, that is, careful not to hurt the deliberately modest atmosphere of a life that had lost its social ambitions to be reduced to mere survival or thereabouts, leaving the sensuality component on the street to adopt a single

password: stability. And comfort. But it was a break. There is of course nothing, speaking of fashion, more divisive than heels, ca pable of creating female alignments (but not only) between those who have abandoned them and those who would never do without them; considered both an appendix of being a woman and an in strument of enslavement to the male. The fact is that with every change of pace in the world they become the perfect and precious indicator of the economic and social fluctuations that follow. Per fectly summed up in that High Heel Index created by the British futurologist Trevor Davis who showed how, in times of recession, hight heels slowly disappear and then overwhelmingly reapper at the first sign of recovery. And this is what not just runways, but also the analysis of millions of posts and hashtags on social media channels around the world, found today, assigning to heeled shoes the task of making themselves the manifest of a newfound impro vement. A breath of optimism at increasingly dizzying heights - and given the parallelism with reality, one can only hope for the absolute overwhelming power of the stiletto killers - to which is necessarily added more.

That the come back of the heel also symbolises the return to life and social relationships, then, goes without saying. The heel has always been the most observed accessory and capable of immediately qualifying whoever is in front of it: no object reveals such great allegorical value as the shoe height with its corollary of psychosociological interpretations that from the runway arrives to real life, to the everyday life as well as to its self-definition, both in private and professional dimensions. Without forgetting the high narrative coefficient that heels involve. It belongs to their exquisitely mascu line prehistory that saw them first worn by men and above all as sociated, by virtue of the males who chose them (from the Persian Shah Abbas who led the largest cavalry in the world up to Louis XIV and his red soles), a real symbol of power. We will have to wait until the Victorian era for women to have the exclusivity on those heels destined to become the object of desire par excellence. And even before Carrie Bradshaw made them a cult object to be religiously admired and Alexander McQueen took their strong artistic content to paroxysm - perhaps the famous Armadillos are not much closer to a design object than to a pair of ready to wear shoes? -, it was a certain Andy Warhol who raised the high-heeled shoe (for the record, the classic Mary Jane) to the rank of a work of art with his serigraphs for the advocate of the American company I. Miller which made fashion editors jump for joy. The road to becoming real masterpieces to wear on your feet was studded with increasingly more seductive elevations, which, from the overwhelming décolleté of the pin-ups to the very thin heels of the New Look by Christian Dior, finally exploded in the 1990s to form a real heels vocabulary that every woman knows inside out. But “The stiletto is a feminine weapon that men just don’t have” (Quote by Monsieur Louboutin) is an adage that could be short-lived, again for the essence of the litmus test of reality that the stiletto contains.

The reason is simple: the heel as an icon of femininity and a gender distinction sign is destined to be a definition whose time is running out to the extent that the flattening of sexual barriers becomes in creasingly more the rule. And a look at the collections of the afo rementioned Christian Louboutin and Jimmy Choo, full of heels in high sizes would suffice as an example. But this is another story. The heel is dead, long live heels!

24 SLIDING DOORS
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Fine Art Nude

Si dice che la sessualità muti con il progresso, e che con esso ogni desiderio accresca di una carica che lascia l’emotività per avvicinarsi a un più complesso concetto materico ed estetizzante. Dalla letteratura romantica alle prime avanguardie del Novecento, l’eros ha visto realiz zarsi nuove immagini di sé che non sempre corrispon dono a un ritratto fedele, ma più a una utopica immagine di quello che vorremmo fosse. Così, le mademoiselle di Picasso perdono le loro forme ‘allentate’ e si vestono di linee rigide e spigoli; D’Annunzio ritira la donna dal mito reale di afferrabile astrazione, mademoiselle Chanel regala alla storia la definizione di femminilità pratica corrispondente a quello che, in questo secolo, definirem mo come accezione comune di ‘erotismo’. Una parola cruda, che sembra potersi toccare tra le note di uno fremito, concretizzarsi in un ansimare continuo, e aprirsi a un’immensa traduzione in versi e gesti. E nasce da queste connotazioni la figura della femme fatale e del suo corrispettivo maschile, che non vivono dando un’immagine di sé di spogliata verità, di pelle nuda, ma di ambiguità resa tale dall’abito che fa da schermo protettivo dei sensi. È la moda ad as servirsi all’Eros, a questa figura mitica alla quale dedica ricerca ed immaginazione. Dall’abito come ‘nudo d’autore’ dei primi del No vecento, dove la donna era una divinità ancestrale che si ritrovava a convivere con l’uomo quasi per caso, all’abito come ‘nudo esplici to’ degli anni ‘90, quando le spoglie vesti caddero e mostrarono al pubblico ogni segreto nascosto, ogni parte, ogni linea alla ‘mercè’ di tutti. Ma anche quello era autoriale, solo così nuovo da richie dere impegno per riconoscerlo. Così, la moda diventa narratrice di questa mutazione fisica, e lascia al tempo la penna per spiegarla. Il primo capitolo di questa antologia, è forse ambientato negli ate lier parigini del 1920, dove nasce l’idea di una sensualità esotica, di un erotismo lontano, importato, colonizzato da un più europeo senso di ‘audacia’. La femminilità adorna di tuniche che scendono lineari accompagnando un corpo che si appresta a rivelarsi (anche se ancora lontani dal nudo) è l’innovazione che spinge il designer a reinventare le proporzioni della donna. Lo spessore dell’abito dimi nuisce e diventa quasi un velo a più strati. E sotto questo cosa si celava? Non è dato saperlo. Solo l’immaginazione può rispondere

a questa domanda. Dopo l’esotismo anni Venti, si arriva a un taglio deciso che accorcia le gonne e alleggerisce il peso di giacche e cappotti. Chanel fa da leader a questo decennale movimento che troverà negli anni ‘70-‘80 nuovi alleati in Vivienne Westwood e Yves Saint Laurent. Non basta più immaginare, ora si vuole guardare, e così la cosiddetta ‘chanellina’ mostra sempre più le gambe e i polsi, andando ad aggiungere nuovi particolari all’anatomia femmi nile fino ad allora quasi del tutto sconosciuta. Il pudore pervade il periodo post guerriglia e sembra accantonare l’eros, perché quasi superfluo in quegli anni così faticosi, impegnati ad omologare la donna all’uomo. Eppure, in quello stesso periodo, nasce, di na scosto dagli occhi della società, l’idea di genderless. La donna indossa gli abiti da lavoro dell’uomo. Quell’immagine emancipata nasconde un desiderio di rivalsa sociale che abbatte (anche se per poco) le distinzioni di genere favorendo il ‘cameratismo sessuale’. Per la prima volta, l’eros è uno solo, senza sesso e men che meno identità. Sarà proprio Glen Martens a riproporre questa allusiva sensualità con Y-Project, che si potrebbe definire come ‘derivato sociale’. Subito dopo, all’arrivo dei ‘50-‘60, il pudore persiste e l’eros si nasconde dietro ampie gonne e vite strette. Ma è proprio in questi anni che nasce il fetish, e Dior sembra esserne un ignaro precursore, con la reintroduzione di strutture che enfatizzano giro vita e gambe allungate. Quelle stesse strutture che diverranno lo strumentario del feticismo contemporaneo. E poi arrivano gli anni ‘70-‘80 che, come un capitolo del tutto nuovo, aprono spudora tamente la moda all’assenza di ogni costrizione e costruzione di sensualità. Dalla donna notturna e dissoluta di Saint Laurent alla femminilità ‘attillata’ di Gianni Versace, l’abito diventa tela bianca su cui imprimere le proprie forme e mostrarsi con convinzione. L’e rotismo entra in contatto con l’amore e, per quanto dirompente sia stato questo incontro, lo porta con sé negli anni successivi. Arrivano i ‘90, gli anni di Tom Ford da Gucci, gli anni dell’esplicito, dove tutto è ben visibile e l’immaginazione solo un lontano ricordo. Le maglie velate, l’intimo a vista, la vita bassissima, l’erotico senso di autodeterminarsi e di scegliersi in un rapporto, intimo quanto pubblico, con il proprio corpo.

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L’era di Tom Ford e delle sue campagne a nudo sono state l’apice di un percorso che inevitabilmente ha dovuto rivalutare la forma del corpo, osservare con occhi nuovi quel desiderio di contatto e quella bramosia di scoperta sessuale. Così, dopo di lui, l’erotismo diviene altro, ritorna all’astratto, in un certo senso, e quando si toccano gli anni 2000 quanto visto fino ad ora va ad arricchire il vocabolario di questo linguaggio fisico. Ann Demeulemeester de scrive l’eros come un top bianco con la scritta ‘holy’ (ricordando il minimalismo di Helmut Lang), spregiudicato e generazionale, pro fano e dissacrante. N21 come velato erotismo di classe borghe se, educato a un piacere classico, con in sottofondo una melodia rock. Marni come un disegno ad acquerelli: umido come la fisicità del contatto, e leggero come la mente nell’atto. Gli 00s segnano il ritorno dell’indagine mentale, quando il nudo non bastava più e si voleva superare la materia per arrivare ad afferrare a mani nude l’emozione, in uno stato psico-fisico surreale. Così, tra una pluralità di proposte ci si interroga su quale sia una risposta comune accettabile da tutti (se esiste), su quale sia lo sco po del nudo, la sua funzione… Ma poi esiste il nudo? Non è forse il nudo a essere l’abito di un’immaginazione proibita? Alla fine, la sessualità diventa il corpo di generazioni che hanno ricercato quel desiderio ‘spogliato’ in abitudini, costumi, e tradizioni dimentican do di toccarsi, di scoprirsi vicini, di sentirsi elettrici in una società che si è spenta a favore del dominio della ragione.

They say that sexuality changes with progress, and that with it eve ry desire increases with an energy that leaves emotions behind, to approach a more complex material and aesthetic concept. From romantic literature to the early twentieth century avant-gardes, eros has seen the creation of new images of itself that do not always correspond to a faithful portrait, but more to a utopian image of what we would like it to be. Picasso’s mademoiselles lose, thus, their ‘relaxed’ shapes and are dressed in rigid lines and edges; D’Annunzio withdraws the woman from the real myth of graspa ble abstraction, Mademoiselle Chanel gives history the definition of practical femininity corresponding to what, in this century, we would define as the common meaning of ‘eroticism’. A raw word, which seems to be able to touch itself between the notes a judder, materialise in a ongoing painting, and open up to an immense tran slation in verse and gestures. And from these aspects the figure of the femme fatale and her male counterpart are born, which do not live by giving an image of themselves of stripped truth, of bare skin, but of ambiguity made such by the dress that acts as a protecti ve screen for the senses. It is fashion that enslaves itself to Eros, to this mythical figure to whom it dedicates research and imagi nation. From the dress as a ‘fine art nude’ of the early twentieth century, where the woman was an ancestral divinity who found herself living with the man almost by chance, to the dress as an ‘explicit nude’ of the 90s, when garments were taken off showing the public every hidden secret, every part, every line at the ‘mercy’ of all. But even that was authored. It was just very new so that it took effort to accept it. Fashion thus became the narrator of this physical mutation, and to time pen and paper were given. Maybe the first chapter of this anthology was set in the Parisian ateliers of 1920, where the idea of an exotic sensuality was born, a distant, imported eroticism, colonised by a more European sense of ‘auda city’. Femininity adorned with tunics that descended linearly along a body about to reveal itself (even if still far from the nude) was the innovation that pushed the designer to reinvent a woman’s propor tions. The thickness of the dress decreased and became almost a multi-layered veil. And what was beneath it? Nobody can say.

Only the imagination can answer this question. After the exoticism of the Twenties, there was a decisive cut that shortened skirts and lightened the weight of jackets and coats. Chanel was the leader of this ten-year movement finding new allies in the 70s and 80s with Vivienne Westwood and Yves Saint Laurent. Imagining alone was no longer enough, now one wanted to look, so that the socalled ‘Chanelline’ started to show more legs and wrists, adding new details to the female anatomy until then almost completely unknown. Modesty pervaded the post-conflict period and seemed to set aside eros, because it was almost superfluous in those very tiring years, committed to homologating women to men. Yet, in that same period, the idea of genderless was born, hidden from the eyes of society. Women wore men’s work clothes. That emancipa ted image hid a desire for social revenge that broke down (albeit briefly) gender distinctions, favouring ‘sexual camaraderie’. For the first time, eros was one, without sex and even less with an identi ty. It will be Glen Martens himself who will re-propose this allusive sensuality with Y-Project, which could be defined as ‘derived’ from social values. Immediately afterwards, with the arrival of the 50s and 60s, modesty persisted and eros hid behind wide skirts and narrow waists. But it is exactly in these years that fetish was born, and Dior seems to be an unaware precursor, with the reintroduc tion of structures that emphasise waistlines and elongated legs. Those same structures that will become the tools of contemporary fetishism. And then the 70s-80s arrived which, like a completely new chapter, shamelessly opened fashion to the absence of any constriction and construction of sensuality. From the nocturnal and dissolute woman of Saint Laurent to the ‘tight-fitting’ femininity of Gianni Versace, the dress became a white canvas on which to im print one’s shapes and show oneself with conviction. Eroticism got in touch with love and, however disruptive this encounter was, it took it with it in the following years. The 90s arrived, the years of Tom Ford at Gucci, the years of the explicit, where everything was clearly visible and the imagination only a distant memory. The veiled shirts, the visible underwear, the very low waist, the erotic sense of self-determination and of choosing oneself in a relationship, as intimate as it was public, with one’s body.

The era of Tom Ford and his naked campaigns were the culmi nation of a journey that inevitably had to re-evaluate the shape of the body, to observe that desire for contact and that longing for sexual discovery with new eyes. After him, eroticism became thus something else. In a certain sense, it returned to the abstract and when we touch the 2000s, what has been seen so far enriches the vocabulary of this physical language. Ann Demeulemeester de scribes eros as a white top with the words ‘holy’ (recalling Helmut Lang’s minimalism), unscrupulous and generational, profane and irreverent. N21 as a veiled middle-class eroticism, educated to a classic pleasure, with a rock melody in the background. Marni like a watercolour drawing: wet like physical contact, and light like the mind in the act. The 00s marked the return of mental investiga tion, when nude alone was no longer enough and one wanted to overcome matter in order to grasp emotion with bare hands, in a surreal psycho-physical state. Among a plurality of proposals one wonders what is thus a common answer acceptable to all (if it exists), what is the purpose of the nude, its function… But then does the nude exist? Maybe the nude is the dress of a forbidden imagination, is it not? In the end, sexuality becomes the body of generations who have sought that desire ‘stripped’ in habits, cu stoms, and traditions, forgetting to touch each other, to discover that they are close, to feel electric in a society that has faded away in favour of the rule of reason.

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MILANO - Pav. 5 Stand G25

MICAM

Change the season, change the wardrobe, change the world.

