ENERGEO MAGAZINE Anno VII Marzo - Aprile 2014

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Anno VII - MARZO-APRILE 2014 Prezzo di copertina 6,50 euro

Edipress Communications - Orbassano (To) - Periodico bimestrale - Poste Italiane Spa - Spedizione postale DI 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004 n. 46) art 1, comma 1,CB/Torino - (MARZO-APRILE 2014) - N. 2 - Abbonamento 10 numeri 50,00 euro.

Periodico per la promozione dell’attività dell’Istituto Internazionale Conoscenze Tradizionali-ITKI UNESCO; Banca Mondiale sulle Conoscenze Tradizionali-TKWB; Premio Eco and the City Giovanni Spadolini; Osservatorio Europeo del paesaggio; Organo ufficiale della Community Network Guglielmo Marconi

LA GRANDE BELLEZZA

L’ITALIA DEL PATRIMONIO UNESCO

DIETRO LA SIGLA LA CRESCITA DEI VALORI DI ICOMOS

RES TIPICA ANCI SUL COMUNE SVENTOLA LA BANDIERA ARANCIONE

NUOVO PIGNONE UNA FABBRICA E LA CITTÀ ANTICA CAPITALE

Il Premio Eco and the City riscopre Firenze


Abruzzo, esperienza e tecnologia a sostegno del sistema Paese NUOVE PROSPETTIVE

DAL BIOGAS AL BIOMETANO La Regione Abruzzo rappresenta il partner italiano del Consorzio del progetto Bio-metano, composto da 15 rappresentanti provenienti da 11 paesi europei. Dopo aver acquisito una notevole esperienza sul progetto Biogas Regioni (2007-2010), è stata selezionata per promuovere il bio metano, e sviluppare il mercato attraverso partnerships locali e regionali. Viene così data una grande opportunità alle aziende agricole che potranno utilizzare gli scarti ed all’agro industria che si potrà approvvigionare di biomasse costituite da colture dedicate IL BIO METANO È IL COMBUSTIBILE DEL FUTURO ED HA LE STESSE CARATTERISTICHE DEL GAS NATURALE Il progetto Biogas Regions ha valutato la producibilità di biogas in 7 potenziali impianti mediante il software Biogas calculator. Il biogas viene utilizzato principalmente per la combustione in gruppi elettrogeni per la produzione di energia elettrica e nella combustione in cogeneratori per la produzione combinata di energia elettrica e di energia termica. L’Università degli studi dell’Aquila (UNIVAQ) rappresenta il partner scientifico per supportare lo studio sul processo di upgrading con la tecnologia che prevede l’installazione di membrane per la rimozione dell’anidride carbonica. L’Ateneo si è impegnato a realizzare la sperimentazione di laboratorio mettendo a disposizione quanto necessario per collegare il test module all’alimentazione gas e alla strumentazione di misura e controllo. Questo studio darà un contributo a colmare il divario tra la nostra realtà nazionale ancora priva di impianti di biometano e il resto d’Europa, costituendo un esempio propositivo per numerosi impianti di biogas operativi in Abruzzo e in Italia che potrebbero così meglio cogliere un’importante opportunità di sviluppo sostenibile

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La Regione Abruzzo sarà presente a Milano Expo 2015 ( Padiglione Italia) con un ufficio di rappresentanza e parteciperà alla Mostra sull’Italia delle Regioni dedicata alle eccellenze dei territori italiani con riferimento a cultura, colture, paesaggio e innovazione


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EDITORIALE

ICOMOS Italia vuole evitare che il patrimonio italiano riconosciuto dall’UNESCO venga trascurato come gli scavi di Pompei, il sito archeologico meglio conosciuto e peggio conservato del mondo

I PRIMI NON POSSONO ARRIVARE ULTIMI SUL TAVOLO DEL MINISTRO FRANCESCHINI UN TEMA SCOTTANTE: L’ITALIA, IL PAESE CHE POSSIEDE IL PIÙ GRANDE PATRIMONIO CULTURALE DEL MONDO, NEGLI ANNI HA RIDOTTO LE COMPONENTI DI RAPPRESENTANZA IN SENO ALL’UNESCO, METTENDO A RISCHIO LA TUTELA DEGLI STESSI SITI

I

l ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, atteso agli scavi di Pompei per presiedere la cerimonia di apertura al pubblico delle domus di Trittolemo, Frontone e Romolo e Remo, al suo arrivo ha voluto pagare il biglietto di ingresso per sè e per le cinque persone del suo staff, esattamente come aveva fatto il cancelliere tedesco Angela Merkel, qualche giorno prima. Dario Franceschini, chiamato da Matteo Renzi alla guida del MIBACT, dove si erano succeduti due ministri dei due precedenti governi, il cui lavoro sul sito archeologico meglio conosciuto e peggio conservato del mondo era stato un clamoroso fallimento, ha avviato il nuovo corso, annunciato già al momento del suo insediamento. Un nuovo modo di procedere avvalorato da una significativa lettera ( pubblicata sul numero di febbraio di Energeo), indirizzata alla Fondazione Spadolini Nuova Antologia, nella quale il neo ministro Franceschini comunicava al presidente, professor Cosimo Ceccuti, che avrebbe preso come esempio Giovanni Spadolini il quale, nel 1974, avviò un’azione senza precedenti nella tutela ed utilizzo del patrimonio culturale.

Pompei- Gli scavi

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LA QUESTIONE UNESCO SUL TAVOLO DEL MIBACT

IL CORRIERE HA APERTO IL DIBATTITO

Il segnale del ministro Dario Franceschini è incoraggiante ed ha creato molte aspettative anche nell’ICOMOS, uno dei principali partner che fornisce all’UNESCO tutte le valutazioni sui beni culturali proposti per l’iscrizione all’elenco del Patrimonio Mondiale. ICOMOS Italia ha messo sul tavolo del ministro il tema scottante che riguarda il motivo per cui il nostro Paese ha sempre minor peso nei ruoli decisionali dell’Organizzazione delle Nazioni Unite ed ha indicato le soluzioni per arrivare ad una svolta definitiva, bacchettando una classe politica troppo spesso distratta, spesso impotente. Il ministro, ha avuto un colloquio con il presidente di ICOMOS Italia, prof. Maurizio Di Stefano. Franceschini ha ribadito che, non soltanto sul tema Pompei, ma sulla salvaguardia e promozione di tutti gli altri siti patrimonio dell’umanità, si impegnerà personalmente “mettendoci la faccia.”

Ma sul tappeto ci sono altri importanti temi, alcuni messi in evidenza dal Corriere della Sera (http:// www.corriere.it/ambiente/14_aprile_17/unesco-l-italia-rischia-perdere-grande-bellezza) che, nei giorni scorsi, segnalava apertamente come l’Italia abbia, negli anni, ridotto le componenti di rappresentanza in seno all’UNESCO, mettendo a grave rischio la tutela degli stessi siti. E’ stato come un fulmine a cielo aperto. E’ la prima volta che viene messa in discussione la macchina che dovrebbe far funzionare l’UNESCO, in particolare nelle organizzazioni periferiche. ICOMOS, a quasi cinquant’anni dalla sua istituzione (ne parliamo ampiamente a pag. 12), ha trovato nel MIBACT e nel Ministero degli Esteri, importanti partners nell’organizzazione della XVIII Assemblea generale che si svolgerà, a Firenze, in contemporanea con un simposio scientifico e celebrativo della Carta di Venezia e del ventesimo anniversario del Documento di Nara. L’organizzazione non governativa, dopo aver toccato il nervo scoperto di tutti i beni culturali, ha denunciato una situazione che rischia di diventare esplosiva, segnalando paradossi amministrativi che indignano poichè non riescono a conciliare le esigenze degli eventi con quelle di tutela del luogo, come accade spesso, un pò dappertutto. Il risultato è un mare di polemiche, perchè le sovrintendenze, quasi sempre, paralizzano le piazze simbolo (ad esempio piazza Plebiscito a Napoli) e i centri storici, vietandoli a spettacoli ed eventi straordinari. Luoghi che, al contrario, andrebbero valorizzati e resi fruibili, vivibili e sicuri , salvandoli in questo modo dal degrado.

TUTELA DEI BENI CULTURALI: LA SVOLTA? Cosa occorre fare? Un suggerimento lo dà lo stesso ministro: “Stiamo pensando ad una ridefinizione del quadro normativo per gli appalti per i beni culturali, nel rispetto delle regole comunitarie e della normativa sulla trasparenza e la legalità”. E c’è un’altra novità: i gruppi stranieri, così come le imprese italiane che in questi ultimi tempi hanno annunciato alla stampa la loro intenzione di sostenere Pompei, troveranno “interlocutori certi e strumenti affidabili”.

Roma- Il Colosseo veduta dall’alto

Napoli - Piazza Plebiscito


Sembra quasi che ICOMOS, in questa sua battaglia, abbia letto nel pensiero del premier Matteo Renzi, il quale, quando era ancora sindaco di Firenze, rispolverando un suo vecchio cavallo di battaglia in tema culturale, dichiarò: “Abbiamo la cultura in mano ad una struttura ottocentesca, non può basarsi sul sistema delle sovrintendenze”. Le soprintendenze, come paradigma del viziato approccio italiano alla gestione del patrimonio, mettono in ogni occasione avanti quasi esclusivamente la conservazione, piuttosto che la promozione. Nel momento in cui Energeo va in stampa, il premier anticipando il testo sulla riforma della Pubblica Amministrazione che prevede l’accorpamento delle sovrintendenze e la gestione manageriale dei poli museali, ha messo un punto fermo, attraverso il decreto “sforbicia Italia”, sulla revisione radicale dello stato attuale delle sovrintendenze, puntando sul cambiamento delle dinamiche fra conservazione e gestione del patrimonio, in senso aperto e moderno. Lo stesso ministro Franceschini recentemente ha dichiarato che la salvaguardia dei monumenti e delle piazze non deve necessariamente tradursi in un impedimento a manifestazioni ed eventi di grande richiamo collettivo, soprattutto quando questi possono tradursi in un’occasione di utilizzo e valorizzazione del patrimonio pubblico, messo a disposizione di tutti i cittadini.

Firenze- Uno scorcio di Palazzo Vecchio

UN CAMBIO DI ROTTA NECESSARIO

UN’INIZIATIVA VINCENTE

ICOMOS, istituito a Venezia nel 1964, si prepara a Firenze ad una nuova riflessione, preannunciando un cambio di rotta. Punta il dito sulla presenza di numerose sacche di inefficienza, snocciolando una lunga serie di esempi che spesso toccano, a vario titolo, funzionari comunali, regionali e ministeriali. Nel mirino finirà un’accozzaglia di strutture dove scattano i meccanismi dell’autoreferenza, atteggiamenti che rasentano il parossismo e il ridicolo e rappresentano autentici santuari che finora nessuno ha mai pensato di toccare. Tutte sacche di micropotere e sottopotere che alimentano storie di ordinaria burocrazia e di scarsa produttività. Molti sono quelli che frenano puntando a lasciare le cose come stanno. Al Nord come al sud. Anche se non bisogna fare di ogni erba un fascio. “C’è da fare una riflessione anche sui Ministeri – dice il professor Di Stefano- dove sono proliferati troppi uffici che si occupano di UNESCO, pur mancando un sistema di gestione normalizzato. Esistono inoltre, sul territorio nazionale, tantissime realtà che si presentano come UNESCO e numerosi siti che codificano le misure speciali di tutela e fruizione, sintetizzandole con azioni celebrative che fanno soltanto da vetrina. Altre realtà ancora, pur non avendo le competenze, creano soltanto confusione nello stabilire l’iter da seguire nel portare avanti nuove candidature e nella definizione degli stessi compiti dell’UNESCO che affronta da sempre un problema di cultura di preservazione in generale”. ICOMOS Italia, ha proposto un giro di vite al fine di evitare ulteriore confusione, aprendo una finestra di dialogo con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, per collaborare più assiduamente con il neo ministro Dario Franceschini, il quale, come si è visto, ha annunciato che considera prioritaria per il rilancio dell’Italia la gestione del più grande patrimonio culturale, artistico, paesaggistico e turistico del mondo.

La sfida mira a promuovere una “Grande Italia del patrimonio UNESCO”, stimolando una vera competizione fra chi fa meglio e proporsi al resto del mondo. L’Italia, che annovera ben 49 siti inseriti dall’UNESCO su un totale di 981 siti (759 beni culturali, 193 naturali e 29 misti) presenti in 160 nazioni del mondo, non può stare a guardare. Il nostro Paese detiene anche il record di nuove proposte, inserite nel variegato ventaglio di autorevoli candidature pronte ad affrontare un lungo e tortuoso iter burocratico per essere catalogate nella World Heritage List come patrimonio culturale e naturale. Certamente la vastità, l’importanza e la capillarità del patrimonio storico e artistico del nostro Paese sono percepibili a occhio nudo, ma non esiste a tutt’oggi un elenco esaustivo ufficiale dei beni culturali, né è stato mai realizzato un lavoro sistematico di ricognizione, inventariazione e di catalogazione, nonostante la nostra Costituzione sia una delle poche al mondo a prevedere tra i “principi fondamentali” e tra i compiti della Repubblica (art. 9) la“tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione” ed un’importante sentenza della Corte Costituzionale (151/1986) sancisca “la primarietà del valore estetico-culturale capace di influire profondamente sull’ordine economico e sociale”. Occorre evitare che i primi al mondo arrivino ultimi.

Gondolieri a Venezia

T.R.

Italia- Immagini del patrimonio UNESCO

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EDITORIALE

LA CULTURA IN MANO AD UNA STRUTTURA OTTOCENTESCA


SOMMARIO

MARZO/APRILE 2014 - ANNO VII NUMERO 2

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EDITORIALE

VERSO EXPO 2105

2 - I PRIMI NON POSSONO ARRIVARE ULTIMI 2 - LA QUESTIONE UNESCO SUL TAVOLO DEL MIBACT 2 - TUTELA DEI BENI CULTURALI: LA SVOLTA? 2 - IL CORRIERE HA APERTO IL DIBATTITO 3 - LA CULTURA IN MANO AD UNA STRUTTURA OTTOCENTESCA 3 - UN CAMBIO DI ROTTA NECESSARIO 3 - UN’INIZIATIVA VINCENTE

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APPROFONDIMENTO

GIACIMENTI DI ECCELLENZA

16 - RIFLESSIONI SULL’IMPATTO DELLA CARTA DI VENEZIA

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FOR EXPO 2015

I TERRITORI DEL MANTOVANO

28 - LA STORIA DELLE BONIFICHE RACCONTATA IN UN ECOMUSEO 28 - LA COMUNITÀ DI MOGLIA RIFLETTE SULLE SUE ORIGINI 29 - UN PICCOLO BORGO FIERO DELLA SUA STORIA 29 - UN’OPERA IDRAULICA DI GRANDE RILIEVO

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RES TIPICA & DINTORNI

PROPRIETÀ COLLETTIVE

36 - SUL COMUNE SVENTOLA LA BANDIERA ARANCIONE 37 - LA PRIMA VOLTA DI UN PICCOLO COMUNE 37 - ARANCIONI PER VOCAZIONE 38 - UN PROGETTO WIFI FREE 38 - QUEL FILO ARANCIONE CHE UNISCE L’ITALIA 39 - L’OSSERVATORIO TOURING SUI PICCOLI COMUNI

energeo

18 - UN TERRITORIO CHE ESPLORA E RILANCIA LA SUA STORIA ANTICA 18 - IL PAESAGGIO NEL RICORDO DELLA GRANDE GUERRA 19 - UN OSSERVATORIO CHE SA OSSERVARE 19 - IL FASCINO DEL TERROIR 19 - LA RINASCITA DOPO LA DEVASTAZIONE DELLA GRANDE GUERRA

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26 - IL PAESAGGIO DEI NAVIGLI LUNGO LE STRADE DELLE ABBAZIE 26 - IL RUOLO DEL CONSORZIO DEI COMUNI DEI NAVIGLI 27 - IL PROGETTO PER RESTITUIRE I NAVIGLI ALLA CITTÀ METROPOLITANA

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6 - UN MANIFESTO PER RICORDARE I VALORI DELLA SETTIMANA DESS UNESCO 6 - IL PREMIO SI ISPIRA ALLE TEMATICHE DEL DESS 7 - CIBO E TERRITORIO, UNA QUESTIONE CULTURALE 7 - DIETA MEDITERRANEA: CULTURA, BENESSERE, SALVAGUARDIA DELL’AMBIENTE

40 - LA BATTAGLIA SENZA TEMPO DEGLI AGRICOLTORI LAZIALI 41 - LE ANTICHE UNIVERSITATES HOMINUM 41 - L’UNIVERSITÀ AGRARIA DI TARQUINIA

8 - IL PREMIO E 9 - IL PREMIO, 9 - L’ITKI UNES 10 - I VALORI C 10 - BENI CULT DI DISCUSSION 10 - LA CULTUR DEL PREMIO 10 - UNA SEZIO RADIOTELEVIS 11 - LE SINERG 11 - TRENTO
 E LE ULTIME EDI

20 - UN PO PER 21 - LA RISCOP 21 - IL RICORD 21 - SAPORI E V 22 - IL GRANDE 22 -UN INESTI DI BIODIVERSI

I PAE

30 - LA BONIFI 31 - QUANDO L 32 - LA LEZION 32 - IL PAESAG 32 - IL SENTIER 33 - A PIEDI O IL PAESAGGIO

CAPITA

42 - SIENA, UN 43 - SFIDA AL P 43 - CITTÀ CHE 44 - PROGETTO AL RILANCIO D 44 - PILLOLE D 44 - MUSICA P 44 - PARLIAMO 45 - IL PATRIM 45 - LA LICENZ 45 - LA TOSCAN 45 - IL VIRUS D 45 - UNA CULT 45 - LA VOGLIA


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MANIFESTAZIONI

DIETRO LA SIGLA

ECO AND THE CITY RISCOPRE FIRENZE UN EVENTO UFFICIALE DI ANCIXEXPO SCO AL NOSTRO FIANCO CHE IL PREMIO VUOLE ESPRIMERE TURALI, UN GRANDE TEMA NE RA DELL’INNOVAZIONE FOCUS

ONE DEDICATA AL GIORNALISMO SIVO GIE
 MESSE IN CANTIERE E MODENA
 HANNO OSPITATO IZIONI

20 INIZIATIVE

R EXPO PERTA DI UN TERRITORIO DO DI GIANNI BRERA VICENDE DEL GRANDE FIUME E FIUME IN CIFRE MABILE PATRIMONIO ITÀ

12 - LA CRESCITA DEI VALORI DI ICOMOS 12 - UN ACCADEMICO NAPOLETANO TRA I FONDATORI 13 - I PRIMI PASSI IN LAGUNA 13 - LA CRONISTORIA DI UN EVENTO MONDIALE 14 - LA GRANDE BELLEZZA L’ITALIA DEI PATRIMONIO UNESCO

24 IL PAESAGGIO DEI TERRITORI MUTEVOLI

24 - CANALE CAVOUR, 150 ANNI DI BENESSERE 24 - DALLA POVERTÀ ALL’AGIATEZZA 24 - LA TRASFORMAZIONE DEL PAESAGGIO 25 - VALORIZZAZIONE TURISTICA 25 - SCATTI INEDITI IN MOSTRA A NOVARA

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ESAGGI DELLA GIOCONDA

TERRITORI A RISCHIO

34 - MALTEMPO E ALLUVIONI, SOTTO ACCUSA LE BONIFICHE 34 - A METAPONTO DANNI IRRESPONSABILI 35 - IL BUON ESEMPIO DELLA MAREMMA, MA NON BASTA 35 - QUI L’OSPITALITÀ LA FA DA PADRONA

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ALI DELLA CULTURA 2019

FIRENZE E LA STORIA INDUSTRIALE

NA CITTÀ DA RIPENSARE PHOTO FINISH E SI VUOLE RIPENSARE O MIRATO DELLA CULTURA DI CULTURA PER TUTTA LA COMUNITÀ O DI SOLDI, IN PAROLE SEMPLICI MONIO DELLA MEMORIA COLLETTIVA ZA PER ESSERE CREATIVI NA CHE NON T’ASPETTI DELLA CULTURA URA SENZA OSTACOLI A DI IMPARARE

Redazione: Pierpaolo Bo edipress@hotmail.com Marketing: Luigi Letteriello luigi.letteriello@energeomagazine.com 334.120.71.85 Progetti speciali e Pubblicità: Promedia Srl marketing@energeomagazine.com Approfondimento tematiche e sviluppo azioni relative alla nuova convenzione UNESCO sul paesaggio e alle seguenti iniziative : • Alla ricerca del paesaggio perduto • Dichiarazione UNESCO sul Paesaggio di Firenze • Risoluzione UNESCO di Matera • Sistemi di Scienze locali • Tecniche e Conoscenze Tradizionali • Banca Mondiale Conoscenze Tradizionali (Banca del sapere) – TKWB. In collaborazione con l’ITKI, International Traditional Knowledge Institute.

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ICA “UNO-UNO-UNO” L’ARNO “TORCE IL MUSO” NE DI LEONARDO DA VINCI GGIO COSTRUITO DELLA TOSCANA RO DELLA BONIFICA IN BICICLETTA PER SCOPRIRE DELLA GIOCONDA

Direttore responsabile: Taty Rosa energeodirettore@hotmail.com

46 - NUOVO PIGNONE, A SCUOLA DI ALTA PROFESSIONALITÀ E INNOVAZIONE TECNOLOGICA 46 - NUMERI CHE PARLANO DI SVILUPPO E SOSTEGNO ALLA CRESCITA 46 - L’IMPEGNO NELLA FORMAZIONE, UNA SFIDA GLOBALE 47 - INTERVISTA AL PRESIDENTE MASSIMO MESSERI 48 - LE LUCI DELLA CITTÀ

Segreteria di Redazione: Lucrezia Locatelli Webmaster e curatore grafico: Michele Trivisano Comitato Scientifico: • Augusto Marinelli, già Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Firenze, Presidente della Giuria Premio Eco and the City Giovanni Spadolini. • Prof. Giovanni Puglisi Presidente CNI UNESCO e Magnifico Rettore della Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM. • Gabriele Falciasecca, professore di ruolo di elettromagnetismo presso ALMA MATER Studiorum Università di Bologna. Presidente Fondazione Guglielmo Marconi. • Giuseppe Blasi, già responsabile della sede Rai della Campania, coordinatore dei corsi della Scuola di Giornalismo dell’Università di Salerno. • Andrea Chiaves, progettista emerito di impianti innovativi di cogenerazione e teleriscaldamento. • Alberto Chini, Presidente Associazione Culturale Padre Eusebio F. Chini. Precursore della Sostenibilità. • Marco De Vecchi, Professore associato Dipartimento di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del Territorio alla Facoltà di Agraria dell’Università di Torino. • Jukka Jokilehto, Special Advisor to the Director General ICCROM. • Stefano Masini, responsabile Ambiente e Consumi Coldiretti. • Fabrizio Montepara, Presidente Res Tipica ANCI. • Pietro Nervi, Professore di Economia e Politica montana e forestale. Presidente del Centro studi e documentazione sui demani civici e le proprietà collettive dell’Università di Trento. • Domenico Nicoletti, Docente Università degli Studi Scienze Ambientali di Salerno. • Angelo Paladino, Presidente dell’Osservatorio Europeo per il Paesaggio. • Dipak Pant, Professore di Antropologia e Economia, fondatore e direttore dell’Unità di Studi Interdisciplinari per l’Economia Sostenibile presso l’Università di Castellanza. • Carlin Petrini, fondatore e Presidente di Slow Food. • Luigi Petti, Segretario generale ICOMOS Italia • Luigi Spagnolli, Presidente Commissione Ambiente ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani). • Piero Sardo, Presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità. Collaboratori: Andrea Accorigi, Maja Argenziano, Silvia Baratta, Michaela Barilari, Paolo Bonagura, Franco Boschi, Luisa Bruga, Irene Cabiati, Serena Ciabò, Claudio Chiaves, Alberto Chini, Leone Chistè, Angela Comenale, Giampietro Comolli, Barbara Del Sala, Lorenza De Marco, Filippo Delogu, Marco De Vecchi, Lello Gaudiosi, Marco Hagge, Fiorella Managò, Alberto Manicardi, Ennio Nonni, Isidoro Parodi, Francesca Patton, Adriano Pessina, Marco Pontoni, Angelo Porta, Paolo Rognini, Alessandro Sbrana, Stefano Sioli, Fausta Slanzi, Marzia Spera, Francesca Vassallo, Chiara Veronesi, Elisa Zanoni.

Le fotografie di questo numero • Pag. 6 VERSO EXPO 2015: Illustrazione di Carlo Stanga, archivio municipio di Pollica. • Pag. 8 MANIFESTAZIONI: Archivio Edipress Communications. • Pag. 12 DIETRO LA SIGLA: Immagini di repertorio, ICOMOS Italia. • Pag. 16 APPROFONDIMENTO: Immagini di repertorio. • Pag. 18 Giacimenti di eccellenza: Gheusis, Immagini di repertorio. • Pag.20 INIZIATIVE: Un Po per EXPO Relazioni Esterne. • Pap. 24 IL PAESAGGIO DEI TERRITORI MUTEVOLI: Foto di Irene Cabiati (immagini protette da copyright). • Pag. 26 FOR EXPO 2015: Provincia di Milano. • Pag. 28 I TERRITORI DEL MANTOVANO: Comune di Moglia, Egidio Foglia, Omar Giovannelli. • Pag. 30 I PAESAGGI DELLA GIOCONDA: foto di Franco Boschi. • Pag. 34 TERRITORI A RISCHIO: Immagini di repertorio, Luisa Bruga. • Pag. 36 RES TIPICA & DINTORNI: Associazione dei Paesi Bandiera Arancione. • Pag.40 PROPRIETÀ COLLETTIVE: Associazione regionale Università Agrarie del Lazio. • Pag. 42 CAPITALI DELLA CULTURA: Immagini di repertorio, Siena Capitale Europea della Cultura-città candidata. • Pag. 46 FIRENZE E LA STORIA INDUSTRIALE : Gruppo GE Oil & Gas. Gli articoli e le note firmate esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la direzione e la redazione di Energeo Magazine. Tutela della Privacy: Energeo Magazine viene inviato in abbonamento postale. Il fruitore del servizio può chiedere la cancellazione o la rettifica dei dati ai sensi della Legge 675/96. Prezzo di copertina: Euro 6.50 Abbonamento a 10 numeri Euro 50,00 Diffusione on line: www.archeojobs.com www.distrettoenergierinnovabili.it www.ecoandthecity.it www.energeomagazine.com www.ipogea.org www.osservatoriopaesaggio.eu www.restipica.net Direzione, Redazione, Abbonamenti: Edipress Communications Sas 334.120.71.85 – 335 60.60.490 www.energeomagazine.com abbonamenti@energeomagazine.com Uffici di Corrispondenza: • Distretto Energie Rinnovabili Via Bellini, 58 50144 Firenze • ITKI UNESCO-Ipogea Via Roma 595 50012 Bagno a Ripoli (Firenze) • Osservatorio Europeo del Paesaggio Certosa di San Lorenzo 84034 Padula (Patrimonio UNESCO) (+39)366.980.14.55 - Fax 0974.95.38.14 Stampa: Società Tipografica Ianni Srl Strada Circonvallazione, 180 - Santena Tel. (+39)011.949.25.80 Registrazione Tribunale di Torino N° 4282 del 18-12-1990 Copyright Energeo Magazine Edipress Communications Sas Strada Torino 43, 10043 Orbassano Periodico bimestrale Poste Italiane Spa Spedizione Postale Dl 353/2003 (conv. in L.27.02.2004 n.46) art.1, comma 1,CB/ Torino Anno VII- N° 2 Marzo/Aprile 2014 Il periodico Energeo Magazine è iscritto nel Registro degli Operatori della Comunicazione (ROC) - N° iscrizione 17843 Questo periodico è associato all’Unione Stampa Periodica Italiana.

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VERSO EXPO 2015

UN MANIFESTO PER RICORDARE I VALORI DELLA SETTIMANA DESS UNESCO IL DOCUMENTO CONGIUNTO TRA LA CNI UNESCO, CHE HA ORGANIZZATO TUTTE LE EDIZIONI DELLA SETTIMANA DI EDUCAZIONE ALLO SVILUPPO SOSTENIBILE ED IL PREMIO ECO AND THE CITY GIOVANNI SPADOLINI, SARÀ DIVULGATO NEL CORSO DELLA CERIMONIA CONCLUSIVA DI CONFERIMENTO DELLA MEDAGLIA SPADOLINI, QUEST’ANNO DEDICATA AL 40° ANNIVERSARIO DI FONDAZIONE DEL MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI CHE SI SVOLGERÀ A FIRENZE IL 15 NOVEMBRE, ALLA VIGILIA DELLA RASSEGNA PLANETARIA EXPO 2015

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ue anni fa la settima edizione della Settimana di Educazione allo Sviluppo Sostenibile, che si svolge sotto l’egida della Commissione nazionale italiana per l’UNESCO in sinergia con il Premio Eco and the City Giovanni Spadolini, tra gli eventi più rappresentativi del DESS, dedicò il tema a “Madre Terra: Alimentazione, Agricoltura ed Ecosistema”. L’argomento, per la sua importanza e attualità, sarà ripreso alla vigilia di Milano Expo 2015, con l’emissione di un manifesto che riassumerà la collaborazione tra Fondazione Spadolini Nuova Antologia e il DESS. Il documento, che sarà divulgato nel corso della Cerimonia conclusiva del Premio, prevista il prossimo 15 novembre, a Firenze, a conclusione del ciclo di lavori della XVIII Assemblea Generale ICOMOS Internazionale (10-14 novembre) e alla vigilia della giornata nazionale della dieta mediterranea, sarà consegnato agli organizzatori di Expo 2015 come un messaggio di augurio e di speranza. Al termine del Decennio dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile (DESS), proclamato per il periodo 2005- 2014 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che ha affidato all’UNESCO il compito di coordinare e promuovere le attività del Decennio, Energeo vuol fare una riflessione su queste importanti tematiche, affidando al Premio dedicato a Spadolini il compito di promuovere anche per il futuro un documento riassuntivo del DESS (a cui si ispira il progetto che assegna la Medaglia Spadolini) che dovrà contenere queste importanti tematiche, da anni al centro dell’interesse e dell’impegno del sistema ONU e sempre più al centro del dibattito pubblico internazionale. Il tema dell’alimentazione è di grande attualità perché ha una moltitudine di strette implicazioni con lo sviluppo sostenibile delle nostre società. “Le edizioni della settimana Dess, in particolare quella dedicata all’alimentazione, hanno rappresentato un momento di riflessione e condivisione sulla necessità di tutelare la Madre Terra e l’ecosistema di cui siamo parte e da cui dipende la sopravvivenza stessa della nostra specie” – ricorda il

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PROF. GIOVANNI PUGLISI , PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE NAZIONALE ITALIANA PER L’UNESCO: “LE EDIZIONI DELLA SETTIMANA DESS, IN PARTICOLARE QUELLA DEDICATA ALL’ALIMENTAZIONE,HANNO RAPPRESENTATO UN MOMENTO DI RIFLESSIONE E CONDIVISIONE SULLA NECESSITÀ DI TUTELARE LA MADRE TERRA E L’ECOSISTEMA DI CUI SIAMO PARTE E DA CUI DIPENDE LA SOPRAVVIVENZA STESSA DELLA NOSTRA SPECIE” PROF. GIOVANNI PUGLISI [foto 1]

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Professor Giovanni Puglisi [foto 1], Presidente della Commissione Nazionale Italiana per L’UNESCO. Il Decennio vuole sensibilizzare governi e società civili di tutto il mondo sulla necessità di un futuro più equo ed armonioso, rispettoso del prossimo e delle risorse del pianeta. Il professor Giovanni Puglisi puntualizza: “Occorre valorizzare il ruolo che, in tale percorso, è rivestito dall’educazione, intesa in senso ampio, come istruzione, formazione, informazione e sensibilizzazione. Dall’educazione scolastica alle campagne informative, dalla formazione professionale alle attività del tempo libero, dai messaggi prodotti dai media a quelli più in generale del mondo dell’arte e della cultura, comprendendo tutti gli input che provengono dalla società e che contribuiscono a formarne i valori e la cultura”. Quella della sostenibilità è una cultura basata su una prospettiva di sviluppo durevole di cui possono beneficiare tutte le popolazioni del pianeta, presenti e future, e in cui le tutele di natura sociale, quali la lotta alla povertà, i diritti umani, la salute, vanno a integrarsi con le esigenze di conservazione delle risorse naturali e degli ecosistemi.

