Incentivare - sett 2009

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Emanuela Mencaglia

vissuto da tutti direttamente, e chiedere ai propri sottoposti qualcosa di più è naturale. Inoltre, se nella grossa organizzazione le invidie lavorative sono diffuse, ma abbastanza sfumate proprio per il numero di possibilità di scambi, nel gruppo piccolo sono più dirette». Come si esce dalle dinamiche distruttive? «Sono fondamentali i momenti di scambio informali, per conoscersi di più, ma anche per fare circolare i malumori. Quando le lamentele si fanno a voce alta, ripetutamente, ci si rende conto che si diventa noiosi e che si sta esagerando, e che gli altri, alla lunga, non ci ascoltano più. Per farsi ascoltare dagli altri bisogna fare lo sforzo di cambiare argomenti. Come per la psicoterapia, il cardine del cambiamento passa dall’azione di mettere in parole i pensieri, per dare forma ai propri motivi di scontento e alle proprie paure, rendendosi conto che spesso sono ben più miseri rispetto a quello che si avvertiva. Incontrarsi e condividere può aiutare a stemperare la sensazione di precarietà, di poca stabilità oggi così frequente. Inoltre non è nell’overwork che si risolve il momento. Anzi, aumentando ore di lavoro, togliendo tempo libero, rimanendo in un ambiente che provoca stress, si tende a entrare in una spirale che porta a una resa lavorativa peggiore, e, alla fine, al burnout».

non c’è nulla di più sbagliato: qualunque gruppo contiene persone con qualità psicologiche diverse. Un’azienda è una tribù, fatta di diversi clan. Le procedure valide per tutti i reparti dell’impresa tendono a sgonfiarsi, perché sono interpretate in maniera diversa dai diversi clan».

Qual è l’antidoto? «L’apertura. Può sembrare strano, ma bisogna ottenere un assottigliamento delle barriere. Se le procedure sono elementi rigidi, si può immaginare quanto l’azienda può ottenere ammorbidendo queste rigidità. Bisogna promuovere colloqui costanti, creare occasioni di incontro, di celebrazione, sia a livello di clan sia a livello di tribù. Arrivare a una vera e propria “gestione delle risorse umane”, che non sia soltanto una mera amministrazione del personale. Anche la

mensa aziendale e il bar diventano punti dove possono scoccare scintille virtuose: una persona seduta al proprio posto di lavoro in modo passivo, sta comunque perdendo del tempo. Per invertire la rotta si deve invece incentivare le opportunità di colloquio, di celebrarsi, di informarsi, di trovare mille occasioni perché si sviluppi un network informale». Come può essere realizzato tutto questo con un programma di incentivazione? «Sono necessari due elementi importanti: la volontà dell’azienda e l’impiego di un professionista. Vi sono anche dei processi sperimentati che il professionista può impostare e gestire per risultati di grande efficacia. In estrema sintesi, si tratta di processi di gruppo che partono dalla descrizione del futuro che si auspica, proseguono con l’analisi dei punti di forza e di

quelli di debolezza, delle opportunità e dei vincoli attuali, analizzano obiettivamente i concorrenti e i clienti potenziali, e arrivano a un piano d’azione condiviso. Ciò che rende questo processo rigenerante ed efficace è la sua modalità che prevede il coinvolgimento – sincero e non soltanto di facciata – di tutti i collaboratori. Il piano è generato con il contributo e il consenso di tutti, non è imposto dall’azienda. E questo “incendia” gli animi, “eccita” i protagonisti, li determina all’azione e all’attenzione e scatena energie positive e produttive (in senso lato)».

Quali strumenti? Mario Saccenti, titolare di Casa Mais, solleva qualche dubbio sulla reale efficacia dell’incentivazione in caso di tensioni interne. La motivazione, intesa nel senso più ampio, può anche essere efficace, purché si scelga-

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