Fast Fashion, new generations and how to help them

La moda è una delle industrie più inquinanti al mondo. Ne abbiamo sentito parlare tutti, chi tramite pubblicità pie ne di fake news e chi informandosi con dati ufficiali. Do potutto le percentuali si possono ignorare fino a un cer to punto e se da una parte saltano all’occhio facilmente informazioni come il rilascio ogni anno di oltre mezzo milione di tonnellate di microfibre di plastica negli oceani o i livelli preoccupanti di emissioni di carbonio causate da coloranti chimici, è innegabile il caldo insopportabile che da qualche anno siamo costretti a soffrire anche nelle zone più fredde d’Europa. Tra conoscere e realizzare c’è una differenza morale. Vivendo il cambiamento climatico, osservando la mancanza di diritti umani nei confronti dei lavoratori sottopagati dell’industria tessile e il nu mero crescente di specie animali in via d’estinzione, nella mente delle persone si è cominciata a formare una nuova verità: forse abbiamo esagerato. Si potrebbe dare la colpa alla nascita del Prêt-à-porter, diventato popolare nel dopoguerra quando la richiesta di vestiario ha comin ciato a spostarsi sempre più sull’avere un armadio pieno in fretta e nella maniera più economica possibile, lasciando indietro il fatto su misura. Oggi questa richiesta ha raggiunto gli estremi. Siamo nell’epoca del iper-consumismo, dove acquistare nuovi capi è più

economico che ripararli o comprarli di seconda mano, capi ormai trattati come una preziosa nicchia vintage proprio per l’elevata qualità dei tessuti. Le mode cambiano costantemente, somiglian dosi fra di loro o riciclando quelle di trent’anni prima, contribuendo alla richiesta costante di nuovi capi d’abbigliamento, nuovi stili, più opzioni di scelta nella speranza di distinguersi il più possibile dagli altri: il fenomeno che tutti chiamano “fast fashion”.

Potrebbe trattarsi di generazioni viziate e rese pigre dalle mille pos sibilità di scelta, eppure le pressioni sociali vincono anche su chi preferirebbe concentrarsi sulla qualità di un prodotto. Le nuove ge nerazioni vivono in una società particolarmente materialista, anche se di facciata. Non è raro trovare nelle case di ragazzi giovanissimi capi di marca tenuti con cura, o al contrario, capi dal design inte ressante, ma così di bassa qualità da potere essere indossati solo un paio di volte, giusto per lo scatto di una foto per i social. Eppure, sono stati proprio i giovani a pubblicizzare in modo così vasto la crisi ambientale. Ricordiamo che una delle attiviste più fa mose del nostro secolo, Greta Thunberg, ha iniziato a far sentire la sua voce a soli quindici anni. Organizzandosi attraverso i social, da video informativi su YouTube a trend su TikTok, giovani da tutto il mondo hanno creato proteste, campagne e nuovi topic al fine di trovare alternative ecologiche allo shopping online di massa.

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FASHION

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TRENDS

Sono tornati hobby come l’uncinetto e il cucito, a dimostrazione della voglia di ricominciare a creare vestiti per se stessi da zero. Anche attività come il “thrifting”, che in questo caso significa acqui stare in negozi dell’usato, sono tornate al picco della popolarità. Un contrasto sconcertante con le cifre fatturate da esponenti del fast fashion come Shein, al momento campione dell’arena statuniten se. Purtroppo, non tutti possono permettersi un tenore di vita so stenibile, andando così a preferire i prezzi ridicoli di brand che dan neggiano non solo il mercato, ma anche e soprattutto l’ambiente. È un problema economico, oltre che etico. La voglia di cambiare e rendere il mondo un posto migliore, ognuno nel proprio piccolo, è evidente, ma risulta difficile darvi seguito senza sacrifici. Quali potrebbero essere le soluzioni? Alcuni brand, come H&M e Zara, si sono già attivati a riguardo, con nuovi progetti di cash back o offrendo la possibilità di portare indietro capi usati in cambio di sconti o altre agevolazioni. Il prossimo passo sembra essere rivolto verso i fornitori tessili: dal 2022, milioni di persone hanno iniziato a boicottare aziende ritenute poco ortodosse, procurando un calo di vendite online del 60% in pochi mesi. Il valore dell’oggetto sembra stia tornando centrale a poco a poco, dischiudendo così nuove prospettive e aspettative per le generazioni future. Nel frattempo, armiamoci di ventaglio.

Fashion is one of the most polluting industries in the world. We have all heard about it, some through advertisements full of fake news and others through official data inquiries. After all, the percentages can be ignored up to a certain point and while information such as the release of over half a million tonnes of plastic microfibres into the oceans each year or the worrying levels of carbon emissions caused by chemical dyes are easily noticed, the unbearable heat we have been forced to suffer for some years, even in the coldest areas of Europe, is undeniable.

There is a moral difference between knowing and realising. Expe riencing climate change, observing the lack of human rights towards underpaid workers in the textile industry and the growing number of endangered animal species, a new truth has begun to form in peo ple’s minds: we may have exaggerated.

One could blame the birth of Prêt-à-porter, which became popu lar after the war when the demand for clothing began to shift ever more on having a closet full quickly and in the cheapest way pos sible, leaving custom-made services behind. Today, this demand has reached extremes. We are in the era of hyper-consumerism, where buying new clothes is cheaper than repairing them or buying them second-hand. These garments are now treated as a

precious vintage niche styles due to the high quality of the fabrics. Styles are constantly changing, resembling each other or recycling those of thirty years ago, contributing to the constant demand for new clothing, new moods, more choice options in the hope of distin guishing yourself from others as much as possible: the phenomenon that everyone calls “fast fashion”.

It could be generations spoiled and made lazy by a thousand possi bilities of choice, yet social pressures win over also those who would rather focus on product quality. The new generations live in a par ticularly materialistic society, even if only in appearance. It is not at all uncommon to find carefully kept branded garments in the homes of young people, or on the contrary, garments with an interesting design, but of such low quality that they can only be worn a couple of times, just for a photo to be posted on social media. Yet it was young people who promoted the environmental crisis so vastly. We remember that one of the most famous activists of our century, Greta Thunberg, began to make her voice heard when she was only fifteen. Organising themselves through social media, from informative videos on YouTube to trends on TikTok, young people from all over the world have created protests, campaigns and new topics in order to find ecological alternatives to online mass shopping.

Hobbies such as crochet and sewing are back, demonstrating the desire to start creating clothes for yourself from scratch. Even acti vities like “thrifting”, which in this case means buying in thrift shops, have returned to the peak of popularity. A disconcerting contrast with the figures billed by fast fashion exponents such as Shein, cur rently champion of the US arena. Unfortunately, not everyone can af ford sustainable living standards, thus preferring the ridiculous prices of brands that do not just damage the market, but also and above all the environment. It is both an economic and ethical problem. The desire to change and make the world a better place, each in their own small way, is evident, but it is difficult to follow up without sa crifices.

What solutions could there be? Some brands, like H&M and Zara, have already taken action in this regard, with new cash back projects or offering the possibility of bringing back used garments in exchan ge for discounts or other benefits. The next step seems to be aimed at textile suppliers: since 2022, millions of people have started boy cotting companies considered unorthodox, with the result of a 60% drop in online sales in just a few months. The value of the object seems to be gradually returning core theme again, thus opening up new perspectives and expectations for future generations. In the meantime, let us arm ourselves with a fan.

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Cristina Zanoletti founder of Studio Zanoletti
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Studio Zanoletti

Enhancing each brand’s history and beauty

Quando inizia a fare la PR ha circa 20 anni. Quella fase della vita in cui spaccheresti il mondo, ma non sai an cora cosa vuoi e quale sia la strada giusta per te. Poi, per puro caso o forse destino, inizia a lavorare in una delle agenzie più importanti di Milano: “Come potrei descrivere quell’esperienza… un’epifania”. In quel mo mento Maria Cristina Zanoletti si è guardata allo spec chio e si è detta: “Voglio fare questo per il resto della mia vita!”. Aveva trovato la dimensione in cui essere e fare quello che le riusciva meglio: raccontare storie di persone. A marzo 2020, dopo 8 anni dall’esordio, in piena pandemia e con un futuro dalle prospettive alquanto incerte si ritrova di nuovo davanti allo spec chio: “Ora o mai più”. Prende coraggio e spicca il suo salto nel vuoto, nasce così lo Studio Zanoletti.

Fra i vostri valori guida compare la “valorizzazione delle diffe renze culturali”. Potete spiegare cosa significa e quali sono le altre caratteristiche che vi contraddistinguono?

“La mia è una generazione capace di creare connection, di far cre scere fiori anche su terreni abbastanza aridi. Siamo curiosi, creativi, dinamici e con la voglia di cambiare il mondo, nel nostro piccolo. Così, quando ho aperto Studio Zanoletti la mia idea era trovare collaboratori, non dipendenti, che credessero e si riconoscessero in questa realtà come se fosse anche loro. Un hub dove lavorare in team, che dia spazio al singolo, alle differenti identità e valori. Non mi piace parlare di diversità, perché riferita a delle persone ha sem pre una connotazione negativa. Io amo l’unicità. Più unicità c’è, più ci sono idee, colori e mondi che si mixano tra loro dando origine a qualcosa di bello e autentico.”

Come selezionate i brand da seguire?

“Ammetto che non amo selezionare e, anzi, mi hanno sempre ab bastanza stupito quelli che parlano di ‘selezione’ dei marchi da avere in agenzia. Credo, piuttosto, che un* brav* professionista debba essere in grado di far emergere la bellezza di ogni marchio e della storia che vuole raccontare, purché ovviamente sposi ideali e valori coerenti con l’agenzia. È, poi, nostro compito di profes sionisti della comunicazione individuare i messaggi più corretti e capire come comunicarli in modo vincente. Noi dobbiamo essere un supporto importante per ogni cliente e lavorare molto bene sul posizionamento e il target di ogni brand.”

Quali i mercati a cui vi rivolgete? Come è la situazione di que sti mercati in questo momento?

“Attualmente, con i nostri clienti, agiamo sul territorio italiano e se guiamo qualche progetto negli USA. Di certo il momento storico non è dei migliori: il Covid, la guerra in Ucraina e la conseguente crisi non sono fattori che lasciano indifferenti i mercati. Nonostante questo, cre do che, come in ogni momento di crisi, sia fondamentale reinventarsi, capire le reali necessità delle persone e avere maggiore rispetto per i fondi che ognuno è in grado di investire sui propri progetti. Abbiamo assistito a un’ulteriore crescita del mondo digitale, inevitabile in un mo mento di totale chiusura, così come un ulteriore sviluppo del B2C. Chi ha colto i segnali del cambiamento e si è rimesso in gioco, è riuscito a superare il momento difficile, e forse ne è uscito più forte di prima.”

Quali caratteristiche hanno i prodotti più richiesti in questo momento?

“Una volta esistevano i trend, che partivano dalle sfilate dei desi gner per poi essere ‘tradotti’ dai brand più piccoli o dal fast fashion. Ora i canali di comunicazione sono talmente tanti che a volte basta un post di Instagram per trasformare una borsa nella It Bag della stagione. Penso al francese Jacquemus, ad esempio, che non è un designer nel senso classico del termine ma un creatore di un vero e proprio mondo dallo stile ben preciso.”

Boom digitale e sostenibilità sulla bocca di tutti... come vi confrontate con queste tematiche?

“Io e la mia generazione siamo letteralmente cresciuti insieme al digi tale. Siamo stati spettatori di tutti i progressi, di tutti gli eccessi e ora, come sempre accade, si cerca un equilibrio.

Ormai è un mezzo di comunicazione imprescindibile, ma non suffi ciente. Per consolidare un marchio, ma anche per lanciarlo, non basta lavorare solo sul digital perché anche la carta stampata ha ancora una sua importanza. Bisogna essere bravi a ideare progetti cross mediali, che possano parlare a tutti i target su tutte le piattaforme esistenti. Lato sostenibilità, credo ormai sia una tematica di vitale importanza e necessaria. Bisogna proseguire nell’educare le future generazioni a una tematica che per alcuni non è così facile da comprendere. Ulti mamente, però, noto che il trend sostenibilità, viene cavalcato come fosse una moda più che una necessità reale. Mentre lo ritengo un ar gomento da affrontarsi con la massima serietà e non come una mera operazione di comunicazione.”

C’è un brand (anche non vostro) che vi ha particolarmente stupito di recente e perché?

“Sicuramente Balenciaga. Quest’anno ha monopolizzato il web con tre sfilate memorabili. Quella di Parigi a Marzo, che raccontava il dramma dell’Ucraina, quella alla borsa di New York a Maggio, e l’ultima, una strepitosa Alta Moda con in passerella anche Nicole Kidman. Sfilate evento che rendono il marchio sempre più forte, conosciuto e desiderabile da un pubblico sempre più ampio.”

Quali direzioni dovrà seguire la comunicazione e la vendita di moda nel prossimo futuro, secondo voi?

“Come dicevo prima la comunicazione, per essere vincente, do

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vrebbe essere in grado di promuovere progetti che possano par lare a tutti i target su tutte le piattaforme esistenti. Lato vendita sicuramente si andrà incontro ad un ulteriore impennata dei B2C, ormai i consumatori sono abituati ad acquistare online. Rimane il fatto che la shopping experience fisica andrebbe tute lata e incentivata, magari tramite eventi e iniziative che possano coinvolgere il consumatore finale. Anche perché vuoi mettere la bellezza di toccare un tessuto con mano e gustare le emozioni che ti restituisce prima ancora di averlo acquistato?!” .

She started doing PR when she was about 20 years old. That sta ge of life where you would break the world, but you still don’t know what you want and which is the right path to follow. Then, by pure chance or perhaps fate, she started working in one of the most im portant agencies in Milan: “How could I describe that experience... an epiphany”. In that moment Maria Cristina Zanoletti looked at herself in the mirror and said: “I want to do this for the rest of my life!”. She had found the dimension in which to be and do what she did best: tell stories about people. In March 2020, 8 years after her debut, in full pandemic and with a future with somewhat uncertain prospects, she found herself again in front of the mirror: “Now or never”. Taking courage she jumped into the unknown. This is how Studio Zanoletti was born.

Among your guiding values appears the “valorisation of cultu ral differences”. Could you explain what it means and tell us about the other characteristics that distinguish you?

“Mine is a generation capable of creating connections, of growing flowers even on fairly arid soils. We are curious, creative, dynamic and with the desire to change the world, in our small way. So, when I opened Studio Zanoletti, my idea was to find collaborators, not employees, who believed and recognised themselves in this reality as if it were theirs too. A hub where to work as a team, which gives space to the individual, to different identities and values. I don’t like talking about diversity, as it always has a negative connotation when referring to people. I love uniqueness. The more uniqueness there is, the more ideas, colours and worlds that mix with each other come up, giving rise to something beautiful and authentic”.

How do you select the brands to follow?

“I must admit that I don’t like the word select and those who talk about ‘selecting’ brands to keep in the agency have always pretty astonished me. Instead I believe that good professionals should be able to bring out the beauty of each brand and of the story they want to tell, provided they obviously meet ideals and values consistent with the agency. Besides, our job as communication professionals is to identify the most correct messages and under stand how to communicate them in a winning way. We must be an important point of reference for each customer and analyse well the positioning and target of each brand”.

What are your target markets and their situation?

“With our customers, we currently operate on the Italian territory and follow some projects in the US.

