Giovanni Lilliu - L'archeologo e i falsi bronzetti

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Il liceo l’ho fatto vicino a Roma, ancora dai Salesiani di Don Bosco: alla Villa Sora di Frascati, che non era come a Lanusei. Era una splendida villa cinquecentesca. Attrezzata di tutto. Una meraviglia. Studio pesante in un momento storico ancora più pesante: il fascismo guadagnava terreno di giorno in giorno. Ma i Salesiani erano certamente più liberali nell’educazione, rispetto ai nostri vicini di collegio: i Gesuiti, dove studiavano i figli dell’alta società. All’inizio il cibo era proprio buono, e si poteva perfino gustare il fumo di una sigaretta. Ma non per molto. Pian pianino la fame dell’Italia arrivava anche lì e il cibo della cultura non bastava a saziare liceali di 17 anni. Se si fruga nella biblioteca, ancor oggi, si può trovare un poemetto, in ottave, che per poco non mi costò la cacciata da Villa Sora. Lo scrissi io, divertito ed entusiasta per le rime che riuscivo a comporre. L’occasione era lodevole: la costruzione della cappella nuova del collegio. Ma La chiesa che sorge e la pancia che insorge non fu ritenuto verso edificante dai superiori che convocarono subito mio padre per calmare il mio spirito ribelle e irridente. Ma ormai era fatta: e in occasione di feste varie ero io il versificatore ufficiale, con l’apprensione di tutti. Arrivò presto l’esame di maturità, al Liceo Tasso di Roma. Eccellente. Una media del 9. In tutto… no, quasi… la trigonometria non era mia amica, ma fu comunque un “successone”. E poi l’Università. “Studia per diventare notaio, figlio mio” diceva mio nonno col pensiero al guadagno. “Un medico è il vero e solo dottore” esortava mio padre, insospettito e timoroso del mio interesse per la storia dell’arte. E io decisi. L’antichità era quella che mi affascinava. L’Archeologia il mio amore. L’approvazione in famiglia fu proprio tiepida. E mio


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