IL PREMIO SI ISPIRA ALLE TEMATICHE DEL DESS Queste importanti tematiche sono contenute nel bando di gara del Premio, che ha raggiunto, dopo le prime edizioni, importanti traguardi. Per quanto riguarda il tema “Alimentazione, agricoltura e sviluppo sostenibile” gli ultimi cinquant’anni sono stati caratterizzati da tecnologie capaci di incrementare la produttività agricola. La pratica della monocultura, la meccanizzazione diffusa, il contributo dell’agrochimica, l’uso massiccio di pesticidi, erbicidi, fungicidi, fertilizzanti sintetici, se da una parte hanno inaugurato una lunga stagione di elevata produttività e bassi prezzi dei beni alimentari, dall’altro lato hanno comportato uno

sfruttamento intensivo e spesso irreversibile delle risorse naturali: erosione del suolo, contaminazione delle acque , inquinamento dei bacini idrogeologici, deforestazione, perdita di biodiversità. Come conseguenza dello sfruttamento intensivo, del degrado e della contaminazione va notato che il trend di crescita della produttività agricola tende a diminuire nel lungo termine, cosa che si è verificata nell’ultimo decennio procurando una fase di “stagnazione delle rese”. E’ necessario quindi far crescere la consapevolezza che i sistemi agricoli e l’alimentazione devono orientarsi verso uno sviluppo sostenibile ed un più razionale utilizzo delle risorse. Energeo e 
il Premio, alla vigilia della rassegna planetaria Milano Expo 2015, tornano su queste importanti tematiche che favoriscono la conoscenza dei territori, partendo dalla cultura e tradizioni locali per giungere alle moderne innovazioni alimentari, dall’orto alla produzione locale, dalla trasformazione all’industria alimentare, dall’alimentazione sana,
 sicura e sufficiente sino alla cooperazione internazionale, mettendo in mostra le eccellenze territoriali, culturali, artistiche, architettoniche e paesaggistiche e della tradizione alimentare. Contenuti di grande attualità alla vigilia di Expo Milano 2015, occasione straordinaria per le località del Paese per esprimere la propria cultura, la propria storia e le proprie tipicità. Il Premio, che ha voluto valorizzare le iniziative nelle filiere economico - produttive nell’agricoltura e la riscoperta di antiche colture, oggi vuole puntare i riflettori sulle tradizioni agricole del territorio e l’alimentazione tipica locale, dando spazio alle “storie di donne, cibo e territorio” (dall’orto alla tavola) per promuovere e sostenere la conoscenza della tradizione alimentare locale attraverso la ricerca delle fonti storiche e delle testimonianze culturali in ambito agroalimentare.

T.R. Illustrazione di Carlo Stanga


VERSO EXPO 2015

L’UNESCO RICONOSCE L’ALIMENTAZIONE COME PATRIMONIO IMMATERIALE. IL TERMINE “DIETA” SI RIFERISCE ALLO “STILE DI VITA”, CIOÈ ALL’INSIEME DELLE PRATICHE, DELLE RAPPRESENTAZIONI, DELLE ESPRESSIONI, DELLE CONOSCENZE, DELLE ABILITÀ, DEI SAPERI E DEGLI SPAZI CULTURALI CON I QUALI LE POPOLAZIONI DEL MEDITERRANEO HANNO CREATO E RICREATO NEL CORSO DEI SECOLI UNA SINTESI TRA L’AMBIENTE CULTURALE, L’ORGANIZZAZIONE SOCIALE E L’UNIVERSO MITICO E RELIGIOSO CHE RUOTA INTORNO ALL’ALIMENTAZIONE

CIBO E TERRITORIO, UNA QUESTIONE CULTURALE IL PATRIMONIO CULTURALE IMMATERIALE È L’INSIEME DI PRASSI, RAPPRESENTAZIONI, ESPRESSIONI, CONOSCENZE, KNOW-HOW – COME PURE STRUMENTI, OGGETTI, MANUFATTI E SPAZI CULTURALI A QUESTI ASSOCIATI – CHE LE COMUNITÀ, I GRUPPI E IN ALCUNI CASI GLI INDIVIDUI RICONOSCONO COME PARTE DEL PROPRIO PATRIMONIO CULTURALE. QUESTO PATRIMONIO, TRASMESSO DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE, È COSTANTEMENTE RICREATO DALLE COMUNITÀ E DAI GRUPPI IN RISPOSTA AL LORO AMBIENTE, ALLA LORO INTERAZIONE CON LA NATURA ED ALLA LORO STORIA, E DÀ LORO UN SENSO D’IDENTITÀ E DI CONTINUITÀ, PROMUOVENDO IN TAL MODO IL RISPETTO PER LA DIVERSITÀ CULTURALE E LA CREATIVITÀ UMANA

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cegliere le materie prime e gli ingredienti, combinare i sapori, presentare una pietanza: sono tutti elementi che fanno parte dell’espressione della cultura delle società umane, fatta di abitudini quotidiane, di conoscenze e saperi antichi, di tradizioni agricole e alimentari locali, di contaminazioni culturali e di creatività. L’alimentazione, l’agricoltura e il legame dei popoli con la loro Madre Terra sono espressione della cultura nel significato più ampio del verbo latino colere: culto, coltura e cultura. Lo sviluppo sostenibile riguarda gli aspetti ecologici, economici, sociali e culturali del nostro vivere e l’alimentazione ha indubbiamente legami inscindibili con ognuno di essi. Il Patrimonio Culturale Immateriale è l’insieme di prassi, rappresentazioni, espressioni, conoscenze, know-how – come pure strumenti, oggetti, manufatti e spazi culturali a questi associati – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono come parte del proprio patrimonio culturale. Questo Patrimonio, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia, e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana. L’UNESCO, già nella Conferenza generale di Parigi del 2003, riconosceva l’importanza del Patrimonio Culturale Immateriale come fattore principale di diversità culturale e garanzia di sviluppo duraturo; ne riconosceva l’in-

terdipendenza con il Patrimonio Culturale Materiale, nonché con la natura e ne sottolineava il rilevante ruolo come fattore per il riavvicinamento degli esseri umani. Con questo riconoscimento, l’UNESCO vuole tutelare questi patrimoni, mettendo in risalto l’importanza di norme che ne garantiscano la tutela e la salvaguardia e la necessità di promuovere una maggiore consapevolezza del loro valore, soprattutto fra i più giovani. L’importanza dell’alimentazione come Patrimonio Culturale Immateriale viene sancito nel 2010 con alcuni riconoscimenti e iscrizioni nella lista dell’“Intangible Cultural Heritage”: il Pasto gastronomico francese, la Cucina tradizionale messicana e la Dieta mediterranea. La Dieta in particolare è un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni che sono legate al paesaggio, alla tavola, alle colture, al raccolto, alla pesca, alla conservazione, trasformazione, preparazione e consumo di cibo.

L’Acquasale una ricetta povera, pilastro della Dieta Mediterranea

DIETA MEDITERRANEA: CULTURA, BENESSERE, SALVAGUARDIA DELL’AMBIENTE A Pollica rinascono gli orti con gli antichi semi della Dieta Mediterranea. Il Comune della cittadina cilentana, patria della famosa dieta, ha infatti avviato la campagna “A Pollica piantamolastoria” che prevede la messa a dimora degli antichi semi dei prodotti agricoli della dieta mediterranea. Al centro della iniziativa, voluta dal sindaco di Pollica Stefano Pisani [foto 2], la distribuzione gratuita del “germoplasma”, ovvero del materiale ereditario [02] trasmesso mediante le cellule germinali in grado di preservare in modo diretto la biodiversità a livello genetico, recuperato da alcuni prodotti agricoli della Dieta Mediterranea, quali ortaggi, pomodori e patate. E così, i cittadini di Pollica potranno ripiantare nel proprio orto di casa il patrimonio “doc” della antica tradizione agricola cilentana, sull’esempio degli attuali proprietari della casa di Pioppi di Ancel Keys [foto 3] che hanno ricostruito la serra nell’orto coltivato dallo stu[03] dioso, per mettere a dimora gli antichi semi dei prodotti agricoli resi famosi dallo scienziato americano (1904-2004), come faranno tantissimi cilentani. Partendo da questo luogo Keys si fece promotore dell’ampio programma di ricerca sulla Dieta Mediterranea, noto come Seven Countries Study e autore del libro Eat well and stay well, the Mediterranean way. Lo scienziato aveva

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Il cacioricotta del Cilento

notato una bassissima incidenza di malattie delle coronarie presso gli abitanti di Nicotera e dell’isola di Creta, nonostante l’elevato consumo dei grassi vegetali forniti dall’olio d’oliva, e avanzò l’ipotesi che ciò fosse da attribuire al tipo di alimentazione caratteristico di quell’area geografica. In seguito a questa osservazione prese avvio la famosa ricerca “Seven Countries Study”, basata sul confronto dei regimi alimentari di 12.000 persone, di età compresa tra 40 e 59 anni, sparse in sette Paesi del mondo (Finlandia, Giappone, Grecia, Italia, Olanda, Stati Uniti e Jugoslavia). I risultati dell’indagine non lasciarono dubbi: la mortalità per cardiopatia ischemica (infarto) è molto più bassa presso le popolazioni mediterranee rispetto a Paesi, come la Finlandia, dove la dieta è ricca di grassi saturi (burro, strutto, latte e suoi derivati, carni rosse). A Pioppi , frazione di Pollica, (nel Cilento ) Keys abitò per oltre 40 anni, eleggendolo come luogo di svolgimento degli avanzatissimi studi, perchè la Dieta Mediterranea promuove l’interazione sociale, poiché il pasto in comune è la base dei costumi sociali e delle festività condivise da una data comunità, e ha dato luogo a un notevole corpus di conoscenze e letterature. Tant’è che il paese cilentano è considerato la Capitale Mondiale della Dieta Mediterranea, patrimonio universale riconosciuto dall’UNESCO. La Dieta si fonda sul rispetto per il territorio e la biodiversità e garantisce la conservazione e lo sviluppo delle attività tradizionali e dei mestieri collegati alla pesca e all’agricoltura nelle comunità del Mediterraneo. Oltre a questo importante ruolo culturale, molti studi hanno dimostrato che gli alimenti alla base della Dieta mediterranea sono considerati come i più salutari, e che la loro produzione risulta avere un basso impatto ecologico. F.V.

Gli ingredienti che fanno parte della Dieta Mediterranea

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IL PREMIO ECO AND THE CITY RISCOPRE FIRENZE LA MANIFESTAZIONE, CHE GIÀ NELLE EDIZIONI PRECEDENTI HA COSTITUITO UNA TAPPA SIGNIFICATIVA DELLA ROAD MAP VERSO EXPO 2015, SI PROPONE COME RIBALTA IDEALE PER FAVORIRE LA CONOSCENZA DEI TERRITORI, PARTENDO DALLA CULTURA E TRADIZIONI LOCALI PER GIUNGERE ALLE MODERNE INNOVAZIONI DEL SETTORE AGROALIMENTARE E METTE IN MOSTRA LE ECCELLENZE TERRITORIALI, CULTURALI, ARTISTICHE, ARCHITETTONICHE E PAESAGGISTICHE E DELLA TRADIZIONE ALIMENTARE. LA CERIMONIA CONCLUSIVA RAPPRESENTERÀ UN EVENTO COLLATERALE DELLA 18MA ASSEMBLEA GENERALE ICOMOS, CHE SI SVOLGERÀ A FIRENZE SOTTO L’EGIDA DEL MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI E IL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

IL PROGETTO, PROMOSSO DALLA FONDAZIONE SPADOLINI NUOVA ANTOLOGIA, IDEATO DA ENERGEO MAGAZINE, IN SINERGIA CON L’ITKI UNESCO E CON IL PATROCINIO DELLE PIÙ IMPORTANTI ISTITUZIONI E DI PRESTIGIOSE FONDAZIONI, FARÀ TAPPA QUEST’ANNO NELLA CITTÀ CHE HA DATO I NATALI A GIOVANNI SPADOLINI, DEL QUALE RICORRE ANCHE IL VENTENNALE DELLA MORTE. L’INIZIATIVA, CHE INTERAGISCE CON LA COMMUNITY NETWORK GUGLIELMO MARCONI, INTENDE DARE FORZA ALL’ITALIA CHE PENSA AL FUTURO, ATTRAVERSO L’INNOVAZIONE APPLICATA AL TERRITORIO E SI PROPONE DI PROMUOVERE LA CAPACITÀ DI UNA SOCIETÀ DI COMPRENDERE, ANALIZZARE, AFFRONTARE E RISOLVERE I PROPRI PROBLEMI SOCIO-AMBIENTALI, E TUTTE LE AZIONI DI TUTELA DEL PATRIMONIO ARTISTICO E ARCHEOLOGICO COME INVESTIMENTO FINALIZZATO A GENERARE NUOVA RINASCITA CULTURALE

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l Premio Eco and the City Giovanni Spadolini 2014 ( www.ecoandthecity.it), dedicato allo statista fiorentino, ritorna a Firenze, la città dov’è stato organizzato la prima volta, in occasione del Giubileo della nazione e dove ha sede la segreteria organizzativa, nella Biblioteca a Pian de Giullari. La creazione dell’allora ministero per i Beni Culturali e Ambientali, quarant’anni fa, affidato da Aldo Moro [foto 1] a Giovanni Spadolini, aveva l’aspirazione di “realizzare una compenetrazione tra mondo politico e mondo della cultura, che non possono, l’uno e l’altro, [01] essere veri senza una profonda interazione”. Parole nelle quali Spadolini, che si definiva Ministro dell’utopia, si riconosceva, tanto che uno dei suoi meriti fu certo quello di aver coinvolto l’opinione pubblica facendo dei Beni culturali un grande tema di discussione. Nel governo bicolore Moro-La Malfa, in carica dal dicembre 1974 al gennaio 1976, a Giovanni Spadolini fu affidato un compito tanto originale quanto necessario: quello di tenere a battesimo un nuovo ministero, nato addirittura per decreto, tale la condizione di “necessità e urgenza” prevista dalla Costituzione per il ricorso


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a questo strumento legislativo: il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, un’amministrazione autonoma, responsabile unica di fronte al Parlamento, unica interlocutrice per un nuovo indirizzo globale di protezione per l’area dei beni culturali e per la necessaria rifondazione delle leggi di tutela. La Malfa [foto 2], in ot- [02] temperanza ai poteri previsti per il Presidente del Consiglio, aveva lasciato ad Aldo Moro la libertà di scelta fra i suoi uomini nella fase di composizione del governo. Moro scelse l’uomo giusto al posto giusto, quasi a scandire quell’unità di intenti fra mondo della cultura e pubblica amministrazione che altre volte non era stato possibile realizzare. Nel capoluogo toscano i Beni culturali sono ancora oggi al centro della discussione. Tante le iniziative. In Agenda il Forum UNESCO a metà ottobre e la XVIII Assemblea Generale ICOMOS Internazionale che si svolgerà a Firenze dal 10-14 novembre, sotto l’egida del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Ministero degli Affari Esteri. L’organizzazione non governativa dovrà divulgare nuovi valori sulla tutela del territorio e del paesaggio, avviando una riflessione profonda sul tema “Heritage and landscape as Human Values”, volto alla conservazione e la tutela del patrimonio culturale. In tale ambito si svolgeranno un Simposio Scientifico ed un evento celebrativo del cinquantesimo Anniversario della Carta di Venezia, nonché un simposio commemorativo del ventesimo anniversario del Documento di Nara sull’autenticità. Eventi che si svolgeranno in concomitanza con la Cerimonia conclusiva di assegnazione della Medaglia Spadolini e con i quali Energeo ha avviato importanti sinergie.

IL PREMIO, UN EVENTO UFFICIALE DI ANCIXEXPO La ricorrenza del 150° anniversario della capitale a Firenze, fra 1865 e 1870, rappresenterà il contesto in cui si inserirà la manifestazione che farà da prologo alla rassegna planetaria Milano Expo 2015. L’appuntamento di Firenze è stato inserito nel calendario eventi Res TIPICA per ANCIXEXPO, perchè costituisce una tappa di avvicinamento alla grande esposizione universale che aprirà a maggio 2015 a Milano, con un calendario di eventi che, per diciotto mesi, sveleranno il patrimonio immateriale, artistico e enogastronomico dei territori italiani, inseriti nelle associazioni di identità. “Il sodalizio con il Premio Eco and the City e con Energeo, è ormai collaudato, - spiega Fabrizio Montepara [foto 3] , presidente di Res Tipica ANCI - le associazioni di identità sono molto attente alle proposte sostenute dalla Fondazione Spadolini Nuova Antologia. Di recente abbiamo avviato una partnership per valorizzare e tutelare i borghi arroccati, inseriti in paesaggi di aspra bellezza, pieni di mistero e di storia, oggi completamente abbandonati, antichi custodi di un bene storico-culturale, testimonianza del tempo e memoria storica degli stessi borghi, poi diventati paesi fantasma. L’iniziativa è rivolta a quanti hanno a cuore i valori della salvaguardia e della tutela del patrimonio culturale, soprattutto quello considerato “minore”, la cui funzione oscilla in continuo tra quella di deposito passivo della memoria storica e dell’identità culturale e quella, opposta, di potente stimolo per la creatività del presente e la costruzione del futuro. Altre iniziative sono in cantiere, come la promozione di nuove candidature pronte ad affrontare un lungo e tortuoso iter burocratico per essere inserite nella World Heritage List come patrimonio culturale e naturale”.

L’ITKI UNESCO AL NOSTRO FIANCO Il Premio è diventato, infatti, asse di riferimento per gran parte delle strategie di azione sul territorio: le prospettive della sostenibilità, della salvaguardia della diversità, del controllo delle trasformazioni si misurano sempre più non solo con gli aspetti “strutturali” socio-economici e dell’ecosistema, ma anche con gli aspetti “culturali” del paesaggio. Esperienze che saranno messe al servizio di altre comunità per migliorare la qualità della vita dei cittadini, regione per regione, promuovendo azioni di sussidiarietà. Anche nelle precedenti edizioni la manifestazione ha costituito una tappa significativa della road map verso Expo 2015, [03] ponendo al centro dell’attenzione non solo il nutrimento dell’uomo ma anche quello del pianeta in cui esso vive, proponendosi come ribalta ideale per favorire la conoscenza dei territori, partendo dalla cultura e tradizioni locali. Il progetto, promosso dalla Fondazione Spadolini Nuova Antologia, ideato da Energeo Magazine, in sinergia con l’ITKI UNESCO e con il patrocinio delle più importanti istituzioni e di prestigiose fondazioni (fra cui quella dedicata al Premio Nobel Guglielmo Marconi), è legato al ricordo vivo di Giovanni Spadolini, del suo impegno culturale, politico, civile in una dimensione italiana ed europea. Dedicherà la tappa di Firenze per ricordare non soltanto la creazione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, ma anche il ventennale della morte del professore fiorentino. Inoltre la manifestazione intende valorizzare le tradizioni agricole del territorio e l’alimentazione tipica locale.

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Il professor Giovanni Spadolini

I VALORI CHE IL PREMIO VUOLE ESPRIMERE Gli organizzatori intendono muoversi con la consapevolezza che i tempi sono maturi per lanciare definitivamente questa iniziativa (il nuovo bando sarà reso ufficiale all’inizio di maggio), trovando l’ispirazione nei contenuti del Decennio di Educazione allo Sviluppo Sostenibile, confermato dal messaggio di Expo 2015 che punta su alimentazione, tradizione e territorio. L’ambìto riconoscimento, nelle precedenti edizioni, è stato conferito a progetti che riguardano la valorizzazione dell’immagine nonché delle capacità di attrazione di un territorio per le azioni di tutela e salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio e dell’identità culturale, al fine di garantire uno sviluppo sostenibile e compatibile, sotto il profilo ambientale, coi due settori strategici di sviluppo, cioè agricoltura e turismo di qualità e accessibile anche ai disabili. Senza trascurare le imprese alimentari virtuose e innovative che operano nel settore alimentare. Alimentazione, tradizione e territorio, memorie, prodotti agroalimentari, ma anche innovazione, creatività, turismo e circolazione dei saperi sono i valori che il Premio vuole esprimere, sviluppando anche sistemi di controllo e razionalizzazione che annullino gli sprechi alimentari originati a monte della filiera agroalimentare o anche in fase di trasformazione industriale, distribuzione e consumo finale.

naturale e culturale italiano” rimane un caposaldo del Premio, puntando i riflettori su progetti e programmi che sostengono iniziative di valorizzazione di aree e patrimoni immateriali inseriti nelle reti dei paesaggi culturali, parchi culturali, parchi letterari, distretti culturali evoluti che mettono al centro della propria azione di tutela e valorizzazione la nozione di patrimonio che in questi ultimi anni ha progressivamente ampliato contenuti, ruoli e utilizzi nella società contemporanea. La terza sezione, che riguarda “la riqualificazione dei territori agricoli”, oltre alla ruralità nel suo complesso, porrà l’accento sull’agricoltura sostenibile (anche detta eco-compatibile o integrata). Quella che, oltre a produrre alimenti e altri prodotti agricoli, è anche economicamente vantaggiosa per gli agricoltori, rispettosa dell’ambiente, socialmente giusta, contribuendo a migliorare la qualità della vita sia degli agricoltori che dell’intera società. Chi si occupa di agricoltura sostenibile, privilegia quei processi naturali che consentono di preservare la “risorsa ambiente”, evitando così il ricorso a pratiche dannose per il suolo (come le lavorazioni intensive) e a sostanze chimiche (pesticidi, ormoni, ecc.). Non c’è un unico modo per fare agricoltura sostenibile, i modelli agricoli più diffusi in Italia che mettono in pratica i principi e le tecniche sostenibili sono le produzioni integrate, l’agricoltura biologica e quella biodinamica. Il Premio vuole promuovere e sostenere la conoscenza della produzione primaria riscoprendo le tradizioni agricole del territorio e l’alimentazione locale. La quarta sezione intende coinvolgere le imprese alimentari virtuose e innovative che trasformano gli alimenti e, più in generale, le imprese che operano nel mondo del food orientate a proporre un’alimentazione sana e sicura.

BENI CULTURALI, UN GRANDE TEMA DI DISCUSSIONE

LA CULTURA DELL’INNOVAZIONE FOCUS DEL PREMIO

La sezione uno che, in passato, ha focalizzato la propria attenzione sui progetti che riguardano il concetto di “Comunità sostenibili”, apre, in questa edizione, alle iniziative che serviranno per riscoprire, monitorare e promuovere azioni di tutela e di salvaguardia del patrimonio ambientale, culturale, archeologico, storico, urbanistico, architettonico del nostro Paese, con l’obiettivo di diffondere una cultura per il mantenimento del decoro urbano e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, intesi come patrimonio comune. La sezione due, dedicata alla “tutela e valorizzazione del paesaggio

Il focus del Premio riguarderà la Cultura dell’Innovazione. L’iniziativa, che interagisce con la Community Network Guglielmo Marconi e con CITTALIA, fondazione ANCI ricerche, nasce dall’esigenza di sostenere le economie dei territori che sempre più hanno al centro la città quale motore di sviluppo dell’economia locale. E’questo il fine strategico del progetto che intende promuovere soluzioni adottate con successo localmente, attraverso l’innovazione applicata al territorio. L’innovazione sociale, invece, deve essere intesa come capacità di una società di comprendere, analizzare, affrontare e risolvere i pro-

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pri problemi socio-ambientali, e tutte le azioni che focalizzano l’attenzione sulle più innovative scoperte e sui traguardi più impegnativi raggiunti nei campi della salute e della medicina. L’innovazione culturale riguarda la tutela del patrimonio artistico e archeologico come investimento finalizzato a generare nuova innovazione culturale. Da alcuni anni la parola innovazione ricorre regolarmente nel dibattito sullo sviluppo del nostro Paese. Il Premio intende contribuire nel far comprendere appieno come l’innovazione sia intesa come volano per lo sviluppo e la competitività del Paese attraverso interventi sul territorio mirati alla programmazione delle politiche di sviluppo territoriale. Si propone di diffondere l’innovazione tecnologica e incrementare la competitività dei territori, valorizzando e tutelando il patrimonio culturale attraverso la Rete e sistemi di controllo innovativi e riqualificando l’offerta turistica. Concetti importanti nei luoghi in cui si discute quali dovrebbero essere le azioni per rilanciare e valorizzare la cultura delle persone, la tutela dell’ambiente, il turismo accessibile, l’identità culturale. Occorre ancora una volta tastare il polso al territorio, aggregando tantissime realtà e forme associative, consorzi e organizzazioni territoriali, come quelle recentemente individuate da Energeo (seguite anche in questo numero molto da vicino) che raggruppano università, comunanze, partecipanze, associazioni agrarie esistenti tuttora in varie regioni d’Italia, proprietà collettive. Senza dimenticare l’importante compito di suscitare l’interesse dei media.

UNA SEZIONE DEDICATA AL GIORNALISMO RADIOTELEVISIVO Il territorio rappresenta il filo conduttore dell’iniziativa della Fondazione Spadolini Nuova Antologia che si avvale dell’Alto Patronato Permanente del Capo dello Stato, destinata ad imbarcare un nutrito sodalizio di enti locali, consorzi di municipalità, aziende agricole e vitivinicole, imprese virtuose, start up e progetti di ricerca innovativi del nostro Paese, autentici ambasciatori della nostra collettività impegnata nelle buone pratiche e nel rispetto dell’ambiente e della tutela del paesaggio. Lo statista fiorentino affrontò per primo il programma di tutela del patrimonio culturale e naturale in Italia, avviando un confronto concreto sui grandi temi del nostro tempo. A tale proposito, dopo il successo dello scorso anno, sarà nuovamente istituita la sezione speciale del Premio dedicata al compianto Ezio Trussoni [foto 1], capo redatto[01] re centrale della sede Rai di Milano, che aveva ben capito come la presenza capillare della Rai sul territorio sia elemento distintivo importante del servizio pubblico radiotelevisivo. Il Concorso è riservato, anche per questa edizione, ai giornalisti della Rai TGR (Sedi Regionali), autentico trampolino di lancio per tanti volti noti dei tg


nazionali che hanno realizzato servizi, reportage e inchieste televisive su temi attinenti alle tematiche del Premio, rilevanti per la vita sociale della regione di competenza e che, sovente, vengono utilizzate anche da tg e/o rubriche Rai di carattere nazionale. L’obiettivo è favorire la crescita di una cultura dell’informazione più attenta alle problematiche del territorio e, allo stesso tempo, di far crescere l’attenzione dei media verso questi temi. I giornalisti della testata giornalistica regionale che concorrono per il conferimento della Medaglia Spadolini potranno evidenziare le iniziative che riguarderanno la rassegna milanese, nonché raccontare come viene vissuta la vigilia localmente nelle regioni italiane, chiamate ufficialmente ad essere parte fondamentale di un evento di valore mondiale, che costituisce un’ occasione irripetibile per rappresentare in modo integrato e creativo le eccellenze, le ricchezze territoriali e le specificità del nostro Paese. Ovunque fervono iniziative, si abbozzano programmi, si organizzano alleanze, ponendo al centro dell’attenzione non solo il nutrimento dell’uomo ma anche quello del pianeta in cui esso vive. La TGR farà la sua parte. La Medaglia Spadolini sarà conferita ai reportage più significativi.

Il Premio è un progetto complesso, avviato quattro anni fa, che oggi rappresenta il primo tassello nella costruzione di un unico percorso finalizzato a generare innovazione culturale, puntando sul turismo sostenibile e sulla coesione territoriale. E’ sul territorio che va trovata la misura per declinare il valore dell’innovazione, valorizzando la partecipazione attiva, la creatività sociale e quell’eccellenza artigiana e agroalimentare che esprime la migliore opportunità di rinascita per l’Italia. In tal senso l’impegno degli organizzatori che hanno già attivato sinergie con il progetto crossmediale della Rai che sarà l’host broadcaster, cioè la tv principale della rassegna planetaria, sia per quanto riguarda la promozione, sia per l’informazione sullo svolgimento dell’evento, creato per raccontare all’Italia e al mondo Expo Milano 2015 e divulgare la conoscenza dei temi legati all’Expo, “Nutrire il pianeta, Energia per la vita”, attraverso spazi e rubriche in tutta la programmazione del servizio pubblico. E’ già in corso una fattiva collaborazione con la Testata Giornalistica Regionale della Rai per la Medaglia Spadolini dedicata ad Ezio Trussoni. La manifestazione, di cui è media partner il TG2, come già accaduto nelle precedenti edizioni, darà ampio spazio ai media ed al sistema multimediale della RETE al fine di divulgare i valori ai quali il Premio s’ispira.