This historical moment is certainly not the best: Covid, the war in Ukraine and the consequent crisis are not factors that leave mar kets indifferent. Despite this, I believe that, as in any moment of crisis, it is essential to reinvent oneself, understand the real needs

of people and have greater respect for the funds a brand is able to invest in projects. We have witnessed further growth in the digital world, inevitable in a time of total closure, as well as further deve lopment of B2C. Those who have grasped the signs of change and got back into the game, have managed to overcome the difficult moment, and perhaps have come out stronger than before”.

What features do the most requested products have? “In the past there used to be trends, which started from designer shows and were then ‘translated’ by smaller brands or fast fashion. Now there are so many communication channels that sometimes an Instagram post is enough to transform a bag into the season’s It Bag. I’m thinking of the French Jacquemus, for example, who is not a designer in the classical sense of the term but a creator of a real world with a very specific style”.

Digital boom and sustainability is on everyone’s lips... how do you deal with these issues?

“My generation and I literally grew up in a digital world. We have been spectators of all the progress, all the excesses and now, as always happens, we are looking for a balance.

It has become an essential means of communication, but this does not suffice. To consolidate a brand, but also to launch it, working only on digital is not enough as the printed word has its own im portance. You have to be good at devising cross-media projects, which can speak to all targets on all existing platforms.

As for sustainability, I believe that by now it has become a vitally im portant and necessary issue. We must continue to educate future generations on an issue that for some is not so easy to understand. Recently, I have noticed that the sustainability trend is though being ridden as if it were a fashion rather than a real necessity. While I consider it a topic to be addressed with the utmost seriousness and not as a mere communication campaign”.

Is there a brand (even if not one of yours) that has particularly surprised you recently and why?

“Definitely Balenciaga. This year it has monopolised the web with three memorable fashion shows. The one in Paris in March, which told the drama of Ukraine, the one on the New York stock exchan ge in May, and the last one, an amazing Haute Couture with Nicole Kidman on the runway. Event fashion shows that make the brand stronger, better known and desirable by an ever wider audience”.

What directions should fashion communication and sales fol low in the near future, in your opinion?

“As I said before, to be successful, communication should be able to promote projects that can speak to all targets on all existing pla tforms. On the sales side, there will certainly be a further surge in B2Cs, consumers are now more used to buying online. Nevertheless, the fact remains that the physical shopping expe rience should be protected and encouraged, perhaps through events and initiatives that can involve the final consumer. There is no comparison with the beauty of touching a fabric with your hand and enjoying the emotions it gives you back before you have even bought it!”

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Simone Di Stasio fashion manager Invicta

Nel 2002 Londra accoglie Simone Di Stasio, attuale fashion manager di Invicta, e per quattro anni lo ospi ta mentre si laurea in Fashion Design presso l’Istituto Marangoni. Al ritorno in Italia prosegue gli studi con un master a Milano, nello stesso istituto, per poi en trare nel vivo del gioco: “Ho lavorato diversi anni in Svizzera come Men’s Designer per il brand Napapijri, fino al 2011 quando è iniziata la mia avventura da Invicta, un pro getto in cui, da allora, continuo a credere.”

Come racconterebbe Invicta a chi non dovesse conoscerlo, anche se l’eventualità è molto remota?

“Invicta è uno di quei marchi che può vantare una storia centenaria, un know-how che continua ad evolversi sin dal 1906. Esperienza e voglia di rinnovarsi, hanno portato il brand ad una nuova visione caratterizzata da una collezione lifestyle pensata per raggiungere un target di riferimento 20-39 anni e composta dalle linee uomo, donna e bambino.

Caratteristica fondamentale e di vitale importanza è l’attenzione alla sostenibilità. Infatti, Invicta, già da diversi anni, porta avanti il progetto ‘Re-Ordinary’, ovvero trasformare l’ordinario in uno stile di vita più sostenibile avvicinandosi sempre di più alle nuove ge nerazioni.”

Quali sono le vostre fonti di ispirazione?

“La collezione si anima a partire dalla volontà di re-introdurre nella vita quotidiana concetti come l’inclusività, l’ironia e soprattutto la trasversalità. Ripercorrere il passato analizzando le radici del brand è l’idea da cui nasce l’ispirazione per creare prodotti unici e sempre all’avanguardia, promotori di una visione destinata a chi ama la quotidianità, a chi vuole trasformare l’ordinario in ultra-normalità.”

Quali i materiali e le forme che preferite?

“Tutte le linee Backpack Icon di Invicta sono realizzate in polie stere Pet e Nylon Twill riciclato, certificati GRS (Global Recycled Standard). I modelli Jolly e Minisac continuano a raccontare la storia e il savoir-faire della maison con un approccio moderno ma rimanendo fedeli alla nostra storica identità, allo stesso tempo abbiamo dedicato molta attenzione a nuove proposte come gli zaini Monviso e New Jolly, concentrandoci in modo particolare sull’estetica, attraverso nuove dimensioni e capacità, ma anche sulla comunicazione.”

Come sarà la collezione per la prossima Primavera Estate 2023?

“La SS23 ha uno stile totalmente evoluto, segue i trend più attuali mantenendo i riferimenti al passato. Nella linea Heritage ritroveremo lo storico logo Invicta realizzato su patch in spu gna, sia per gli accessori che per l’abbigliamento, insieme a stampe e applicazioni che richiamano gli iconici anni ’90 per uno street-style classico ma attento alla contemporaneità. ‘Liberi di essere se stessi’ è il claim di riferimento per la pros sima stagione, una collezione spogliata di tutto ciò che non è funzionale ed essenziale, senza interventi invadenti ma con personalità e un’immagine forte anche grazie alla palette colo ri: l’arancione la fa da padrone insieme ai pattern camouflage che uniscono gli accessori alla linea outdoor di giacche e ab bigliamento.”

Espansione digitale?

“Dopo 2 anni di pandemia globale ci sarà un forte ritorno al voler rivivere le collezioni da vicino per emozionarsi ancora toccan dole con mano. Ma l’espansione digitale non può essere trala sciata, infatti è uno degli obbiettivi su cui stiamo focalizzando l’attenzione negli ultimi tempi. Abbiamo istituito un reparto di professionisti del settore per la creazione di contenuti e strategie digitali con particolare attenzione a un pubblico oltre oceano. Proprio grazie al nuovo e-commerce abbiamo ottenuto un con siderevole incremento delle vendite, soprattutto in paesi extraeuropei dove Invicta è in crescita.”

Programmi per il futuro?

“Uno degli ultimi progetti che ci ha procurato grandi soddisfazioni è senza dubbio la collaborazione con il noto brand Dsquared2. Sono attività che ci impegnano molto, ma fortemente stimolanti. Conti nueremo su questa strada anche se, oggi, non possiamo svelare nulla. Nel corso dell’anno presenteremo diversi progetti speciali che coinvolgeranno ‘le nuove leve’, perché Invicta dà sempre mol ta importanza al valore delle nuove generazioni.”

Progetti di espansione?

“L’espansione dei mercati internazionali è uno degli obbiettivi che Invicta si è sempre prefissata. Nonostante le difficoltà dovute alla pandemia mondiale, abbiamo tenuto stretti i rapporti con i part ner che oggi sono tornati a pieno regime sulle attività di sviluppo del brand.”

Re Ordinary, to transform the ordinary into a more sustainable lifestyle
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Simone Di Stasio - Fashion manager INVICTA
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In 2002 London welcomed Simone Di Stasio, current fashion ma nager of Invicta, and hosted him for four years while he graduated in Fashion Design at the Marangoni Institute. Once back in Italy, he continued his studies obtaining a master’s degree in Milan, in the same institute, and then got to the heart of the game: “I worked several years in Switzerland as a Men’s Designer for the Napapijri brand, until 2011 when my adventure started at Invicta, a project in which I continued to believe ever since”.

What would you tell people about Invicta, in the very unlikely event they do not know it?

“Invicta is one of those brands that can boast a centennial history, a know-how that has been continuing to evolve since 1906. Exper tise and desire to renew itself have led the brand to a new vision characterised by a lifestyle collection designed to reach a reference target of 20-39 year old people and consists of lines for men, wo men and children.

The attention to sustainability is a key and vital feature. For seve ral years, Invicta has in fact been carrying out the ‘Re-Ordinary’ project, of transforming the ordinary into a more sustainable life style by getting ever closer to the new generations”.

What are your sources of inspiration?

“The collection comes alive with the desire to re-introduce into everyday life concepts like inclusiveness, irony and above all tran sversality. Retracing the past by analysing the roots of the brand is the idea from which comes the inspiration of creating unique and always avant-garde products, which are promoters of a vision destined for those who love everyday life, for those who want to transform the ordinary into ultra-normality”.

What materials and shapes do you prefer?

“All Invicta Backpack Icon lines are made of recycled PET polyester and recycled Nylon Twill, certified GRS (Global Recycled Standard). The Jolly and Minisac models continue to tell the story and the savoir-faire of the maison with a modern approach but remaining faithful to our historical identity. At the same time we focused a lot on new proposals such as the Monviso and New Jolly backpacks, in particular on aesthetics, through new dimensions and capabili ties, but also on communication”.

How will the collection for next Spring Summer 2023 be?

“The SS23 has a totally advanced style and follows the most cur rent trends while maintaining references to the past. In the Heritage line we will find the historic Invicta logo made on terry patches, both for accessories and clothing, along with prints and applica tions that recall the iconic 90s for a classic street-style that is atten tive to the contemporary.

‘Free to be yourself’ is the reference claim for next season, a col lection stripped of everything that is not functional and essential, without intrusive interventions but with personality and a strong image also thanks to the strong palette: orange is the master along with camouflage patterns that combine accessories with the out door line of jackets and apparel”.

What about digital expansion?

“After 2 years of global pandemic there will be a strong return to wanting to relive the collections up close to get excited again by touching them with your hand. But digital expansion cannot be overlooked, in fact it is one of the goals on which we have been focusing attention in recent times. We have established a depart ment of industry professionals for the creation of digital content and strategies with a particular focus on an overseas audience. Thanks to the new e-commerce we have achieved a significant sales increase, especially in non-European countries where Invicta is growing”.

Do you have any future plans?

“One of the latest projects that has brought us great satisfaction is undoubtedly the collaboration with the well-known brand Dsqua red2. These are activities that take a lot of effort, but are highly stimulating. We will continue on this path even if we cannot reve al anything today. During the year we will present several special projects that will involve ‘the new generation’, because Invicta al ways gives great importance to the value of new generations”.

Are there any expansion projects?

“The expansion of international markets is one of the objectives that Invicta has always set itself. Despite the difficulties due to the global pandemic, we have kept close relations with the partners who are now back at full capacity on brand development activities”.

“The collection comes alive with the desire to re introduce into everyday life concepts like inclusiveness, irony and above all transversality”
44 DESIGNERS
www.lyfitshoes.com | info@lyfitshoes.com MICAM MILANO - Pav. 5 Stand K21

INTERVIEW

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Emerson Fittipaldi

A man born to face the limits

Campione del Mondo di Formula 1 nel 1972 e 1974, vin citore di 14 Gran Premi. Vincitore negli Stati Uniti di un campionato CART e di due 500 Miglia di Indianapolis. Emerson Fittipaldi, classe 1946, pilota brasiliano di origini italiane, indossa un paio di bellissime sneaker, una cin tura la cui fibbia porta le sue iniziali, così come la t-shirt e il cappellino, per non parlare del prestigioso orologio dal design sportivo e curatissimo in ogni dettaglio. Uno stile inconfondibile fat to di capi a marchio Fittipaldi. Lo incontriamo sul lago di Garda per scoprire che non ama solo il limite, ma anche il bello e il design delle supercar italiane; ama costruire valore con le sue scelte, ama vivere e non fermarsi mai.

Se dico la parola corse a cosa pensa?

“Alla mia vita. Tutta la mia vita. Fin da quando ero piccolino le corse hanno fatto parte delle mie giornate”.

Alle auto però arriva dopo aver provato per due anni con le moto e aver fondato con suo fratello una piccola azienda per sponsorizzare la vostra carriera sportiva...

“Esatto, costruivamo kart con cui correvamo e che vendevamo ad altri per finanziare la nostra partecipazione alle corse.

Mi è sempre piaciuto non solo scendere in pista, ma anche la parte costruttiva, realizzare in prima persona le vetture con cui correre. La parte tecnica mi ha sempre affascinato.

Negli anni ‘70 costruivamo volanti che vendevamo per strada. Ab biamo realizzato uno dei volanti più famosi al tempo, tutto rivestito in pelle. Dopodiché ho investito nel mio sogno di correre in Formula 1, e così mi sono trasferito in Inghilterra”.

Come nasce il sogno della Formula 1?

“Mio papà era un giornalista sportivo e mi portava sempre a vedere il Gran Premio di Interlagos in Brasile. Ho avuto il rombo dei motori nelle orecchie fin da piccolo. A soli 5 anni guardai mio padre e gli dissi: voglio fare il pilota di Formula 1”.

Ha corso in ogni possibile competizione. C’è una gara che ricorda con particolare emozione?

“Ho iniziato negli anni ‘70 e chiuso la carriera da professionista nel 1996 tra Formula 1 e Indi. Le due corse più importanti della mia vita sono state quella di Monza, nel ‘72, quando vinsi il Gran Premio d’Italia e il mio primo Mondiale, e la prima vittoria a Indianapolis, uno degli eventi americani più importanti, con una tradizione di cor se più che centenaria”.

Cosa le piace del mondo delle corse? “Guidare una vettura che spinge al limite le capacità tecniche di

un’auto costruita dall’uomo e le capacità fisiche, tecniche e psico logiche di chi la guida genera un’adrenalina incredibile. Se a questo si aggiunge la competizione, la voglia di tagliare il traguardo per primi, senza dimenticare l’ingrediente rischio, allora si ottiene la mi scela perfetta di adrenalina. Un sentimento fortissimo che è difficile da spiegare a chi non è pilota. Arrivare a una curva al limite e sentir si profondamente immersi in quell’attimo, oppure realizzare un giro quasi perfetto è davvero molto eccitante per un essere umano”.

L’avversario che ha stimato di più? “Avendo corso con tre generazioni di piloti ne potrei citare tantis simi. Il primo, un amico, è Jackie Stewart. Quando ho iniziato lui aveva già molta esperienza alle spalle, ma ha sempre rispettato il mio spazio. È stato molto bello guidare insieme a Mario Andretti, James Hunt, Niki Lauda, Carlos Reutemann, Jody Scheckter piloti fortissimi negli anni ‘70. Dopo di loro ricordo con ammirazione Gil les Villeneuve e Alain Prost.

Ma quello che mi colpisce sempre è pensare che, quando ho ini ziato a correre negli Stati Uniti, mi sono trovato sulla linea di par tenza con accanto alcuni dei figli di quelli con cui avevo corso nel passato”.

Chi ringrazierebbe per la sua carriera? “Dopo così tante corse, ringrazio Dio ogni giorno di essere ancora qui e di poter raccontare la mia storia. Con tutti i rischi che ho corso non era per nulla scontato”.

Quindi dopo così tanti anni nei paddock è arrivato il momento di riposarsi?

“L’uomo non può fermarsi. La parola ritiro o pensione per me non esiste. Siamo come biciclette: nel momento in cui smettiamo di pedalare perdiamo l’equilibrio e cadiamo a terra. Puoi decidere di pedalare più lentamente, ma non ti puoi fermare. Non siamo stati creati per stare in casa a guardare la televisione, ma per porci sem pre un obbiettivo da raggiungere.

