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“Orobie 74”. Frammenti dal diario di Jean Paul Zuanon

“OROBIE 74”

Frammenti dal diario di Jean Paul Zuanon

Sabato 13 aprile - Arrivo in treno dalla Francia, dopo un viaggio notturno sotto la pioggia. Subito telefono a Zogno. Angelo ha tutto organizzato, tutto preparato e anche la neve ci sarà.

Venerdì 14 aprile - Quando ci ritroviamo sulla strada d’Introbio, guidati dal Presidente del CAI di Zogno, con la pioggia che sferza il parabrezza, parliamo poco. Sarebbe troppo stupido dovere rinunciare adesso. Al ponte di Biandino, troviamo la neve sulla strada e il Mascheroni ci lascia dopo avere scattato una foto di noi due. Prendiamo gli zaini il cui peso deve bene aggirarsi sui 25 chili e con passo tranquillo, saliamo. Un sole timido attraversa le nuvole. Dopo la Bocca di Trona dobbiamo raggiungere il passo di Salmurano. Angelo ha immaginato un itinerario un po’ ardito in un canalone molto stretto e ripido. D’estate c’è un sentiero, ma oggi c’è uno scivolo impressionante. Esitiamo qualche minuto e poi Angelo inizia il passaggio. Rassicurato lo seguo a buona distanza. Tutto è andato bene. Una mezza costa, una risalita, e siamo al passo di Salmurano da dove, “quelle horreur!”, si intravedono gli impianti.

Sabato 15 aprile - Siamo svegliati dal ronzio di uno “scooter des neiges” che gira intorno al rifugio. Abbiamo parole poco lusinghiere per questa invenzione rumorosa. Comunque è l’ora di andare. Scendiamo un po’ sull’altro versante, con neve magnifica, poi risaliamo verso il ripiano dove sorgono le baite d’Orta. Camminando nel bosco Angelo impiglia gli occhiali in un ramo. Oggi, ho imparato ancora qualcosa, perfezionando la mia collezione di bestemmie. Il posto è bellissimo. Andiamo a dare un’occhiata al passaggio chiave: la traversata di canaloni ripidissimi sotto il Pizzo d’Orta. Paiono in condizioni ottime.

Domenica 16 aprile - Conosco quasi a memoria la relazione della prima traversata del 71. Calziamo i ramponi. Le montagne al di là della Valtellina sono le nostre compagne silenziose e impressionanti: Badile, Disgrazia, Bernina … Il passaggio difficile è superato in qualche minuto. È meglio non farsi impressionare dal vuoto, il luogo è abbastanza esposto. Dopo saliamo su pendii ripidi e molto adatti allo sci. Al passo Pedena, troviamo il sole.

Lunedì 17 aprile - Rimettiamo i ramponi per risalire un vallone cosparso di grossi blocchi, che porta alla bocchetta nord del Corno Stella. Con una nuova discesa, che è una “cannonata”, arriviamo al lago di Publino. Angelo mi spiega che anche se il freddo ci da un po’ fastidio, ci aiuta parecchio mantenendo la neve in buone condizioni. Con temperatura normale, saremmo nella neve marcia o, come si dice in francese, nella “soupe”, la minestra. Anche questa discesa mi permette di apprezzare la sicurezza di Angelo, il suo senso dell’itinerario e il modo ottimo in cui ha preparato la nostra traversata: c’è

un solo passaggio per scendere il salto roccioso e Angelo lo trova subito, senza nessuna esitazione. Lasciamo gli zaini al passo, “quelle plaisir!”, e ci scateniamo per salire alla cima di Scoltador, quasi correndo. Dalla cima, raggiunta per una cresta esile e aerea, si scoprono montagne nuove. Ci avviciniamo ai giganti delle Orobie, zona bellissima e impressionante, in cui mi pare che Angelo conosca tutte le montagne. Ben pochi devono conoscere le Orobie come lui e non potevo certo trovare una guida migliore. Dopo questo intermezzo “touristique”, torniamo al passo, calziamo gli sci e ci abbassiamo in Val Venina. Solo nel fondovalle non sono d’accordo con la traccia seguita dal mio amico. Per non perdere quota, lui preferisce fare una mezza costa, attraversando numerose vecchie slavine dai blocchi faticosi. La variante non mi convince e posso utilizzare il mio catalogo di bestemmie in francese e in italiano. Per la prima volta in quattro giorni ho dei pensieri poco lusinghieri per il mio compagno. Chi è andato in montagna sa come è facile arrabbiarsi per niente. Ma la mia irritazione cade subito quando il mio amico riconosce, lui stesso, che forse non valeva la pena andare laddove è andato.