TRENTO E MODENA HANNO OSPITATO LE ULTIME EDIZIONI Era già successo nella prima edizione organizzata a Palazzo Incontri, inserita nel programma ufficiale delle Celebrazioni del 150 Anniversario dell’Unità d’Italia, nel 2011. In quell’occasione una sezione interessò i Comuni legati all’epopea garibaldina (la Medaglia Spadolini venne assegnata alla città di Marsala). Poi, vista la sua natura itinerante, il Premio ha continuato il suo percorso con l’edizione svoltasi a Trento nel 2012 che aveva per focus il 40° Anniversario della World Heritage List UNESCO e con l’ultima edizione (focus identità territoriale e innovazione, in omaggio ad Enzo Ferrari, a 25 anni dalla morte) svoltasi a Modena, nella Casa Museo Enzo Ferrari, un luogo d’eccezione, tra fiammanti monoposto che hanno preso parte alle gare della formula1, entrate nella leggenda dell’automobilismo sportivo. Luigi Letteriello, curatore Premio Eco and the City

Edizione 2011, Palazzo Incontri - Firenze

Edizione 2012, Sala Depero della Provincia Autonoma di Trento

Edizione 2014, Museo casa natale Enzo Ferrari - Modena

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LE SINERGIE MESSE IN CANTIERE


DIETRO LA SIGLA

LA CRESCITA DEI VALORI DI ICOMOS

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ue anni fa, a Firenze, furono aperte da ITKI UNESCO una serie di finestre di dialogo con organismi internazionali intergovernativi, associazioni nazionali e non governative, università e amministratori locali, che ebbero un ruolo determinante nelle scelte future indicate nella “Dichiarazione UNESCO di Firenze sul Paesaggio”. Per questo Energeo, media partner dell’Istituto fiorentino, si mette in viaggio, con un’iniziativa senza precedenti, per capire cosa c’è dietro le tantissime sigle che convergono sulla stessa direttrice e che rappresentano, in parte, il gruppo di lavoro della XVIII Assemblea Generale ICOMOS Internazionale, che si svolgerà quest’anno a Firenze, dal 10 al 14 novembre sotto l’Alto Patronato del Capo dello Stato, accendendo i riflettori su una serie di eventi, in occasione del 150 anniversario di Firenze Capitale, che avranno come filo conduttore la cultura del territorio e del paesaggio sotto il segno dell’UNESCO. Il tema scelto è ‘’Eredità culturale e Paesaggio come valore dell’umanità”; si svilupperà attraverso 5 sezioni di lavoro: Paesaggio storico urbano come driver di sviluppo umano; Patrimonio culturale nell’ambito di sviluppo del dialogo tra culture: il viaggio e l’ospitalità; ‘’criteria’’; i primi 50 anni della Carta di Venezia tra universalità e specificità’ all’interno del dibattito sul ‘’Paradigm Shift’’; I temi della prosperità delle città e dei loro centri storici: equilibrio, equità e valore culturale. In questo contesto ricaviamo preziose chiavi di lettura da Maurizio Di Stefano, presidente dell’ICOMOS Italia [foto 1], l’organizzazione internazionale non governativa [01] di professionisti, fondata nel 1965, con segreteria internazionale a Parigi, rivolta alla conservazione dei monumenti e dei siti storici mondiali. Cominciamo da ICOMOS. Che cos’è questa sigla? Con quali altre sigle interagisce? Il Consiglio

A QUASI CINQUANT’ANNI DALLA SUA ISTITUZIONE, L’ORGANIZZAZIONE FONDATA SUCCESSIVAMENTE ALLA SUA PARTECIPAZIONE AL CONGRESSO INTERNAZIONALE DEGLI ARCHITETTI TENUTOSI A VENEZIA NEL 1964, IN CUI FU REDATTA LA CARTA INTERNAZIONALE DEL RESTAURO COSIDDETTA APPUNTO “CARTA DI VENEZIA”, DI CUI SI CELEBRERÀ A FIRENZE IL 50° ANNIVERSARIO, NEL MOMENTO IN CUI VENNE FISSATO UN CODICE DI STANDARD PROFESSIONALI E LE LINEE GUIDA CHE COSTITUISSERO UN QUADRO DI RIFERIMENTO INTERNAZIONALE PER DISCIPLINARE LE MODALITÀ CON CUI CONDURRE INTERVENTI DI CONSERVAZIONE E RESTAURO DI MONUMENTI E MANUFATTI ARCHITETTONICI, E DI SITI STORICI E ARCHEOLOGICI, PUNTA AD UNA MAGGIORE VISIBILITÀ DELLE PROBLEMATICHE AFFRONTATE INSIEME AD ALTRI ORGANISMI INTERNAZIONALI INTERGOVERNATIVI, ASSOCIAZIONI NAZIONALI E NON GOVERNATIVE

Una dimensione magica di Venezia

Internazionale dei Monumenti e dei Siti (ICOMOS), fondato nel 1965 (la segreteria ha sede a Parigi, in Rue de la Fédération ), ha lo scopo di promuovere le dottrine e le tecniche di conservazione. ICOMOS fornisce al Comitato per il Patrimonio Mondiale tutte le valutazioni sui beni culturali proposti per l’iscrizione all’elenco del Patrimonio Mondiale, gli studi comparativi, l’assistenza tecnica e le relazioni sullo stato di conservazione dei beni iscritti. ICOMOS è uno dei partner principali della Rete Informativa per il Patrimonio Mondiale. Ne fanno parte oltre 11000 membri, provenienti da diversi paesi ed esperti di diverse discipline: architetti, storici, archeologi, storici dell’arte, geografi, antropologi, ingegneri e urbanisti. L’International Council on Monuments and Sites (noto anche con l’acronimo ICOMOS) è un’organizzazione internazionale non governativa che ha principalmente lo scopo di promuovere la teoria, la metodologia e le tecnologie applicate alla conservazione, alla protezione e alla valorizzazione dei monumenti e dei siti di interesse culturale. Tra i fondatori troviamo uno studioso napoletano, il professore Roberto Di Stefano [foto 2], padre dell’attuale presidente di ICOMOS Italia, Maurizio, professore [02] emerito dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Una lunga carriera universitaria accompagnata da una vita dedicata agli studi, entrando a far parte di quel gruppo di importanti intellettuali napoletani cresciuti alla scuola di Benedetto Croce, alimentando gli studi di estetica e di storia dell’Architettura. Nel 1965 è tra i membri fondatori dell’ICOMOS - International Council on Monuments and Sites, insieme a Pietro Gazzola, Roberto Pane, Guglielmo De Angelis D’Ossat [foto 4]. L’organizzazione fu istituita dopo il Congresso Internazionale degli Architetti tenu-

tosi a Venezia nel 1964, giusto cinquant’anni fa, in cui fu redatta la Carta Internazionale del Restauro, detta appunto Carta di Venezia. Roberto Di Stefano fu il secondo Presidente dell’ICOMOS Italiana dal 1978 al 1984, succeduto al fondatore Guglielmo De Angelis D’Ossat e fu l’unico italiano ad essere stato eletto Presidente mondiale dell’ICOMOS dal 1987 al 1990, e poi Presidente Onorario dell’ICOMOS Italiana dal 1991 e ancora Presidente per il primo biennio 1999-2002.

UN ACCADEMICO NAPOLETANO TRA I FONDATORI

Numerosi sono gli impegni scientifici internazionali che lo hanno visto professore nel 1970 in Australia per un corso di lezioni presso la facoltà di Architettura di Melbourne; nel 1983 Visiting Professor presso l’Università di Buenos Aires, corso che terrà per numerosi anni accademici; fu Professore Onorario e ricevette la laurea Honoris Causa presso l’Università di Thessalonica nel 1995. Nel 1976, insieme a Roberto Pane [foto 3], fonda la Scuola di Specializzazione di Restauro dei Monumenti, [03] di cui diverrà Direttore fino alla sua morte, avvenuta nel capoluogo campano il 14 giugno 2005. Era nato a Napoli il 20 novembre 1926. Fu chiamato come Esperto Architettonico presso l’UNESCO, dove svolse numerosi incarichi, tra i quali le missioni al Cairo per la Sinagoga di Ben Ezza, in Argentina per le missioni Gesuitiche, e in Grecia per il Restauro del Parthenone, in Brasile (1980) per il Restauro della Chiesa di San Miguel in Rio Grande. Nel 1981 gli viene conferita la medaglia d’oro per la scuola, la cultura e l’arte dal Presidente della Repubblica Italiana. [04]

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DIETRO LA SIGLA

L’INTERNATIONAL COUNCIL ON MONUMENTS AND SITES, NOTO ANCHE CON L’ACRONIMO ICOMOS, ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE NON GOVERNATIVA, SI PREPARA A FIRENZE AD UNA NUOVA RIFLESSIONE, INVESTENDO I PROFESSIONISTI SOCI AD ESSERE ARTEFICI DI UN CAMBIO DI ROTTA, IN LINEA CON I TEMPI. LA XVIII ASSEMBLEA GENERALE ICOMOS INTERNAZIONALE (10-14 NOVEMBRE), ACCENDERÀ I RIFLETTORI SU UNA SERIE DI EVENTI INTERNAZIONALI, IN OCCASIONE DEL 150 ANNIVERSARIO DI FIRENZE CAPITALE

I PRIMI PASSI IN LAGUNA La storia di ICOMOS cominciò nel 1964, in una mite primavera (dal 25 al 31 maggio) nella città lagunare, quando si riunirono gli esperti mondiali per fissare un codice di standard professionali e le linee guida che costituissero un quadro di riferimento internazionale per disciplinare le modalità con cui condurre interventi di conservazione e restauro di monumenti e manufatti architettonici, di siti storici e archeologici e che ci offre con i suoi protagonisti uno spaccato del dopoguerra entusiasmante. L’ICOMOS è stato fondato come risultato della Carta di Venezia, il documento era il frutto di una riflessione teorica profonda avviata nel secondo dopoguerra, dopo le distruzioni inferte al patrimonio culturale (artistico, architettonico, e storico) di molte nazioni d’Europa e del resto del mondo. Le ricostruzioni nell’immediato dopoguerra, poste in essere per rimarginare i danni al tessuto urbano e le ferite anche psicologiche delle popolazioni, avevano portato all’estendersi di pratiche di restauro orientate al ripristino e alla ricostruzione, in toto o in parte, delle opere perdute o danneggiate, con un’aspirazione alla fedeltà che, se non adeguatamente sostenuta da studi preparatori, conoscenze critiche, e tecniche di intervento adeguate, rischiava di ingenerare veri e propri falsi storici e artistici, o di incorrere in errori, spesso irreversibili. Esauritasi la fase immediata di ricostruzione post-bellica, gli interrogativi e le acquisizioni teoriche scaturite erano state oggetto di un momento di riflessione e discussione durante il Congresso internazionale di architetti e tecnici dei monumenti storici. Fu sulla base di questa riflessione che, in occasione del congresso, si arrivò alla realizzazione e divulgazione di un documento comune, denominato in breve “Carta di Venezia”, alla cui definizione diedero un particolare contributo teorico alcuni professionisti italiani artefici del cambiamento.

Immagini della cupola di Brunelleschi vista dall’alto - Firenze

Nel capoluogo toscano avrà luogo la diciottesima Assemblea Generale di ICOMOS Internazionale, un evento di portata mondiale. Cresce l’attesa tra gli organizzatori

LA CRONISTORIA DI UN EVENTO MONDIALE In autunno Firenze ospiterà un importante meeting a cui parteciperanno gli esperti mondiali per riflettere sulle nuove linee per la conservazione dei monumenti e dei siti storici mondiali. Il 27 novembre 2011, al termine della diciassettesima Assemblea generale di ICOMOS Internazionale che si svolse a Parigi, si decise di organizzare a Firenze la successiva assemblea. Era stato lo stesso Ministro per i Beni e le Attività Culturali Lorenzo Ornaghi ad auspicare la candidatura dell’Italia quale sede dell’evento. La proposta venne subito accettata dall’Assemblea con Risoluzione 17GA 2011/46, avviando tutta la procedura per entrare nei dettagli dell’organizzazione. La Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese del Ministero degli Affari Esteri, competente, tra l’altro, per la politica culturale in ambito multilaterale, con lettera del Ministro Giulio Terzi, ufficializzò l’impegno preso nella Capitale francese. “Il Comitato Esecutivo di ICOMOS internazionale, - precisa il professor Luigi Petti [foto 5], responsabile della segreteria di ICOMOS Italia- si riunì a fine ottobre del 2012 a Pechino, per individuare gli eventi compresi [05] nel programma , fra cui un Simposio Scientifico, un evento celebrativo del 50° anniversario della Carta di Venezia, un evento commemorativo del 20° anniversario del Documento di Nara sull’autenticità (Giappone, 1994), nel quale si tentò di fissare dei principi universali che riconducessero i valori attribuiti al patrimonio culturale al concetto di identità culturale, intesa come diversità e pluralità da proteggere in quanto risorsa insostituibile di ricchezza per tutta l’umanità”. L’ICOMOS Internazionale ha individuato anche cinque argomenti (sottosezioni) nell’ambito del Simposio Scientifico, il cui tema principale è “Heritage and landscape as uman values”. Un comitato tecnico avrà il compito di curare gli aspetti organizzativi

dell’evento, a cui partecipa anche il MIBAC, attraverso la Direzione Regionale per i Beni culturali e paesaggistici della Toscana. Tra l’altro i due Ministeri e ICOMOS Italia hanno sottoscritto un Memorandum d’intesa per promuovere a livello nazionale e internazionale tutti gli eventi che caratterizzeranno l’autunno fiorentino. Un gruppo di lavoro già costituito dovrà assicurare la migliore organizzazione della manifestazione. Sono stati coinvolti il Capo Ufficio Promozione e Cooperazione multilaterale del Ministero degli Affari Esteri e il responsabile dell’Ufficio del patrimonio Mondiale UNESCO, designato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. I referenti di ICOMOS Italia che partecipano al gruppo di lavoro sono il Presidente Maurizio Di Stefano ed il Vice Presidente Vicario, Ambasciatore Francesco Caruso. Dal canto suo, il Ministero degli Affari Esteri adotterà le opportune misure per facilitare la partecipazione dei delegati stranieri, attraverso la rete diplomatica degli Istituti di Cultura. La task force lavorerà in simbiosi con architetti associati dello studio Elt di Napoli che hanno già presentato il progetto di comunicazione e di allestimento degli spazi, altamente innovativo, denominato “verso il mondo della realtà”. Un modo nuovo per muovere quel processo di costruzione di un sistema di segni atti a definire un linguaggio in linea con le tematiche dell’evento. Le location scelte sono l’Auditorium Duomo, Palazzo Vittoria ed il Palazzo Congressi, adiacente la stazione ferroviaria di Santa Maria Maggiore. Sarà interessata anche tutta l’area di Fortezza Da Basso e tutti gli spazi di Fiera Firenze, aperti ai visitatori e alle scolaresche. Anche l’arte moderna avrà un ruolo ben preciso nella manifestazione. Sarà un “evento nell’evento“,che accoglierà i partecipanti al meeting. Il conto alla rovescia è già cominciato.

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DIETRO LA SIGLA

L’UNESCO HA RIDOTTO LE COMPONENTI DI RAPPRESENTANZA DEL NOSTRO PAESE CHE, NOTORIAMENTE, POSSIEDE IL PIÙ GRANDE PATRIMONIO CULTURALE DEL MONDO

LA GRANDE BELLEZZA L’ITALIA DEI PATRIMONIO UNESCO IL PROFESSOR MAURIZIO DI STEFANO, PRESIDENTE DI ICOMOS ITALIA: ”OCCORRE PROMUOVERE UNA GRANDE ITALIA DEI SITI UNESCO, STIMOLANDO UNA VERA COMPETIZIONE FRA CHI FA MEGLIO. L’INIZIATIVA DEVE SAPER RAPPRESENTARE IL PAESE E PROPORSI AL RESTO DEL MONDO”

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Il professor Maurizio Di Stefano, presidente di ICOMOS Italia

siste un’Italia considerata minore, a torto, anche dall’UNESCO. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione la Scienza e la Cultura ha ridotto le componenti di rappresentanza del nostro Paese che possiede il più grande patrimonio riconosciuto in tutto il mondo. L’Italia, infatti annovera ben 49 siti inseriti dall’UNESCO nella Lista del Patrimonio dell’Umanità, la World Heritage List, su un totale di 981 siti (759 beni culturali, 193 naturali e 29 misti) presenti in 160 nazioni del mondo. Il nostro Paese detiene anche il record di nuove proposte, inserite nel variegato ventaglio di autorevoli candidature pronte ad affrontare un lungo e tortuoso iter burocratico per essere catalogate nella World Heritage list come patrimonio culturale e naturale. Ne parliamo col professor Maurizio Di Stefano, presidente di ICOMOS Italia, importante organismo internazionale non governativo, uno dei principali partner che fornisce all’UNESCO

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tutte le valutazioni sui beni culturali proposti per l’iscrizione all’elenco del Patrimonio Mondiale. “La soluzione ci sarebbe - spiega Di Stefano - possiamo promuovere una “Grande Italia del patrimonio UNESCO”, stimolando una vera competizione fra chi fa meglio. L’iniziativa deve saper rappresentare il Paese e proporsi al resto del mondo”. Ed aggiunge:“Soltanto con un’azione così incisiva, alla quale possono partecipare le innumerevoli proposte di candidatura che hanno riscoperto la possibilità di utilizzare l’UNESCO per promuovere azioni di marketing territoriale, pensando che questi beni abbiano un valore universale, eccezionale dal punto di vista storico, artistico, possiamo riconquistare il ruolo che ci spetta di diritto, chiedendo alla politica di essere consapevole della priorità di questa nuova emergenza”. Il presidente Di Stefano, impegnato ad accogliere gli esperti internazionali in occasione della diciottesima conferenza Mondiale ICOMOS Internazionale, spiega ad Energeo quali possono essere i motivi per cui il nostro Paese ha sempre minor peso nei ruoli decisionali dell’Organizzazione delle Nazioni Unite ed indica le soluzioni per arrivare ad una svolta definitiva, bacchettando una classe politica troppo spesso distratta, assai poco incisiva, da sembrare impotente. “C’è da fare una riflessione sui Ministeri - dice il professor Di Stefano- dove sono proliferati troppi uffici che si occupano di UNESCO, pur mancando un sistema di gestione normalizzato. Esistono inoltre, sul territorio nazionale, tantissime realtà che si presentano come UNESCO e numerosi siti che codificano le misure speciali di tutela e fruizione, sintetizzandole con azioni celebrative che fanno soltanto da vetrina. Altre realtà ancora, pur non avendo le competenze, creano soltanto confusione nello stabilire l’iter da seguire nel portare avanti nuove candidature e nella definizione degli stessi compiti dell’UNESCO che affronta da sempre un problema di cultura di preservazione in generale”. ICOMOS Italia, ha proposto un giro di vite al fine di evitare ulteriore confusione,

aprendo una finestra di dialogo con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, per collaborare più assiduamente con il neo ministro Dario Franceschini [foto 1], il quale ha annunciato che considera prioritaria per il rilancio [01] dell’Italia la gestione del più grande patrimonio culturale, artistico, paesaggistico e turistico del mondo. E’ un fiume in piena il professor Di Stefano che boccia decisamente la proposta di catalogare come patrimonio culturale e naturale le nuove candidature in una ipotetica lista che si dovrebbe riferire ad una paventata “European Heritage List UNESCO”, la quale avrebbe dovuto risolvere l’annoso problema delle numerosissime proposte che, al momento, aspirano a diventare “patrimonio mondiale dell’umanità”, iscritte nell’apposita Lista propositiva (tentative list). “E’ un segno significativo che i temi della tutela e della valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale dell’Italia, come del Made in Italy, sono di grande attualità. Purtroppo al centro della nostra agenda troviamo la drammatizzazione degli eventi (crolli a Pompei), la denuncia (deturpazione del paesaggio, atti di vandalismo sui beni culturali) e l’esaltazione delle opportunità (turismo e cultura come leva per il rilancio economico e d’immagine del Paese)”. In tali ambiti viene puntualmente chiamato in causa proprio l’UNESCO, sia in veste di “garante” che di “marchio di qualità” di tale patrimonio. In questo contesto, il brand UNESCO diventa un originale strumento per le istituzioni e la business community, impegnate a definire programmi di promozione e valorizzazione in ambito culturale, educativo e scientifico. L’impatto del brand dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione la Scienza e la Cultura presso l’opinione pubblica italiana, ha infatti una forte capacità di veicolarne le politiche, i contenuti e l’immagine


DIETRO LA SIGLA

Alcune testimonianze del patrimonio UNESCO italiano

nel nostro Paese. Cosa si deve fare? “Occorre riflettere sul legame tra la definizione aperta di cultura per l’ampiezza delle esperienze e dei significati che racchiude ed il paradigma dei diritti umani della definizione UNESCO”. Una data lo ricorda. Era il 2005. In quell’anno venne sottoscritta sia la Convenzione dell’UNESCO sulla protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali. “La protezione e la promozione della diversità culturale presuppongono il rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali quali la libertà di espressione, d’informazione e di comunicazione nonché la possibilità degli individui di scegliere le proprie espressioni culturali”, ci ricorda la Convenzione di Faro, dal nome della località portoghese, Faro, dove il 27 ottobre 2005, venne formulata l’ultima fra le Convenzioni culturali internazionali. “Il documento fornisce tantissime risposte - spiega il professor Maurizio Di Stefano - perché muove dal concetto che la conoscenza e l’uso dell’eredità culturale rientrano fra i diritti dell’individuo a prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità e a godere delle arti sancito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (Parigi 1948) e garantito dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Parigi 1966)”. La Convenzione di Faro non si sovrappone agli strumenti internazionali esistenti ma li integra, chiamando le popolazioni a svolgere un ruolo attivo nel riconoscimento dei valori dell’eredità culturale e invitando gli Stati a promuovere un processo di valorizzazione partecipativo, fondato sulla sinergia fra pubbliche istituzioni, cittadini privati, associazioni. “Occorre sensibilizzare di più le persone - suggerisce il professor Di Stefano - perché attribuiscano valore agli aspetti specifici dell’eredità culturale che desiderano, nell’ambito di un’azione pubblica, sostenere e trasmettere alle generazioni future”. La Convenzione accorda le politiche di valorizzazione europee su uno spartito che tiene conto dei processi in atto di democratizzazione della cultura e di open government, poiché vede nella partecipazione dei cittadini e delle comunità la

SOLTANTO CON UN’AZIONE INCISIVA, ALLA QUALE POSSONO PARTECIPARE LE INNUMEREVOLI PROPOSTE DI CANDIDATURA CHE HANNO RISCOPERTO LA POSSIBILITÀ DI UTILIZZARE L’UNESCO PER PROMUOVERE AZIONI DI MARKETING TERRITORIALE, POSSIAMO RICONQUISTARE IL RUOLO CHE CI SPETTA DI DIRITTO, CHIEDENDO ALLA POLITICA DI ESSERE CONSAPEVOLE CHE LA GESTIONE DEL PIÙ GRANDE PATRIMONIO CULTURALE, ARTISTICO, PAESAGGISTICO E TURISTICO DEL MONDO È L’ELEMENTO CARDINE PER IL RILANCIO DEL PAESE

chiave per accrescere in Europa la consapevolezza del valore del patrimonio culturale e il suo contributo al benessere e alla qualità della vita. In tale ambito alcune Regioni italiane si sono mosse, facendosi parte attiva, attraverso apposite leggi regionali, per codificare le misure speciali di tutela e fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella lista del patrimonio mondiale, posti sotto la tutela dell’UNESCO. Ad alcune Direzioni Regionali (ad esempio la regione Toscana) fanno capo tutte le pratiche riguardanti gli atti dovuti all’UNESCO sia per quanto riguarda le nuove proposte di inserimento nella lista mondiale sia per gli atti di tutela e fruizione da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali relativi ai siti iscritti nell’elenco del Patrimonio Mondiale dell’Umanità. La Regione Puglia è andata oltre. Una recente legge regionale consente di intervenire a sostegno delle iniziative rivolte alla conservazione, recupero e valorizzazione dei borghi storici presenti e riconosciuti nel territorio regionale, al fine di tutelare il patrimonio storico, artistico, paesaggistico e culturale dei piccoli comuni pugliesi, nonché di promuovere l’immagine del territorio regionale nell’ambito del turismo di qualità, anche in considerazione della potenziale attrazione turistica dei centri stessi.

MAURIZIO DI STEFANO

In teatro o nel calcio si direbbe figlio d’arte. Aveva un destino segnato il giovane Maurizio di Stefano, figlio di Roberto, uno dei più insigni esponenti dell’intellighenzia internazionale, protagonista della scuola napoletana di architettura e di specializzazione in Restauro dei Monumenti della facoltà di Architettura di Napoli, dal 1976 al 2000 direttore della Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio dell’Università Federico II, fondata da Roberto Pane nel 1969, sorta come seconda istituzione di questo tipo in Italia, che ha la sede nella chiesa trecentesca di Donnaregina, uno dei più prestigiosi monumenti del centro storico di Napoli. Diretta attualmente da Aldo Aveta, la Scuola vive oggi un momento di importante rilancio, non solo per il rinnovato interesse da parte degli architetti che intendono formarsi nel campo progettuale del restauro, ma anche per il riconoscimento della sua qualità scientifica e formativa da parte di Enti ed Istituzioni pubbliche. inchiesta a cura della redazione di Energeo

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APPROFONDIMENTO

A CINQUANT’ANNI DALLA SOTTOSCRIZIONE

RIFLESSIONI SULL’IMPATTO DELLA CARTA DI VENEZIA

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na delle conseguenze della devastazione causata dalla II Guerra Mondiale fu il ripristino di un sistema internazionale di comunicazione e di collaborazione finalizzato a garantire la pace. Nel 1945, fra le varie iniziative, venne fondato l’UNESCO, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, il cui obiettivo era quello di aiutare “alla conservazione, al progresso ed alla diffusione del sapere: vigilando alla conservazione ed alla tutela del patrimonio universale rappresentato da libri, opere d’arte ed altri monumenti d’interesse storico o scientifico, e raccomandando ai popoli interessati la conclusione di convenzioni internazionali a tale fine” (UNESCO Costituzione, 16 novembre 1945). La tutela del patrimonio culturale fu un importante obiettivo per la nuova organizzazione, e questo portò alla creazione di una rete di agenzie, come l’IUCN, l’ICCROM e l’ICOMOS , che dovevano assistere l’UNESCO in questo compito1. Nel 1957, l’UNESCO sponsorizzò una conferenza internazionale che ebbe luogo a Parigi per discutere sul tema della tutela dei monumenti storici. Durante questa conferenza, per conto del governo italiano, il Prof. G. De Angelis d’Ossat, Direttore Generale del Patrimonio Culturale, promosse il Secondo Congresso Internazionale degli Architetti e Tecnici dei Monumenti Storici, che ebbe luogo a Venezia nel maggio del 1964. Questa conferenza riunì oltre 600 delegati da 60 Paesi. Un importante risultato fu la Carta Internazionale per la Tutela e il Restauro dei Monumenti e Siti, “la Carta di Venezia”, adottata dalla conferenza. Rappresentò ovviamente una risposta alle sfide del periodo post-bellico, però fu compilata da un gruppo di illustri esperti e fu basata sulle più avanzate conoscenze in tema di teoria del restauro, espresse particolarmente nella “Teoria del Restauro” di Cesare Brandi pubblicata nel 1963, appena un anno prima della Conferenza di Venezia. È ovvio che i sedici articoli della Carta di Venezia non potevano

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Il Canal Grande e la Chiesa della Salute - Venezia

contemplare tutti gli aspetti della conservazione e del restauro dei monumenti artistici e storici e dei siti. Comunque essa contiene, in forma embrionale, molti argomenti che, in tempi successivi, sarebbero emersi ed elaborati nelle convenzioni e nelle raccomandazioni internazionali dell’UNESCO e del Consiglio d’Europa, così come nelle carte internazionali adottate dall’ICOMOS, che decise, al momento della propria costituzione nel 1965, di riconoscere questa Carta come sua fondamentale linea guida etica. Successivamente, il Comitato del Patrimonio Mondiale adottò la Carta come riferimento di base per la conservazione dei beni culturali, ed essa fu anche integrata nei programmi di formazione organizzati dall’ICCROM. Nel 1970, ci fu una discussione riguardante la necessità e la fattibilità di una eventuale revisione e aggiornamento della Carta di Venezia. Nel 1978 l’Assemblea Generale dell’ICOMOS, a Mosca, decise comunque di non cambiare il testo, ma di mantenerlo come referenza storica per l’evoluzione della dottrina internazionale. Di conseguenza, anche seguendo le indicazioni della Carta, furono adottate in vari Paesi delle linee guida per la sua attuazione, come per esempio la Carta di Burra in Australia nel 1979, ed altre in USA, Canada, Brasile, Messico, Cina, Giappone. Sicuramente l’idea di continuare nello ‘spirito’ della Carta di Venezia è in linea con la dottrina internazionale dell’ICOMOS. L’importante messaggio della Carta di Venezia è nel paragrafo d’apertura2 che parla del “patrimonio comune” che deve essere salvaguardato mantenendo la sua autenticità: “Permeati da un messaggio spirituale del passato, le opere monumentali dei popoli sussistono nella vita attuale come una viva testimonianza delle loro tradizioni secolari. L’umanità, che da un giorno all’altro prende coscienza dell’unità dei valori umani, li considera come un patrimonio comune, e, di fronte alle generazioni future, si riconosce

La città di Nara, antica capitale del Giapp

solidalmente responsabile della loro salvaguardia. È il suo dovere di trasmetterli al futuro nella piena ricchezza della loro autenticità”. Se noi infatti consideriamo le testimonianze delle antiche tradizioni come nostro comune patrimonio, dobbiamo anche ricordare che la fondamentale qualità della credibilità delle risorse ereditate è nella loro diversità creativa. Conseguentemente, nel 1994, una conferenza di esperti ebbe luogo a Nara, in Giappone, per discutere il significato della salvaguardia del patrimonio a distanza di 30 anni dalla Conferenza di Venezia. Nel Documento di Nara sull’Autenticità, che enfatizzò l’importanza del patrimonio e delle diversità culturali, venne anche posto l’accento sull’ importanza del patrimonio culturale immateriale. Queste questioni furono ulteriormente sviluppate nelle iniziative dell’UNESCO, incluse la convenzione del 2003 relativa al tema del patrimonio intangibile e quella del 2005 sulla diversità delle espressioni culturali. Possiamo ricordare che uno


LA CARTA DI VENEZIA CONTIENE, IN FORMA EMBRIONALE, MOLTI ARGOMENTI CHE, IN TEMPI SUCCESSIVI, SAREBBERO EMERSI ED ELABORATI NELLE CONVENZIONI E NELLE RACCOMANDAZIONI INTERNAZIONALI DELL’UNESCO E DEL CONSIGLIO D’EUROPA, COSÌ COME NELLE CARTE INTERNAZIONALI ADOTTATE DALL’ICOMOS, CHE DECISE, AL MOMENTO DELLA PROPRIA COSTITUZIONE NEL 1965, DI RICONOSCERE QUESTA CARTA COME FONDAMENTALE LINEA GUIDA ETICA PROF. JUKKA JOKILEHTO [foto 1]

[01]

pone dal 740 al 794, dichiarata nel 1998 patrimonio dell’umanità dall’UNESCO

dei relatori del Documento di Nara fu il Prof. Raymond Lemaire, già relatore della Carta di Venezia. Pertanto risulta evidente che lo spirito della Carta di Venezia continua a vivere, con l’accuratezza che i suoi messaggi siano compresi ed interpretati correttamente tenendo conto della specificità e diversità del patrimonio in ciascun contesto. 1.