Quindi il prossimo passo è realizzare il mio secondo sogno, dopo quello di correre in Formula 1: fra un anno lanceremo una supercar elettrica a marchio Fittipaldi, disegnata in Italia”.

Cosa pensa della Formula 1 di oggi?

“Stefano Domenicali, presidente e amministratore delegato del Formula One Group, sta facendo un ottimo lavoro alla guida della Formula 1. L’ha resa di nuovo divertente da seguire e popolare in tutto il mondo. Lo è diventata anche negli Stati Uniti, soprattut to grazie alle docuserie prodotte da Netflix che hanno avvicinato questo sport ai giovani americani. Sono stato ambasciatore della Formula 1 a Miami lo scorso maggio e ho toccato con mano il

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INTERVIEW

successo incredibile che l’evento sta riscuotendo. I cambi di regolamento che hanno coinvolto le vetture, ma anche i limiti al budget introdotti quest’anno, hanno reso le gare molto più divertenti e competitive. Mi piace molto la Formula 1 di oggi”.

Quanto è diversa rispetto ai tempi in cui lei correva?

“La Formula 1 di oggi si basa molto sull’elettronica e sull’analisi del la telemetria. È ovviamente molto diversa da quando guidavo io. Le macchine di oggi sono molto difficili da gestire. Oggi un pilota deve possedere qualità diverse da quelle dei nostri tempi. Deve avere non solo un buon istinto di guida, ma essere anche un po’ inge gnere, deve saper analizzare i dati e i numeri che gli vengono forniti. Deve saper raggiungere il limite del limite con estrema precisione”.

Sbaglio o il nome Fittipaldi gira ancora sulle piste?

“Veder correre mio figlio è un’emozione che non ha eguali. Emo ha 15 anni e già moltissima esperienza alle spalle. Vederlo correre mi restituisce sensazioni molto intense e particolari”.

Quale consiglio non si stancherà mai di dargli?

“Lo stesso che mi ha sempre dato mio padre: se ti piace correre devi dedicartici con tutto l’amore e la dedizione possibile e farlo con serietà, perché è uno sport molto complesso e difficile, che non ammette superficialità o distrazioni. A ogni curva bisogna dedi care il meglio di sé. Ci sono moltissime circostanze da considerare e tenere sotto controllo. Per un giovane non è semplice preparar si fisicamente, tecnicamente, rimanere concentrato, pensare alla macchina e agli avversari con intelligenza. Oggi tutti i giovani piloti devono confrontarsi con i preparatori atletici, con i coach del circu ito e con i mental trainer, oltre a dover curare la propria centratura spirituale. Una situazione non facile per un adolescente di 15 anni”.

Chi dobbiamo tenere d’occhio fra i piloti emergenti?

“Spero mio nipote, Enzo Fittipaldi, che oggi corre in Formula 2. Sarebbe una bella soddisfazione vederlo crescere ancora, soprat tutto se si pensa che da 4 anni nessun pilota brasiliano corre nella massima categoria”.

Mi affascina la sua doppia anima: da un lato l’imprenditore che vuole costruire e raggiungere sempre nuovi obbiettivi, e dall’altra l’uomo pronto a rischiare tutto sfidando il limite?

“Sono convinto che la vita presenti sempre, in qualsiasi momento, una certa dose di rischio (negli affari come nel percorrere una sem plice autostrada...). In realtà il rischio e la voglia di costruire non sono valori in contrasto, anzi. È proprio la paura di rischiare che auto-impone blocchi alle proprie aspirazioni, e ti frena nel costruire e realizzare i sogni.

Se al desiderio di costruire e all’accettazione del rischio si aggiunge una buona dose di fiducia in Dio e di cura della propria vita spiritua le, che ti permette di percorre il sentiero giusto per te in un mondo che spesso sembra impazzito, allora tutto si ricompone in una vita ricca di soddisfazioni”.

Parliamo del suo impegno nel business della moda?

“Il mondo della moda mi affascina molto per lo spirito di cambia mento che lo connota. Perché esalta le scelte personali, la diversità

di ciascuno, abbracciandola con un’emozione di bellezza. La qua lità è sempre stata l’unica regola che mi sono dato nello scegliere a quali prodotti dare il mio nome. Siano essi articoli di abbigliamento - come T-shirt, cappelli, cinture – oppure calzature, orologi, cer chioni delle auto: quello che per me conta è che design e finiture siano uniche, e che esprimano sempre il meglio in termini di crea tività e cura dei dettagli.

Le mie scarpe, per esempio, voglio che siano belle e curate, ma anche molto comode. Sono una persona sportiva, perciò pretendo che ciò che indosso sia confortevole. Anche perché i nostri piedi sono alla base di tutto quello che facciamo”.

Formula 1 World Champion in 1972 and 1974, winner of 14 Grands Prix. Winner in the United States of a CART championship and two Indianapolis 500.

Emerson Fittipaldi, born in 1946, Brazilian driver of Italian origin, wears a pair of beautiful sneakers, a belt whose buckle bears his initials, as does the t-shirt and cap, not to mention the prestigious watch with a sporty and well-kept design in every detail. An unmi stakable style made of Fittipaldi branded garments. We meet him on Lake Garda to discover that he does not just love limits, but also the beauty and design of Italian supercars; he loves to build value with his choices, he loves to live and never stop.

If I say the word races, what do you think of?

“I think of my life. My whole life. Since I was a child, racing has been part of my daily life”.

But you get to cars after having tried motorcycles for two years and having founded a small company with your brother to sponsor your sports career...

“That’s right, we built karts that we raced with and that we sold to others to finance our participation in racing.

I have always enjoyed hitting the track, but loved also the construc tive part, personally creating the cars to race with. The technical part has always fascinated me.

In the 1970s, we built steering wheels that we sold on the street. We made one of the most famous steering wheels of the time, all covered in leather. After that I invested in my dream of racing in Formula 1, and so I moved to England”.

How did the Formula 1 dream come about?

“My dad was a sports journalist and he always took me to see the Interlagos Grand Prix in Brazil. I have had the roar of engines in my ears since I was a child. When I was only 5 years old, I looked at my father and told him: I want to be a Formula 1 driver”.

You raced in every possible competition. Is there a race that you recall that makes you emotional?

“I started in the 1970s and ended my professional career in 1996 between Formula 1 and Indi. The two most important races of my life were that of Monza in 1972 when I won the Italian Grand Prix and my first World Championship and my first victory in Indianapolis, one of the most important American events, with a more than cen tenary racing tradition”.

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INTERVIEW

What do you like about the racing world?

“Driving a car pushing the limits of the technical capabilities of a man-made car and the physical, technical and psychological abi lities of those who drive it, gives you an incredible adrenaline rush.

If you also add the competition, the desire to cross the finish line first, without forgetting the risk ingredient, then you get the perfect blend of adrenaline. A very strong feeling that is difficult to explain to those who are not pilots. Arriving at a corner pushing the limits and feeling deeply immersed in that moment, or doing an almost perfect lap is really very exciting for a human being”.

Who has been the rival you valued the most?

“Having raced with three pilot generations, I could name many. The first, a friend, is Jackie Stewart. When I started he already had a lot of experience behind him, but he always respected my space. It was great to drive together. Mario Andretti, James Hunt, Niki Lau da, Carlos Reutemann, Jody Scheckter, were very strong drivers in the 1970s. After them I remember with admiration Gilles Villeneuve and Alain Prost.

But what always strikes me is to think that, when I started racing in the United States, I found myself on the starting line with some of the children of those I had raced with in the past next to me”.

Who would you thank for your career?

“After so many races, every day I thank God to be still alive and to be able to tell my story. With all the risks I ran, it was not at all obvious”.

So is it time to rest after so many years in the paddocks?

“The man cannot stop. The word retirement does not exist for me. We are like bicycles: the moment we stop pedaling, we lose our balance and fall to the ground. You can decide to pedal slower, but you can’t stop. We were not created to stay at home watching television, but to always set ourselves a goal to achieve.

So the next step is to make my second dream come true, after that of Formula 1 racing: in a year we will launch a Fittipaldi-branded electric supercar, designed in Italy”.

What do you think of Formula 1 today?

“Stefano Domenicali, Formula One Group president and CEO, is doing a great job at the lead of Formula 1 races. He has made it fun to watch and popular around the world again. It has also be come so in the United States, especially thanks to the docuseries produced by Netflix that have brought this sport closer to young Americans. I was ambassador of Formula 1 in Miami last May and I have experienced first hand the incredible success that the event is enjoying.

The changes in regulation that involved the cars, but also the bud get limits introduced this year, made the races much more fun and competitive. I really like today’s Formula 1”.

How different is it from the times you used to run?

“Today’s Formula 1 relies heavily on electronics and telemetry analysis. It is obviously very different from when I was driving. To day’s cars are very hard to drive. Today a pilot must possess diffe rent qualities from those of our times. He must have a good driving

instinct, but be also a little engineer, he must know how to analyse the data and the numbers that are provided to him. He must be able to reach the limit of the limit with extreme precision”.

Am I wrong or the name Fittipaldi can still be seen on the tracks?

“Seeing my son driving is an emotion that has no equal. Emo is 15 years old and has already a lot of experience behind him. Seeing him drive gives me very intense and particular sensations”.

What advice will you never tire of giving him?

“The same one that my father always gave me: if you like driving you have to dedicate yourself to it with all the love and dedication possible and do it seriously, because it is a very complex and diffi cult sport that does not admit superficiality or distractions. You have to give your best to every corner. There are a lot of circumstances to consider and keep under control. It is not easy for a young per son to prepare physically, technically, stay focused, think about the car and the rivals with intelligence. Today all young drivers have to deal with athletic trainers, with the coaches of the circuit and with mental trainers, as well as having to take care of their own spiritual centering. Not an easy situation for a 15-year-old teenager”.

Who should we keep an eye on among the emerging pilots?

“I hope my nephew, Enzo Fittipaldi, who races in Formula 2 today. It would be a great satisfaction to see him in Formula 1, especially if you consider that no Brazilian driver has been racing in the top category for 4 years”.

Your double soul fascinates me: on the one hand the entrepre neur who always wants to build and achieve new goals, and on the other the man ready to risk everything by challenging limits?

“I believe that life always, at any moment, presents a certain amount of risk (in business as in taking a simple highway...). In reality, the risk and the desire to build are not conflicting values, quite the con trary. It is exactly the fear of taking risks that self-imposes blocks on one’s own aspirations, and holds you back in building and making dreams come true.

If a good dose of trust in God and care for your spiritual life is added to the desire to build and accept risks, which allows you to walk the right path for you in a world that often seems crazy, then everything comes together in a life full of satisfactions”.

Can we talk about your commitment to the fashion business?

“The fashion world fascinates me a lot for the spirit of change that characterises it. Because it enhances the personal choices, the diversity of each, embracing it with emotions of beauty. Quality has always been the only rule I have given myself in choosing which products to give my name to. Whether they are clothing itemssuch as T-shirts, caps, belts - or shoes, watches, car rims: what matters to me is that design and finishes are unique, and that they always express the best in terms of creativity and attention to de tail. My shoes, for example: I want them to be beautiful and well kept, but above all comfortable. I am a very sporty person, so I demand that what I wear is comfortable. Also because our feet are the basis of everything we do”.

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issue #5 Toutes les fleurs de Lena The foggy dew

Tender is the night

studies

listener

Gloves HUI MILANO Dress FLAVIA MARSI Bag A.CLOUD
September
Anthropology
Food
The
fashion 51 F/W 2023

September issue #5

Apres midi sur l’herbe

Hat BONIFILIO HATS Dress ANTONIO RIVA Accessories RADÀ Shoes JEFFREY CAMPBELL Photos by Angelo Lanza Fashion by Luca Termine Gloves HUI MILANO Socs MUKZIN Dress FLAVIA MARSI Bag A.CLOUD Sunglasses VALENTINO Shoes PREMIATA Hat BONFILIO HATS Dress BABYLON Shoes CHANEL Hat
BONFILIO HATS Dress BABYLON
Coat SPORTMAX Dress ADELBEL Earring RADÀ Bustier LEONARDO VALENTINI Shoes BENEDETTA BOROLI Jaket, hooded sweater and shoes ANNAKIKI Skirt FEDERICO P. Hat
BONFILIO HATS Dress BCBGMAXAZRIA
Dress SILVIA
FLAVIA MARSI trousers
HEACH Top CHRISTOPHER RAXXY Belt and earring RADÀ Bag CHANEL Mask archive Shoes MALONE SOULIERS
Hat BONFILIO HATS Dress BCBGMAXAZRIA Shoes STEVE MADDEN Photos by Angelo Lanza Fashion by Luca Termine Make-up: Massimo Palasciano @MKS Milano Hair: Mirko Battipaglia @MKS Milano Photo assistant: Yadier Castro Piedra Styling assistant: Maria Segreto, Camilla Di Gianni Model: Emily Reda @BraveModels - Milano

Toutes les fleurs de Lena

Drawings by Françoise Dedon Photos by Angelo Lanza Fashion by Luca Termine Coat MILLÈ Dress MOMONI Shoes CHIE MIHARA
Trousers and top MARSIKO Sweater and scarf DROME
Coat SFIZIO Jacket and trousers MRZ Gilet SIMON CRACKER Shoes LOST IN ECHO
Coat MARYLING Jacket and salopette KRIZIA Shoes BENEDETTA BOROLI
ALBERTO ZAMBELLI STEVE MADDEN
Shirt BABYLON Skirt
Shoes

Dress FEDERICO P

Sunglasses PRADA

Down jacket DATE CAPSULE SEVENTY VENEZIA

Boots BENEDETTA BOROLI
Coat MATÉMA Jacket TAGLIATORE 0205 Trousers CHRISTOPHER RAXXY Shoes LOST IN ECHO

Top and skirt CRISTIANO BURANI Coat GIANLUCA CAPANNOLO Shoes SCAROSSO

Drawing by Françoise Dedon

Photos by Angelo Lanza Fashion by Luca Termine

Make-up: Massimo Palasciano @MKS Milano

Hair: Mirko Battipaglia @MKS Milano

Photo assistant: Yadier Castro Piedra

Styling assistant: Maria Segreto, Camilla Di Gianni

Flowers by Walter Valente @W Fiori - Milano

Model: Lena Joyeux @BraveModels - Milano

Thanks to: Francoise Dedon Galerie Hyeres-Les-Palmiers, for her works

IG: francoise.dedon

Françoise Dedon

Evoking a story

F rançoise Dedon, attraverso le sue peculiari opere figura tive, esplora i temi relativi alle donne, al rapporto tra uo mini e donne, ai bambini e alla natura. Nel suo processo artistico utilizza di preferenza acrilici su tele di lino, predi ligendo spessi contorni neri e sfumature pastello. L’artista francese, i cui dipinti sono stati esposti oltre che nel suo paese anche in Spagna, dichiara un pri mordiale rapporto con l’arte: “Fin dalla più tenera età sono sta ta immersa nell’arte tanto da divenire parte integrante della mia vita. Dipingevo accanto a mia madre, diplomata alle Beaux-Arts de Marseille. E mio padre, giardiniere paesaggista, mi fece scoprire il mondo delle piante, una passione che avrei poi portato nei miei dipinti. Come collezionista d’arte, mia nonna mi portava a visitare musei, negozi di antiquariato, gallerie e gioiellerie. Grazie a tutte queste sollecitazioni ho sviluppato rapidamente la mia attrazione per varie forme d’arte”.