Martedì 18 aprile - Scendiamo poi nella valle di Scais, il punto più basso di tutta la traversata. Ci fermiamo un po’ vicino al lago e incontriamo due impiegati della diga che ci invitano gentilmente a fare colazione da loro. Uno riconosce Angelo: si erano già incontrati tre anni fa, in occasione della prima traversata, e dice che da allora nessuno è sceso con gli sci dal Forcellino. Non è sempre necessario andare nel fondo dell’Asia per trovare ancora avventura e solitudine. Maccheroni, vino, caffè, siamo ben rifocillati quando ripartiamo per l’ultima salita che ci porta alle baite delle Moie di Rodes.

Mercoledì 19 aprile - Finalmente dopo un canalino molto ripido arriviamo al passo di Porola (metri 2880). Forse anche questo passaggio è una “invenzione” di Angelo. Non è segnato ne’ sulla carta ne’ sulla guida del Sugliani. Una volta di più devo rendere un omaggio alla chiaroveggenza del mio amico. Sono già parecchi anni che faccio sci-alpinismo e mi sono accorto che la maggior parte degli sciatori si accontenta di ripetere itinerari conosciuti e battuti. Ben pochi hanno l’audacia o l’idea di andare al di là, di studiare gite nuove studiando carte. È questo il vero sci-alpinismo nel quale si prova il sentimento di scoprire, di creare qualcosa. Il passo di Porola, questo è il “tetto” della nostra traversata. Adesso sono un po’ preoccupato: come andrà la discesa verso la Vedretta dei Lupi? Angelo dice che nel ’71, qui avevano incontrato severe difficoltà. Ci leghiamo alla corda e piano piano inizio la discesa. Facciamo così una lunghezza di corda, poi ci sleghiamo e, correndo nella neve farinosa, scendiamo al ghiacciaio. Visto da sotto, il canalone del passo di Porola appare veramente come una discesa “alla Sylvain Saudan”.

Giovedì 20 aprile - Una lunga salita ci porta alla Bocchetta dei Camosci, dopo una lunga mezza costa ripida ed esposta. Angelo sarebbe propenso a fare il Pizzo Coca ma io sono reticente. Rinunciamo dunque ma ci promettiamo bene di tornare. Sono contento di vedere che facciamo già progetti, vuol dire che il nostro “raid” è riuscito. Ci leghiamo solo per una cinquantina di metri, poi calziamo gli sci.

Scendo per primo per scattare qualche foto e così posso ammirare lo stile di Angelo: sicuro, senza fioriture come fanno gli sciatori di pista. Si vede subito che lui passa dappertutto. Finalmente, con una certa cerimonia, rallentiamo per arrivare al Passo di Caronella e godere i nostri ultimi metri di salita, il nostro ultimo colle. Per me, in questo momento c’è un po’ di nostalgia. Peccato che sia già tutto finito. Sono esattamente le 12 quando passiamo sotto l’enorme traliccio che sfregia il colle. Un ultimo sguardo al Pizzo Tre Confini e al Gleno e poi, quasi subito, iniziamo la discesa. Troviamo una neve stupenda che ci fa gridare di gioia e quasi dimentichiamo il peso dello zaino. Ancora qualche tratto fra gli alberi, cercando le ultime chiazze di neve, poi diventa uno sport molto impegnativo perché, da una chiazza all’altra, bisogna saltare. Arriviamo a Carona di Valtellina e per la prima volta dopo tre giorni vediamo uomini. Ci guardano stupiti mentre ci abbeveriamo in una vasca. Mi ricordo che nelle poche parole scambiate, ce ne erano già che riguardavano progetti futuri. Solo dopo alcuni giorni, cominciammo a comprendere la nostra bellissima avventura, che ci aveva portato lontano dagli uomini, in queste montagne che amiamo tanto.

Jean Paul Zuanon

* si ringrazia Jean Paul Zuanon per avere concesso la parziale trascrizione del suo diario * si ringrazia Alessandro Geko Gherardi per avere concesso la riproduzione fotografica dei diari di suo padre Angelo Gherardi