2.

IUCN, Unione Internazionale per la tutela della Natura (1948); ICCROM, Centro Internazionale per lo Studio della Conservazione e del Restauro dei Beni Culturali (1956); ICOMOS, Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti (1965) Questo paragrafo è parte della prefazione, scritta originariamente in lingua francese dal Prof. Paul Philippot, al tempo Vice Direttore dell’ ICCROM

Prof. Jukka Jokilehto Special Advisor to the Director General ICCROM

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GIACIMENTI DI ECCELLENZA

UN TERRITORIO CHE ESPLORA E RILANCIA LA SUA STORIA ANTICA

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Vendemmia nell’Alta Marca Trevigiana

i avvicina il centenario dallo scoppio della prima guerra mondiale (1914-1918), un evento che ha segnato indelebilmente anche il destino del territorio dell’Alta Marca Trevigiana, il territorio che è stato teatro di tante battaglie e che portò l’Italia vittoriosa alla fine del conflitto. A Vittorio Veneto si svolse lo scontro conclusivo del primo conflitto mondiale. La “Città della Vittoria”, una delle località della Marca, che lega intimamente il proprio nome all’ultima battaglia del conflitto, a cui è dedicato il Museo di Ceneda, accolse con sollievo la notizia che la guerra era finita, terminata con l’entrata delle truppe in città ed il memorabile discorso del generale Armando Diaz, comandante supremo dell’Esercito Italiano che annunciò la vittoria dell’Italia. Cent’anni dopo nella comunità, costituita da quindici caratteristici comuni situati su ripide pendici collinari ricoperte da splendide vigne, che da un lato si affacciano sulla pianura trevigiana e dall’altro risultano adagiati verso le Prealpi Bellunesi, dove è molto forte e diffuso il radicamento della memoria di quegli eventi drammatici che hanno cambiato la storia d’Europa, si è preso coscienza del valore del paesaggio. Non solo il paesaggio agrario, ma il paesaggio nel suo insieme, di geomorfologia, storia, produzione habitat e comunità. Sono stati avviati, in contemporanea, due ambiziosi progetti: l’Osservatorio sperimentale per il Paesaggio delle Colline dell’Alta Marca e la candidatura UNESCO per il riconoscimento come patrimonio universale delle Colline di Conegliano e Valdobbiadone, secondo un programma appena avviato che terrà conto della nuova visione UNESCO per il paesaggio. L’idea è una candidatura innovativa che presenta il paesaggio del prosecco superiore (il vino più conosciuto) in modo nuovo e come esperienza di successo per la gestione dei paesaggi e degli ecosistemi. 18 X

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L’OSSERVATORIO SPERIMENTALE PER IL PAESAGGIO DELLE COLLINE DELL’ALTA MARCA TREVIGIANA, COSTITUITO UN ANNO FA, RACCONTA UN TERRITORIO ATTRAVERSO I SUOI VINI E LA STORIA DI UOMINI, VITICOLTORI CHE SI METTONO ALLA PROVA CONTINUAMENTE, SAPENDO DI ESSERE PARTE DI UNA COMUNITÀ DALLA FORTE IDENTITÀ, PIENA DI VALORI, TRA CUI IL LAVORO, CHE OGGI FORNISCE PRODUZIONE E BENESSERE. E’ UN TERRITORIO CHE, MENTRE CUSTODISCE NELLE VECCHIE CASCINE LA MEMORIA ORALE SEDIMENTATA NEI RICORDI DEGLI ANZIANI, RIESCE AD EMOZIONARE PERCHÉ SA DI AVERE UN FORTE VALORE CULTURALE

QUINDICI COMUNI, DOVE È MOLTO FORTE E DIFFUSO IL RADICAMENTO DELLA MEMORIA DEGLI EVENTI DRAMMATICI DEL CONFLITTO MONDIALE CHE PROVOCÒ LA DEVASTAZIONE E L’ABBANDONO DELLA MAGGIOR PARTE DEI VIGNETI ADAGIATI SULLE COLLINE AL COSPETTO DELLE PREALPI BELLUNESI. GRAZIE ALLA TENACIA DELLE GENTI LOCALI, QUESTO TERRITORIO È RISORTO, AFFERMANDOSI NELLA COLTURA DELLA VITE E NELLA PRODUZIONE DEL VALDOBBIADENE PROSECCO SUPERIORE DOCG. NEL TOTALE RINNOVAMENTO GLI AGRICOLTORI DELLE COLLINE DELL’ALTA MARCA TREVIGIANA AVVIARONO UNA PROFONDA TRASFORMAZIONE DELLA VITI-VINICOLTURA LOCALE, RICONOSCENDOSI IN UN TERROIR DI SUCCESSO CHE È RIUSCITO A FAR CONCORRENZA AI VINI FRANCESI. OGGI QUESTO TERRITORIO SCOMMETTE SUL FUTURO E MIRA AD ENTRARE NELL’ÉLITE DEI PAESAGGI VITIVINICOLI RICONOSCIUTI PATRIMONIO UNESCO

IL PAESAGGIO, NEL RICORDO DELLA GRANDE GUERRA Energeo, in questo numero, nell’ambito del progetto avviato un anno fa “Alla ricerca del Paesaggio perduto”, in collaborazione con l’ITKI UNESCO, analizza come funziona il progetto innovativo dell’Osservatorio istituito dalla Giunta Regionale del Veneto aderente alla Rete Regionale, alla quale l’Osservatorio per il paesaggio delle Colline dell’Alta Marca ha aderito poco meno di un anno fa. Il protocollo d’intesa è stato sottoscritto nelle ex Scuderie della prestigiosa e splendida Villa Brandolini, dove sono dislocati gli uffici del GAL “Alta Marca Trevigiana”, tra Direzione Urbanistica e Paesaggio della Regione con i Comuni di Pieve di Soligo (capofila IPA Intesa Programmatica d’Area), Cison di Valmarino, Colle Umberto, Conegliano, Farra di Soligo, Follina, Miane, Refrontolo, San Pietro di Feletto, San Vendemiano, Susegana, Tarzo, Valdobbiadene, Vidor e Vittorio Veneto ed il GAL “Alta Marca Trevigiana”. “Il progetto è ambizioso,spiega il presidente Fabio Sforza, nonché sindaco di Pieve di Soligo - con una massiccia e qualificata partecipazione degli enti promotori, degli enti locali, dei portatori di interesse dell’area dell’Osservatorio

e del mondo della comunità scientifica e professionale”. Il programma prevede attività comunicative con l’organizzazione di Convegni, forum, rassegne culturali dedicate al paesaggio - come l’iniziativa PaesAgire che ha proposto una riflessione ad ampio raggio sui temi del paesaggio e delle sue interazioni con l’agire umano, con la comunità e la società in genere - e gli incontri dedicati al tema “Paesaggi sostenibili, paesaggi insostenibili”, che puntano l’attenzione sull’ambiente fluviale e sui valori del paesaggio acquatico, ed altro ancora, come gli incontri con le scuole del territorio e il recupero e rilancio funzionale di aree dismesse. Un caleidoscopio di iniziative a misura di grandi e piccoli per riscoprire l’atmosfera di un paesaggio unico, che ha saputo, attraverso le varie epoche e con differenti modalità, realizzare le tecniche, le economie e la capacità di gestione appropriata per la sua salvaguardia e perpetuazione.


E’ stato anche avviato un ciclo di iniziative realizzate in collaborazione con le Pro Loco e con gli organizzatori del circuito “Primavera del Prosecco Superiore” che realizza percorsi a piedi andando alla scoperta del territorio. La caratteristica di queste passeggiate è quella di essere nate dalla conoscenza dei luoghi della gente del posto, quindi gli itinerari proposti, oltre ad essere accessibili e percorribili in breve tempo, offrono uno sguardo insolito sul territorio, valorizzandone gli scorci più suggestivi e sconosciuti ai più. All’interno del circuito sono previste numerose altre iniziative collaterali, dedicate a diversi aspetti che spaziano dalla valorizzazione del territorio, allo sport, all’enogastronomia, al turismo e ospitalità. Vino in Villa, è un’altra iniziativa encomiabile che si tiene il terzo week end di maggio nel cuore dell’area di produzione presso lo splendido Castello di S. Salvatore di Susegana, risalente al XII secolo. Un territorio che si racconta attraverso i suoi vini, attraverso la storia di uomini, viticoltori che si mettono alla prova continuamente, sapendo di vivere in una comunità dalla forte identità, piena di valori, tra cui il lavoro, che oggi fornisce produzione e benessere. Ogni bicchiere è una storia a sé. Ed è bellissimo mettere il naso in un territorio e parlare di una terra antica soprattutto di fronte a bottiglie che parlano di qualità e cura. E’ un territorio che mentre custodisce nelle vecchie cascine la memoria orale sedimentata nei ricordi degli anziani, riesce ad emozionare perché sa di avere un forte valore culturale. Quello che emerge dalle proposte fin qui elaborate dall’Osservatorio dimostra come le nozioni di territorio e di memoria siano ancorate ad un vissuto culturale di appartenenza, svelando nuove reti di significato e nuovi scenari a cui attingere per la costruzione del futuro.

IL FASCINO DEL TERROIR Il termine “terroir” viene dalla lingua francese e significa suolo, ma il significato che gli si attribuisce, quando lo si associa al vino ed ai vitigni, va molto al di là del termine letterario poiché contiene fattori “estetici, artistici, metafisici”. Cosi si esprime Jamie Goode, un guru della comunicazione, per definire i territori e i paesaggi del vino. Sull’espressione “terroir” vi è un dibattito appassionato tra i sostenitori dell’indipendenza del vino dal territorio e quelli che, invece, del territorio fanno una religione. Alle pendici delle Prealpi Bellunesi, dove le colline dell’Alta Marca Trevigiana uniscono i luoghi dell’arte a quelli della cultura enologica e del buon vivere, la storia di un vino, soprattutto se di origine antica, è intimamente legata non solo alla terra che lo produce, ma anche alle vicende che nel corso del tempo hanno segnato la vita delle generazioni che si sono succedute nel territorio di produzione. Il Valdobbiadene Prosecco Superiore, nell’area collinare compresa tra Valdobbiadene e Conegliano, ha influito notevolmente sugli usi, i costumi, le tradizioni e l’economia delle comunità locali nell’arco di oltre dieci secoli. Si tratta del

vitigno Glera di antichissima origine, addirittura precedente alla colonizzazione dei romani (avvenuta nel II secolo avanti Cristo). Virgilio a queste terre dedicò versi delicati ed intensi : “Le viti flessibili tessono ombre leggere…”. Si conosce assai poco delle varietà presenti su queste colline. In epoca romana, tuttavia, ci sono notizie che riguardano proprio questo vino. Secondo alcuni ricercatori dovrebbe trattarsi dello stesso vitigno che ha dato origine al tanto decantato vino Pucino, al quale l’imperatrice Livia, moglie di Augusto avrebbe attribuito la sua longevità. Essa ha scritto: “Nessun altro vino è più indicato per uso medicinale”. Plinio il Vecchio, facendo una rassegna dei principali vini conosciuti nella Roma dei Cesari, descriveva il Pucino come uno dei grandi vini che imbandivano le tavole dei dignitari romani e che aveva il dono di allungare la vita dei suoi consumatori. Nell’età tardo-romana abbiamo testimonianza da parte del Valdobbiadenese S. Venanzio Fortunato vescovo di Poitiers (535-603), che dice: “Terra duplavensis, dove eternamente fiorisce la vite, sotto la montagna dalla nuda sommità”. Sempre nello stesso periodo il territorio viene così descritto: “Nascono in questi colli ottimi frutti, olio perfetto, vini preziosi che sono degni dei maggiori principi di Germania”. Il periodo di massimo splendore viti-vinicolo del territorio di Conegliano e Valdobbiadene, è quello che comprende i secoli XV, XVI e la prima metà del XVII. Da molti documenti risulta chiaro quanto fosse importante ed apprezzata la produzione enologica dei colli dell’Alta Marca, e come essa alimentasse un sicuro e redditizio commercio ed esportazione soprattutto verso i paesi tedeschi e verso Venezia. Esiste un forte legame tra queste colline e le opere di artisti di indiscutibile valore, quali Bellini e Cima da Conegliano ed i principali maestri del Rinascimento italiano. I primi decenni del XVIII secolo segnarono un periodo di decadenza agraria ed enologica culminante nell’ eccezionale gelata del 1709, che causò la morte della maggior parte dei vigneti. In seguito a tale moria gli agricoltori si orientarono verso vitigni più rustici e di minor prestigio. Secondo documenti dell’epoca, la scarsa qualità dei vini di questo periodo dipende anche dall’imperizia degli agricoltori che iniziarono ad avere poca cura per i vigneti, e a vendemmiare prima della completa maturazione dell’uva. A questo periodo di decadenza ne è seguito uno di ripresa che si è protratto fino quasi alla fine del XVIII secolo. Una ripresa che non fece adagiare le popolazioni locali che continuarono nel rilancio della viticoltura e dell’enologia. Già subito dopo il congresso di Vienna il governo austriaco del Lombardo - Veneto incaricò di redigere un catalogo delle varietà di uva presenti, per pianificarne la coltivazione. Questa fu l’osservazione: “Nelle colline di Conegliano e Valdobbiadene vengono coltivate le uve Perera, Peverella, Pignoletta, Verdisa, Merzemina nera, Prosecca e Bianchetta, da cui si ottengono vini molto richiesti dai mercati di Carinzia e Germania. Nel distretto di Valdobbiadene le uve bianche hanno la preferenza e forniscono squisitissimi vini”.

LA RINASCITA DOPO LA DEVASTAZIONE DELLA GRANDE GUERRA Negli anni successivi fecero la loro comparsa la peronospora e la filossera, che distrussero la maggior parte dei vigneti, a questa calamità fece seguito la Prima Guerra Mondiale, che si tradusse in devastazione ed abbandono. Nel periodo post-bellico e post-filosserico, solo la tenacia delle genti locali consentì la ripresa della coltura della vite. Nel totale rinnovamento si avviò una profonda trasformazione della coltura vitivinicoltura locale, che assunse i connotati che oggi conosciamo. Si avviò l’epoca della specializzazione e della selezione con la dominante presenza di uve prosecco: Prosecco Bianco o Prosecco Balbi, Prosecco Tondo o Prosecco Gentile, o Prosecco Minuto, Prosecco Lungo. Il Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg è da molto tempo coltivato nella fascia collinare della marca trevigiana, e più precisamente sulle colline che si estendono tra Valdobbiadene e Conegliano. Il resto è storia recente. Nel 1962 un gruppo di 11 produttori, in rappresentanza delle principali cooperative di viticoltori e delle grandi case spumantistiche, costituirono il Consorzio di Tutela del Prosecco di Conegliano Valdobbiadene, proponendo un disciplinare di produzione per proteggere la qualità e l’immagine del proprio vino. Sette anni più tardi, il 2 aprile del 1969, il loro sforzo fu premiato con il riconoscimento, da parte del Ministero dell’Agricoltura, di Conegliano e Valdobbiadene come unica zona DOC di produzione del Prosecco e del Superiore di Cartizze. Oggi il Consorzio di Tutela che fu tra i primi a credere in una candidatura per il riconoscimento UNESCO, riunisce la quasi totalità dei produttori del territorio e il suo lavoro di tutela è divenuto sempre più importante, determinante per l’ottenimento della Docg Conegliano Valdobbiadene, avvenuta nell’agosto 2010. Un progetto per il territorio diventato un successo senza confini che continuerà nel tempo e porterà questo territorio nell’élite dei paesaggi vitivinicoli (al momento sono sette) riconosciuti Patrimonio UNESCO. Pierpaolo Bo ha collaborato Silvia Baratta

Gli abitanti della Marca hanno vissuto il dramma della Grande Guerra

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GIACIMENTI DI ECCELLENZA

UN OSSERVATORIO CHE SA OSSERVARE


INIZIATIVE

L’INIZIATIVA È STATA AVVIATA DALL’OSSERVATORIO DELL’AMBIENTE CULTURALE E SOLIDALE DEL FIUME PO, UNA STRUTTURA CHE VUOLE FAR CONOSCERE GLI ASPETTI INCONSUETI DEL BACINO DEL FIUME PIÙ LUNGO D’ITALIA

UN PO PER IL PROGETTO DI UN “FUORI SALONE” LUNGO IL TRAGITTO DEL GRANDE FIUME NON È LEGATO SOLTANTO ALLA RASSEGNA PLANETARIA CHE SI SVOLGERÀ A MILANO NEL 2015, MA VUOLE RAPPRESENTARE UNA VETRINA PERMANENTE PER FAR TOCCARE CON MANO NON SOLO LE ECCELLENZE ENOGASTRONOMICHE E LE OPPORTUNITÀ DI FRUIZIONE TURISTICA CON LA NAVIGAZIONE DEL FIUME, MA SOPRATTUTTO FAR ASSAPORARE LA BIODIVERSITÀ DI UN PATRIMONIO INTANGIBILE, UNA PROPRIETÀ INTELLETTUALE CONDIVISA

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truschi, Greci, Liguri, Latini denominarono il fiume Po secondo la loro cultura, espressione di un rapporto di vita storico. Bodicus, Bodencus, Eridano, Padus sono i simboli di mitologia, orografia, geologia e status ambientale. In 652 km, il Po scende dalla sorgente a 2022 metri di altitudine a Pian del Re fino al livello del mare Adriatico, per oltre 500 km il corso è delineato da argini, semplici e doppi, percorribili oggi, con 141 affluenti che portano acque limpide dai ghiacciai delle Alpi e dagli Appennini, un Delta di 380 kmq per l’incontro fra acque dolci e salate. Il bacino del fiume Po, oggi, rappresenta, uno per l’altro comparto, oltre il 43% del Pil nazionale, vissuto da 16 milioni di abitanti. Oggi, alla vigilia della rassegna planetaria milanese, nasce il progetto-programma: “UnPOxExPO2015®©”, che vuole cogliere l’occasione dell’Esposizione Universale con milioni di cittadini del Mondo che si riverseranno per 6 mesi alle porte del lungo tragitto del Grande Fiume. “UnPOxExPO – spiega Giampietro Comolli [foto 1], ideatore di questo progetto, parte integrante dell’Osservatorio dell’ambiente culturale e solidale del fiume Po - si presenta come il “fuorisalone” unitario dedicato a Expo Milano. Entro 50-150 km dalla sede di Expo, il Po è il palcoscenico, la vetrina, il teatro per far toccare con mano non solo le eccellenze e le eccezionalità enogastronomiche e le opportunità di fruizione turistica con la navigazione del fiume, ma soprattutto far assaporare la biodiversità di un patrimonio intangibile, una proprietà intellettuale condivisa”.

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La sorgente del Po a Pian del Re, alle pendici del Monviso, riconosciuto dall’UNESCO Riserva della Biosfera

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Esempio reale di come una zona acquitrinosa e paludosa possa diventare motore di sviluppo e di crescita di un popolo e come anche certe dimenticanze, certe forme di abbandono, possano creare grossi problemi nel tempo. Il primo principio dell’ alimentazione e nutrizione (per rispettare il tema di Expo Milano 2015) lungo il Grande Fiume è dato dalla conservazione e conservabilità del cibo e delle bevande. “Expo 2015 diventa quindi- sottolinea Comolli - il punto di verifica e di partenza, l’attrazione alimentare e nutrizionale può essere una attrazione turistica e il Po esprime i “ritmi ” moderni e multimediali del movimento lento, degli sport en plein air, della conoscenza, del valore aggiunto di un vino Doc, di un alimento Dop, la prelibatezza di un piatto De.Co. Expo è anche l’occasione per dimostrare al mondo “dove” si producono realmente i cibi e vini made in Italy per contrastare frodi alimentari, pirateria, clonazione di marchi, false originalità”. L’insieme di tutte le “S” della salute umana e ambientale (sostenibilità, sussidiarietà, socialità, solidarietà, sicurezza, salubrità ) rappresenta il carburante del progetto UnPOxExPO. “E ci sono tutte le “B” che identificano la vita e il patrimonio lungo il Grande Fiume: benvenuto, benessere, buongusto, buonsenso, buonvivere” - suggeriscono gli organizzatori, quasi a voler dare un valore aggiunto al progetto, prima del lancio definitivo dell’iniziativa, previsto nei prossimi mesi. Intanto si stringono i contatti con l’organizzazione della rassegna milanese e si organizzano seminari propedeutici in tutti i Comuni del territorio. Dal Piemonte alle foci del fiume, ovunque c’è la volontà di creare punti di aggregazione, di vendita e somministrazione dei prodotti locali, nel contesto del progetto “Un Po per Expo”. Si tratta di un’ iniziativa di coordinamento di territori lungo l’intero asse del fiume Po.

IL RICORDO DI GIANNI BRERA

SAPORI E VICENDE DEL GRANDE FIUME

Quali sono gli altri aspetti? Vengono in mente i racconti di Gianni Brera [foto 2], nato a San Zenone, in provincia di Pavia. Diceva: “Io sono padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni. E mi sono scoperto figlio legittimo del Po”. Un fiume che ha avuto tanti figli legittimi, autentici testimoni di cambiamenti, scambi, interventi umani, stravolgimenti della natura, eccessi e calma, confine invalicabile e punto di osservazione comune, fonte di ogni vita umana, animale e vegetale. Un fiume qualche volta dimenticato. Oggi il Po è un padre non amato, un fiume che va in malora perché nessuno lo sente suo, lo assiste. Taglia quattro regioni e tredici province, eppure rispetto a qualche anno fa, sta molto peggio e, insomma, a curarlo ci sarebbe soddisfazione. Il progetto “Un Po x Expo 2015” potrebbe essere una delle ricette per tutelare il corso d’acqua più lungo d’Italia. I risultati si potranno vedere subito. I fiumi rappresentano un giacimento di storie antiche, paesaggi che hanno subito trasformazioni non volute e persone che hanno fatto la storia dei corsi d’acqua più o meno lunghi.

Storie di paure e di abbandoni sono quelle del Po, compagno di lunghi viaggi, luogo di pace e di meditazione fra mura di pensiero e di ricerca metafisica, musa per artisti antichi e moderni, quotidianità di rapporti fra popolazioni differenti nei secoli, distruzioni e costruzioni, guerre e pacificazioni. Se si pensa alla salatura delle carni, alla raccolta del miele, alla seccatura del pesce e delle carni, alla pressatura delle verdure, al rito della stagionalità di legumi e ortaggi, alla trasformazione del latte in formaggi a crosta spessa e pasta dura, alla rifermentazione dei cereali per la birra e del mosto per il vino, all’uso dell’alcol estratto dai vegetali, alle farine secche e alle paste ripiene, alla mortadella, all’aceto balsamico, alle conserve di pomodoro, alla frutta sotto spirito, alle marmellate, alle torte secche e alla cottura del pane…(solo per citarne alcuni da Monviso alla foce), “appare evidente - dicono gli organizzatori- che l’ ”homus padanus” in qualunque millennio o secolo ha sempre visto la propria vita - e sopravvivenza - legata alla conservazione del cibo e delle bevande, all’uso quasi sacro del terreno, al rispetto dei tempi e della stagionalità produttiva ricavando da ogni “ bene naturale” il necessario e non il superfluo”. Questo è un elemento “caratteriale” che unisce le diverse popolazioni, all’origine pellegrini e nomadi, poi viventi nell’infernot come cavaturini o sulle palafitte sulle rive del fiume, parsimoniosi e portati a riusare attrezzi, risparmiosi, facili allo scambio per conoscere, abituati al sacrificio e alla prova di vita. In questo una forte impronta, dal VI sec. d.C. fino al primo Rinascimento, fu dato dai grandi monasteri e corti monastiche, da abbazie conventuali e da benefici parrocchiali interessati a dissodare, irrigare, coltivare, allevare e pregare. Un numero enorme di abitudini alimentari hanno queste fonti chiuse nei chiostri, refettori, dispense, sacrestie, credenze e nei broli. San Colombano, San Sisto, San Gregorio, San Nicola, Santo Stefano o l’Abbazia di Lucedio e tanti altri frati e monaci minori e sconosciuti hanno percorso e attraversato il Po in più punti, hanno contribuito alla nascita del patrimonio “culturale” dell’ambiente fluviale. Queste manifestazioni, etiche e morali, religiose e pagane, attive e passive sono il DNA del Po. Un fiume che si farà conoscere anche attraverso i sapori. Ni.Co.

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INIZIATIVE

LA RISCOPERTA DI UN TERRITORIO


INIZIATIVE

IL PO È ESPRESSIONE DI BIODIVERSITÀ E BIOSOSTENIBILITÀ: IN UN TRAGITTO DI 600 KM SI SUSSEGUONO TUTTI I SENSI GUSTATIVI PRIMORDIALI E TUTTI I SENTORI OLFATTIVI, DAL DOLCE AL SALATO, DALL’ACIDO ALL’AMARO

IL GRANDE FIUME IN CIFRE Piccole barche e grandi battelli in navigazione sul fiume Po

IL PO SI PRESENTA COMPOSTO DA 8-9 DISTRETTI O COMPONENTI, DOVE SONO PRESENTI 148 COMUNI RIVIERASCHI PER CIRCA 25.000 ETTARI IDENTIFICATI ATTRAVERSO UN BINARIO EQUIDISTANTE DALL’ALVEO CHE RISPETTI DIVERSI E COMPLESSI PARAMETRI, ED ALTRI 350 COMUNI (PARTE DEL TERRITORIO COMUNALE) DI CIRCA 70.000 ETTARI DI PROTEZIONE DELL’AREA PRINCIPALE E DI “RISPETTO E ACCOMPAGNAMENTO” DEL PARTICOLARE PAESAGGIO OROGRAFICO DI PIANURA FLUVIALE

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Osservatorio dell’ambiente culturale e solidale del fiume Po, che ha sede a Piacenza (località equidistante dalla sorgente al delta che rappresenta punto di passaggio fra una fruizione di riviera e argine e una di navigazione), punta a creare un progetto innovativo con l’obiettivo di realizzare un fitto programma mirato alla conservazione e tutela attiva di un patrimonio naturale plasmato dall’uomo per migliorare e correggere un territorio d’area vasta (come indicato dalla Ue Commission), vetrina di un turismo sostenibile in ambiente fluviale specializzato nelle eccellenze alimentari ed enogastronomiche certificate. Il Grande Fiume si presenta composto da 8-9 distretti o componenti, dove sono presenti 148 comuni rivieraschi per circa 25.000 ettari identificati attraverso un binario equidistante dall’alveo che rispetti diversi e complessi parametri, ed altri 350 comuni (parte del territorio comunale) di circa 70.000 ettari di protezione dell’area principale e di “rispetto e accompagnamento” del particolare paesaggio orografico di pianura fluviale. L’area vasta, inoltre, si caratterizza per 100 oasi-parchi, 100 golene e langhe

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fluviali, 100 attracchi e approdi privati e pubblici con pontili mobili adattabili ai flussi d’acqua, 100 prodotti alimentari cibo-vino tracciabili e tutelati da norme internazionali, 100 piatti-ricette che sono l’evoluzione del cibo crudo naturale, che cotto e cucinato, diventa cultura, 100 castelli e ville che raccontano storie di Signorie e Ducati, la Repubblica di Venezia e l’architettura d’acqua, 100 personaggi artisti, politici, attori, scrittori che sono nati e hanno vissuto il fiume, 100 musei di storia rurale agraria e ambientale che provano il lavoro di bonifica e coltivazione dell’uomo, 100 abbazie, corti monastiche e conventi dove è nata la storia agroalimentare e nutrizionale lungo il fiume.

UN INESTIMABILE PATRIMONIO DI BIODIVERSITÀ Il Po è espressione di biodiversità e biosostenibilità: in un tragitto di 600 km si susseguono tutti i sensi gustativi primordiali e tutti i sentori olfattivi, dal dolce al salato, dall’acido all’amaro. E’ in un contesto così complesso, imperniato sulla creatività dell’uomo antico e moderno, che si sposano l’allevamento e l’utilizzo del maiale come la coltivazione di orti speciali, la produzione del Grana Padano e dell’Aceto Balsamico, la semina del riso e dei cereali, la raccolta di castagne e di frutti del sottobosco, la mostarda e il torrone, il panettone e gli spumanti, le creme di cioccolato e il prosciutto, lo storione e l’anguilla. L’uniformità del paesaggio culturale, seppur articolato e frammentato, si concentra nella struttura e orizzonte geopedologico e sulla presenza di essenze botaniche di alto fusto e perenni come il salice e il pioppo, due piante identificative, quasi testimonial unici del marketing territoriale. Il suo valore è universale, l’intangibilità del patrimonio è data dall’ area vasta o macro regione e dall’ unicità del sito-pilota, della biodi-

versità distrettuale e della contiguità dei componenti, proprio perché il fiume è stato una barriera naturale per millenni, ha separato ma unito, è luogo statico e fonte dinamica, ha forza positiva e potenza devastante, ma è un “unicum” grazie alla sua storia unica evoluta in 10 milioni di anni. L’Osservatorio dell’ambiente culturale e solidale del fiume Po indirizza alla ricerca di conservazione di un bene naturale, alla cura dinamica del bene stesso e di tutte le componenti, all’ eliminazione degli sprechi alimentari, allo stop all’uso improprio del terreno agrario.