L’artista è da sempre interessata ai personaggi femminili che com battono e pensano. Sono avventuriere, pensatrici, combattenti... In un certo senso incarnano idee e sogni. Ma l’ispirazione proviene anche dalle sue due figlie che adora osservare.

E la moda? “È una passione particolare: quando assisto a una sfi lata mi ci immergo, la mia mente è in subbuglio, i tessuti, le modelle in luogo, le acconciature, il trucco... Un’esplosione di dettagli estre mamente stimolanti. Quando scopro una rivista di moda, osservo ogni particolare di ogni foto: la luce, le pose, le ambientazioni, gli stili. È un mondo che mi affascina”.

Dal 2021 Dedon collabora con una galleria d’arte situata in Cina, The Art Space, e con Singulart, una galleria d’arte internazionale online che le offre visibilità presso i collezionisti di tutti i continenti: “Ma la vicinanza con le persone è importante per me. Ho quindi deciso di aprire una galleria d’arte dove le mie opere saranno visibili al pubblico”.

Through her distinctive figurative works, Françoise Dedon explo res themes relating to women, the relationship between men and women, as well as children and vegetation. In her artistic process she most often employs acrylics on linen canvases, favouring thick black outlines and pastel shades.

The French artist, whose paintings have not just been exhibited in her country but also in Spain, states to have a primordial relation ship with art: “I have been immersed in art from an early age, to such a point that it became an integral part of my life. I painted next to my mother, who graduated from the Beaux-Arts de Marseille. And my father, a landscape gardener, made me discover the world of plants, a passion that I would later bring into my paintings. As an art collector, my grandmother took me to visit museums, antique shops, galleries and jewellers. Thanks to all these stimuli, I quickly developed my attraction to various art forms”.

The artist has always been interested in female characters who fight and think. They are adventurers, thinkers, fighters. In a sense they embody ideas and dreams. But her inspiration also comes from her two daughters whom she loves to observe. What about fashion? “It is a particular passion: when I attend a fashion show I immerse myself in it, my mind is in turmoil, the fa brics, the models, the hairstyles, the make-up. It is an explosion of extremely stimulating details. When I discover a fashion magazine, I observe every particular of each photo: the light, poses, settings and styles. It is a world that fascinates me”.

Since 2021, Dedon has been collaborating with an art gallery lo cated in China, The Art Space, and with Singulart, an international online art gallery that offers her visibility towards collectors from all continents: “But closeness to people is important to me. So I deci ded to open an art gallery where my works are visible to the public”.

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The foggy dew

Photos by Daniela Rettore Styling by Luca Termine Left: Total look KRIZIA Hoop earring ROSANTICA Right: Total look CRISTIANO BURANI Hoop earring ROSANTICA

Front: Total look HANITA

Back: Coat SILVIA HEACH

Coat MARSEM Hat JAIL JAM Shirt, salopette and shoes ALESSIA SANTI
Dress ANTONINO VALENTI Shirt ALESSANDRO GHERARDI Hat BONFILIO HATS Lunette GIORGIO ARMANI Socks BRESCIANI Shoes ATTIC AND BARN
Coat ARABESQUE Balaclava ATTIC AND BARN Scarf JAIL JAM

Front: Coat HUI MILANO Shirt SPORT MAX Hat MARZI Boots DRIES VAN NOTEN

Back: Dress ANDREA INCONTRI Shirt CHLOÈ Hat MARZI

Dress ANTONINO VALENTI Shirt ALESSANDRO GHERARDI Hat BONFILIO HATS Lunette GIORGIO ARMANI
Total look MAX MARA

Left: Top TORY BURCH Trench DROME

Right: Turtleneck BRUNELLO CUCINELLI

Coat AMERICAN VINTAGE Bag BALLY

Left:

Coat KIMONORAIN

Shirt GANT

Pull ATTIC AND BARN Trousers BERWICH Hat MARZI Shoes PREMIATA

Right:

Coat ELENA MIRÒ

Suit ANTONIO MARRAS Shirt EXODUS

Turtleneck FABIANA FILIPPI Shoes COLLEGE

Shirt and skirt COTE Tulle skirt ARABESQUE Hat BONFILIO HATS Socks CALZEDONIA Shoes XOCOI Photos by Daniela Rettore Styling by Luca Termine Make-up: Valeria Stefanelli Hair: Mariano Sabatelli Retoucher: Katya Kachounouskaya Models: Susanna Bianchi @SophieModels and Daria Sorokina @PwrModels

Tender is the night

Photos by Angelo Lanza Fashion by Luca Termine Dress Boots JEFFREY CAMPBELL Sunglasses
FLAVIA MARSI
Bag YESE STUDIO
SAINT LAURENT Bracelet BIBLOS
Dress BIBLOS Bag SONGMONT Shoes MARIO VALENTINO
Fur VIENMNSUONNO1926 Trousers DROME Shoes STEVE MADDEN Dress SILVIA HEACH Sunglasses DOLCE & GABBANA Boots STEVE MADDEN
Dress BCBGMAXAZRIA Fur SILVIA HEACH Shoes MALONE SOULIERS
Jacket and skirt MARZO Necklace BIBLOS SONGMONT Sunglasses MIU MIU Sandal LORIBLU
13de
Bag
Photos by Angelo Lanza Fashion by Luca Termine Make-up: Lucrezia Scarpa @MKS Milano Hair: Mirko Battipaglia @MKS Milano using Babylisspro Italia Photo assistant: Alessandro Gamba, Yadier Castro Piedra Styling assistant: Maria Segreto, Camilla Di Gianni Model: Karyna Alekseienko @BraveModels - Milano

Anthropology

Photos by Sara El Beshbichi Styling by Lucrezia De Vita & Martina De Carolis Gloves CRISTIANO BURANI Coat HUI Body FLAVIA MARDI Shoes MARIO VALENTINO Joy
Dress GRK Sadness
Shirt MARTINO MIDALI Top and skirt CRISTIANO BURANI Texan boots SONORA
Love
Dress BARTOLOTTA & MARTORANA Choker ABSIDEM Boots DR. MARTENS
Anger
Top and Skirt ATTIC AND BARN Sabot CRISTIANO BURANI Surprise
Dress GILBERTO CALZOLARI Shoes CRISTIANO BURANI Photos by Sara El Beshbichi Styling by Lucrezia De Vita & Martina De Carolis Make-up and hair: Giada Rusmini Model: Irene Lenzi @NextModel - Milano
Fear

Food studies

Photos by Elodie Cavallaro Styling by Lucrezia Bazzolo Shoes TRAFFICO Bag LOST IN ECHO Necklace ETRUSCA GIOIELLI
Top: Bag YESE STUDIO - Black necklace LOST IN ECHO / Below: Bag LOST IN ECHO
Shoes TRAFFICO - Bag YESE STUDIO
Shoes TRAFFICO Rings ETRUSCA GIOIELLI
Ring and earring LOST IN ECHO
Bag SONGMONT
Shoes TRAFFICO
Top: Pearl ring LOST IN ECHO - Earrings ETRUSCA GIOIELLI / Below: Shoes TRAFFICO - Bracelet ETRSUCA GIOIELLI Photos by Elodie Cavallaro Styling by Lucrezia Bazzolo Location: Discromie The listener Drawings by Mcahny Photos by Angelo Lanza Fashion by Luca Termine Shearling jacket DRM Hat STETSON Sunglasses PRADA Sweater FRED PERRY Turtleneck sweater LAST POETS
Balaclava and cardigan FAMILY FIRST Sweater AVRIL 8790 Trousers COLLINI MILANO Hat STETSON Rings RADÀ Sneakers ADIDAS
Jacket TAGLIATORE Coat AVANT TOI Turtleneck sweater PAL ZILERI Trousers BERWICH Hat STETSON Sneakers Kostas Murkudis AT.KOLLEKTIVE Sweater ANNAKIKI Turtleneck sweater LAST POETS Sunglasses VERSACE Nail jacket COLLINI MILANO
Jacket and trousers CRUNA Bag C.P. COMPANY Sweater PIACENZA CASHMERE Hat STETSON Coat ANGELOS FRENTZOS Shirt MCS Shoes VIC MATIĒ
Coat BABYLON Scarf and shirt VIENMNSUONNO1926 Sunglasses DOLCE & GABBANA Sweater MATÉMA Trousers RE-HASH ACTIVE Shoes Bianca Saunders AT.KOLLEKTIVE Jacket TAGLIATORE Turtleneck sweater FAMILY FIRST Hat STETSON Sunglasses ITALIA INDEPENDENT Sweater ANNAKIKI Turtleneck sweater LAST POETS Nail jacket, trousers and boots COLLINI MILANO Suit FAMILY FIRST Kimono ANGELOS FRENTZOS Turtleneck sweater OTTOD’AME Shoes SCAROSSO Drawing by Mcahny Photos by Angelo Lanza Fashion by Luca Termine Make-up: Massimo Palasciano @MKS Milano Hair: Mirko Battipaglia @MKS Milano Photo assistant: Yadier Castro Piedra Styling assistant: Maria Segreto, Camilla Di Gianni Models: Mattia Pardini, Pedro Ferrari @ILoveModels - Milano Thanks to Mcahny for his works - IG: mcahnyart

Mcahny

The clouds are my muses

“Ispirazione è lasciarsi guidare dal proprio spirito o ‘Daimon’, come lo definivano i greci. Il mio ‘Daimon’ è molto antico ed esperto e nel tempo ho imparato a seguirlo. Si va insieme a pescare a mani nude in altre dimensioni. Le mie muse sono le nuvole”. E la sua arte è proprio come le nuvole: libera, imprevedibile, spontanea. “L’opera nasce improvvisamente, senza gestazione alcuna – afferma Mcahny -. Faccio molta ricerca storica e ne utilizzo gli sguardi, le mani e altri dettagli come gli sfondi o le posture. In seguito parte la composizione, che vede aggiungersi elementi moderni, fotografie, pattern e in terventi manuali di disegno e pittura digitale. Infine, c’è il delicato processo di stampa fine art, esclusivamente su due qualità di carta a base cotone. Non stampo mai due volte la stessa opera”. Mcahny nasce nel 2018, come progetto per il recupero e la dif fusione della cultura pittorica classica e neo classica. Lo stesso anno entra a far parte della scuderia artistica del progetto moo vart, promosso dalla Fondazione Modigliani e partecipa a nume rose mostre collettive su tutto il territorio nazionale.

Nel 2019 collabora con Popack al fianco di artisti ben noti nel panorama internazionale, e partecipa e vince alcuni contest na zionali di arte e design.

Il suo rapporto con la moda? “Mcahny è visibilmente un pro getto d’arte che include il fashion design già dalle prime opere del 2018. Posso dire di aver matchato e mixato fiori, righe e animalier molto tempo prima che si vedesse su alcune passe relle” afferma.

“The inspiration lies in allowing yourself to be guided by your very own spirit or ‘Daimon’, as the Greeks like to call it. My ‘Daimon’ is quite ancient and expert, and over time I have learned to follow him. We go fishing barehanded together in other dimensions. The clouds are my muses”. And his art is just like clouds: free, unpre dictable, and spontaneous. “The work is suddenly born, without any kind of gestation period - confirms Mcahny -. I do a lot of research and use gazes, hands, and other details like backgroun ds or postures. After this, the composition begins, which sees the addition of modern elements, photographs, patterns, and manual processes of design and digital painting. Finally, there is the deli cate process of the fine art print, which is done exclusively on two different qualities of cotton-based paper. I never print the same work twice”. Mcahny was born in 2018 as a project for reviving and promoting the classic and neo classic culture of painting. The same year, it became part of the artistic moovart project, promo ted by the Modigliani Foundation, with numerous participations in collective exhibitions across the national territory. In 2019, the col laboration with Popack began alongside well-known artists on the international panorama, with Mcahny participating in and winning several awards in national contests of art and design.

Its relation with fashion? “Mcahny is clearly an art project that was already including fashion design in its first works released in 2018. Could it be said that I was mixing and matching flowers, stripes, and animal prints long before such elements were seen on the catwalk” he said”.

130 ART
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131 ART @mcahnyart
Dior Balenciaga Chanel Louis Vuitton Gucci
cruise VALENTINO
Plaza de España, Siviglia SPAIN
dior CRUISE
La terza tappa di un tour mediterraneo dove l’abito confina con il costume The third stage of a Mediterranean tour where clothes border costumes
135 CRUISE
Il feticismo passivo di un’economia identitaria falsata The passive fetishism of a distorted identity economics
CRUISE 136
Wall Street, New York City UNITED STATES
CRUISE balenciaga
Monte Carlo Beach Hotel PRINCIPATO DI MONACO
hanel CRUISE c

La corsa al lusso tra biografia e iconografia

The race towards luxury between biography and iconography
139 CRUISE
L’architettura dell’abito all’orizzonte di un contatto nuovo con la gen Z The structure of clothes on the horizon of a new approach to Gen Z
140 CRUISE V
Salk Institute, San Diego (CA) UNITED STATES
EDITORIAL uitton 141 V CRUISE
Castel del Monte, Andria (BT) ITALY
ucci CRUISE g

Un viaggio esoterico tra materia ed astrazione

An esoteric journey through matter and abstraction
CRUISE 143
runway LOUIS VUITTON Man S/S 2023 Milan/Paris

