GSA Igiene Urbana 03-13

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TERZA PAGINA OPERA PRIMA

il mondo visto dai rifiuti di Guido Viale

Dimmi cosa butti, e come lo butti, e ti dirò chi sei. Ma per capirlo bisogna avere un’affinità profonda – e quasi sempre dolorosa – con il mondo dei rifiuti. 34 igiene urbana igiene urbana luglio-settembre 2013

La discarica degli angeli che dà il titolo al romanzo (opera prima) di Dario Bonfante (Morgani editore, 2010) non è, propriamente parlando, una discarica; è una stazione ecologica dove si conferiscono in maniera differenziata in grandi scarrabili di rifiuti ingombranti. L’autore però conosce bene la materia, e anche la vita e i caratteri che si sviluppano intorno al mondo dei rifiuti: soprattutto quelli generati dai beni durevoli che vanno a finire nelle stazioni ecologiche. E, soprattutto, coglie perfettamente l’affinità esistenziale tra il mondo dei rifiuti e il mondo dei reietti: entrambi sviliti, scartati e allontanati dalle case e dalla vita delle persone “normali” e tuttavia ricchi di infinite potenzialità e di una enorme disponibilità a ricominciare una nuova vita in altre forme e in diverse modalità. Bruno, il protagonista dal romanzo, è un reietto destinato fin dalla nascita all’emarginazione: figlio di una prostituta, non ha mai conosciuto suo padre, ha passato l’infanzia in un orfanatrofio e l’adolescenza facendo il garzone muratore e abitando con la madre nella casa dove questa esercitava la sua professione, per finire, per quindici anni, in un manicomio criminale per aver ammazzato a colpi di martello non si sa se anche la madre o solo un suo cliente dopo che entrambi, in stato di ubriachezza, lo avevano costretto a prendere parte ai loro giochi erotici. Uscito dal manicomio Bruno ha lavorato prima come aiuto becchino nel cimitero di un piccolo comune che lo ha preso in carico, assegnandogli anche

una piccola casetta in stato di degrado, senza luce e molto malmessa, al fondo di un vicolo in disarmo. Poi, quando il vicolo viene “risanato”, il che vuol dire quando le case vengono abbattute per far posto a condomini e villette, Bruno viene trasferito a gestire la stazione ecologica, al cui interno si ricava un’abitazione utilizzando uno dei cassoni della raccolta differenziata. E’ qui che lo incontriamo – la sua storia passata viene fuori solo a spizzichi e bocconi attraverso i suoi ricordi - insieme alla colorita troupe di alcuni frequentatori dell’impianto: “gli angeli della discarica”, le persone con cui Bruno stringe amicizie indissolubili perché sono come lui reietti e abbandonati; piegati, ma non ancora vinti dall’esistenza: Aldo, per esempio, artista di grande sensibilità, che annega in una colla maleolente gli scarti opportunamente selezionati per divenire oggetti che raccontano un mondo di reietti ed emarginati. Bìcio, uomo scarmigliato e senza parole, con una piccola e innocua ossessione per gli abiti femminili. Lisa, l’ex-prostituta rumena, ora badante: la prima a soccorrere Bruno, a tendergli la mano nel vuoto e nella disperazione delle corsie ospedaliere. Consulich, uno slavo senza braccia, saltato su una mina cercando di strappare invano la figlia alla morte, orgoglioso e indiscusso monarca di un popolo di straccioni. Fero, che viene a rifornirsi di materiali ferrosi da rivendere, senza rivolgere una sola parola agli altri. La vicenda di Bruno ha poi un lieto fine: con materiali tutti riciclati si costruisce una casetta in una valle frequentata da zingari e pakistani e alla fine incontra l’amore, che gli darà anche un figlio, in Teresa, una ragazza fuggita dalla Romania per sottrarsi agli stupri del monaco-capo di un monastero ortodosso. Il racconto è continuamente solcato dall’intreccio tra la vita della discarica e i caratteri dei suoi frequentatori abituali: impariamo a conoscere questi attraverso quella e quella at-

traverso questi. Anche la decisione di scrivere il libro è opera degli “angeli”: “A dire il vero anche Lisa e Consulich mi hanno stuzzicato a farlo e perfino Mario, che ieri viene qua in discarica a cercare un pezzo di lamiera e, mentre fruga nel cassonetto, mi vede dentro la baracca con la penna in mano, ferma e sospesa sul foglio. Ride, il lazzarone, mostrando quei quattro denti neri e storti. Mario quasi non parla, mugugna, per lo più. La gente lo crede scemo e del resto lui fa di tutto perché lo pensino. In verità è intelligente. Altroché se lo è. Quando viene in discarica fruga per cercare solo cose che gli servono e lo fa sempre con discrezione, quasi con gentilezza. Non lo noti nemmeno. Solo una volta, che gli serviva un bottiglione, è scivolato nel cassone quasi vuoto del vetro e non riusciva più ad uscirne. Lo sentivo chiamare, ma non con i grugniti che è solito fare, proprio con la sua voce, al punto che pensavo fosse un altro”. Quel posto, poi, non è così sgradevole: “Alcuni pensano che sia un brutto mestiere fare il custode di una discarica. ‘Un lavoro come un altro’, mi dice qualcuno per compatirmi, fingendo di credermi come gli altri. Come loro. Che ipocriti…Comunque a me piace stare tra le cose scartate. Da dietro questa rete vicino al camposanto, anche uno come me può vedere e capire cose della vita che nemmeno immaginano”. E la vita in discarica ha anche la sua poesia: “Ascolto, tra i tanti discorsi della pioggia, soprattutto quello dei goccioloni del temporale, che rimbalzano sulle latte di vernice vuote. Tan tan lata laid, tan tan lata laid, fanno sui bidoni. Poi arriva lo scroscio che copre tutto. Dispettosa, la pioggia! Bisognerebbe ascoltare di più i suoni del mondo, per capirlo. Sembra impossibile quello che puoi trovare dentro un suono, un rumore che ti passa vicino. Lascia una traccia. Mi rimane nella testa per un po’ e sto li, anche per ore, a cercare di riconoscerlo, a capire dove lo avevo già sentito, cosa mi ricorda, chi lo può emettere,


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