Ni.Co.


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IL PAESAGGIO DEI TERRITORI MUTEVOLI

LO SVILUPPO DELLA RETE IRRIGUA DEL VERCELLESE, NOVARESE E DELLA LOMELLINA. L’OPERA IDRAULICA, PER IL SUO VALORE INGEGNERISTICO, DIVENNE META DI STUDIOSI DA TUTTO IL MONDO: INDIA, EGITTO, GRAN BRETAGNA, FRANCIA, STATI UNITI, AUSTRALIA LA MAGNIFICA OPERA DI INGEGNERIA IDRAULICA HA TRASFORMATO IL TERRITORIO RURALE NEL TRIANGOLO D’ORO DELLA RISICOLTURA EUROPEA: L’USO PLURIMO DELLE ACQUE: IRRIGAZIONE, ENERGIA IDROELETTRICA,SALVAGUARDIA IDROGEOLOGICA E TURISMO. L’IDEA DI REALIZZARE QUESTO CANALE È DI FRANCESCO ROSSI, UN AGRIMENSORE, CHE MISURÒ IL TERRITORIO SERVENDOSI DI UNA SEMPLICE LIVELLA AD ACQUA DIMOSTRANDO CHE IL DISLIVELLO NATURALE FRA IL PO E IL TICINO AVREBBE CONSENTITO DI FAR CONFLUIRE LE ACQUE OLTRE IL SESIA E POI, ATTRAVERSO I CAVI DIRAMATORI, IN LOMELLINA. PERÒ NON FU LUI L’AUTORE DEL CANALE, ANZI, NONOSTANTE I SUOI MERITI RICEVETTE POCHISSIMI RICONOSCIMENTI. CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR FECE INFATTI AFFIDARE IL PROGETTO ALL’INGEGNER CARLO NOÈ: I LAVORI S’INIZIARONO NEL 1863 E IL 12 APRILE 1866 L’OPERA FU INAUGURATA, ENTRANDO A PIENO REGIME QUALCHE ANNO DOPO

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ggi è considerato il “triangolo d’oro del riso” d’ Europa e in Italia vanta un primato d’eccellenza: più della metà della produzione proviene dalle risaie del Piemonte e dalla Lomellina. E’ il brillante risultato di una radicale trasformazione del territorio che va attribuita principalmente al sistema irriguo organizzato dopo la costruzione del Canale Cavour che, proprio 150 anni fa veniva scavato, “di braccia e di badile”, da 14 mila manovali, in collaborazione con ingegneri, artigiani e tecnici: impiegarono soltanto tre anni per tracciare la ferita sulla pianura lunga circa 90 chilometri, dal Po di Chivasso al Ticino in prossimità di Galliate. E non si trattava soltanto di portar via la terra per far spazio all’acqua, ma anche di costruire manufatti in mattoni e granito che tuttora sostengono fieramente la spinta del tempo e delle piene, come gli edifici di presa e di scarico delle acque, o le opere utili per superare i dislivelli del territorio deviando temporaneamente il corso dei fiumi: ponti canale per scavalcare la Dora, il Cervo, il Rovasenda e il Marchiazza e tombe sifone, le gallerie subacquee costruite sotto il letto dei fiumi e dei torrenti Sesia, Elvo Agogna e Terdoppio. L’idea di realizzare questo canale è di Francesco Rossi, un agrimensore, che misurò il territorio servendosi di una semplice livella ad acqua dimostrando che il dislivello naturale fra il Po e il Ticino avrebbe con-

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CANALE CAVOUR, 150 ANNI DI BENESSERE San Pietro Mosezzo.In primo piano il sistema di manovra che apre e chiude le paratoie e consente all’acqua di fluire nei campi

sentito di far confluire le acque oltre il Sesia e poi, attraverso i cavi diramatori, in Lomellina. Però non fu lui l’autore del Canale, anzi, nonostante i suoi meriti ricevette pochissimi riconoscimenti. Il Primo Ministro Camillo Benso Conte di Cavour fece infatti affidare il progetto all’ingegner Carlo Noè: i lavori s’iniziarono nel 1863 e il 12 aprile 1866 l’opera fu inaugurata, entrando a pieno regime qualche anno dopo. L’opera idraulica, per il suo valore ingegneristico, divenne meta di studiosi da tutto il mondo: India, Egitto, Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti, Australia.

DALLA POVERTÀ ALL’AGIATEZZA Il risultato fu immediato per le popolazioni devastate dalle guerre del 1849 e del 1859. Fu determinante soprattutto per i coltivatori del Novarese e della Lomellina, dove la carenza d’acqua impediva lo sviluppo dell’agricoltura. Il passaggio da metodi colturali estensivi a quelli intensivi aumentò la produttività: prima del Canale la produzione di riso nel suo comprensorio raggiungeva i tre milioni di quintali, pochi anni dopo arrivò a 4,5 milioni di quintali con una resa unitaria per ettaro da 18-22 quintali a 25-30. Queste cifre segnano i primi passi verso la rivoluzione agraria del Novecento con le innovazioni finalizzate a ricavare la massima resa dei campi. Selezione delle sementi, fertilizzanti, agrofarmaci e macchine agricole hanno ridotto all’essenziale il lavoro manuale. La fatica delle mondine, le lavoratrici stagionali addette al trapianto e al diserbo, è diventato un capitolo importante della storia del lavoro e dell’emancipazione femminile. Il sapiente governo delle acque e la tecnologia hanno trasformato l’assetto sociale del territorio: dalla povertà all’alba dell’Unità d’Italia al benessere dei nostri giorni.

LA TRASFORMAZIONE DEL PAESAGGIO Ma è cambiato anche il paesaggio. La pianura invasa da foreste planiziali e paludi, bonificata in parte dai monaci e poi per iniziativa di qualche nobile lungimirante che costruì i primi canali importanti, come il Naviglio di Ivrea, è stata radicalmente rimodellata dall’urbanizzazione e dall’innesto di importanti vie di comunicazione come l’autostrada Torino Milano fino alla ferrovia dell’Alta Velocità. L’attività agricola ha spianato i boschi e ridisegnato l’aspetto della pianura che cambia ad ogni stagione. Dallo specchio fluido del cielo, quando le camere delle risaie vengono allagate, al verde tenero dei germogli, agli abbaglianti riflessi dorati delle spighe. Dai colori bruciati degli arabeschi di stoppie, dopo la trebbiatura, fino all’autunno generoso di brume che svaporano dalla terra apparentemente immobile, ma fervida di pulsioni sotterranee. Tutto il territorio delle risaie è sovrastato da una quiete confortante pervasa dal concerto d’acque dell’immenso labirinto liquido di 20 mila chilometri. I direttori della sinfonia sono gli acquaioli, i custodi del sistema Canale Cavour che dipendono dalle associazioni di irrigazione Est e Ovest Sesia: a loro è affidata la gestione dei livelli dell’acqua nella rete, la distribuzione fra gli utenti, il controllo dei livelli necessari per alimentare le 55 piccole centrali idroelettriche che sono state ricavate sfruttando i salti dei canali, la manutenzione. Maestri di una sofisticata orchestrazione che si compone di esperienza, intuizione, affiatamento, sono indispensabili per tenere in vita il sistema irriguo. Un sistema diversificato quindi che utilizza e poi restituisce l’acqua al Po dopo un laborioso cammino durante il quale cede il suo generoso beneficio e, ahimè, riceve troppo spesso la risposta dell’inquinamento. L’agricoltura con l’uso di agrofarmarci ha sensibilmente minac-


VALORIZZAZIONE TURISTICA Un processo lento che va di pari passo con la valorizzazione del territorio anche dal punto di vista turistico. Il patrimonio di questo territorio è prezioso: ogni centro abitato, dal paese più piccolo alle capitali del comprensorio irriguo Chivasso, Vercelli, Novara, Pavia, è un punto di riferimento storico e culturale. Passeggiando fra le risaie, si può precipitare improvvisamente in un altro tempo. Dalla piana emergono castelletti, chiese, mulini e minuscoli borghi abbandonati. Alcuni sono circondati da mura come fortezze. Certe tenute, apparentemente deserte, non sono affatto abbandonate: i proprietari si sono trasferiti in case più confortevoli e, sotto portici delle corti, sostano sornione potenti macchine agricole dalle propaggini mostruose. Le loro cabine sembrano plance di comando navali, con tanto di impianto stereo, aria condizionata e Gps. Sono loro a scuotere la quiete del paesaggio quando navigano nelle risaie per livellare, sarchiare, trebbiare seguiti da uno strascico di garzette e aironi in cerca di vermi e insetti nella terra smossa. Vecchie cascine appollaiate sull’acqua nascondono attivissimi centri dove lo spirito imprenditoriale è aperto all’innovazione nella sperimentazione di sistemi di coltura ecosostenibili, nella ricerca per la selezione di nuove varietà di sementi o nella produzione di riso biologico. Altre, opportunamente ristrutturate, sono diventate bed&breakfast e location per eventi. Altre ancora custodiscono la memoria del passato contadino come la Tenuta Colombara a Livorno Ferraris. L’uniformità del tessuto elegante delle risaie viene interrotto talvolta da preziosi boschi come il Parco Fluviale del Po, le Lame del Sesia,

il Parco del Ticino, le garzaie di Carisio e Villarboit, il Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino. Sono le contraddizioni di un territorio ricco di tesori. Una di queste riguarda l’inspiegabile abbandono di importanti siti legati alla storia del Canale come il borgo Leri (Trino) con la casa di campagna dove Cavour divenne esperto di agricoltura, o la Stazione Idrometrica di Santhià, laboratorio a cielo aperto e banco di sperimentazione di ingegneria idraulica, chiuso nel 1922, che attende una sistemazione definitiva. Gli stessi manufatti del Canale Cavour non sono polverose testimonianze di archeologia industriale, ma officine d’acqua che continuano a svolgere fieramente il loro lavoro dal 1866. Insieme con gli altri siti oggi trascurati, potrebbero diventare le tappe di un percorso turistico internazionale. Basterebbe una volontà sinergica fra operatori pubblici e privati per valorizzare la rete già tracciata da enti del turismo, parchi, ecomusei, associazioni culturali creando collegamenti ecocompatibili in relazione ai nodi stradali e ferroviari, la Via Francigena e le reti ciclabili nazionali e internazionali. E’ già pronto un progetto per la realizzazione di una ciclostrada da Torino a Milano che passa lungo le alzaie del Cavour. Ma c’è anche la sfida di Expo 2015 dove i padiglioni di Malesia e Thailandia saranno ispirati al riso. Quale sarà la risposta italiana? Perché non valorizzare un “padiglione” esterno, a pochi chilometri da Milano? Il territorio irrigato dal Canale Cavour con il suo immenso dedalo d’acque, le risaie e il suo straordinario patrimonio di cultura e di sapori è già pronto. Irene Cabiati

SCATTI INEDITI IN MOSTRA A NOVARA L’autrice del servizio, esperta fotografa, ha realizzato una mostra (11 aprile-20 maggio 2014) sul tema: “il Canale Cavour”, al Museo Broletto di Novara. E’ promossa dal Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino in collaborazione con il Comune di Novara, l’Atl Novara e La Stampa in occasione del 150° della costruzione del Canale Cavour. La mostra è un omaggio ai 14 mila uomini che, dal 1863 al 1866, con la fatica delle braccia e il sudore della speranza, hanno portato a termine lo scavo di 86 chilometri e le opere sussidiarie. Realizzato all’alba dell’Unità d’Italia, il Canale Cavour portò beneficio immediato alle popolazioni rurali stremate dalle devastazioni delle guerre del 1845 e 1859 e pose le premesse per il futuro triangolo d’oro del riso, una delle più importanti aree agricole d’ Europa. Il reportage fotografico di Irene Cabiati, corredato da un catalogo, illustra il percorso del Canale nella piana delle risaie, ne racconta le peculiarità ingegneristiche, la storia e la relazione con il territorio ed è arricchita da immagini storiche, riproduzioni dei disegni originali e documenti forniti dalle Associazioni di Irrigazione Est e Ovest Sesia che gestiscono il vasto comprensorio irriguo del Canale Cavour su concessione della Regione Piemonte. Una sezione della mostra è dedicata agli articoli pubblicati sul quotidiano La Stampa, che a quel tempo usciva con il nome Gazzetta Piemontese, e che narrano alcune vicende legate alla costruzione del Canale.

L’edificio di presa di Chivasso: le acque del Po iniziano qui il loro lungo cammino verso le risaie del Vercellese, Novarese e della Lomellina

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IL PAESAGGIO DEI TERRITORI MUTEVOLI

ciato l’ecosistema e fortunatamente, soprattutto fra gli imprenditori più lungimiranti, si sta lentamente radicando una consapevolezza verso le colture biologiche e l’uso di agrofarmaci sempre meno dannosi.


FOR EXPO 2015

TANTE PROPOSTE TURISTICHE VENGONO CONFEZIONATE SU MISURA, SU TUTTO IL TERRITORIO DELL’AREA METROPOLITANA MILANESE, IN OCCASIONE DELLA PROSSIMA RASSEGNA PLANETARIA. LA DIOCESI E LA CONFERENZA EPISCOPALE SONO MOLTO ATTIVE NELLA PROMOZIONE DELLA VISITA AI MAGGIORI BENI ARTISTICI E PAESAGGISTICI LUNGO I NAVIGLI

IL PAESAGGIO DEI NAVIGLI LUNGO LE STRADE DELLE ABBAZIE La navigazione sul Naviglio Grande lungo l’Itinerario delle Delizie

LA VALORIZZAZIONE DELLE ABBAZIE BENEDETTINE SITUATE NELLA PARTE MERIDIONALE DI MILANO E LE FIGURE DEGLI ORDINI MONACALI CHE LE HANNO COSTRUITE SONO L’ELEMENTO CENTRALE DEL PROGETTO AVVIATO IN PREVISIONE DI EXPO 2015. L’INIZIATIVA PREVEDE IL COINVOLGIMENTO DI TUTTO IL SISTEMA DEI NAVIGLI LOMBARDI CHE HANNO UNA STORIA ANTICHISSIMA. SI COMINCIÒ A SCAVARE IL PRIMO CANALE ARTIFICIALE PER COLLEGARE IL TICINO ALLA CITTÀ NEL 1179. AGLI INIZI DEL 1500, LEONARDO STUDIÒ IL SISTEMA DELLE CHIUSE PER RISOLVERE IL PROBLEMA DEI DISLIVELLI. ANNO DOPO ANNO VENNE COSTRUITO UNO STRAORDINARIO SISTEMA DI CANALI NAVIGABILI, CHE NEGLI ANNI TRENTA FU CHIUSO PERCHÉ GIUDICATO OBSOLETO DAI MILANESI DI ALLORA CHE GUARDAVANO CON SEMPRE MAGGIOR INTERESSE AL TRASPORTO SU GOMMA, PIÙ VELOCE MA ANCHE PIÙ COSTOSO ED INQUINANTE. OGGI, ALLA VIGILIA DI EXPO 2015, IL POLITECNICO DI MILANO HA PRESENTATO, A 60 ANNI DAL LORO INTERRAMENTO, IL PROGETTO DI FATTIBILITÀ PER LA RIAPERTURA DEI NAVIGLI DEL CAPOLUOGO LOMBARDO

L’

attenzione per l’ambiente è un tema importante anche per l’Arcidiocesi di Milano e la conferenza episcopale Italiana, molto attive in vista dell’esposizione universale Milano Expo 2015. Alla Bit sono state anticipate, in un convegno, alcune linee guida della presenza della Chiesa all’Expo. Ne ha parlato Carlo Ferrè, presidente del Consorzio dei Comuni dei Navigli, che ha relazionato circa la cura di questa grande rete di acqua attorno Milano, proponendo un itinerario di turismo religioso fluviale, attraverso i “Luoghi e cammini di fede”, per valorizzare il patrimonio ecclesiastico tra Parco Agricolo Sud e Parco del Ticino. Il progetto, promosso dalla Provincia di Milano, disegna un itinerario originale, individuato lungo la “Strada delle abbazie”, riscoperto ora che si prevede un grande afflusso di visitatori da tutto il mondo. La valorizzazione delle Abbazie situate nella parte meridionale di Milano e le figure degli ordini monacali che le hanno costruite, sono l’elemento centrale del progetto che prevede il coinvolgimento di tutto il sistema dei Navigli lombardi. Una rete di canali lunga circa 150 km attraversa il territorio compreso tra il Ticino, l’Adda, i laghi prealpini e il Po. Le loro acque irrigano migliaia di ettari di pianura e lungo le loro sponde corrono i principali itinerari dell’area metropolitana milanese. Tale sistema aveva una funzione irrigua, di navigazione, difensiva ed

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energetica. L’iniziativa, in linea con l’Anno internazionale della Cooperazione per l’Acqua, da una parte coinciderà con l’Expo di Milano, seguendo le indicazioni del Consiglio d’Europa e dall’altra si collega al tema di Expo 2015 “Feeding the planet - nutrire il pianeta”, proponendo la valorizzazione delle eccellenze enogastromiche locali. Uno dei punti chiave del progetto riguarda l’alimentazione e la riscoperta dei prodotti tipici del territorio dei Navigli. Il territorio a Sud di Milano ospita già alcuni eventi enogastronomici che saranno supportati dalla promozione della rete di vendita diretta dei prodotti tipici a chilometro zero presso le abbazie e gli agriturismi.

Bernate Ticino, Il chiostro della canonica

IL RUOLO DEL CONSORZIO DEI COMUNI DEI NAVIGLI L’Unione Europea ha individuato 29 itinerari culturali in tutto il continente, tra i quali emergono, come patrimonio architettonico da tutelare e modello organizzativo da conoscere a livello didattico, culturale e turistico, la Rete dei siti Cluniacensi, che si snoda attraverso sei paesi europei e nove secoli di storia e di arte benedettina, e la Strada delle Abbazie Cistercensi, ben 200 abbazie distribuite in undici paesi europei. “Un ruolo determinante lo avremo nello sviluppo dell’agricoltura e nel disegno del nuovo paesaggio urbano che si sviluppa intorno alla Darsena e alle sponde dei Navigli - spiega il

Corbetta, Santuario Madonna dei Miracoli


FOR EXPO 2015

presidente del Consorzio dei Comuni dei Navigli Carlo Ferrè - nell’organizzazione di proposte turistiche su misura su tutto il territorio dei Comuni appartenenti, unendo alla visita ai maggiori beni artistici e paesaggistici la navigazione lungo il Naviglio Grande. Il Consorzio collabora, inoltre, con i comuni, le associazioni e gli enti locali per la promozione del territorio e dell’offerta turistica. Grande attenzione è dedicata alla didattica turistico-ambientale per permettere ai ragazzi di conoscere la realtà delle cascine, delle aziende agricole, delle coltivazioni, dei prodotti, dei mestieri e dei luoghi lungo il Naviglio”. Il Consorzio è formato oggi da 22 Comuni: Albairate, Arluno, Bernate Ticino, Besate, Boffalora, Bubbiano, Busto Garolfo, Calvignasco, Casorate, Castano Primo, Cassinetta di Lugagnano, Cisliano, Corbetta, Cusago, Mesero, Morimondo, Ozzero, Vanzaghello e Vittuone. Insieme formano un bacino di circa 132.000 abitanti. L’opera dell’uomo tenacemente, costantemente si è sforzata di regolare e modellare il corso delle acque valorizzandone il suo utilizzo a fini militari, agricoli, di vie di commercio e di traffico. Nel corso dei secoli il territorio si è andato organizzando attorno a questa risorsa primaria: in principio furono le Abbazie (Chiaravalle, Mirasole, Viboldone), poi vennero i castelli (Rocca Brivio, Melegnano, Bussero, Cusago), in epoche più recenti Ville e Cascine. Lo stesso Parco del Ticino, che vanta un’agricoltura assai sviluppata, ha come segni distintivi del proprio paesaggio i Navigli, i canali di irrigazione le marcite, le cascine lombarde, i mulini, le risaie. Un territorio che è il risultato dell’opera dell’uomo che, con fatica, determinazione e tenacia, ha modificato il paesaggio. E del paesaggio “costruito” fanno parte anche i luoghi di socializzazione, di scambio, di lavoro, di vita quotidiana, di produttività agricola ed artigianale dei luoghi.

Boffalora sopra Ticino, chiesa di Santa Maria della neve

IL PROGETTO PER RESTITUIRE I NAVIGLI ALLA CITTÀ METROPOLITANA Oggi, alla vigilia di Expo 2015, il Politecnico di Milano ha presentato, a 60 anni dal loro interramento, il progetto di fattibilità per la riapertura dei Navigli del capoluogo lombardo. Tra le principali opportunità emerse ci sono la creazione di un’unica via d’acqua dal lago Maggiore all’Adriatico e, poi, dal lago di Como all’Adriatico, con la riscoperta della darsena come porto di Milano. E ancora un’unica pista ciclabile dall’Adda al Ticino al Po che attraversa il cuore della città. Inoltre la realizzazione di un anello centrale per il teleriscaldamento e il riordino degli altri sottoservizi; la riduzione del traffico veicolare nel centro storico e la creazione di nuove zone a traffico limitato con il conseguente miglioramento delle condizioni dell’inquinamento

Besate, Chiesa di San Michele Arcangelo

dell’aria. I Navigli hanno una storia antichissima. Si cominciò a scavare il primo canale artificiale per collegare il Ticino alla città nel 1179. I lavori si conclusero nel 1257. Il canale si chiamò il Ticinello, più tardi Naviglio Grande. Fu poi trasformata la Martesana e vennero scavati altri canali. A metà del 1400, il territorio milanese era percorso da circa 90 km di canali artificiali. Agli inizi del 1500, Leonardo studiò il sistema delle chiuse, le cosiddette conche fluviali per risolvere il problema dei dislivelli. Anno dopo anno, la rete dei navigli si sviluppò fino a realizzare un collegamento con il Mare Adriatico tramite il Naviglio Pavese e il Po, con il Lago Maggiore tramite il Naviglio Grande e il Ticino, il Lago di Como tramite il Naviglio della Martesana e l’Adda. Un sistema idroviario invidiabile che tuttavia negli anni trenta fu chiuso perché giudicato obsoleto dai milanesi di allora che si rivolgevano sempre di più al trasporto su gomma, più veloce ma anche più costoso ed inquinante. Elisa Zanoni

La Darsena a Milano

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I TERRITORI DEL MANTOVANO

LA PIANURA COMPRESA TRA IL CROSTOLO, IL PO E IL SECCHIA ERA UNA ZONA ANTICAMENTE SOMMERSA DALLE ACQUE. IL TERRITORIO DELL’OLTREPÒ MANTOVANO HA SUBITO UNA SERIE DI TRASFORMAZIONI E OPERE DI BONIFICA, INIZIATE GIÀ AL TEMPO DEGLI ETRUSCHI E COMPLETATE NEL DOPOGUERRA. I MANUFATTI IDRAULICI DI GRANDE PREGIO ARCHITETTONICO, I CORSI D’ACQUA, GLI ARGINI, OGGI TESTIMONIANO LA LUNGA STORIA DI UNA TERRA STRAPPATA ALLE ACQUE DAL LAVORO DI GENERAZIONI

L’ECOMUSEO DELLE BONIFICHE REALIZZATO A MOGLIA, PICCOLO COMUNE DEL MANTOVANO COLPITO DAL RECENTE SISMA, RIGUARDA UN TERRITORIO CHE VA BEN OLTRE I CONFINI COMUNALI, INTERESSANDO DUE REGIONI E QUATTRO PROVINCE. E’ CONCEPITO COME UN MUSEO LINEARE DIFFUSO E SI PONE L’OBIETTIVO DI CONSERVARE E INSEGNARE LA STORIA DELLE TERRE BONIFICATE, LA PLURISECOLARE LOTTA CONDOTTA DALLE POPOLAZIONI PER IL GOVERNO DELLE ACQUE, CHE HA FATTO DI QUESTE TERRE UNA DELLE ZONE PIÙ FERTILI DEL PIANETA

LA STORIA DELLE BONIFICHE RACCONTATA IN UN ECOMUSEO

L

Impianto idrovoro sul canale di bonifica

e terre comprese tra la bassa mantovana, la bassa reggiana e la bassa modenese, sono probabilmente tra le più ricche e fertili di tutta la Pianura Padana. Il territorio ha subito una serie di trasformazioni e di interventi, iniziati già nell’antichità, ma resi sistematici dai frati Benedettini nel 1058, i quali - sotto la direzione dell’Abate Gottescalco bonificarono e risanarono queste zone, costruendo argini ed attuando opere di prosciugamento, dando vita ad un’organizzazione razionale dei lavori. Grazie all’esempio dato dai frati, i lavori di bonifica furono proseguiti nei secoli successivi dai Signori emiliani e perfezionati dal Marchese Cornelio Bentivoglio, luogotenente del Duca D’Este e Signore di Gualtieri, con un Piano di Bonifica predisposto tra il 1567 ed il 1585. Tale piano prevedeva la sistemazione dell’argine destro del fiume Enza fino al punto in cui confluiva nel Po, l’immissione di alcuni fiumi nel Po attraverso la costruzione di canali, la bonifica dei terreni interessati da questi fiumi, convogliandone l’acqua per scaricarla nel Secchia attraverso la chiavica regolatrice a Bondanello detta “chiavicone”.

Smottamento dell’argine del Secchia dopo la piena

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LA COMUNITÀ DI MOGLIA RIFLETTE SULLE SUE ORIGINI Moglia, una piccola comunità del mantovano confinante con l’Emilia, gravemente colpita dal sisma, cerca di tornare a vita normale anche grazie al suo museo, unico nel suo genere, che racconta quando la pianura compresa tra il Crostolo, il Po e il Secchia era una zona sommersa dalle acque. Attualmente sono in corso i lavori di ristrutturazione del “Chiavicone”, una costruzione idraulica molto complessa che diventerà, dopo l’imponente opera di restauro realizzato grazie all’intervento di molti enti (la Fondazione CARIPLO è intervenuta attraverso il Distretto Culturale Dominus) la sede definitiva dell’ ecomuseo delle bonifiche nonché sede del plis “parco golene foce secchia”, attrezzata con laboratori scientifici-naturalistici ed info-point del sistema parchi dell’oltrepò mantovano. Le prime opere di bonifica di questi luoghi si devono probabilmente agli Etruschi. Vennero poi i Galli Boi, non particolarmente propensi al lavoro dei campi, sotto i quali le opere di prosciugamento dei terreni e di arginatura dei fiumi regredirono. I Romani ripresero i lavori di bonifica iniziati dagli Etruschi. Allo splendore dell’epoca romana seguì un lungo periodo di decadenza, dovuta alle invasioni barbariche, alle epidemie ed alle intemperie. L’Ecomuseo delle bonifiche riguarda un territorio che va ben oltre i confini comunali, interessando


I TERRITORI DEL MANTOVANO

due regioni e quattro province, è concepito come un museo lineare diffuso che intende svolgere in modo dinamico e interattivo la funzione di conservazione, valorizzazione e comunicazione del territorio su cui si costituisce. “I manufatti idraulici di grande pregio architettonico, - spiega l’assessore Rossella Capisani i corsi d’acqua, gli argini, testimoniano la lunga storia di una terra strappata alle acque dal lavoro di generazioni. L’Ecomuseo delle Bonifiche si pone l’obiettivo di conservare e insegnare la storia delle terre bonificate”. “Oggi questa zona – sottolinea l’assessore Capisani è solcata da una fitta rete di canali, dugali e fossi, risultato della plurisecolare lotta condotta per il governo delle acque che le ha consentito di diventare una delle zone più fertili del pianeta”.

x Veduta aerea dell’alveo del fiume Secchia

UN PICCOLO BORGO FIERO DELLA SUA STORIA

UN’OPERA IDRAULICA DI GRANDE RILIEVO

L’Ecomuseo è un’occasione di riflessione sul rapporto con il territorio in cui si abita, la sua gestione e la sua tutela. Ne è convinta Rossella Capisani: “Il terremoto ci ha fatto riscoprire un rapporto fatto di grandi e di piccole cose, di scelte amministrative e di solidarietà, ma anche dal comportamento quotidiano dei nostri concittadini, fieri della nostra raccolta museale e non solo, ma anche della ricostruzione avviata con grande impegno non soltanto del nostro Comune. Perché nella sede provvisoria dell’Ecomuseo in piazza della Libertà è conservata la storia delle bonifiche e del territorio mogliese, c’è la nostra storia! Ecco perché seguiamo con attenzione il recupero della nuova struttura”. “Qui non c’è il rischio di dovere parlare di ”borgo abbandonato”,- avverte l’assessore Capisani - noi sappiamo dell’attaccamento della popolazione ai luoghi in cui vive per nascita o per scelta di vita. Ecco perché invitiamo anche i più piccoli a conoscere il territorio per apprezzarlo e capirlo“. La struttura museale di Moglia è classificata come Museo provinciale lineare, diffuso. Ci sono infatti attorno al paese della bassa mantovana 14 km di percorsi ciclopedonali sugli argini dei canali e del fiume Secchia, quattro aree di sosta e di orientamento, pannelli didattici e informativi, un’area attrezzata per la sosta di camper nel piazzale del Centro Sportivo Comunale. Tutto questo è il Museo, un’opera che inserisce Moglia nel percorso ciclopedonale “Eurovelo 7”, una rete di collegamento nazionale e continentale d’interesse storico-naturalistico, che si offre alla domanda turistica di chi cerca la natura, il silenzio, la lentezza.