The ‘rediscovered’ man of SS23

Torna la suspence dell’ignoto, quel senso di indefinito che scandisce il passo di una società in mutamen to, e Parigi è uno dei suoi teatri contemporanei dove esporre il dramma, la passione, la scoperta di questo preannunciato, impavido 2023. Le collezioni Primavera Estate fanno da tramite tra la certezza del presente e la speranza del domani. Registi e registri nuovi per una rappresentazione che travolge il suo pubblico, e sembra riprender si il titolo di ‘prêt-à-couture’, dove la maestria della tradizione fran cese couturier incontra l’innovazione del prêt-à-porter, unendosi in un sodalizio che ora i millennial chiamerebbero ‘collab’, quasi in memoria di quel Virgil Abloh che ancora guarda da lassù. Non solo Off-White con la sua marcia/tributo al fondatore, ma anche Loewe con la sua foresta animata e il dipinto-show di Y-Project che ripren de l’opera del Terzo Stato: la stagione uomo parigina della PE23 incorpora tradizione e contaminazione. Incontri che generano scontri, ma anche vere e proprie collisioni di codici estetici e regole sociali. Forse il più evidente è proposto proprio da Celine che mostra il suo enfant terrible in nero, adorno di una luce soffusa che nasconde un’immagine sofferta dei tardi anni ‘70 in cui si ambiva, quasi per ‘sbaglio’, alla tossicità. Ad addolci re la scena c’è Dior che decide di alleggerire il peso del presente con una gita fuori porta, lungo le coste della Normandia (dove la famiglia del fondatore aveva una villa con immenso giardino), e con modelli in rosa e azzurro che percorrono una venue collinare. Sem brano fiori in una vegetazione rigogliosa, a ricordo della passione di Monsieur Dior. Se di ricordo si parla, allora Off-White fa sempre più suo il desiderio di memoria, come evidente nello show: una marcia corale che vuole mantenere viva la creatività del designer

americano Abloh con una successione di rielaborazioni di alcuni dei suoi look d’archivio. Pure Loewe ricorre all’archivio con le sue iconiche scarpe e le forme organiche, ma a sigillo di un legame, quello tra uomo e natura, ora tema così attuale. Il designer ingle se crea uno spazio industriale a forma di collina spoglia di verde. Ma non del tutto, perché, in un capovolgimento di ruoli, lo stesso verde riappare su scarpe sportive e lunghi cappotti, ricordando il valore della cura dell’immensa casa green che circonda l’uomo. YProject ricorre all’etica nella sua PE23 uomo, a quella di una socie tà classista, che veste divise e assegna ruoli. E tra sovrapposizioni di tessuti, fili tirati e contrasti apparenti, il brand, noto per le sue provocazioni, mostra i lati ricurvi di questa schiacciante società. Anche Thom Browne rielabora, ancora una volta, la sua uniforme collegiale, conferendole una nuova sfumatura: meno infantile, più matura, quasi a indicare la crescita obbligata alla quale l’uomo è richiesto di sottoporsi. La gonna plissé la giacca avvitata e le iconi che righe vanno a contrastare la contaminazione generazionale di alcuni look, come il punk del hairstyle e il grunge delle lavorazioni delle giacche. Ci si avvicina sempre più all’immagine di un giovane uomo autoironico, a tratti onirico, che custodisce nella sua 24ore a quadri il bagaglio di una così breve ma intensa esperienza di vita. Una stagione contaminata che ricorda quelle di un tempo, trascor se a spostarsi in lungo e largo per la capitale francese carichi dello stupore dello show precedente e la sorpresa del successivo. Ma rimane sempre l’uomo, con il suo guardaroba così mutevole quan to canonico, a spiegare il suo mondo, da narratore imparziale, con cedendo l’ingresso a quei pochi capaci di accomodarsi in quarta fila, lasciando i posti avanti ai figli di domani: tutti spettatori di una rappresentazione autobiografica.

LOWE Y PROJECT THOM BROWNE OFF WHITE
146 PARIS
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The suspense of the unknown returns, that sense of indefinite that marks the pace of a changing society, and Paris is one of its con temporary theatres where to exhibit the drama, the passion and the discovery of this foretold, undaunted 2023. The Spring Sum mer collections act as an intermediary between today’s certainty and tomorrow’s hope. The representation of the new directors and registers overwhelms the audience, and seems to take back the title of ‘prêt-à-couture’, where the mastery of the French couturier tradition meets the innovation of prêt-à-porter, joining in a part nership that now millennials would call ‘collab’, almost in memory of that Virgil Abloh who still watches from up there. Not only OffWhite with its march/tribute to the founder, but also Loewe with its animated forest and the Y-Project painting-show that takes up the work of the Third Estate: the Parisian men’s season of SS23 incor porates tradition and contamination. Encounters generate clashes, but also real collisions of aesthetic codes and social rules. The most obvious is perhaps proposed by Celine which shows its enfant terrible in black, adorned with a soft light that hides a painful image of the late ‘70s in which, almost by ‘mistake’, one aspired to toxicity. To sweeten the scene Dior decides to lighten the weight of the present with a trip out of town, along the coasts of Normandy (where the founder’s family had a villa with an immense garden), and with models in pink and blue that run a hilly venue. They look like flowers in lush vegeta tion, in memory of Monsieur Dior’s passion. If we are talking about memory, then Off-White takes with it the desire for memory, as evident in the show: a choral march that wants to keep the cre ativity of the American designer Abloh alive with a succession of

reworkings of some of his looks in the archives. Also Loewe uses archivial material with its iconic shoes and organic shapes, but as a seal of a bond, the one between man and nature, now such a topical theme. The English designer creates an industrial space in the shape of a green bare hill. But not entirely, because, in a rever sal of roles, the same green reappears on sports shoes and long coats, recalling the value of care for the immense green house that surrounds mankind. Y-Project uses ethics in its SS23 man, that of a class society, which wears uniforms and assigns roles. And between overlapping fabrics, tight threads and apparent contrasts, the brand, known for its provocations, shows the curved sides of this overwhelming society. Also Thom Browne reworks, once again, his collegiate uniform, giving it a new nuance: less childish, more mature, as if to indicate the forced growth to which man is required to undergo. The pleated skirt, the screwed jacket and the iconic stripes contrast the generational contamination of some loo ks, such as the punk hairstyle and the grunge jacket structure. We are getting increasingly closer to the image of a self-deprecating, at times dreamlike, young man who keeps the background of such a short but intense life experience in his 24 hours bag. A contaminated season reminiscent of those of the past, spent tra velling in and around the French capital filled with the astonishment of the previous show and the surprise of the next. But it is always up to the man with his wardrobe as changeable as it is canonical, to explain his world, as an impartial narrator granting entry to those few who are able to sit in the fourth row, leaving the seats ahead for the children of tomorrow: all spectators of an autobiographical representation.

LOWE OFF WHITE THOM BROWNEY PROJECT
147 PARIS

Man

LOUIS
S/S 2023 PARIS 148 RUNWAY
VUITTON

PARIS

THOM BROWNE
RUNWAY 149
DIOR
COMME DES GARÇONS PARIS
150 RUNWAY BALENCIAGA
RICK OWENS PARIS
RUNWAY 151 DRIES VAN NOTEN
GUCCI MILAN
152 RUNWAY DSQUARED2
MILAN DOLCE & GABBANA
EMPORIO ARMANI
RUNWAY 153
ZEGNA MILAN
FENDI
154 RUNWAY
MILAN GIORGIO ARMANI
RUNWAY 155
ETRO
C.C.M S.A.S. - 182 à 188, avenue Paul Vaillant Couturier - 93120 La Courneuve France • T 0033 (1) 49. 92. 88. 88 - www.davidjones.paris
C.C.M S.A.S. - 182 à 188, avenue Paul Vaillant Couturier - 93120 La Courneuve France • T 0033 (1) 49. 92. 88. 88 - www.davidjones.paris
Drawing by Joe Colosimo © Edited by Ursula Beretta
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All the colours of Reggio Emilia

Piccola città eterna, per citare uno dei suoi artisti con temporanei più celebri, che poi tanto piccola non è dal momento che ha dato i natali al Tricolore naziona le, che ancora oggi conserva gelosamente. Ma anche capitale della Bassa, quella fetta della Pianura Padana che va dal Po alla via Emilia, dove la cultura nasce tanto in cucina quanto nei piccoli spazi dedicati all’ar te, nelle distese dei bar all’aperto e nelle piazze assolate dei paesi che si rincorrono assecondando la morbidezza geografica delle sue campagne e il cammino dei suoi corsi d’acqua. È Reggio Emi lia, crocevia fortunato tra antico e moderno, città ricca di sapori e di saperi, ponte – e non solo uno di quelli avveniristici firmati Calatrava che accolgono chi vi arriva dall’Autostrada del Sole – sospeso sul futuro e sul culto di una dimensione squisitamente umana custodi ta dai suoi portici, amplificata da un centro accogliente e famigliare che ispira e guida alla scoperta di un meraviglioso angolo d’Italia. Reggio Emilia è passione per le piccole cose, quelle vere e since re, rivoluzionarie nella loro normalità: il mangiare bene e insieme, il piacere di lavorare per dare vita a qualcosa di bello, la gioia di una condivisione in cui la memoria diventa un faro da seguire e sulla quale, poi, costruire il domani. Amatissima Reggio Emilia, città di poeti antichi e moderni – mi scuserà Ludovico Ariosto, nativo di qui, se lo accosto ai cantori del nostro tempo come Luciano Ligabue e Zucchero Fornaciari -, di visionari feroci e bizzarri nella loro geniale immagine della vita. Tra uno scatto di Luigi Ghirri, una pagina di

Pier Vittorio Tondelli e uno squarcio cromatico di Antonio Ligabue, Reggio Emilia ha fatto della bellezza e della sensibilità verso tutto ciò che è artistico il filo conduttore della sua anima. Ed è proprio quella sua anima a esplodere senza ritegno negli edi fici del suo centro storico, racchiuso nell’esagono di viali che se guono il tracciato delle vecchie mura ora scomparse, a partire dalla rinascimentale Piazza Prampolini (o Piazza Grande) sulla quale si affacciano la Cattedrale e il Battistero accanto ai primi monumenti di edilizia civile, tra cui la Torre del Bordello e il Palazzo del Comune. Città di portici, di piazze e chiese, si diceva, come Piazza Piccola o Piazza San Prospero, con l’architettura meravigliosa della sua chiesa omonima dedicata al Santo Protettore della città; e ancora la grande Basilica della Madonna della Ghiara, che conserva una tela del Guercino e, fedele alla nomea dei reggiani, dà vita a una festa con propaggini profane attesa tutto l’anno. Reggio città di santi e di cultura, che con i suoi teatri - il Teatro Ario sto, il Teatro Cavallerizza, il magnifico Teatro Municipale Romolo Valli con la scenografica sala a ferro di cavallo e le volte dipinte - e i suoi luoghi consacrati all’arte - dai Civici Musei che conservano le vestigia di un passato vivace ai meravigliosi Chiostri di San Pie tro, location prediletta dal famoso Festival di Fotografia Europea, dall’avanguardia dello Spazio Gerra alla splendida Collezione Ma ramotti senza dimenticare ovviamente il Museo del Tricolore, solo per citarne alcuni – rimandano l’immagine precisa dell’ambiente vivace e in continuo fermento di una città godereccia, rivoluzionaria e profondamente innovativa.

Una città a misura d’uomo e di bambino verrebbe da dire, consi derando i riconoscimenti che negli anni hanno premiato l’alto livello dei servizi delle scuole materne reggiane, che si allarga come un fiore seguendo le fila della leggendaria Via Emilia, la strada che, attraversandola, ne diventa anche il salotto, ricca com’è di chiese, di palazzi, di mercati e di negozi, e lungo la quale spuntano i paesi che ne costituiscono le propaggini rurali. Reggio Emilia, dove si mangia bene ovunque e ce n’è per tutti i gusti: erbazzoni e tortelli, verdi o di zucca che siano, fatti a mano dalle zdore; trionfo di salumi, di bolliti, tra i quali fa capolino il si gnor Parmigiano Reggiano; e ancora la deliziosa torta di riso e il sugo d’uva. Il tutto generosamente innaffiato da abbondanti dosi di Lambrusco. Cibo da gustare scegliendo tra la costellazione di ristoranti che spuntano tra portici e vicoli, con i loro tavolini all’a perto e i menu invitanti pronti ad accogliere chi, tra le luci del tardo pomeriggio, ha saputo godere dell’incantesimo di una città magica come la sua storia.

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Small eternal city, to quote one of its most famous contemporary artists, which really is not that small since it was the birthplace of the Italian national flag named “Il Tricolore,” which it still jealously preserves today. It is also the capital of the Bassa, that slice of the Po Valley that runs from the River Po to Via Emilia, where culture is born both in the kitchen and in the small spaces dedicated to art, in the expanses of open-air bars and sun-drenched squares of the villages that chase each other, following the geographical softness of its countryside and the path of its waterways. This is Reggio Emilia, a privileged intersection between ancient and modern, a city full of flavours and knowledge, a bridge – and not just one of those futuristic bridges designed by Calatrava that welcome those arriving from the Autostrada del Sole – suspended over the future and the cult of an exquisitely human dimension guarded by its por ticoes, amplified by a welcoming and friendly centre that inspires and guides visitors to discover a wonderful corner of Italy.

Reggio Emilia is a passion for small things, the true and sincere ones, revolutionary in their normality: eating well and together, the pleasure of working to give life to something beautiful, the joy of sharing in which memories become a beacon to follow and on which to then build tomorrow. Beloved Reggio Emilia, a city of an cient and modern poets – my apologies to Ludovico Ariosto, a native of this city, if I juxtapose him with the singers of our time such as Luciano Ligabue and Zucchero Fornaciari – of fierce and bizarre visionaries in their brilliant image of life. Between a photo of Luigi Ghirri, a page of Pier Vittorio Tondelli and a chromatic splash of Antonio Ligabue, Reggio Emilia has made beauty and sensitivity towards all that is artistic the essence of its soul.

And it is precisely this soul that explodes without restraint in the buildings of its historic centre, enclosed in the hexagon of avenues that follow the route of the old walls that have now disappeared, starting from the Renaissance Piazza Prampolini (or Piazza Grande) overlooked by the Cathedral and Baptistery next to the first monu ments of civil construction, including the Torre del Bordello and the Palazzo del Comune. A city of porticoes, squares and churches, such as Piazza Piccola or Piazza San Prospero, with the marvellous architecture of its church of the same name, dedicated to the city’s Patron Saint; and also the grand Basilica of the Madonna della Ghiara, which houses a painting by Guercino and, true to the name of the people of Reggio, gives life to a festival with secular overto nes that is looked forward to all year round.

Reggio is a city of saints and culture, whose theatres – the Ariosto theatre, the Cavallerizza theatre, the magnificent Municipal thea tre of Romolo Valli with its spectacular horseshoe-shaped hall and painted vaults – and its places consecrated to art – from the Civic Museums that preserve the vestiges of a vibrant past to the mar vellous Cloisters of San Pietro, a favourite location for the famous

European Photography Festival, from the avant-garde Spazio Ger ra to the splendid Maramotti Collection, not forgetting, of course, the Museum of the Tricolore, to name but a few – convey the pre cise image of the dynamic and ever-evolving environment of a city that is enjoyable, revolutionary and profoundly innovative. A city for adults, and for children as well, one might say, conside ring the awards that have been given to the high level of services provided by Reggio Emilia’s nursery schools over the years. A city that spreads out like a flower, following the legendary Via Emilia, the road that crosses it and becomes its living room, rich as it is with churches, palazzos, markets and shops, and along which the towns that make up its rural offshoots spring up.

Reggio Emilia, where the food is good everywhere and there is something for all tastes: erbazzoni and tortelli, green or pumpkin, handmade by the zdore (Emilian housewives); a triumph of cured meats, boiled meats, among which peeps out Mr Parmigiano Reg giano; as well as the delicious rice cake and grape sauce. All ge nerously washed down with copious doses of Lambrusco. Food to be enjoyed in the numerous restaurants sprouting up among the porticoes and alleys, with their al fresco dining experiences and enticing menus ready to welcome those who, in the late afternoon light, have been able to enjoy the enchantment of a city as magical as its history.

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L’eleganza non è farsi notare ma farsi ricordare”. Le parole di Giorgio Armani possono essere tranquillamente applica te all’essenza di Christian Boutique, la storica boutique da uomo nel cuore di Reggio Emilia, in via Monzermone, che da 43 anni detta lo stile del menswear più chic. A tu per tu con Sergio Iori, il titolare dell’insegna, che racconta come l’im portanza di innestare la creatività di tendenza sul classico, rimanendo sempre fedeli a se stessi e al proprio gusto, sia la chiave vincente di una shopping experience di successo.

Qual è la caratteristica vincente della sua boutique? Unire un prodotto classico e autentico a uno più accattivante è, da sempre, parte fondamentale della mia filosofia. Fin da quando ho aperto il mio negozio, nel 1979, ho sempre mantenuto una parte più classica fatta da marchi iconici del menswear accanto a una più di tendenza per garantire un’offerta ampia che scongiurasse il total look di un unico brand. Il perché è semplice: ho sempre pensato che vestirsi con una sola firma non desse ragione al mio concetto di eleganza, più aperto e sperimentale, più atto a mescolare impulsi diversi per creare un unicum. E i miei clienti hanno dimostrato di apprezzare questa modalità.

Quali sono i brand che stanno dando maggiori soddisfazioni e quali i best seller/long seller?

Parto sempre dal mio gusto personale scegliendo i brand che più mi piacciono – come Saint Laurent, Attolini, Finamore, Tagliatore - innestandone, di volta in volta, degli altri. Ho una clientela che definirei regionale dato che tocca molte città dell’Emilia-Romagna. Con incursioni anche in quelle vicine, come Milano: la mia proposta ben si accorda con le sue esigenze in termini di qualità, di cura dei dettagli, di attenzione ai particolari e di sartorialità.

Su quali novità avete deciso di scommettere?

Tutti gli anni inserisco tre o quattro aziende nuove che mi servono per completare l’offerta e diversificarla: accanto a una proposta più expensive in termini economici, è giusto avere anche delle alterna tive più commerciali che ne costituiscano, per così dire, il comple tamento.

Quanto conta la sostenibilità nelle sue scelte? Per me fondamentale è l’autenticità di quello che vendo. Privilegio una produzione locale, ovviamente a seconda dell’origine del mar chio. Inutile dire che prediligo il Made in Italy che poi accomuna anche le molte aziende francesi che propongo e che producono nel nostro territorio.

Nuove tecnologie e digitale: avete introdotto nuovi servizi in questo senso? Ho detto no all’e-commerce perché non mi ci riconosco. Per ci tare Giorgio Armani, “l’abbigliamento ha bisogno della prova dello specchio” non praticabile nel web. Sono convinto debba sussi stere il piacere di venire in boutique, di provare e scoprire tutte le caratteristiche di un prodotto che, a schermo, non sono assoluta mente percepibili.

Com’è cambiato il modo di coinvolgere la clientela? Il nostro credo è rimanere sempre attuali e, soprattutto, essere competitivi in termini squisitamente locali: chi sceglie di comprare da noi viene apposta in una città magari distante dalla sua ma dove sa di trovare esattamente quello che cerca. E si affida a noi anche per la realizzazione di capi tailor made, un servizio che fin dagli inizi ci caratterizza perché, prima ancora di vendere altri marchi, io producevo una mia linea.

Da dove parte la ricerca delle tendenze? Non tengo conto delle tendenze. O meglio, non ne subisco la ditta tura: rimango fedele a quello che mi piace, che rimane nel tempo, non che lo subisce.

Che tipo di shopping caratterizza la sua clientela? I miei clienti si fidano ciecamente di me, comprano e tornano: san no che trovano quello che cercano e che io propongo loro un look senza la pretesa di imporglielo. Voglio sempre che abbiano la pos

Sergio Iori
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sibilità di guardare, provare e scegliere in assoluta libertà. Posso dire di avere una clientela molto affezionata e fidelizzata!

Come vede l’evoluzione della sua boutique da una parte e della shopping experience dall’altra?

Mi auguro di poter continuare con le mie idee e che i miei clienti continuino a capirmi e a seguirmi con lo stesso entusiasmo che metto nel lavoro. Che è poi il segreto del successo.

“Elegance is not being noticed, it’s about being remembered.” Gior gio Armani’s words can easily be applied to the essence of Chri stian Boutique, the historic men’s boutique in Via Monzermone, in the heart of Reggio Emilia, which has been dictating the style of the chicest menswear for 43 years. We spoke face to face with Sergio Iori, owner of the boutique, who tells us how the importance of graf ting creative trends on the classic, while always remaining true to oneself and one’s taste, is the winning key to a successful shopping experience.

What is the winning feature of your boutique?

Combining a classic and authentic product with a more appealing one has always been a fundamental part of my philosophy. Ever since I opened my store in 1979, I have always offered more classic styles made up of iconic menswear brands alongside trendier styles to ensure a wide offering that avoids the total look of a single brand. The reason is simple: I have always thought that dressing with a single brand did not fit into my concept of elegance, which is more open and experimental, more apt to mix different impulses to create something unique. And my customers have shown that they appre ciate this way of thinking.

Which brands are giving you the most satisfaction and which are best sellers/long sellers?

I always start from my personal taste by choosing the brands I like the most – such as Saint Laurent, Attolini, Finamore, and Tagliatore – grafting others from time to time. I have a clientele that I would call regional since it touches many cities in Emilia-Romagna. With forays into neighbouring ones such as Milan: my proposal fits in well with its needs in terms of quality, attention to detail and tailoring.

What new labels have you decided to bet on?

Every year I insert three or four new companies that I need to com plete the offer and diversify it: alongside a more expensive proposal in economic terms, it is also a good idea to have more commercial alternatives that, so to speak, complete the overall offer.

How important is sustainability in your choices?

For me, authenticity of what I sell is imperative. I prefer local pro duction, obviously depending on the origin of the brand. Needless to say, I give preference to “Made In Italy” products, which are also joined by the many French companies that produce in our territory.

New technologies and digital: have you introduced news servi ces in this regard?

I said no to e-commerce because I don’t identify with it. To quote Giorgio Armani, “clothes need a mirror test” which is not practical on the web. I am convinced that there must always be the pleasure of coming to the boutique, of trying on and discovering all the features of a product that, on the screen, are not perceptible at all.

How has the way of engaging customers changed? Our belief is to always remain current and, above all, to be compe titive in purely local terms. Those who choose to buy from us come on purpose to a city that is perhaps distant from their own but where they know they will find exactly what they are looking for. And they also rely on us for tailor-made garments, a service that has characte rised us since the very beginning because, even before selling other brands, I produced my own line.

Where does the search for trends start? I don’t take trends into consideration. Or rather, I do not follow them: I stick to what I like, what remains over time, not what is trendy at the moment.

What kind of shopping characterises your customers? My customers trust me blindly, they buy and come back: they know that they find what they are looking for and that I offer them a look without pretending to impose it on them. I always want them to have the opportunity to look, try on and choose in absolute freedom. I can say that I have very loyal and devoted customers!

How do you see the evolution of your boutique on the one hand and the shopping experience on the other?

I hope that I can continue with my ideas and that my customers con tinue to understand and follow me with the same enthusiasm that I put into my work. Which is the secret of success.

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Clutch… mania!

Clutch delle mie brame qual è la più bella del reame? L’e sergo è d’obbligo quando ci si trova di fronte alla regina delle borse, un accessorio prezioso la cui essenza, già nobile per natali, si è man mano arricchita di dettagli e di lavorazioni d’autore che l’hanno resa un vero e proprio gioiello di femminilità. Un’opera d’arte capace di conte nere il segreto stesso dell’eleganza, appendice perfetta di ogni look da gran soirée che si rispetti, un concentrato di chic irrinunciabile di cui le donne non possono fare a meno. Storica mente. Perché l’origine della clutch risale ai tempi del Medioevo quando non solo le stesse donne, ma anche gli uomini, racchiu devano piccoli oggetti di valore in sacchetti di seta, chiamati re ticoli o poches, che venivano cinti intorno alla vita o celati dagli abiti. Ma la necessità d’uso nel corso del tempo si unì alla civetteria tipicamente femminile giacché tali sacchetti si liberarono letteral mente del peso delle vesti per mostrarsi in tutto il loro splendore, preziosamente ricamato of course, e trasformarono la loro anima funzionale in elemento decorativo. Erano i prodromi della borsa che conosciamo oggi, ma bisognerà aspettare ancora più di un secolo affinché la clutch si affermi. Lo fece parallelamente all’imporsi di una nuova figura femminile, più emancipata, meno rispettosa di ca noni obsoleti – che fossero relativi alle convenzioni sociali piuttosto che ai dettami della moda – protagonista di un cambiamento epo cale che le disinibite flapper girl dei ruggenti anni ‘20 incarnarono alla perfezione. Ottime ambasciatrici di un nuovo concetto di stile in cui nulla era lasciato al caso, meno che mai quelle mini-borse che erano un tutt’uno con il loro travolgente look. Bastò un attimo perché la clutch diventasse l’accessorio più amato tanto dalle dive del cinema quanto dalle ragazze dell’high society, ma fu la guerra, e non l’emulazione, a renderla popolarissima in ogni strato socia le, dal momento che le sue dimensioni ridotte da una parte e la scarsa quantità di materiale per realizzarla dall’altra (ottima cosa in epoca di razionamento) coniugavano alla perfezione eleganza e utilità. Femminilità, questa era la parola d’ordine per la donna del

Novecento e, ça va sans dire, per la mini-borsa che divenne via via il modello più utilizzato e, con la complicità di un certo Christian Dior, una vera e propria icona. Dall’inglese to clutch, che significa letteralmente afferrare, la sua caratteristica principale è data proprio dalla piccola taglia che per mette di portarla a mano, alleata irrinunciabile nella gestualità più sofisticata. Rettangolare o quadrata, rigida oppure più souple, ca maleontica per la sua capacità di spaziare tra texture differenti e dettagli originali, la clutch è il canovaccio perfetto su cui si espri me – e si è espressa - la creatività di designer e brand che hanno generato capolavori in versione XS. Ma anche extra large, come nel caso della Pasticcino Bag, l’inconfondibile modello must have firmato Week Wend by Max Mara, che, in ossequio al suo nome, è soffice e squisita, con la sua forma destrutturata dalla raffinata chiusura in metallo che rievoca un mood vintage irresistibile. Versa tile tanto nell’uso – hand bag, ma anche cross body o da portare delicatamente sottobraccio – che nelle misure, fin dalle sue origini è stata declinata in una varietà di materiali e fantasie tali da far girare la testa. Come l’ultima nata che, in omaggio a Venezia e al suo savoir faire tutto italiano, è stata realizzata utilizzando i leggendari tessuti Fortuny e le perle in pasta di vetro dei mastri vetrai più cele bri di Murano, Gambaro e Tagliapietra, per dare vita a 5 esclusivi e ricercatissimi modelli. Ma del resto il messaggio è chiaro: la clutch ha rubato la scena a ogni altra borsa e non bisogna aspettare il red carpet per indossarla! Un passe-partout, come dimostrano le passerelle newyorkesi AI 2023 tra i luccicanti modelli di Michael Kors, le forme quadrate e brillanti di Brandon Maxwell e le tricolor di Gabriela Hearst. E, al di qua dell’oceano, nel quotidiano la tenden za non cambia, basta gettare un occhio alle collezioni di Coccinelle con le sue clutch amate dalle fashion addicted in morbida nappa matelassé e le proposte sostenibili (ma ricche di dettagli) firmate Atelier du Sac per vivere la clutch all day long, in un back to the origins stilosissimo.

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Clutch of my desires who is the fairest in the realm? The exergue is a must when you are in front of the queen of bags, a precious accessory whose essence, already noble for birth, has gradually been enriched with details and works of art that have made it a true feminine jewel. A work of art capable of containing the very secret of elegance, the perfect addition to any self-respecting grand soi rée look, a concentration of essential chic that women cannot do without. Historically. Because the origin of the clutch dates back to the Middle Ages when not only women themselves, but also men, enclosed small valuables in silk bags, called lattices or pouches, which were tied around the waist or hidden by clothes. But the need for use over time joined the typically feminine coquetry since these bags literally freed themselves from the weight of the clothes to show themselves in all their splendour, preciously embroidered of course transforming their functional soul into a decorative ele ment. They were the forerunners of the bag we know today, but it will take more than a century for the clutch to establish itself. It did so in parallel to the emergence of a new, more emancipated female figure, less respectful of obsolete canons - which were related to social conventions rather than the dictates of fashion - protago nist of an epochal change that the uninhibited flapper girls of the roaring 20s perfectly embodied. Excellent ambassadors of a new style concept in which nothing was left to chance, least of all those mini-bags that were one with their overwhelming look. It took just a moment for the clutch bag to become the most loved accessory both by movie stars and by high society girls, but it was the war, and not emulation, that made it very popular in every social class, since its reduced size on one side and the scarce material quantity to make it on the other (excellent thing during rationing) perfectly combined elegance and utility. Femininity, this was the watchword for the woman of the twentieth century and, ça va sans dire, for the mini-bag that gradually became the most used model and, with the complicity of a certain Christian Dior, a real icon. The world clutch is found in Middle English, meaning to grasp so

mething tightly. Its main feature is its small size that allows it to be carried by hand, an indispensable ally in the most sophisticated ge stures. Rectangular or square, rigid or more souple, chameleonic for its ability to range between different textures and original details, the clutch is the perfect canvas on which the creativity of designers and brands that have generated masterpieces in XS version. But also extra large, as in the case of the Pasticcino Bag, the unmista kable must-have model signed Week Wend by Max Mara, which, in accordance with its name, is soft and exquisite, with its decon structed shape with a refined metal closure that evokes an irresisti ble vintage mood. Versatile both in use - hand bag, but also cross body or to be worn delicately under the arm - and in size, since its origins it has been made in such a variety of materials and patterns to make your head spin. Like the latest addition that, in homage to Venice and its all-Italian savoir faire, was created using the legen dary Fortuny fabrics and glass paste beads by the most famous glass masters of Murano, Gambaro and Tagliapietra, to give life to 5 exclusive and highly sought after models. But the message is clear: the clutch has stolen the show from every other bag and you don’t have to wait for the red carpet to wear it! A passe-partout, as demonstrated by the New York AW 2023 runways among the sparkling models by Michael Kors, the square and brilliant shapes of Brandon Maxwell and the tricolour of Gabriela Hearst. And, on this side of the ocean, in everyday life the trend does not change, just take a look at the Coccinelle collections with its clutches loved by fashion addicts in soft quilted nappa and the sustainable (but rich in details) proposals by Atelier du Sac to experience the clutch all day long, in a very stylish back to the origins.

EDITORIAL 167 windows products

It’s happen

Nasce AT.KOLLEKTIVE

Ha debuttato a Parigi, in occasione dell’Haute Couture, il nuo vo progetto avanguardistico di moda e design, che include capsule collection di prêt-à-porter, interni, oggetti, calzature e pelletteria.

AT.KOLLEKTIVE è il nuovo progetto d’avanguardia di moda e design presentato a Parigi in occasione della moda maschile e dell’Haute Couture, che riunisce un gruppo di voci distintive nel pa norama della moda contemporanea - Natacha Ramsay-Lévi, Isaac Reina, Kostas Murkudis e Bianca Saunders - per offrire collezioni uniche e ad alto ‘tasso di innovazione’. il progetto comprende capi di abbigliamento, accessori, mobili e oggetti d’interni. Ciascuna collezione è composta da nove pezzi-chiave, rappresentativi di cia scun designer, e ogni articolo è realizzato con materiali di alta qua lità, a cominciare dai nuovi tessuti ECCO Leather, espressione del desiderio dell’azienda, fornitrice delle pelli più prestigiose al mondo, di spingersi verso pratiche di produzioni migliori, più innovative e più sostenibili, così da portare l’industria della pelle dritta al futuro.