Un Museo che ricorda come nei primi decenni del Novecento vennero realizzati imponenti lavori di bonifica che segnarono la vita di tante famiglie mogliesi, in cui furono impiegati centinaia di lavoratori. Fu la causa dello straordinario sviluppo di un comparto agro-alimentare fra i più qualificati d’Europa. L’obiettivo era di arrivare ad una razionale separazione delle acque basse da quelle alte: si doveva perciò evitare che le acque provenienti dai territori più alti allagassero i terreni bassi e si doveva escogitare uno sfogo garantito per le acque dei terreni depressi. La Bonifica Parmigiana Moglia in destra del Po, che riguardava 630 ettari a destra della Fiuma in territorio mogliese, fu inaugurata ufficialmente il 30 ottobre 1926, dopo sei anni di lavori. A completare il quadro attuale fu la costruzione di impianti, che all’epoca risultarono i più grandi d’Europa, progettati dall’ing. Natale Prampolini: la botte sifone di San Prospero ultimata nel 1922, l’impianto idrovoro “le Mondine” inaugurato nel 1926, la chiavica del Busatello, il ponte chiavica

via Canova. Nel 1928 cominciarono i lavori di derivazione di acque dal Po in località Boretto tramite una chiavica ed una controchiavica di sicurezza a 200 m. di distanza. Contemporaneamente si iniziò la costruzione di un Canale Derivatore che convoglia l’acqua necessaria, prelevata dal Po a Boretto, nella Parmigiana Moglia. Da qui viene distribuita per gravità in tutte le zone con quota inferiore ai 20 metri sopra il livello del mare. I lavori ripresero dopo la guerra con la costruzione dell’impianto di sollevamento di Boretto, la costruzione di una Nuova Botte sotto il Crostoso, la Chiusa di Ponte Pietra e l’Allacciatore Cartoccio e, per quanto riguarda le opere di competenza della sola Parmigiana Moglia, la riparazione delle opere danneggiate dalla guerra, la costruzione di nuovi canali di irrigazione e la costruzione di infrastrutture (linee elettriche, ferrovie, strade, etc.) che costituirono il requisito del rapido e intenso sviluppo economico di questo territorio. Una vasta area che ancora oggi continua a sorprendere. A.M.

Pompa provvisoria (post sisma) in azione per sollevamento acqua per irrigazione nel bacino delle mondine

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I PAESAGGI DELLA GIOCONDA

PER I PRIMI INTERVENTI IDRAULICI, ATTI A FARE SLOGGIARE RANE, PESCI E UCCELLI ACQUATICI E RICAVARE TERRITORIO COLTIVABILE, BISOGNA QUINDI ASPETTARE I ROMANI. CHIUSI, CHIANA: I NOMI SONO DI CHIARA DERIVAZIONE ETRUSCA: NON A CASO, QUESTA È UNA ZONA IMPORTANTISSIMA DAL PUNTO DI VISTA ARCHEOLOGICO. SECONDO GLI ABITANTI DELLA ANTICA CLUSII, IL LAGO ERA LO SPECCHIO NEL QUALE LA DEA DELLA NOTTE ANDAVA A SPECCHIARSI QUANDO NEL CIELO SPLENDEVALA LUNA PIENA

LA BONIFICA “UNO-UNO-UNO” UNO DEI PAESAGGI PIÙ INTERESSANTI SI TROVA PROPRIO NEL CUORE DELLA PENISOLA, A CAVALLO FRA TOSCANA, UMBRIA E LAZIO: LA VAL DI CHIANA. UN’AREA NEVRALGICA, DOVE NON A CASO PASSANO LE NOSTRE PRINCIPALI LINEE DI COMUNICAZIONE STRADALE E FERROVIARIA. SI TRATTA DELLA ZONA CHE ANTICAMENTE ERA COMPLETAMENTE SOMMERSA DALLA PALUDE DELLA CHIANA, DELLA QUALE RIMANGONO ORMAI POCHI SPECCHI D’ACQUA CHE SI POSSONO CONSIDERARE DEI VERI E PROPRI “FOSSILI” LACUSTRI. I PIÙ IMPORTANTI SONO I LAGHI DI CHIUSI E DI MONTEPULCIANO, NELL’ESTREMO LEMBO SUD-OCCIDENTALE DELLA PROVINCIA DI SIENA

MARCO HAGGE COORDINATORE – CONDUTTORE BELLITALIA [foto 1]

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Regolatore idraulico Mediceo del Callone di Valiano sul Canale Maestro della Chiana (1723)

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a storia geologica dell’Italia, come si sa, è piuttosto complicata. Il risultato è il Paese che conosciamo: bellissimo per la varietà dei panorami, difficile per le comunicazioni, avaro di pianure, che formano appena un quinto del territorio nazionale. E come se non bastasse, molte delle nostre zone pianeggianti sono state, o sono ancora potenzialmente, delle paludi, proprio per i caratteri della rete fluviale, che rispecchiano quelli dell’orografia. Per strappare alle acque qualche lembo di territorio coltivabile si è svolta, per secoli, una competizione incessante fra gli italiani e l’ambiente. Competizione difficile, a volte dura, ma di solito intelligente e rispettosa della controparte: almeno fino a quando si è deciso di cambiare registro, infischiandosene di aree golenali, torrenti cementificati e territori marginali lasciati a se stessi. In questo panorama poco confortante rimangono, come punti fermi, tutti gli esempi che dimostrano come sia possibile ridisegnare il territorio, rispet-

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Montepulciano (SI) – Casse di laminazione del torrente Parce nel lago di Montepulciano (1999)

tandone i caratteri naturali. E’ così che sono nati tanti di quei paesaggi della cui varietà è fatta l’unicità del nostro paese. Uno dei più interessanti si trova proprio nel cuore della Penisola, a cavallo fra Toscana, Umbria e Lazio: la Val di Chiana. Un’area nevralgica, dove non a caso passano le nostre principali linee di comunicazione stradale e ferroviaria. Si tratta della zona che anticamente era completamente sommersa dalla palude della Chiana, della quale rimangono ormai pochi specchi d’acqua che si possono considerare dei veri e propri “fossili” lacustri. I più importanti sono i laghi di Chiusi e di Montepulciano, nell’estremo lembo sud-occidentale della Provincia di Siena.


I PAESAGGI DELLA GIOCONDA

QUANDO L’ARNO “TORCE IL MUSO” La palude di cui una volta erano piccole porzioni si era formata, in epoca preistorica, quando l’Arno, che scorreva verso Sud, cambiò direzione alle porte dell’attuale città di Arezzo, deviando verso Nord, nel punto in cui oggi è scavalcato il Ponte a Buriano. Una sterzata spettacolare, improvvisa e inattesa: tanto che Dante Alighieri la usa come argomento per dimostrare l’inaffidabilità degli Aretini, osservando, nella Divina Commedia, che perfino il principale fiume della Toscana “torce il muso” pur di non avere niente a che fare con loro. Chiusi, Chiana: i nomi sono di chiara derivazione etrusca: non a caso, questa è una zona importantissima dal punto di vista archeologico. Secondo gli abitanti della antica Clusii, il lago era lo specchio nel quale la Dea della Notte andava a specchiarsi quando nel cielo splendeva la luna piena. Ma gli etruschi, per quanto ottimi gestori delle risorse territoriali, non erano organizzati in uno stato unitario. Ogni città faceva capo a sé, e nessuna aveva la forza politica e finanziaria per affrontare la bonifica della palude, che si estendeva fino ad Orvieto. Per i primi interventi idraulici, atti a far sloggiare rane, pesci e uccelli acquatici e ricavare territorio coltivabile, bisogna quindi aspettare i Romani. Grazie a loro, la palude diventò un immenso granaio. Le opere idrauliche sopravvissero perfino alla fine dell’Impero. Fu la politica a decretarne la fine, parecchi di secoli dopo. Intorno al crocevia della Val di Chiana, porta d’accesso verso Roma, nel Medioevo erano nati tanti liberi Comuni, ciascuno in lotta con quelli vicini. I più importanti erano Arezzo, Siena, Perugia e Orvieto. Furono proprio gli orvietani a distruggere i manufatti ancora funzionanti, per allagare il fondovalle e tenere lontani i rivali. Ridiventata palude, la Val di Chiana lo sarebbe rimasta per altri quattro secoli. Arezzo - Ponte Buriano sul fiume Arno presso la foce del Canale Maestro della Chiana (1240-77)

Canneti e coltivi sulla sponda meridionale del Lago di Chiusi

I pescatori della Cooperativa “Vite d’acqua” con un luccio appena pescato nelle acque del Lago di Chiusi

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I PAESAGGI DELLA GIOCONDA

LA LEZIONE DI LEONARDO DA VINCI Ogni tanto c’era qualcuno che studiava come intervenire: una consulenza venne chiesta perfino a Leonardo Da Vinci, nei primi anni del Cinquecento, dal Duca Valentino (il figlio di Alessandro VI, il celebre Papa Borgia) nel breve periodo in cui era riuscito a costituire una vasta signoria nei territori dello Stato della Chiesa grazie alla collaborazione patrena. Degli studi condotti in loco dal poliedrico scienziato rimane un documento importantissimo: la famosa carta della zona disegnata a volo d’uccello, la prima in assoluto realizzata con questa tecnica prospettica. E’ così precisa che si può addirittura ricostruire il punto preciso dal quale Leonardo ha “fotografato” il territorio: si trova lungo la strada che costeggia i due laghi sul versante umbro. Si riconoscono tutti i borghi disegnati da Leonardo, che esistono ancora oggi. Sono borghi che hanno una caratteristica comune: si chiamano tutti “Monte-qualcosa”. Montefollonico, Montepulciano, Monte San Savino, Monticchiello… Il motivo è semplice: rimandano ai tempi in cui il fondovalle era inabitabile per chi non fosse dotato di branchie o di ali. La seconda e definitiva bonifica parte con il Granducato di Toscana, negli anni della dinastia lorenese. Non era solo una questione tecnica: come spesso succede, gli assetti territoriali dipendono anche da altre cause, politiche e non solo. In questo caso, il principale ostacolo era costituito da una vera e propria leggenda metropolitana: era infatti diffusa la convinzione che le acque della Val di Chiana potessero alluvionare Roma (attraverso il Tevere) e Firenze (attraverso l’Arno). Quindi, né il Granduca né il Papa avevano molta voglia di sperimentare se le cose stessero effettivamente così. A sgonfiare la colossale ”balla” furono Vittorio Fossombroni e il suo assistente Alessandro Manetti, incaricati dal Granduca Leopoldo I di risolvere la faccenda una volta per tutte. Il preludio fu un accordo diplomatico firmato nel 1780 fra il Granducato e lo Stato della Chiesa: l’acqua in eccesso sarebbe stata inviata nell’Arno a Nord, e nel Tevere a Sud, grazie a un argine appositamente costruito.

Illustrazione realizzata da Leonardo da Vinci della Val di Chiana – 1502-03 – Royal Library di Windsor

IL PAESAGGIO COSTRUITO DELLA TOSCANA La bonifica fu un’operazione grandiosa, dove la più raffinata tecnologia via via disponibile si è sempre abbinata a una fortissima sensibilità ambientale e a una altrettanto forte accortezza amministrativa. Un esempio di quella che, senza tanti fronzoli, si può definire pratica assidua di buon governo. Tecnicamente, si trattò di colossali movimenti di terra, di canali semplici e incrociati (i cosiddetti “calloni”), ponti, scolmatori, colmate e caselli. Nel mezzo, cuore del sistema, c’è il Canale Maestro, lungo 62 chilometri, dal lago di Chiusi all’Arno, che in altri tempi era navigabile e funzionava come via d’acqua per il commercio. Dal punto di vista agricolo, venne letteralmente disegnato l’attuale paesaggio agrario, con le coltivazioni e le case coloniche, le straordinarie “leopoldine”, esempio ante litteram di architettura ambientale ed ecocompatibile. Sono 360 in tutto, costruite secondo il modulo uno-uno-uno: in ogni podere, una famiglia; per ogni persona della famiglia, un ettaro; per ogni ettaro del podere, un capo di razza chianina, che era insieme forza lavoro e riserva di proteine. Fra le leopoldine nacquero le fattorie, spesso monumentali, come quelle di Frassineto e di Fonte al Ronco. Quanto alla sapienza architettonica impiegata nel progetto, la testimonianza più eloquente è il vero e proprio “castello d’acqua” alla Chiusa dei Monaci, che regola l’afflusso del Canale Maestro portandone le acque nell’Arno, nel nuovo viaggio che le condurrà alla destinazione finale, nel Mar Tirreno.

Arezzo – Regolatore idraulico Lorenese della Chiusa dei Monaci sul Canale Maestro della Chiana (1828-38)

IL SENTIERO DELLA BONIFICA

Vista aerea sui laghi di Chiusi e di Montepulciano

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Il sentiero di servizio lungo il Canale è stato trasformato oggi in una pista ciclo-pedonale lunga 40 chilometri, attraverso 13 Comuni delle Province di Arezzo e di Siena. Della palude, come abbiamo detto all’inizio di questo nostro viaggio nella storia, rimangono due piccoli laghi gemelli, Chiusi e Montepulciano. Quest’ultimo è diventato un’oasi ambientale, gestita dal WWF, che organizza anche le escursioni sul battello didattico, azionato da pannelli ad energia solare. Ma per unire i due “fossili” idrici, c’è un’ulteriore idea, per ora allo stato embrionale, firmata da Franco Boschi, il tecnico che ha progettato il Sentiero della Bonifica. Si tratterebbe di rendere di nuovo navigabile il canale che unisce i due laghi, in una versione chianina di quello che in Francia è il Canal du Midi. Un esempio perfetto di paesaggio italiano, dunque, la Val di Chiana, dove i confini fra storia e geografia si integrano e si confondono fino a scomparire. Un paesaggio fatto di tecnologia, conoscenza, inventiva, senso estetico; affascinante proprio perché così fragile. Per cancellarlo, c’è un sistema a costo zero: interrompere i controlli e la manutenzione. L’effetto che il Comune di Orvieto ottenne, nel Medio Evo, a colpi di mazza sugli argini,con un po’ di pazienza arriverebbe lo stesso, senza colpo ferire. Marco Hagge


I PAESAGGI DELLA GIOCONDA

IL SENTIERO DELLA BONIFICA È STATO RICONOSCIUTO UNO DEI MIGLIORI “SENTIERI VERDI” DEL VECCHIO CONTINENTE

A PIEDI O IN BICICLETTA PER SCOPRIRE IL PAESAGGIO DELLA GIOCONDA Pedalata sul Sentiero della Bonifica presso il Callone di Valiano

L’ITINERARIO CICLO-PEDONALE È GESTITO DALLE PROVINCE DI AREZZO E DI SIENA, E PERMETTE AGLI AMANTI DEL TREKKING E DELLE DUE RUOTE DI IMMERGERSI IN UN CONTESTO AMBIENTALE DAI CARATTERI DAVVERO SINGOLARI

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l Sentiero della Bonifica (www.sentierodellabonifica.it) è lo strumento che, seguendo il corso del canale maestro, permette di conoscere da vicino il territorio che è stato (ed è) testimone di una delle più grandi opere di intervento e trasformazione territoriale mai compiute dall’uomo. Il “sentiero” è in realtà il percorso di circa 62 chilometri che unisce Arezzo con Chiusi Scalo, costeggiando il canale Maestro della Chiana, e che è possibile percorrere a piedi o in bicicletta. Si tratta di una originale opportunità turistica per chi intende impiegare il proprio tempo libero in maniera originale, entrando in diretto contatto con luoghi e persone che raccontano il territorio. Inoltre rappresenta una occasione unica per ripercorrere una storia poco nota, e che ha disegnato un paesaggio dai caratteri inconfondibili. Lungo il Sentiero sono stati collocati moltissimi pannelli didattici, di chiara lettura, soprattutto in corrispondenza dei punti dove sono presenti le opere idraulico-architettoniche che più caratterizzano il comprensorio chianino. La pista ciclo-pedonale della Val di Chiana si può percorrere lungo i suoi 62 chilometri lungo gli argini-strada del Canale maestro e le sponde dei laghi, da Chiusi Stazione alla Chiusa dei Monaci presso Arezzo. L’itinerario ciclo-pedonale è gestito dalle province di Arezzo e di Siena, e permette agli amanti del trekking e delle due ruote di immergersi in un contesto ambientale dai caratteri davvero singolari, consentendo inoltre, a chi intende percorrere solo determinati tratti, di trasferirsi in treno attraverso le stazioni ferroviarie intermedie.

La pista è stata realizzata dall’Amministrazione Provinciale di Arezzo nella valle dell’antico fiume Clanis, attraverso il consolidamento delle sommità arginali del canale Maestro e delle rive dei laghi di Chiusi e Montepulciano. Per completare l’opera rimane soltanto da realizzare il tratto che unirà la Chiusa dei Monaci all’Arno, e precisamente a Ponte a Buriano, collegandosi all’altra pista che corre lungo il fiume dal Casentino al Mar Tirreno. I lavori dovrebbero partire a breve. A conferma della qualità del percorso, sarà utile ricordare che nel 2011 il sentiero della Bonifica ha vinto il terzo premio dello European Greenways Award, il prestigioso riconoscimento riservato ai migliori “sentieri verdi” del vecchio Continente. Questa la motivazione: “per lo sviluppo di un prodotto turistico legato al ciclismo ed al podismo in Toscana, che permette agli utenti di godere del contatto con la natura, con l’arte e con lo spirito dei luoghi”. Franco Boschi

Planimetria del Sentiero della Bonifica

Vista aerea della Chiusa dei Monaci e degli antichi molini idraulici

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TERRITORI A RISCHIO

NELL’AREA DI METAPONTO CHE ESPRIME POTENZIALITÀ DI SVILUPPO DI LIVELLO NAZIONALE NON SOLTANTO NEL SETTORE TURISTICO, SI È TEMUTO IL PEGGIO. LA RECENTE ALLUVIONE HA PROVOCATO INGENTI DANNI AGLI EDIFICI E ALLE AZIENDE AGRICOLE. IL PARCO ARCHEOLOGICO E IL TEMPIO DI APOLLO LICIO SONO RIMASTI PER GIORNI COMPLETAMENTE SOMMERSI. I NUOVI DANNI PESANTISSIMI AGLI AGRICOLTORI DEL METAPONTINO NON SONO SOLO STATI CAUSATI DALL’ECCEZIONALITÀ DELLE CONDIZIONI METEREOLOGICHE MA ANCHE DALLE RESPONSABILITÀ NEGLI ORGANI AMMINISTRATIVI E TECNICI DEL CONSORZIO DI BONIFICA BRADANO E METAPONTO

MALTEMPO E ALLUVIONI, SOTTO ACCUSA LE BONIFICHE

Il borgo medievale fortificato di Pereta presso Scansano

TERRITORI COME LA MAREMMA SONO RIUSCITI, IN TERMINI DI RECUPERO PAESAGGISTICO, DI PRODUZIONE AGRICOLA E DI SVILUPPO TURISTICO DI UNA FASCIA MOLTO ESTESA LUNGO LA COSTA, DA CECINA A TARQUINIA (PER CITARE DANTE), A RECUPERARE DOPO LE FREQUENTI ALLUVIONI CHE NEGLI ULTIMI ANNI SI SONO SUSSEGUITE IN QUEST’AREA. IN REALTÀ LA BONIFICA PREVEDEREBBE ANCHE UNA SUCCESSIVA, COSTANTE MANUTENZIONE DEL TERRITORIO, CHE EVIDENTEMENTE NON È STATA FATTA CON LA SOLERZIA CHE CI SI ASPETTAVA

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na visione un po’ retrograda della natura vorrebbe che non si intervenisse per alterare il normale ordine delle cose, neanche nelle situazioni più negative per la vita dell’uomo, come sono certamente le zone paludose (così diffuse nel nostro paese). E’ vero che nei millenni ci siamo abituati ad aggirare alcuni dei problemi, costruendo per esempio nelle zone collinari certamente meno insalubri. Ma la presenza di malattie endemiche come la malaria, oltre alla difficoltà di collegamenti e all’impossibilità di un utilizzo in chiave turistica di zone costiere molto pregiate, ha fatto in modo che si arrivasse quasi ovunque al recupero di questi territori. La bonifica dell’Agro Pontino è stata ricordata spesso negli ultimi anni, grazie alle pagine di Antonio Pennacchi e ai film di Gianfranco Pannone, ma anche quella della Maremma meriterebbe di essere raccontata, come pure lo sfascio che c’è in alcune aree del meridione. Per secoli, nell’Alto medioevo, fu considerata una causa persa, tanto che questa zona della Maremma, che copre due regioni e cinque province, divenne quasi disabitata. E poi occorsero un paio di secoli e vari regimi e governi, dai granduchi fino alla democrazia del dopoguerra, passando per il fascismo, per iniziare e portare a compimento la bonifica. Storie che si somigliano, al nord come al sud.

A METAPONTO DANNI IRRESPONSABILI In tempi più recenti, lo scorso inverno, sulle coste ioniche a Metaponto è accaduto l’inverosimile. Gli effetti del ciclone Nettuno e della forte grandinata hanno lasciato inevitabilmente una grossa ferita nel territorio interessato dalle opere di bonifica servite dal Consorzìo di Bradano e Metaponto. Nelle zone più basse di ciascun comprensorio insistono le zone bonificate con sollevamento meccanico delle acque. In quest’area si sono verificati numerosi disagi per la popolazione del centro jonico, che ha visto insistere la furia dell’acqua. Ingenti i danni agli edifici e alle aziende agricole. Il Parco archeologico e il tempio di Apollo Licio sono rimasti per giorni completamente sommersi. Sull’arenile, si è verificata la quasi completa assenza della sabbia, portata via dalle continue

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mareggiate. Si punta il dito sul Consorzio di Bonifica di Bradano e Metaponto che coincide con quella dei 31 comuni della provincia di Matera ed è pari a 344.678 ettari. Geograficamente, comprende la pianura metapontina lucana con i territori dei Comuni a monte di questa, i bacini dei fiumi Bradano, Basento e Cavone, nel suo versante in sinistra, fino al confine della Provincia di Matera. Il territorio è caratterizzato dalle zone di pianura della fascia litoranea, dai terrazzi metapontini che si elevano fino a quota m. 250-300 s.l.m., dalle pianure golenali dei cinque fiumi e dalle emergenze collinari segnate, con orientamento Est-Ovest, dalle incisioni fluviali. Nell’area metapontina che esprime potenzialità di sviluppo di livello nazionale, si è

Paesaggio della Maremma


impianti irrigui. Anche in questo comprensorio della costa Jonica l’agricoltura e il turismo costituiscono una grande ricchezza ed è parso assurdo mettere a rischio un’intera area archeologica finita sott’acqua. Forse è il caso di seguire l’esempio della Maremma che si è rimboccata le maniche.

TERRITORI A RISCHIO

temuto il peggio. Il territorio irriguo si concentra per circa il 90% della sua totale estensione nell’area metapontina e interessa circa il 55% di questo stesso territorio. Qualcosa non ha funzionato. Di chi la colpa? Quali danni ha subito il paesaggio e l’agricoltura? Manca una risposta precisa. I nuovi danni pesantissimi agli agricoltori del Metapontino non sono solo stati causati dall’eccezionalità delle condizioni metereologiche ma anche dalle responsabilità negli organi amministrativi e tecnici del Consorzio di Bonifica Bradano e Metaponto che nonostante le alluvioni del 2011 e quella più recente del 7 e 8 ottobre scorso non hanno provveduto alla pulizia dei canali e degli impianti accusati di non aver dato priorità all’unica opera di prevenzione che oggi è possibile, vale a dire la pulizia dei canali e il pieno funzionamento degli

La zona di Metaponto allagata dopo la recente alluvione

IL BUON ESEMPIO DELLA MAREMMA, MA NON BASTA!! Lo sanno bene in Maremma dove i risultati, in termini di recupero paesaggistico, di produzione agricola e di sviluppo turistico di una fascia molto estesa lungo la costa, da Cecina a Tarquinia (per citare Dante), sono stati strabilianti, ma le frequenti alluvioni che negli ultimi anni si susseguono sembrano dar ragione, almeno in parte, ai fautori dell’inazione. In realtà la bonifica prevederebbe anche una successiva, costante manutenzione del territorio, che evidentemente non è stata fatta con la solerzia che ci si aspettava. Sta di fatto che, nel novembre del 2012, Luigi e Antonella, che da decenni mandavano avanti ad Albinia una rivendita di prodotti enogastronomici di qualità, nota come “Agrietruria”, si sono ritrovati nel giro di pochi minuti con due metri di acqua nel locale. La signora Antonella era in salvo a casa, leggermente in collina, mentre il marito si è dovuto rifugiare sul tetto del negozio per restare vivo, mentre sotto i suoi piedi frigoriferi e scaffali, bottiglie e salumi, formaggi e registratori di cassa finivano inghiottiti dal fango della drammatica inondazione, provocata dagli argini insufficienti di un torrente (più che un fiume) della zona. Ci sono voluti settimane di lavoro e l’aiuto disinteressato di tanti vicini e amici, per ripristinare il negozio e ripartire, con una piccola ma importante aggiunta: adesso Agrietruria è anche un piccolo ristorante, che serve i piatti della tradizione maremmana, dall’acquacotta alle zuppe, dalle grigliate ai formaggi a km zero. E per questa volontà di ripartire e rilanciare, un anno dopo l’inondazione, Antonella e Luigi sono stati premiati dalla Guida Foodies del Gambero Rosso.

QUI L’OSPITALITÀ LA FA DA PADRONA Ma per tanti italiani, cinefili e non più giovanissimi, il ricordo della Maremma è legato inevitabilmente alla statale Aurelia e alla spider che porta fuori Roma Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant ne “Il sorpasso” di Dino Risi. Nonostante il finale drammatico, quella geniale descrizione di un ferragosto nell’Italia di cinquant’anni fa - il film è del 1962 - è rimasta nell’immaginario di milioni di italiani, i quali, ogni volta che percorrono questa bella strada da Roma verso la Maremma, provano emozioni positive di bellezza e leggerezza. Ma l’Aurelia è anche il punto di partenza per vagabondaggi verso il mare o verso l’interno, che riservano quasi sempre chicche un po’ nascoste e sorprendenti. Ecco un itinerario insolito raccomandato in ogni stagione, soprattutto quella primaverile. Venendo da sud, superato lo svincolo per Orbetello, dopo pochi chilometri, a destra dell’Aurelia si stacca la strada provinciale 128 Parrina, che prende nome da una grandissima tenuta agricola, che è anche un agriturismo di antiche origini. Entrare nella fattoria “La Parrina” significa immergersi in una natura rigogliosa e in un vero ambiente agricolo, dove si produce di tutto, dalla frutta agli ortaggi, dai formaggi al vino. L’accoglienza della proprietaria

Franca Spinola, che preferisce il titolo di medico a quello nobiliare, è affettuosa e di gran classe; la villa padronale, con le camere degli ospiti, ha una dimensione familiare; i sentieri sono numerosi e rilassanti, lo spaccio è ricco di prodotti gustosi e naturali… Insomma, questa antica fattoria è un gran bel posto sia in estate, quando la calura non dà tregua, che nelle altre stagioni, essendo il contatto con la natura diretto e immediato. Soprattutto, i piatti cucinati dallo chef Roberto Focardi sono semplici e genuini, quasi tutti “a chilometri zero” (cioè prodotti e trasformati in loco). E non pensiate alla Maremma come un regno dei carnivori: acqua cotta, zuppe di legumi, la “finta bistecca” di formaggio e altri piatti estremamente gustosi e salutari saranno un’ottima alternativa per chi non ami bistecche e tagliate… Continuando lungo la provinciale 128, s’imbocca la statale 323 e dopo alcuni chilometri si arriva in vista delle mura di Magliano in Toscana: siamo nel territorio di un vino accattivante e oggi molto trendy, il Morellino di Scansano. Il paesaggio è dolce e la campagna è ben curata, senza essere troppo “pettinata”. Proseguendo in direzione di Scansano, dopo una breve salita, si

Veduta di Orbetello

arriva in un delizioso borgo medievale fortificato, Perèta, così chiamato per l’estesa produzione di pere diffusa nel passato. Tramite una bella porta ad arco, si entra nel nucleo antico più esterno con viuzze strette e tranquille e alcune chiese di pregio. Superata la cerchia di mura più interna, si arriva ai piedi della cosiddetta torre dell’orologio, alta 29 metri e risalente al quattrocento. Siamo sul culmine del colle su cui sorge il paese, che invita alla quiete e al relax. Naturalmente non mancano in giro piacevoli agriturismi; tra i tanti raccomando “Il Palazzaccio”, da cui si gode una vista sconfinata fino all’Argentario e all’isola del Giglio e dove potrete gustare ottimi piatti a base di pesce e frutti di mare, grazie alla passione dei proprietari, la famiglia Vongher originaria di Porto Santo Stefano. Sarà come mangiare sul porto, anche se il clima è piacevolmente freschino anche d’estate. Per chi poi fosse non solo carnivoro ma anche cacciatore, questo agriturismo è una base di partenza per le battute con i numerosi appassionati della zona. Luisa Bruga

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L’ ASSOCIAZIONE PAESI BANDIERA ARANCIONE, HA RILANCIATO LA VITA NELL’ENTROTERRA E IN CAMPAGNA, DOVE SI REGISTRA, DOPO ANNI DI PROGRESSIVO ABBANDONO, UN’ INVERSIONE DI TENDENZA, MA ANCHE DI COSTUME SOCIALE: LE NUOVE GENERAZIONI E LE NUOVE COPPIE PREFERISCONO, INFATTI, TORNARE A VIVERE NEI LUOGHI DAI QUALI, MOLTI ANNI PRIMA ERANO PARTITI GENITORI E NONNI ALLA RICERCA DI UN BENESSERE LEGATO AL LAVORO NELL’INDUSTRIA, PIUTTOSTO CHE ALL’EMIGRAZIONE. UN RITORNO ALLE ORIGINI CHE SI TRADUCE IN UNA VERA E PROPRIA RINASCITA PER I BORGHI RURALI, CON LA RISCOPERTA DI ANTICHE TRADIZIONI E LA VALORIZZAZIONE DI UNA MILLENARIA CULTURA CONTADINA

L’EFFETTO ENTROTERRA FAVORISCE LA RIPOPOLAZIONE DEI PICCOLI COMUNI, INTERESSATI, IN PASSATO, DA SPOSTAMENTI MIGRATORI VERSO LE AMERICHE E LA PIANURA DOVE SI ERA INSEDIATA L’INDUSTRIA. LA REGIONE LIGURIA SUPPORTATA DAL TOURING CLUB ITALIANO, A FINE ANNI ’90, IDEÒ UN MARCHIO DI QUALITÀ TURISTICO-AMBIENTALE DESTINATO AI BORGHI RURALI, RACCHIUSI TRA COSTA E MONTAGNA, DOVE TRADIZIONI, CULTURA CONTADINA E SAPORI TIPICI SI RITROVANO INTATTI SULLE COLLINE, TRA I CAMPI TERRAZZATI E COLTIVATI A VITE E ULIVI. SASSELLO, PAESE DELL’APPENNINO, AL CONFINE TRA PIEMONTE E LIGURIA, DOVE L’ALLORA SINDACO PAOLO BADANO PROMOSSE PER PRIMO QUESTO PROGETTO PILOTA. DOLCEACQUA, AL CONFINE CON LA FRANCIA, COMUNE WIFI FREE, CON IL PALLINO DELLA CULTURA DELL’INNOVAZIONE, HA UNITO, INVECE, IN UN’ASSOCIAZIONE, 199 LOCALITÀ DISTRIBUITE IN TUTT’ITALIA

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SUL COMUNE SVENTOLA LA BANDIERA ARANCIONE

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esigenza di dotarsi di un marchio di qualità turistico-ambientale, l’ha avuta per primo Sassello, un piccolo borgo dell’Appenino Ligure, situato vicino al confine con il Piemonte, conosciuto per la produzione del biscotto amaretto (Amaretto morbido di Sassello) di pasta alle mandorle, una ricetta risalente al XIX secolo e che annualmente viene festeggiato in una sagra a tema. Un paese anche noto per la tradizione culinaria contadina per i piatti a base di funghi, i salumi e la carne di pregio, la cacciagione (cinghiale, capriolo, lepre e fagiano) e la torta pasqualina, particolare torta salata di verdure e uova che si prepara nel periodo pasquale. La proposta del Comune avanzata alla Regione Liguria di ideare un riconoscimento ufficiale per le località dell’entroterra, venne accolta con entusiasmo. Si trattava di salvare questi territori dallo spopolamento e rilanciarli sul piano turistico. Una vera e propria sfida per queste terre

Il mercatino di Fontanellato

racchiuse tra costa e montagne, a due passi dal mare, interessate da spostamenti migratori verso le Americhe e la costa genovese e savonese, dove si era insediata l’industria. Sono località dove tradizioni, cultura contadina e sapori tipici si ritrovano intatti nel cuore dei borghi, sulle colline, tra i campi terrazzati e coltivati a vite e ulivi. Nella regione che ha la percentuale più alta d’Italia di territorio boschivo, sono molti i paesi da visitare con le tipiche case e i ritmi tranquilli della campagna, con le tradizionali architetture dei borghi rurali, spesso di origine medievale, che variano, da ponente a levante. Territori unici per le ricchezze di attrattive naturali, paesaggistiche e culturali che affondano le proprie radici in tradizioni millenarie unite ad una splendida accoglienza turistica.