AT.KOLLEKTIVE makes its debut

Debuting in Paris, during the Haute Couture fashion shows, is the new avant-garde project of fashion and design, which includes capsule collections of ready-to-wear, interior decor, design objects, footwear, and leather goods. AT.KOLLEKTIVE is the new avant-garde project of fashion and de sign presented in Paris during the latest haute couture and men’s fashion shows, which brings together the creations of a group of distinctive voices in the contemporary fashion scene - Natacha Ramsay-Lévi, Isaac Reina, Kostas Murkudis and Bianca Saunders - to offer meticulously created collections with a high rate of inno vation. The project includes clothing, accessories, interior decor solutions and household items. Each collection is made up by nine key pieces, representative of each designer, and each item is made from high-quality materials, starting from the new fabrics of ECCO Leather – a supplier of some of the most prestigious leathers worl dwide - to move towards practices of innovative and more sustai nable productions, showing a new direction to the leather goods industry.

Press Room 168
168 Press Room: PRESS ROOM

EL Vaquero, “Made with love since 1975”

Una collezione estiva di stivali, indianini e camperos che in carna l’anima libera e audace della donna del brand.

EL Vaquero presenta la collezione SS23 ‘The Bay of Dreams’ che si ispira alla bellezza della natura selvaggia incarnando l’anima libera e audace della donna EL Vaquero. Un palcoscenico in cui è rappre sentato l’ecosistema di uno stile inconfondibile e dal fascino senza tempo. ATOMIC Jeans è la nuova Capsule SS23, ispirata dalle ten denze post-atomiche dei primi anni’80, che rivivono in uno stivale, indianino e camperos, che mixa trattamenti di lavaggio diversi di Denim top quality, strappo manuale e schiariture handmade.

La donna Fabio Rusconi

Creazioni raffinate e femminili caratterizzano la nuova colle zione firmata dal brand fiorentino, con il sandalo come pro tagonista.

Il brand fiorentino nato nel 1998 e da sempre orientato verso una scarpa minimale ma sofisticata, presenta la sua nuova collezione estiva dalla personalità femminile e contemporanea. Spiccano in particolare il sandalo Doria, che brilla con il suo design audace, realizzata in morbida pelle, con tacco 100MM e un lussuoso pla teau. C’è poi il sandalo in pelle Ilda, capace di garantire il massimo comfort grazie alla morbidissima tomaia in pelle imbottita, dona un touch glamour anche ai look più classici.

EL Vaquero, “Made with love since 1975”

A summer collection of boots, fringe boots, and cowboy bo ots, which embody the free and bold spirit of this brand for women.

EL Vaquero presents its ‘The Bay of Dreams’ SS23 collection, which is inspired by the beauty of the wild nature that embodies the free and bold spirit of the EL Vaquero woman. A stage where the ecosystem of an unmistakable style and timeless appeal is re presented. ATOMIC Jeans is the new SS23 Capsule Collection, in spired by the post-atomic trends of the early 80’s that are brought back to life in a boot, fringe boot, and cowboy boot, which blend together different washings of top-quality Denim, with manual tea ring and handmade lightening.

Fabio Rusconi Women

Refined and feminine creations characterise the new collec tion signed by the Florentine brand, with sandals as protago nists.

The Florentine brand born in 1998 and always oriented towards a minimal but sophisticated shoe, presents its new summer col lection with a feminine and contemporary personality. The Doria sandal, which shines with its bold design, made of soft leather with a 100MM heel and a luxurious platform stands out in particular. As does the Ilda leather sandal, capable of ensuring maximum comfort thanks to the very soft padded leather upper, conferring a touch of glamour even to the most classic looks.

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Alexander Smith. Sneakers must have

La collezione SS23 di Alexander Smith si arricchisce di nuovi modelli, tra cui spiccano per l’uomo e la donna la Piccadilly e la Queen, un nuovo gioiello solo da donna. Per la nuova stagione, il brand propone tra le novità due linee dall’anima opposta: la Piccadilly, dal design più sportivo, sviluppata con materiali come nylon e reti tecniche abbinati a suede e pelle, adatta ad ogni occasione; e la Queen, un’evoluzione della linea Wembley, rivisitata nei volumi e nei dettagli, pensata per un pub blico più giovane, che vuole indossare una sneaker fuori dai tradi zionali schemi. L’utilizzo di occhielli a vela molto ampi si inspira alla linea Activewear mentre i lacci, ancora più ampi rispetto al modello Wembley, insieme alla suola “bombata” rendono questo modello un “fiore all’occhiello” all’interno della collezione. Le tonalità colore proposte oscillano tra i toni sabbia, avorio e grigio, che spesso si uniscono a dei colori pastello. L’utilizzo di materiali perlati, opale scenti e laminati, sviluppati in nuove declinazioni dall’aspetto “an ticato” e ricercato, confermano l’attenzione per i dettagli come filo conduttore nello sviluppo delle collezioni.

Alexander Smith. Sneakers must have

Alexander Smith’s SS23 collection is enriched with new models, among which Piccadilly for men and Queen, a new jewel just for women.

For the new season, the brand offers two new lines with an opposi te soul: Piccadilly, with a sportier design, developed with materials like nylon and technical nets combined with suede and leather, su itable for any occasion; and Queen, an evolution of the Wembley line, revisited in volumes and details, designed for younger genera tions, who want to wear sneakers outside traditional schemes. The use of very wide sail eyelets is inspired by the Activewear line while the laces, even wider than the Wembley model, together with the “rounded” sole make this model a “flagship” within the collection. The proposed colour shades vary between sand, ivory and gray to nes that are often combined with pastel colours. The use of pearly, opalescent and laminated materials, developed in new variations with an “antiqued” and refined look, confirm the attention to detail as leitmotif in the development of the collections.

MAIMAI presenta Acanto

Il Salento e la pianta di Acanto ispirano la nuova collezione di calzature 100% eco-sostenibili che impiegano, tra l’altro, l’inno vativo materiale Evolo® Sustainable Suede per la tomaia. MAIMAI non ha mai nascosto il suo grande amore per il Salento e per la sua natura, che ispirano la nuova capsule di sneakers Acan to 100% eco-sostenibili, nate da un mix unico di materiali e colori con lo scopo di preservare l’ambiente in cui nasce e promuoverne la cultura. L’acanto è, infatti, una pianta con grandi foglie lucide che sboccia in una spiga slanciata di fiori bianchi e azzurri, così partico lare ed elegante da aver ispirato le decorazioni barocche salentine e la nuova collezione del marchio. Tutte le componenti delle sneakers Acanto derivano da materiali riciclati o naturali, come la tomaia in Evolo® Sustainable Suede, i dettagli in pelle in fibra di cuoio riciclato, la fodera interna in tessuto-non tessuto di fibra di Bamboo naturale e le suole realizzate con lattice naturale. Perfino le stringhe e i filati sono di cotone naturale, il sottopiede è realizzato con fibre vegetali ri cavate dalla pianta di Kenaf e il packaging è ottenuto interamente da materiali riciclati. Le varianti colore? Otto, una più sofisticata dell’altra.

MAIMAI presents Acanto

The Salento and the Acanthus plant inspire the new collection of 100% eco-friendly footwear that use, among other things, the innovative Evolo® Sustainable Suede material for the upper. MAIMAI has never hidden its great love for the Salento and its nature, which inspire the new 100% eco-friendly Acanto sneakers capsule, born from a unique mix of materials and colours with the goal of pre serving the environment in which it is born and promote its culture. The acanthus is, in fact, a plant with large glossy leaves that blooms in a slender spike of white and blue flowers, so particular and elegant that it inspired the Salento baroque decorations and the brand’s new collection. All the components of the Acanto sneakers come from recycled or natural materials, like the upper in Evolo® Sustainable Suede, the leather details in recycled leather fibre, the internal lining in non-woven natural Bamboo fibre and the soles made with natural latex. Even the strings and yarns are made of natural cotton, the insole is made with plant fibres derived from the Kenaf plant and the packaging is entirely made from recycled materials. What about co lour variants? There are eight, one more sophisticated than the other.

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Torna col nuovo look RE FLAG, la borsa timeless di REGENESI

Un nuovo abbinamento di colori, ma sempre la stessa filosofia green e senza tempo, per l’iconica borsa realizzata in colla borazione con Michela Gattermayer, espressione di un nuovo modo di concepire la moda.

L’estetica timeless, accattivante e fuori dalla logica “buy and jump” racconta la visione di Maria Silvia Pazzi, founder di Regenesi, che dal 2008 – anno di fondazione del marchio - pensa ad accesso ri destinati a chi non vuole rinunciare alla funzionalità chic, ma in un’ottica di sostenibilità. L’iconica collezione di borse Re-Flag, cre ata in collaborazione con Michela Gattermayer, torna così per la PE 2023 in una nuova variante colore: turchese con dettagli a contra sto rossi. Re-Flag nasce da un tessuto derivato dalla rigenerazione di bottiglie di plastica, arricchita da tracolle e maniglie realizzati con nastri in poliestere recuperati e altrimenti destinati allo smaltimento. La collezione, come suggerisce il nome, vuole essere icona e ban diera di un nuovo modo di concepire la moda: sostenibile, bella, unisex e sempre più anche timeless.

The timeless bag by REGENESI is back with its new RE FLAG look

The iconic bag created in collaboration with Michela Gatter mayer, expression of a new way of conceiving fashion, featu res a new colour combination, but always with the same green and timeless philosophy

The timeless aesthetics, captivating and out of the “buy and jump” logic tells the vision of Maria Silvia Pazzi, founder of Regenesi, who since 2008 - the year the brand was founded - has been thinking of accessories for those who do not want to give up chic functio nality, but with a view to sustainability. The iconic Re-Flag bag col lection, created in collaboration with Michela Gattermayer, returns for the SS 2023 season in a new colour variant: turquoise with red contrasting details. Re-Flag comes from a fabric derived from the regeneration of plastic bottles, enriched with shoulder straps and handles made with recovered polyester ribbons, otherwise inten ded for disposal. The collection, as the name suggests, aims to be an icon and flag of a new way of conceiving fashion: sustainable, beautiful, unisex and increasingly timeless.

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Rosana Perán is the new President of FICE

Nell’assemblea generale del 19 maggio scorso, la Federazione delle Industrie Calzaturiere Spagnole (FICE) ha approvato la nomina a presidente dell’im prenditrice calzaturiera Rosana Perán in sostituzio ne di Marián Cano, che aveva assunto la presidenza ad interim dal 2020.

La nuova presidente ha sottolineato che, grazie al suo ruolo, avrà la possibilità di contribuire a migliorare e raffor zare un settore, come quello calzaturiero, così importante per la Spagna in termini sociali ed economici. Una laurea in BBA (Bachelor in Business Administration), Rosana Perán ha lavora to nella sua lunga carriera in aziende come Tempe o ABGL rico prendo diverse posizioni all’interno del Gruppo Pikolinos, dove attualmente riveste la carica di vicepresidenza esecutiva. Il suo legame con il mondo dell’associazionismo inizia con la presi denza dell’AICE e da lì, è proseguito con la creazione di Avecal (Associazione Valenciana Imprenditori Calzaturieri), di cui è stata anche presidente fino al 2015. È stata anche vicepresidente del la FICE e rappresentante del CEV ad Alicante. Tra gli obiettivi che si prefissa il nuovo presidente FICE c’è il miglioramento della rappresentatività dell’organizzazione e del ruolo che svolge, sia nella società spagnola che nell’Unione europea nel suo insieme. Ricordiamo che la FICE rappresenta dal 1977, anno della sua fondazione, gli interessi generali del settore calzaturiero spagnolo a livello nazionale, europeo e in ternazionale e conta oggi su oltre 400 aziende,in rappresentan za del 90% della produzione, distribuzione ed esportazione di tutto il settore calzaturiero spagnolo. Il suo lavoro si concentra in particolare sul rafforzamento della competitività delle imprese, la valorizzazione dei loro punti di forza e la promozione dello sviluppo del settore.

During the General Assembly held on May 19th, the Federation of Spanish Footwear Industries (FICE) approved the nomination of footwear entrepreneur Rosana Perán as the new President who will replace Marián Cano, at the helm of the association since 2020.

The new president underlined that, thanks to her role, she will have the possibility of contributing to improving and reinforcing a sector, such as footwear manufacturing, which is important for Spain in both social and economic terms.

With a degree in BBA (Bachelor in Business Administration), over the course of her long professional career, Rosana Perán has worked in companies such as Tempe or ABGL until holding different positions within the Pikolinos Group, where she curren tly holds the executive vice-presidency. Her link with the world of associations began with the presidency of AICE. From there, she continued with the creation of Avecal (Valencian Associa tion of Shoe Entrepreneurs), where she was also president until 2015. She has also been vice president of FICE and representa tive of the CEV in Alicante.

Among the targets the new president of FICE has set herself are improving the representativeness of the organization and the role it plays, both in Spanish society and in the EU as a whole. In fact, since its founding year of 1977, FICE has been represen ting the general interests of the Spanish footwear-manufacturing industry on a national, European, and international level, and today counts more than 400 companies that represent 90% of the production, distribution and export of the entire Spanish fo otwear sector. Its work is focused in particular on reinforcing the competitiveness of companies, while highlighting their strengths and promoting the development of the sector.

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HEBE Athens, when sandals are a luxury

Impegno sociale, difesa dell’ambiente e promozione di un arti gianato di alto livello che conservi il saper fare della tradizione e crei opere d’arte da indossare curate in ogni più piccolo dettaglio. Questi i punti salienti della filosofia di HEBE Athens, marchio di sandali e accessori di lusso fatti a mano, colorati, divertenti e semplici, nato ad Atene nel 2022. Creazioni dalle linee pulite capaci di esaltare morbidezza e comfort che com binano pelli genuine e sostenibili con tessuti di cotone accurata mente selezionati. Il tutto confezionato a mano da piccoli laboratori in tutta la Grecia.

Le collezioni stagionali, così come le serie in edizione limitata, sono curate, in esclusiva per HEBE, dal team artistico interno, intera mente al femminile, che ama l’arte, la mitologia e le feste. Si ispira no al sole del Mediterraneo e all’antica civiltà greca. HEBE Athens unisce passato, presente e futuro.

Social commitment, environmental protection and promotion of high-level craftsmanship that preserves traditional know-how and creates wearable art works with attention to every little detail. These are the salient points of the philosophy of HEBE Athens, a brand of handmade, colourful, fun and simple luxury sandals and accesso ries, founded in 2022 in Athens. Creations with clean lines capable of enhancing softness and comfort combining genuine and sustai nable leathers with carefully selected cotton fabrics. All packaged by hand by small workshops throughout Greece. The seasonal collections, as well as the limited edition series, are curated, exclusively for HEBE, by an in-house creative female team, who loves art, mythology and parties. The artists are inspired by the Mediterranean sun and the ancient Greek civilisation. HEBE Athens combines past, present and future.

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