RES TIPICA & DINTORNI Il suggestivo panorama di Dolceacqua

LA PRIMA VOLTA DI UN PICCOLO COMUNE

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Sassello ha fatto da apripista di un progetto pilota, nato nel 1998, che, grazie all’ efficacia dell’idea curata dal Touring Club, poté far decollare il programma territoriale Bandiere arancioni, destinato ad avere successo non soltanto sul territorio ligure, ma su tutto il territorio nazionale. Il riconoscimento ufficiale ( primo in Italia e in Europa) venne assegnato al Sindaco di Sassello, Paolo Badano [foto 1] (oggi presidente onorario dell’ Associazione Bandiera Arancione) il giorno 11 novembre 1999 nella sede del Palazzo Ducale di Genova, affinché salvaguardasse la località dotata di un centro storico di antico splendore, con palazzi del 700’ / 800’ ricchi di arte e di fascino. Ne seguirono altri per far prendere forma all’esigenza di una maggiore valorizzazione dell’entroterra: il paesaggio, la storia, la cultura, la tipicità. Gli obiettivi previsti dalla prima idea di Bandiere arancioni erano per i tempi fortemente innovativi e precursori di temi sentiti e affrontati solo in questi ultimi anni. Oggi sono 13 i Comuni liguri che hanno ricevuto il marchio di qualità turistico-ambientale del Touring. In Italia sono 199 i Comuni, distribuiti nelle varie regioni: tutti con la caratteristica di essere localizzati in una zona interna, non costiera. E con la peculiarità di essere in grado di valorizzare il patrimonio culturale, tutelare l’ambiente, promuovere la cultura dell’ospitalità, l’accesso e la fruibilità delle risorse, la qualità della ricettività, della ristorazione e dei prodotti tipici. Un marchio di qualità che può essere anche ritirato qualora non venissero mantenuti i requisiti nel tempo. La verifica avviene ogni tre anni con una tempistica fissata da TCI a livello nazionale.

Una veduta della fortezza di San Leo

ARANCIONI PER VOCAZIONE Nel 2002 a Dolceacqua, in provincia di Imperia, fu costituita dalle 16 località “arancioni” di allora, l’Associazione Paesi Bandiera Arancione con lo scopo di riunire i paesi che hanno ottenuto dal Touring Club Italiano il riconoscimento della “Bandiera arancione”. In questo luogo vicino al confine con la Francia, è presente la Sede Nazionale. Anche Dolceacqua è di antica origine: il nome deriva dal latino “villa dulciaca”, fondo rustico di età romana. Le più remote testimonianze del popolamento della zona sono rappresentate dai castellari dell’età del Ferro, rozze fortificazioni in pietra a secco ad anelli murari concentrici. Le tracce archeologiche raccolte confermano che questi capisaldi di difesa del territorio servivano per protezione di villaggi, pascoli e campi. La storia di Dolceacqua si identifica con le vicende del castello e della signoria dei Doria che vanta tra i molti personaggi Caracosa, madre dell’ammiraglio Andrea Doria; la dinastia entrata sotto la protezione sabauda, dal 1652 fu a capo del Marchesato di Dolceacqua. La storia di oggi è quella di un borgo ben conservato che guarda al futuro con l’occhio attento della cultura dell’innovazione. Il Comune wifi free ha, infatti, adottato la tecnologia più moderna per garantire, con un progetto innovativo, servizi di comunicazione, promozione ed assistenza alla visita turistica del borgo. Il progetto è stato finanziato con i soldi ricevuti dal Bando Regionale sui Servizi Associati con l’obiettivo di fornire maggiori servizi ai cittadini e contestualmente individuare forme di promozione ed incentivazione alla presenza di turisti sui territori.

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UN PROGETTO WIFI FREE “Il modello si può senz’altro esportare - ammette Fulvio Gazzola, sindaco di Dolceacqua [foto 1] e presidente dell’Associazione Paesi Ban- [01] diera Arancione - perché tutte le esperienze dei Comuni associati mirano a consolidare i processi di miglioramento quantitativo e qualitativo delle esperienze di rete - su tematiche legate all’ambiente, al turismo e al territorio - attraverso un confronto costante”. Le Bandiere arancioni oggi, come si è visto, sono 199, distribuite in tutta Italia (dato aggiornato a dicembre 2013). “Questa iniziativa è in continuo divenire, - spiega il sindaco Gazzola - il Touring ha oggi coinvolto molti territori che dopo anni di progressivo abbandono e distacco, vedono oggi un’inversione di tendenza, ma anche di costume sociale, con le nuove generazioni che preferiscono tornare là dove magari sono partiti genitori e nonni, su altri TCI lavorerà nel prossimo futuro. Il Modello di Analisi Territoriale (M.A.T.) del Touring Club Italiano prevede che le località che presentano la candidatura vengano approfonditamente analizzate anche sul campo. I sopralluoghi si svolgono in completa autonomia e in forma anonima e ripercorrono l’esperienza del turista, dalla ricerca delle informazioni, alla visita della destinazione, attraverso la verifica di oltre 250 criteri di analisi, raggruppati in cinque macroaree”. La Bandiera Arancione è il marchio di qualità turistico-ambientale con cui il Touring seleziona e certifica le piccole località (con meno di 15.000 abitanti) dell’entroterra, in base a rigorosi parametri turistici e ambientali. “È stata pensata dal punto di vista del viaggiatore e della sua esperienza di visita, - sottolinea Gazzola - viene assegnata alle località che non solo godono di un patrimonio storico, culturale e ambientale di pregio, ma sanno offrire al turista un’accoglienza di qualità. Attraverso uno specifico programma di lavoro si vogliono sensibilizzare all’accoglienza turistica territori dell’entroterra, premiare le località più meritevoli e attraverso Piani di miglioramento redatti ad hoc, accompagnarne anche altre verso l’innalzamento della qualità dell’offerta”.Un Marchio di Qualità costantemente monitorato dal Touring Club Italiano.

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QUEL FILO ARANCIONE CHE UNISCE L’ITALIA L’evoluzione della rete dei paesi, un’ offerta turistica di eccellenza, innumerevoli iniziative e scambi culturali. Preziose conoscenze messe al servizio dei cittadini, delle attività produttive, del turista e di tutti coloro che interagiscono con l’Associazione. I paesi Bandiera arancione, patrocinati dall’ENIT, rappresentano un circuito turistico virtuale basato su un valore reale, in grado di proporsi come scelta turistica dei viaggiatori garantendo la bontà e la qualità dell’esperienza vissuta durante la visita; e questo viene garantito dalla stessa scadenza triennale del Marchio, che viene costantemente monitorato dallo stesso Touring Club Italiano. L’ Associazione Bandiera Arancione ha come obiettivo principale la valorizzazione dei territori ed opera a tal fine promuovendo azioni e iniziative di stimolo ed impulso allo sviluppo turistico delle località; si adopera per la maggiore tutela e conoscenza della qualità e delle risorse ambientali, paesaggistiche, artistiche e storiche dei territori; promuove manifestazioni collettive per favorire lo scambio culturale e la diffusione di esperienze; svolge attività legate alla politica e di rappresentanza presso gli enti governativi; compie attività amministrativa

ed economica nei comuni assegnatari della Bandiera arancione. Le azioni dell’Associazione - il progetto ha ottenuto importanti riconoscimenti - mirano a consolidare i processi di miglioramento quantitativo e qualitativo delle esperienze di rete, su tematiche legate all’ambiente, al turismo e al territorio, attraverso un confronto costante; a ottimizzare l’informazione amministrativa, a condividere lo scambio efficace di buone pratiche; non ultimo, si propongono di incrementare i flussi turistici, comunicando una nuova possibilità di vivere il territorio. I Paesi associati sono uniti nella consapevolezza che il filo arancione che li lega lungo tutta l’Italia significa condivisione di progetti, ideali, obiettivi, nel rispetto dei principi del turismo sostenibile, ispirato a un modello civile. L’Associazione è tutto questo: sviluppo della rete dei paesi, forza di un circuito virtuale di offerta turistica di eccellenza, vitalità di iniziative e di scambi culturali, oltre al valore di infinite conoscenze messe al servizio dei cittadini, delle attività produttive, del turista e di tutti coloro che interagiscono con l’Associazione.


RES TIPICA & DINTORNI

Premio SKAL Ecotourism Award nella categoria“Cities and villages” (2008).

Miglior piano di promozione territoriale (Turismo Oggi – 2002).

Una veduta aerea di Sant’Agata di Puglia

L’OSSERVATORIO TOURING SUI PICCOLI COMUNI Ogni anno i paesi “arancioni” certificati dal Touring, accolgono, nella “giornata” dedicata alle Bandiere Arancioni, numerosi visitatori grandi e piccini, offrendo loro visite guidate, degustazioni, attività e manifestazioni. La Rassegna annuale, altro importante evento, si svolge in genere in primavera, si tratta di un’autentica kermesse giunta alla XIII edizione. Quest’anno tocca a Suvereto, in provincia di Livorno che accoglierà le delegazioni dei Paesi Bandiera Arancione, dal 4 al 6 aprile. E’ previsto un convegno su: “I valori da esportare, la responsabilità da condividere”. E poi ancora manifestazioni con una mostra su “Storie, scambi e laboratorio di identità” e sfilate dei gruppi storici ed esibizioni folcloristiche. Una grande festa, insomma, con la degustazione di prodotti tipici locali e buon vino. Nell’ambito dell’attività dell’ Associazione è nato l’Osservatorio Touring sui piccoli Comuni dell’entroterra che, attraverso la raccolta di dati e informazioni e l’elaborazione di statistiche e studi, analizza l’andamento di alcuni fenomeni socio-economici nei piccoli centri, e rileva, oltre all’andamento dei flussi turistici, l’attuazione di interventi concreti di miglioramento del territorio. In questo contesto vengono raccolte e diffuse le best-practice e verificata la gestione green del territorio, iniziative che possono essere da modello per altri Comuni. I dati sono confortanti: i Comuni hanno finalmente l’andamento demografico con un segno positivo (dal 1991 +8% di residenti), e sono molto più attrattivi grazie a una ricca offerta museale, un contesto

paesaggistico integro (il 40% delle località ricade in almeno un’area naturalistica protetta) ed una grande ricchezza di prodotti tipici, tutelati e certificati in più del 70% delle località. Queste risorse sono supportate da una solida rete d’accoglienza in continua espansione (più di 7 strutture ricettive e 6,7 ristoranti ogni 1.000 abitanti), nel 2010 si è registrato un incremento medio di strutture del 9% rispetto all’anno precedente, rispetto al 3,4% nazionale. I flussi di visitatori dimostrano che le Bandiere arancioni hanno intrapreso la giusta strada: negli ultimi anni i segni sono positivi, arrivi +8% e presenze +7,3%, in continua ascesa rispetto al passato, a fronte di variazioni negative a livello nazionale. Pierpaolo Bo ha collaborato Fiorella Managò

Accreditato dal WTO come good practice nel turismo sostenibile (unico progetto italiano tra 50 scelti in 31 paesi – 2001).

5 BUONI MOTIVI PER CERTIFICARE LA QUALITÀ ACCOGLIENZA: presenza e completezza dei servizi di informazione turistica e della segnaletica; accessibilità alla località, mezzi di trasporto e mobilità interna. RICETTIVITÀ E SERVIZI COMPLEMENTARI: completezza, varietà e livello del sistema ricettivo e ristorativo, nonché di eventuali servizi complementari. FATTORI DI ATTRAZIONE TURISTICA: grado di conservazione e fruibilità delle risorse storico-culturali e ambientali; offerta di produzioni agroalimentari e artigianali tipiche; valorizzazione della cultura locale attraverso manifestazioni ed eventi. QUALITÀ AMBIENTALE: azioni intraprese nell’ambito della gestione ambientale e dei rifiuti; adozione di soluzioni volte al risparmio energetico e iniziative di educazione ambientale; presenza di eventuali elementi detrattori della qualità paesaggistica e ambientale. STRUTTURA E QUALITÀ DELLA LOCALITÀ: valutazione delle componenti, anche immateriali, decisive per determinare l’esperienza del visitatore e creare un’immagine positiva della destinazione.

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PROPRIETÀ COLLETTIVE

LE UNIVERSITÀ AGRARIE SONO ENTI PRIVATI AI SENSI DELLA L.97/1994, CHE LA REGIONE LAZIO, PER MANCANZA DI VOLONTÀ POLITICA, ORMAI DA OLTRE 20 ANNI NEL CORSO DEI QUALI SI SONO AVVICENDATI TUTTI I COLORI POLITICI, SI OSTINA A VOLER MANTENERE NELLA CONFUSIONE LEGISLATIVA. ENTI PUBBLICI NON ECONOMICI PER UNA SENTENZA DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE DEL 2008 ED ENTI PRIVATI IN FORZA DI UNA LEGGE DELLA REPUBBLICA. TALI ENTI AMMINISTRANO DIRITTI GRAVANTI SU TERRENI PUBBLICI E PRIVATI, GENERALMENTE DI NATURA AGRO-SILVO-PASTORALE, DI PROPRIETÀ DELL’INSIEME DELLE COLLETTIVITÀ DEGLI ABITANTI TITOLARI, OVVERO DI PRIVATI CHE DEBBONO RISERVARE ALLA STESSA COLLETTIVITÀ L’USO DEI DETTI DIRITTI. GLI UTENTI FRUISCONO DEL BENE, RISPETTO ALL’UTILIZZAZIONE DELLE RISORSE AGRICOLE DEI TERRENI, SENZA PERÒ POTERLO ALIENARE. I DIRITTI DI USO CIVICO, INUSUCAPIBILI, INALIENABILI E IMPRESCRITTIBILI, APPARTENGONO AD UNA COLLETTIVITÀ CHE NE RICAVA BENEFICI UTILI ALLA PROPRIA SUSSISTENZA, NONCHÉ AL PATRIMONIO COLLETTIVO STESSO. L’ANTICA DIATRIBA PER IL POSSESSO DI QUESTI BENI

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uanta confusione si fa nel Lazio attorno all’Istituto Università Agrarie che rappresentano vestigia di un’epoca passata: esse si riportano, infatti, alle forme antiche della proprietà collettiva, di cui costituiscono la memoria storica. In base alla legge n. 1766 del 1927, le Università Agrarie, diffuse in tutto il territorio regionale tutelano i territori gravati da questi diritti, che nel Lazio sono stati stimati in ben 500.000 ettari, su una superficie regionale complessiva di 1.800.000 ettari. Ogni Università Agraria è regolamentata da un proprio statuto. Oggi, di queste istituzioni nel Lazio, se ne contano ben 90. Le Università Agrarie per tantissimi anni, hanno fatto funzionare senza particolari problemi un sistema agro-economico di tutto riguardo ed è grazie al loro operato se ancora oggi gran parte del paesaggio agro-silvo pastorale del Lazio può essere annoverato fra i paesaggi più belli della nostra Italia. Le Università Agrarie sono diffuse su circa il 15% dei comuni del Lazio, con una prevalenza nelle Province di Rieti, Roma e Viterbo. Può beneficiare della gestione degli usi civici da parte delle Università agrarie il 5,5% della popolazione della

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LA BATTAGLIA SENZA TEMPO DEGLI AGRICOLTORI LAZIALI regione. Ed è affidato alle Università agrarie il 6% dei terreni agricoli regionali, l’8% delle superfici a pascolo, oltre il 10% delle superfici boschive. Tutto questo viene messo in discussione, almeno da alcune amministrazioni comunali. La querelle dura da anni: Marcello Marian, presidente dell’Associazione Regionale Università Agrarie del Lazio [01] (A.R.U.A.L.) [foto 1] è molto battagliero. Dice: “Dobbiamo evitare che si ripetano sistematicamente abusi a nostro danno messi in atto da altri soggetti istituzionali che per troppo tempo l’hanno fatta da padroni liquidando vasti territori e diritti della collettività, in spregio alle normative esistenti, finanche alle sentenze della Corte costituzionale, privilegiando soltanto fini personali dei singoli interessati, non senza la complicità degli Organi regionali e comunali, che invece ai sensi di legge, avrebbero dovuto tutelare tale Istituto. La nostra battaglia quotidiana è soprattutto rivolta alla tutela dei nostri territori, vera e propria mira di speculatori e profittatori di ogni genere, che in ragione della loro posizione dominante vorrebbero approfittarne. La miopia istituzionale regionale e comunale, non sa guardare oltre il limite egoistico dell’eterna usurpazione dei beni collettivi, senza vedere l’opportunità che ne potrebbero derivare se, soprattutto in questi momenti di crisi economica e istituzionale, applicassero il principio della sussidiarietà introdotto dall’art. 118 della Costituzione e riuscissero a vedere le Università Agrarie come soggetti che potrebbero aiutare tali istituzioni nel governo della cosa pubblica”. Attualmente l’A.R.U.A.L., una libera associazione privata che amministra i diritti di uso civico e proprietà collettive delle popolazioni del Lazio, è impegnata principalmente per la predisposizione di un progetto di legge (la proposta di legge di revisione della L.R. 1/1986 come modi-

ficata dalla L.R. n. 6/2005 sulle Università Agrarie del Lazio) che ne disciplini le attività e le funzioni, attraverso regole certe, fornendo finalmente chiarezza normativa. “Tale legge, potrà tutelare i nostri territori, restituendoci un antico diritto”- confida Marian. “Credo sia importante sottolineare il ruolo di tutela che le Università Agrarie svolgono sia dal punto di vista dell’ambiente quanto da quello dello sviluppo - sono circa 55 mila gli ettari del territorio laziale, classificati giuridicamente come proprietà collettiva. Le Università Agrarie hanno dimostrato la possibilità reale di gestire il patrimonio secondo una logica che va oltre la dicotomia classica tra pubblico e privato, ispirandosi appunto al Bene della collettività”. “E’ giusto precisare, - come ricorda il prof. Pietro Nervi [foto 2], membro del Comitato Scientifico di Energeo - che quando parliamo di proprietà collettive ci riferiamo ad un preciso ordinamento [02] giuridico che affonda le sue radici in epoche storiche remote, la cui fonte del diritto è rappresentata dalla tradizione. Il suolo detenuto in proprietà collettiva è indivisibile, inalienabile, inusucapibile e perennemente vincolato a funzioni agro-silvo-pastorali. Il diffondersi in epoca moderna della proprietà privata individuale e di quella pubblica statale, il mutato quadro economico e sociale, hanno etichettato questi regimi a “fossili” del passato”. La legge vigente del 16 giugno 1927, n. 1766 sul riordinamento degli usi civici, ha dettato una nuova disciplina per le università ed altre associazioni agrarie, vietando la costituzione di nuove associazioni per il promiscuo godimento delle terre, pur consentendo il riconoscimento a quelle già esistenti di fatto. È ordinato però lo scioglimento delle associazioni, se il patrimonio sia insufficiente ai bisogni degli utenti o vi siano motivi per ritenere inutile o dannosa l’esistenza di esse. Infine i terreni


I sentieri naturalistici, culturali ed ambientali

di uso civico delle associazioni debbono essere aperti agli usi civici di tutti i cittadini del comune o della frazione; salvo che si tratti di diritti spettanti a determinate classi di persone per disposizione speciale di leggi anteriori o per sentenza passata in giudicato, ovvero che si tratti di associazioni composte da determinate famiglie, le quali, possedendo esclusivamente terre atte a coltura agraria, vi abbiano apportato sostanziali e permanenti migliorie. L’ordinamento vigente, pur essendo restrittivo nei riguardi delle Università Agrarie, salva e valorizza le funzioni vitali che esse possono tuttora svolgere, specie in quei luoghi e per quelle terre che meglio si prestano a forme di godimento collettivo anziché individuale.

LE ANTICHE UNIVERSITATES HOMINUM Le colonie romane già avevano sviluppato queste forme antiche di condivisione del territorio. Ma le origini più prossime delle università agrarie si ritrovano nell’epoca delle dominazioni barbariche, quando, venuti meno i municipi romani col loro carattere politico, le popolazioni si ridussero a semplici aggruppamenti di fatto, cementati da una comunanza d’interessi economici. A queste universitates hominum vennero ad appartenere le terre non assegnate in proprietà privata e che restarono quindi come dominio collettivo: su di esse gli abitanti esercitavano collettivamente le facoltà di seminare, pascolare, tagliare legna, raccogliere erba, costruire capanne, ecc.; e molto spesso la

partecipazione alla comunità col godimento dei diritti relativi era legata al possesso di queste terre che altrimenti sarebbero rimaste incolte. “Mò ce provo, pure io!”. Lo dicevano, forse, con un pizzico di ironia anche i feudatari laziali, contrari alla proprietà collettiva. Talvolta l’antico dominio dell’Università venne assorbito dal diritto del signore, restando agli abitanti i semplici usi civici; altrove la comunità riuscì a conservare il proprio dominio, trovando anzi nei tentativi d’usurpazione dei feudatari il motivo per una più forte organizzazione; altrove si costituirono forme intermedie di collaborazione fra il signore e la collettività.

L’UNIVERSITÀ AGRARIA DI TARQUINIA Facciamo come esempio il caso dell’ Università Agraria di Tarquinia, una delle più conosciute. Le origini vanno ricercate in quella che nel tardo medioevo italiano era la realtà delle Arti e delle Corporazioni. A Corneto, tra il XIV ed il XV secolo, è attestata la presenza di due importanti Arti: quella degli Ortolani, documentabile sin dal 1379, anno della redazione dello Statuto, e quella dei Lavoratori del frumento, per la quale esistono testimonianze e citazioni nelle Riformanze della metà del ‘400. Le attività, orticole e cerealicole svolte dall’Arte degli Ortolani e dall’Arte dei lavoratori del frumento, erano strettamente legate alla realtà economica e sociale del territorio, per la quale l’agricoltura era la principale risorsa. Questa è storia di ieri, raccontata dalla documentazione archivistica gelosamente conservata da queste antiche istituzioni che regolavano il godimento dei terreni affittati ai partecipanti, vale a

dire i soci allevatori di bestiame quando sul territorio esisteva la comunanza del pascolo. Proprio nelle Università agrarie nel 1894 confluirono le antiche Arti Agrarie e le Società dei Bovattieri, che nel territorio del Lazio erano l’ossatura dell’agricoltura e dell’allevamento. Le Università Agrarie vengono anche definite “enti antichi non antichi”, radicati nella coscienza delle popolazioni, che vi si identificano a volte più che nel Comune; istituzioni che conservano e tramandano le identità culturali dei territori che gestiscono. L’ A.R.U.A.L., libera associazione privata degli Enti agrari che amministrano i diritti di uso civico e proprietà collettive delle popolazioni del Lazio, rappresenta gli enti agrari del Lazio in tutte le sedi, (nazionali, regionali e locali) dove vengono discussi e presentati provvedimenti che riguardano comunemente detti “usi civici”. In una regione

come il Lazio, che nel corso della storia ha vissuto tutte le trasformazioni sociali e culturali generate dall’agricoltura, soggetti culturali come le Università Agrarie costituiscono indubbiamente un patrimonio importante poiché rappresentano una memoria storica fondamentale delle comunità locali. Non è affatto casuale che lo Stato dal 1984 le abbia riconosciute quali “Beni Culturali” per eccellenza, né è casuale che siano tutelate anche nel Codice dei Beni Culturali “in quanto testimonianza avente valore di civiltà”: quest’ultimo peraltro è l’aspetto che interessa maggiormente l’assessorato regionale alla Cultura del Lazio. Le Università Agrarie sono infatti espressione della storia delle comunità della regione; sono le principali titolari della civiltà contadina del territorio; custodiscono, nei loro archivi, memorie e reperti fondamentali di storia agraria e sociale. Francesca Vassallo

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PROPRIETÀ COLLETTIVE

TERRE ANCORA CONTESE, AMBITE COME NEL MEDIOEVO, PER SCOPI POCO CHIARI, IN SPREGIO ALLE NORMATIVE ESISTENTI. SONO CIRCA 55 MILA GLI ETTARI DEL TERRITORIO LAZIALE CLASSIFICATI GIURIDICAMENTE COME PROPRIETÀ COLLETTIVA. LE UNIVERSITÀ AGRARIE SVOLGONO UN RUOLO PREZIOSO SOTTO IL PROFILO DELLA TUTELA AMBIENTALE E DELLO SVILUPPO ED HANNO DIMOSTRATO LA CAPACITÀ DI GESTIRE IL PATRIMONIO SECONDO UNA LOGICA CHE VA OLTRE LA DICOTOMIA CLASSICA TRA PUBBLICO E PRIVATO, ISPIRANDOSI ESCLUSIVAMENTE AL BENE DELLA COLLETTIVITÀ


CAPITALI DELLA CULTURA 2019

GIANNA NANNINI, SENESE DA GENERAZIONI, CONTRADAIOLA DELL’OCA, SARÀ TESTIMONIAL D’ECCEZIONE DI UN PROGETTO AMBIZIOSO CHE MIRA A FAR DIVENTARE SIENA CITTÀ DELLA CONOSCENZA E DELL’APPRENDIMENTO. UNA CITTÀ CHE SAPPIA COSTRUIRE SUL GRANDE PATRIMONIO DI IDEE, COMPETENZE E TALENTI DELLE DUE UNIVERSITÀ, DEL SISTEMA DELLA FORMAZIONE, E DELLE ISTITUZIONI CULTURALI, CENTRI DI RICERCA ED ACCADEMIE DI GRANDE PRESTIGIO, ATTRAENDO ULTERIORI ECCELLENZE INTERNAZIONALI

SIENA, UNA CITTÀ DA RIPENSARE LA CITTÀ DEL PALIO HA BISOGNO DI NUOVI STIMOLI CULTURALI PER RIDISEGNARE LE LEVE DI SVILUPPO ECONOMICO E SOCIALE. LA SFIDA PER CONCORRERE A CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA DIVENTA UN’OCCASIONE UNICA DI RILANCIO DELL’ECONOMIA SENESE. IL TERRITORIO HA BISOGNO DI DARE NUOVO IMPETO ALLA SUA CULTURA IMPRENDITORIALE. IL PROGETTO MIRA AD ATTRARRE SUL TERRITORIO DA 70 A100 MILIONI DI EURO DI INVESTIMENTI, ANCHE PRIVATI, ENTRO IL 2019 CON UN MOLTIPLICATORE - STIMATO, MA CONFERMATO ANCHE DALL’UNIONE EUROPEA - CHE PREVEDE UN RAPPORTO DI CRESCITA ESPONENZIALE

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igenerare la vita culturale, sociale ed economica della città, valorizzare le competenze dei cittadini, utilizzare la cultura per rimettere in contatto l’economia con la società. Con un progetto innovativo, Siena, che ha superato la prima fase di selezione entrando nella short list delle sei città finaliste, si prepara allo shuss finale di questa meravigliosa avventura per essere designata Capitale Europea della Cultura 2019. Il 21 luglio verrà consegnato presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, alla giuria selezionatrice, il secondo dossier di candidatura, in una versione ampliata e rivista rispetto a quello già consegnato.
 La città, colpita da una grave crisi economica, per difendere l’autenticità della propria cultura, auspica che l’eventuale esito positivo espresso dalla Commissione giudicatrice sia l’inizio di un nuovo percorso. Soltanto allora si potranno sviluppare e realizzare i progetti avviati fino ad arrivare al 2019, anno in cui avrà luogo la manifestazione. Se

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Un momento del Palio di Siena

la città sarà capace di portare avanti questo percorso e di confermare, nei fatti, quelle suggestioni che hanno già affascinato e convinto una prima volta la giuria internazionale, allora la ricaduta anche economica sul territorio sarà notevole. Ci sono 40 milioni di euro promessi dalla Regione Toscana, pronti se Siena vincerà la corsa. Molti dei progetti senesi rientrano a tutti gli effetti nella visione strategica della programmazione culturale regionale. Ma c’è di più. Il progetto mira ad attrarre sul territorio da 70 a100 milioni di euro di investimenti, anche privati, entro il 2019, con un moltiplicatore - stimato, ma confermato anche dall’Unione Europea - che prevede un rapporto addirittura di 1 a 5: significa che per ogni euro investito nel progetto, ne torneranno cinque. Risorse che serviranno a rilanciare la cultura, e con quella un’intera economia: il turismo sostenibile e di qualità, l’impresa creativa giovanile, la tecnologia intesa come smart city, l’integrazione sociale. La candidatura a

Capitale Europea della Cultura dovrà servire per riportare l’esperienza della creazione nel tessuto della vita comunitaria. “Abbiamo bisogno di [01] nuovi stimoli culturali - dice il prof. Pierluigi Sacco [foto 1], presidente dell’Unità Operativa e direttore di candidatura Siena Capitale Europea della Cultura 2019 - per alimentare una nuova ondata di generazione di patrimonio civico intangibile, così da ridisegnare le leve di sviluppo economico e sociale della città. La Capitale Europea della Cultura diventa un’occasione unica di rilancio dell’economia senese. La città del Palio e il territorio circostante hanno bisogno di rilanciare la propria cultura imprenditoriale”. All’Unità operativa e in città l’attesa diventa febbrile. Questo evento da solo non può realisticamente ricostruire l’economia locale, ma può dare una spinta decisiva ad una specializzazione smart nell’economia della cono-


CAPITALI DELLA CULTURA 2019 Siena, piazza del Campo

scenza, nelle industrie culturali e creative (ICC), nella information technology (IT), nel biotech, e nell’economia verde, con una particolare attenzione per le imprese sociali, ed una rete profondamente radicata di partner europei di peso. “I nostri obiettivi,- sottolinea Pierluigi Sacco - sono la creazione di nuove imprese, anche sociali, non solo nelle industrie culturali e creative e nell’IT, ma anche in nuovi settori di frontiera quali il welfare culturale, il turismo esperienziale verde, e così via. Ciascuna di esse dovrebbe avere almeno un partner europeo con cui lavorare su progetti congiunti di sviluppo”.

SFIDA AL PHOTO FINISH Le altre città pronte alla competizione sono Matera, Ravenna, Perugia, Lecce e Cagliari: si stilerà una classifica al photo finish? Energeo presenterà, in ogni numero, i progetti delle sei candidate, con l’obiettivo di confrontare le sei proposte in un incontro pubblico previsto a Firenze, il prossimo 15 novembre, nel corso della Cerimonia conclusiva di conferimento della Medaglia Spadolini, che avrà come focus il 40° Anniversario di Fondazione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, per testimoniare il valore di questa iniziativa europea. Tra cinque anni una soltanto sarà la capitale europea ma tutte le ventuno candidate che avranno compiuto un grande sforzo nel progettare l’am-

modernamento del patrimonio culturale, lo sviluppo turistico e il sistema infrastrutturale delle proprie città, con il coinvolgimento di cittadini, associazioni, imprese ed enti, potranno valorizzare quanto contenuto nei dossier di candidatura presentati dalle città. Cidac, l’associazione delle città d’arte e cultura, ha proposto il progetto “Programma Italia 2019”, che dovrà servire per mettere in luce questi interessanti obiettivi.

CITTÀ CHE SI VUOLE RIPENSARE Tornando alla città del Palio, i cittadini desiderano una Siena che sappia ripensarsi come città della conoscenza e dell’apprendimento, che sappia costruire partendo dal grande patrimonio di idee, competenze e talenti delle due università, del sistema della formazione, e delle istituzioni culturali, centri di ricerca ed accademie di grande prestigio, attraendo ulteriori eccellenze internazionali. La sfida è stata colta [02] da Gianna Nannini [foto 2], senese da generazioni, contradaiola dell’Oca, testimonial d’eccezione di questo progetto ambizioso. “I senesi sono pronti per ri-creare un luogo ospitale per artisti, creativi, ingegneri ed innovatori che fanno errori, imparano, ed esplorano nuovi territori” - confida il prof. Pierluigi Sacco -. Ma non basta. Perché il percorso è ancora lungo: ci sono davanti pochi mesi in cui alle sei città finaliste verrà chiesto di approfondire le linee strategiche illustrate nei dossier, iniziando a presen-

tare progetti concreti e, soprattutto, di organizzare al meglio la visita della giuria, prevista nella prossima estate. Quello - come ha sempre detto Sacco - sarà il momento in cui si dovrà davvero raccogliere la collaborazione, il contributo e l’appoggio della città e della comunità al progetto. Perché in quei giorni la giuria internazionale (13 membri in tutto, 7 stranieri nominati dalle istituzioni internazionali e 6 italiani, nominati dal ministero dei beni culturali) vorrà capire quali sono le reali potenzialità di sviluppo dei progetti.

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CAPITALI DELLA CULTURA 2019

IL PROGRAMMA SI ARTICOLA IN TRE SEZIONI, A LORO VOLTA SUDDIVISE IN DIECI PERCORSI SIENA VUOLE NON PIÙ SOLTANTO “CONSERVAZIONE”, NON PIÙ SOLTANTO “MANTENIMENTO DEL PASSATO”, MA VISIONI PROSPETTICHE DEL FUTURO, PROIEZIONI IN AVANTI, COMMISTIONI E INFLUENZE ALLA RICERCA DI UNA NUOVA E CONTEMPORANEA PROGETTAZIONE CULTURALE. SIENA DOVRÀ, INSOMMA, ESSERE MENO GUARDIANA DEL PROPRIO STESSO MUSEO E PIÙ LUOGO DI LABORATORIO E DI CONFRONTO. UNA SFIDA CHE È, FORSE, LO SCOGLIO PIÙ DURO

PROGETTO MIRATO AL RILANCIO DELLA CULTURA La città del Palio presenta un progetto concreto di rilancio dell’economia cittadina attraverso la cultura. Il contenuto del programma si articola in tre sezioni, a loro volta suddivise in dieci progetti. La prima riguarda cultura, salute e felicità: stress e depressione si stanno diffondendo nella popolazione. Attraverso una strategia della prevenzione, progetti e iniziative culturali possono alleviare questi disagi e migliorare il benessere psico-fisico dei cittadini. Il secondo spazio si propone di sviluppare cultura e giustizia sociale: ridurre le barriere d’accesso per persone con difficoltà motorie e/o sensoriali, agevolare l’integrazione culturale delle minoranze etniche e combattere la disoccupazione giovanile. Le parole chiave sono accessibilità e inclusione sociale. Mentre la terza sezione (cultura e turismo intelligente) individua nuove forme innovative di turismo responsabile. Non solo visite superficiali e frettolose ai “luoghi simbolo”, ma scambio di esperienze e creazione di relazioni tra individui e tra comunità culturalmente differenti. In sostanza la città sarà intesa come

piattaforma di apprendimento ed innovazione sociale. “Il patrimonio è socialmente vivo, animato dalla comunità, e i suoi componenti sono in una relazione simbiotica, - conferma il professor Sacco- l’inclinazione senese per il patrimonio culturale intangibile come motore del cambiamento sociale ed economico è un punto ideale di partenza per fare uso della partecipazione culturale a livello comunitario per ridare energia alla città e dare inizio ad un nuovo ciclo”. Queste tre tematiche svilupperanno altri dieci progetti, che avranno come filo conduttore la cultura, in un itinerario che attraverserà la città a zig zag per cambiare un paradigma, una forma di pensiero. Non più soltanto conservazione, non più soltanto mantenimento del passato, ma visioni prospettiche del futuro, proiezioni in avanti, commistioni e influenze alla ricerca di una nuova e contemporanea progettazione culturale. Siena dovrà, insomma, essere meno guardiana del proprio stesso museo e più luogo di laboratorio e di confronto.

PILLOLE DI CULTURA

MUSICA PER TUTTA LA COMUNITÀ

PARLIAMO DI SOLDI, IN PAROLE SEMPLICI

Si parte dal CULTURAL EMERGENCY ROOM - “La cultura che fa stare bene”: un vero e proprio “pronto soccorso” che sarà allestito nella Cappella del Manto dove equipes di medici, di artisti e di operatori culturali prescriveranno “ricette culturali” ai cittadini e ai visitatori. Esistono infatti studi scientifici che certificano come la partecipazione alle attività culturali produca effetti terapeutici positivi per molte patologie. L’obiettivo è quello di creare strumenti in grado di aiutare la comunità ad affrontare i disagi tipici di questi anni di crisi sociale.
Il progetto prevede anche la realizzazione di tre centri, posizionati rispettivamente nella periferia di Siena e nella sua provincia, di welfare culturale, che si occuperanno di ricerca, di sperimentazione, e di valutazione degli effetti che le performance e le attività artistiche hanno sulla comunità senese ed in particolare sulla popolazione anziana.

Il programma non trascura “La musica come dialogo fra culture diverse”: un progetto (PLAY THE CITY) che dovrà trasformare la città e la provincia in un “conservatorio diffuso” grazie alla creazione di cori e di orchestre giovanili. “Siena - spiega il presidente Pierluigi Sacco- diventerà uno spazio dove la musica diventa così un mezzo perfetto di comunicazione e di aggregazione tra cittadini, visitatori e tra realtà culturalmente differenti. La città risuonerà come strumento musicale suonato dall’intera comunità”.
Il progetto prevede inoltre la creazione di programmi di musicoterapia, in rete con vari centri in Europa. Molti studi infatti dimostrano come le attività musicali siano utili nel supporto alla cura di sindromi gravi, soprattutto di quelle legate alle difficoltà di apprendimento.

In una città colpita da grave crisi, sembra opportuno affrontare il tema “L’economia in parole “povere”. Il progetto NAPKIN ECONOMICS vuole tradurre il linguaggio e i concetti di una disciplina come l’economia in modo che siano comprensibili a chiunque. A questo compito sono chiamati gli economisti di fama internazionale che verranno a Siena per il progetto. Gli incontri si svolgeranno sotto forma di forum cittadini, dibattiti o semplici conversazioni in luoghi pubblici. Verranno anche selezionati e invitati a Siena alcuni studenti delle più prestigiose università europee di Economia, di Giurisprudenza, e di Scienze Politiche che parteciperanno al progetto realizzando una serie di documentari, con lo scopo di rendere visibile il problema dell’accessibilità e della comunicazione pubblica delle tematiche economiche.

La cerimonia di presentazione della candidatura

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LA TOSCANA CHE NON T’ASPETTI

Un segnale di speranza verrà fuori dall’iniziativa “Ballare ancora, ballare da fermi”. STILL DANCING è, infatti, una piattaforma tecnologica, realizzata in collaborazione con la start up Liquidweb, studiata per consentire anche a chi ha invalidità escludenti di potersi esprimere in performance creative, partecipando attivamente al processo di produzione culturale. Inoltre si esplorerà anche il potenziale della cultura per tutte le patologie socialmente invalidanti e in particolare per le malattie rare, con l’affiancamento di operatori culturali e di equipes mediche appositamente formate.

Un aspetto innovativo lo troviamo nel progetto “La cultura come remix”: CopyWrong deriva dalla scomposizione del termine inglese “copyright” . E’ un nuovo tipo di licenza per contenuti creativi che consente a chiunque di potersi appropriare di un’opera a patto che s’ impegni a rielaborarla prima di rimetterla in circolo, proponendo un superamento completo del diritto d’autore tradizionale. Siena intende, inoltre, ospitare un festival dedicato ai prodotti culturali collettivi creati sotto il marchio CopyWrong per dare vita a nuove reti di “remix creativo” attraverso l’Europa. Tocca, invece, ad una piattaforma on line che racchiude storie, racconti, ed esperienze legate alla cultura e all’identità senese, raggruppare “Il patrimonio della memoria collettiva”. GIFT OF LIFE rappresenterà un archivio digitale nel quale collezionare tutto il “patrimonio intangibile” delle 17 Contrade della città. Il progetto, sviluppato insieme al metaLAB dell’Università di Harvard, mira a proporre una nuova strategia di valorizzazione della memoria comune ed a formare una nuova generazione di curatori di contenuti digitali.

Il progetto “Reinventare gli stereotipi culturali” intende presentare una nuova immagine per la Toscana, meno stereotipata e più contemporanea. TUSCANY IN YOUR BATHROOM coinvolgerà i giovani toscani, che raccoglieranno in un archivio digitale le immagini “convenzionali” della Toscana provenienti da tutta Europa. Queste saranno poi rielaborate e diffuse in maniera virale in luoghi fisici di tutto il continente. Sarà coinvolto anche il settore eno-gastronomico, con l’allestimento di punti di ristoro pop-up che venderanno nelle città europee cibi classici toscani, reinterpretati secondo le preparazioni tipiche delle culture migranti che hanno arricchito il territorio regionale.

IL VIRUS DELLA CULTURA

UNA CULTURA SENZA OSTACOLI

LA VOGLIA DI IMPARARE

Dalla Toscana che non t’aspetti il programma conduce in un luogo dove “La cultura è contagiosa”. La creazione di relazioni e il coinvolgimento di culture diverse per collaborazioni, co-produzioni e condivisione di esperienze permetterà di ampliare la rete di relazioni e di trovare nuovi partners attraverso una vera e propria contaminazione culturale.Uno dei moduli di INFECTIVE ROADS prevede l’attivazione di un laboratorio di creazione artistica collettiva, con padiglioni temporanei allestiti in tutta la provincia, e dopo il 2019 in diverse città europee, nei quali artisti e popolazione residente collaboreranno tra loro.

Il contagio collettivo coinvolgerà Para-site, un progetto che prevede lo sviluppo di approcci innovativi che rendano la città pienamente accessibile anche per le persone disabili . Parasite ha per tema, infatti: “la cultura che non ha barriere”. Tramite dei workshop aperti a studenti di università di design europee, verranno ideate e realizzate delle installazioni, vere e proprie “protesi” urbane, che risolvano concretamente i problemi di utilizzo degli spazi storici. Il progetto sarà realizzato in collaborazione con tutte le associazioni del territorio legate al tema della disabilità, sia per quanto riguarda il confronto diretto con coloro che vivono queste problematiche nella quotidianità, sia per lo sviluppo di una mappatura digitale che localizzi gli ostacoli architettonici e proponga soluzioni dinamiche, creative e condivise.

Un avvertimento al termine del percorso: “Sbagliare bene per imparare”. Il decimo progetto celebra il 500° anniversario della morte di Leonardo da Vinci, in un modo diverso, non glorificandone semplicemente creatività, quanto riscoprendone il metodo di lavoro, basato sulla curiosità, la passione per la sperimentazione. Siena è sempre stata una città che insegna. LEONARDO 500 vuole restituire alla città il desiderio di imparare, utilizzando proprio l’approccio di Leonardo: facendo tentativi, commettendo errori. Il progetto sarà composto da vari moduli e prevederà ad esempio la mappatura digitale completa del corpo umano, la creazione di una piattaforma di serious gaming per lo sviluppo di nuovi strumenti didattici ed educativi, ma anche progetti artistici indirizzati a bambini e adolescenti. a cura della redazione di Energeo

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IL PATRIMONIO DELLA MEMORIA LA LICENZA PER ESSERE COLLETTIVA CREATIVI


FIRENZE E LA STORIA INDUSTRIALE

NUOVO PIGNONE, A SCUOLA DI ALTA PROFESSIONALITÀ E INNOVAZIONE TECNOLOGICA Gli specialisti di GE Oil & Gas impegnati in una fase di controllo di una sofisticata apparecchiatura

L’ECCELLENZA TECNOLOGICA E PROFESSIONALE SONO DUE TRATTI DISTINTIVI DELL’AZIENDA GUIDATA DA MASSIMO MESSERI. FATTURATO IN CRESCITA E DATI ECONOMICI ECCELLENTI DIMOSTRANO CHE SE LA TECNOLOGIA È DI ALTO LIVELLO E SE SI EFFETTUANO INVESTIMENTI ADEGUATI IN RICERCA E FORMAZIONE, SI PUÒ RIMANERE COMPETITIVI ANCHE PRODUCENDO IN ITALIA

IL NUOVO PIGNONE, AZIENDA DEL GRUPPO GE OIL & GAS, CONTA OLTRE 5300 DIPENDENTI IN ITALIA, DI CUI OLTRE 4700 IN TOSCANA. LA STRATEGIA AZIENDALE PUNTA SU SVILUPPO, INNOVAZIONE E FORMAZIONE DI PERSONALE TECNICO ALTAMENTE QUALIFICATO.

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a una parte la storia, con le sue piazze che si spalancano improvvise al sole e le sue strade che somigliano a tagli aperti nell’ombra. Dall’altra la gente di San Frediano, Santo Spirito e San Niccolò. Firenze, la città del Rinascimento, qualche anno prima di diventare capitale del Regno aveva meno di 400 mila abitanti ed una storia esclusiva da raccontare: quella di Nuovo Pignone, la fabbrica sentita dalla popolazione come componente fondamentale della città, al pari dei suoi monumenti. Questa è la storia del Nuovo Pignone, capogruppo GE Oil & Gas, (oltre 5300 dipendenti in Italia, di cui oltre 4700 in Toscana), che rappresenta un centro d’eccellenza mondiale per turbine a gas, compressori e pompe che vengono installati negli impianti in tutto il pianeta. A 20 anni dall’acquisizione del Nuovo Pignone da parte di General Electric, l’attività dell’azienda è cresciuta di ben sette volte in termini di ordini, se guardiamo al solo Nuovo Pignone, di ben 20 volte se consideriamo che l’azienda è stata capofila di quello che adesso è il grande gruppo GE Oil & Gas. L’azienda fiorentina ha sempre dimostrato di avere un’alta vocazione internazionale, integrandosi all’interno di una multinazionale straniera senza per questo perdere la propria identità. Negli stabilimenti Nuovo Pignone in Italia viene gestito l’intero ciclo produttivo, dallo studio e dallo sviluppo di nuovi prodotti, alla produzione, alla commercializzazione, fino alla gestione post vendita, con i relativi servizi di assistenza al cliente.

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MASSIMO MESSERI [FOTO 1]: “LA NOSTRA ECCELLENZA IN CAMPO TECNOLOGICO E LA NOSTRA ATTENZIONE ALL’AMBIENTE SONO LA CHIAVE DEL NOSTRO VANTAGGIO COMPETITIVO E CONSEGUENTEMENTE DEL SUCCESSO DEI NOSTRI CLIENTI”

NUMERI CHE PARLANO DI SVILUPPO E SOSTEGNO ALLA CRESCITA Nel nostro paese lavorano per Nuovo Pignone oltre 1700 ingegneri su un totale di 5.300 dipendenti. Il fatturato 2013 del Nuovo Pignone è stato di 6 miliardi di dollari. Oggi il gruppo GE Oil & Gas conta circa 45.000 dipendenti nel mondo, in oltre 100 paesi, e nel 2013 ha registrato un fatturato di 17 miliardi di dollari. Dei 5300 dipendenti, oltre 4700 hanno sede in Toscana , presso gli stabilimenti di Firenze (dove sono oltre 4400) e di Massa. A Bari, Talamona (provincia di Sondrio) e Vibo Valentia lavorano gli altri dipendenti del Nuovo Pignone in Italia. Questi numeri fanno di Nuovo Pignone una delle realtà industriali più importanti a livello di Firenze e di regione Toscana, ma anche nel panorama nazionale. Per sostenere la crescita l’azienda ha investito, nel 2013, 87 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo di nuovi prodotti; 76 miliardi di dollari negli stabilimenti; 6 miliardi di dollari sono stati investiti nella formazione dei dipendenti, un trend positivo: nel 2010 gli investimenti in formazione erano di 5,1 milioni di dollari.

L’IMPEGNO NELLA FORMAZIONE, UNA SFIDA GLOBALE La ricerca globale di idrocarburi sta spingendo l’industria verso aree sempre più difficili e remote, spesso con vincoli ambientali stringenti. Nuovo Pignone risponde a questa sfida puntando sulla formazione di personale tecnico altamente qualificato. Proprio a Firenze l’azienda ha istituito tre importanti realtà che hanno l’obiettivo di creare profili con competenze specifiche: Technical Training Academy, Florence Learning Center, Oil & Gas University. Nella prima vengono formati tecnici specializzati nell’industria del petrolio e del gas: ingegneri cosiddetti “field engineers” e project managers che per lo più opereranno negli impianti di estrazione e liquefazione del gas nel mondo. Il Florence Learning Center è il più grande centro di formazione di GE Oil & Gas in Europa. Si estende su un’area di 5600 metri quadrati ed ha oltre 30 sale dedicate a conferenze, corsi di formazione ed incontri con i clienti. I corsi offerti coprono aree e discipline molto varie, da corsi tecnici a corsi manageriali e di leadership. Obiettivo della Oil & Gas University è quello di formare ingegneri provenienti dalle maggiori aziende dell’industria del petrolio e del gas che sono clienti di GE Oil & Gas. La formazione offerta varia da corsi tecnici a corsi manageriali.


FIRENZE E LA STORIA INDUSTRIALE

DI CRESCITA E SVILUPPO PARLIAMO COL PRESIDENTE DEL NUOVO PIGNONE, MASSIMO MESSERI Numeri e dati parlano chiaro. Appare evidente che, in netta controtendenza rispetto al trend nazionale, Nuovo Pignone punta sulla formazione per vincere la sfida sul piano della tecnologia e dell’innovazione. Nel 2013 ben 6 milioni di dollari sono stati investiti nella formazione dei dipendenti. Prevede un trend positivo in questo campo anche in futuro? La formazione e lo sviluppo dei dipendenti sono priorità per l’azienda. GE Oil & Gas non potrà vincere le sfide di domani se non avrà i migliori talenti e le migliori competenze. “Eccellenza” in tutto quello che facciamo è l’obiettivo al quale sempre puntiamo per mantenere la nostra posizione di leadership e differenziarci dai nostri concorrenti. Possiamo continuare a perseguire l’eccellenza solo continuando ad investire in modo deciso nell’ innovazione, nella ricerca, nei sistemi e nei processi operativi e nella formazione dei nostri dipendenti. Parliamo di investimenti in Toscana. Un programma globale di GE Oil & Gas per lo sviluppo di turbine di prossima generazione prevede un investimento totale a livello globale di circa 140 milioni di euro in 5 anni a partire dal 2013. 105 milioni di euro sarebbero investiti in Toscana entro il 2017. Un supporto poderoso per il territorio in termini di sviluppo e occupazione. Ci conferma questi dati? Ricerca e sviluppo contraddistinguono il Nuovo Pignone: fin dall’inizio della sua storia, il Nuovo Pignone ha offerto ai propri clienti prodotti e servizi all’avanguardia. Il programma di sviluppo di turbine di prossima generazione, annunciato lo scorso anno, rientra in questa strategia aziendale. In questo programma, la Toscana gioca e giocherà un ruolo chiave. Con il protocollo per il rilancio del laboratorio sperimentale di Sesta firmato nel 2013, GE Oil & Gas ha confermato la centralità della Toscana nello sviluppo di turbine e compressori per i quali il Nuovo Pignone è centro di eccellenza a livello mondiale.

Tecnici, altamente qualificati, al lavoro su un macchinario di GE Oil & Gas

Il laboratorio di Sesta è vitale in quanto a supporto del vostro programma globale. Qual è l’impegno di GE Oil & Gas per questo laboratorio? Il laboratorio di Sesta sarà un supporto vitale per il programma globale di sviluppo di nuove turbine. L’impegno di GE Oil & Gas solo per il laboratorio di Sesta prevede l’utilizzo del laboratorio per 5 anni a partire dal 2013, andando a coprire un terzo della capacità produttiva della struttura. Il laboratorio di Sesta è un laboratorio sperimentale, unico in Italia, una struttura all’avanguardia in Europa, tra i principali laboratori mondiali per lo studio della combustione nei turbogas. In questo laboratorio stiamo facendo i test della camera di combustione, un componente fondamentale delle nuove turbine in fase sviluppo. E’ stato di recente diramato l’annuncio di un prossimo grande progetto, relativo all’espansione del cantiere di Avenza che, dagli originali 40.000 metri quadrati, grazie a un investimento di GE Oil & Gas di ulteriori 12

milioni di euro, a completamento lavori arriverà a un’estensione complessiva di 140.000 metri quadrati e ospiterà dieci basamenti per l’assemblaggio di moduli industriali.Un progetto di sviluppo industriale che potrà significare molto per lo sviluppo del territorio. GE Oil & Gas considera Avenza un elemento strategico? Il cantiere di Avenza è decisamente strategico per GE Oil & Gas e rappresenta un connubio di elevata tecnologia e sofisticati sistemi di protezione ambientale. Il cantiere di Avenza è il fulcro delle attività di assemblaggio dei “moduli industriali”. Il modulo è una configurazione ottimizzata di macchinari e componenti ausiliari per la compressione gas o per la generazione di energia elettrica, realizzata al 100% sulle esigenze dei clienti. E’ una soluzione completamente ingegnerizzata per minimizzare i rischi durante la fase di istallazione e per ridurre i tempi di ciclo produttivo. Il mercato globale è spinto alla ricerca di progetti sempre più difficili da realizzare, in zone remote, con vincoli Interno dello stabilimento di Firenze

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ambientali sempre più stringenti ed in condizioni climatiche estreme. Una delle attività fondamentali diventa dunque quella di limitare le attività da svolgere sul posto. Proprio per questo il modulo è il prodotto che soddisfa le richieste del cliente: è una soluzione integrata, “plug & play”, pronta per l’uso. La vicinanza al Porto del cantiere di Avenza rappresenta un importante elemento strategico, facilitando l’accesso ai mercati internazionali. Nei primi mesi del 2014 si è conclusa la spedizione di cinque moduli industriali per l’Australia. I prossimi moduli che andremo ad assemblare ad Avenza sono destinati ad un’isola artificiale al largo di Abu Dhabi. Tutte destinazioni che i moduli, del peso di 1500-2000 - o anche oltre tonnellate, possono raggiungere solo via mare. Oggi siamo gli unici al mondo in grado di realizzare opere di questa dimensione ed il mercato si sta rivolgendo a noi presentandoci ottime prospettive. L’eccellenza tecnologica e professionale sono due tratti distintivi di Nuovo Pignone. Significano importanti investimenti nel campo dell’innovazione e della formazione professionale. Un impegno che si sente di confermare per il futuro? Sì. L’industria del petrolio e del gas sarà fortemente impattata nei prossimi anni dal cosiddetto “talent gap”: si stima che molti ingegneri che hanno fino ad oggi lavorato nelle strutture tecniche delle grandi società che operano nel mercato dell’energia sono in fase di massiccio pensionamento lasciando queste società depauperate delle competenze costruite negli ultimi decenni. Un gap di esperienza che le nuove generazioni non potranno sostituire nell’immediato. Si crea quindi la necessità di accelerare la formazione dei nuovi tecnici ed ingegneri con sistemi di training mirati e fortemente orientati a trasferire esperienza pratica ai nuovi talenti: proprio in questa direzione GE Oil & Gas ha già molto investito recentemente e sta continuando ad impegnarsi come una delle strategie fondamentali di sviluppo e crescita. GE crede che lo sviluppo di ogni singolo dipendente sia fondamentale per la crescita dell’organizzazione; di conseguenza, GE investe in modo significativo in programmi di formazione sia manageriale sia su discipline specifiche per i dipendenti ad ogni livello organizzativo. L’azienda ha investito 6 milioni di dollari nella formazione dei propri dipendenti solo come Nuovo Pignone nel 2013.

L’ing. Massimo Messeri, presidente di Nuovo Pignone, GE Oil & Gas

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QUANDO A FIRENZE C’ERA UN PORTICCIOLO, DOVE ATTRACCAVANO I BARCONI - I COSIDDETTI “NAVICELLI”

LE LUCI DELLA CITTÀ

Il porticciolo dei Navicelli

NEL RIONE DEL PIGNONE, IL NUOVO BORGO POSTO TRA LA VIA PISANA E LA RIVA SUD DELL’ARNO GIUSTO FUORI LA PORTA DI SAN FREDIANO E LA STAZIONE LEOPOLDA, SI INSEDIÒ UNA DELLE MAGGIORI REALTÀ INDUSTRIALI DI FIRENZE, DIVENTATO UN COLOSSO NELLA PRODUZIONE DI MACCHINARI E APPARECCHIATURE PER L’INDUSTRIA DEL PETROLIO, DELLA PETROLCHIMICA, DELLA RAFFINERIA E DEL GAS NATURALE

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apprima era la Fonderia di ferro di seconda fusione, in seguito Fonderia del Pignone, poi Officine Meccaniche del Pignone e, infine, Nuovo Pignone, una delle maggiori realtà industriali di Firenze e oltre. Tutto ebbe inizio nel XIX secolo: Pasquale Benini, imprenditore di Lastra a Signa, ai primi sentori di crisi nell’industria dei cappelli di paglia, causata dalla concorrenza cinese, pensò di diversificare le sue attività investendo nell’industria metallurgica. Fondò così nel 1842 la sua officina nel rione del Pignone, il nuovo borgo posto tra la via Pisana e la riva sud dell’Arno giusto fuori la Porta di San Frediano e la stazione Leopolda. Il quartiere assunse le caratteristiche di una zona fittamente popolata e urbanizzata, grazie soprattutto alla presenza di un porticciolo, dove attraccavano i barconi - i cosiddetti “navicelli” - che risalivano il fiume trasportando mercanzie, da e verso il porto di Livorno e che rappresentò di fatto, almeno fino alla nascita della prima ferrovia, la principale via di comunicazione e commercio verso la costa; la stessa etimologia di “pignone” è legata alla grossa bitta che veniva utilizzata per ancorare i piccoli velieri toscani a fondo piatto. Il resto è storia recente. Dai primi esperimenti di metallurgia, alla produzione di arredi urbani, anche artistici (passeggiando per Firenze e per molte altre città italiane è facile incontrare lampioni, tombini, fontane dove in un angolo si può ancora leggere “Fonderia del Pignone”). La Società Anonima Fonderia del Pignone che aveva trasformato di fatto il borgo nella prima zona industriale di Firenze, passò, nel gennaio 1954 all’ENI che rilevò la società

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(appartenente al Gruppo Snia Viscosa) cambiandone la denominazione in Nuovo Pignone - Industrie Meccaniche e Fonderia Spa. Il grande intuito dell’ing. Enrico Mattei portò a rinnovare le strutture, orientando la produzione principalmente verso macchinari e apparecchiature per l’industria del petrolio, della petrolchimica, della raffineria e del gas naturale. Eni ha mantenuto la proprietà fino al 1994, quando l’80% del pacchetto azionario è stato acquistato dalla società americana General Electric, che decise di investire sulle competenze manifatturiere e sulle capacità tecnologiche e innovative della società Nuovo Pignone divenendone socio di maggioranza. La collaborazione tra General Electric e Nuovo Pignone risale a molti anni prima(anni ’60), con l’acquisizione della licenza per la costruzione di turbine a gas. Oggi GE detiene il 99,98% del pacchetto azionario. a cura della redazione di Energeo,

L’antica fonderia di ferro nel rione del Pignone



Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana

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2014

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18 General Assembl th

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‘’Heritage and Landscape as Human Values’’ Arrivederci a Firenze dal 9 al 14 Novembre 2014 http://florence2014.icomos.org

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