SPUNTI SISTEMATICI SULL’USO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NEL
SUBPROCEDIMENTO DI VERIFICA DELL’ANOMALIA
GIAMPAOLO AUSTA
GLI ACCORDI QUADRO
ALLA LUCE DEL CORRETTIVO: UN’OCCASIONE MANCATA?
VITTORIO MINIERO
MA QUALE NATURA GIURIDICA HA
LA DETERMINA/DELIBERA/DECISIONE DI CONTRARRE?
CHIARA PRATESI
LA DIGITALIZZAZIONE DEGLI APPALTI PUBBLICI: EVOLUZIONE NORMATIVA, FONDAMENTI SISTEMICI E PORTATA INNOVATIVA DEL D.LGS. 36/2023
MARCO MARIANI
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Tecnica e metodologia economale Bimestrale di tecnica ed economia sanitaria fondato nel 1962 per l’aggiornamento professionale degli economi e provveditori della Sanità. ISSN 1723-9338
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editoriale
3 La motivazione come base del successo articoli intelligenza artificiale
4 Spunti sistematici sull’uso dell’intelligenza artificiale nel subprocedimento di verifica dell’anomalia
accordo quadro
7 Gli accordi quadro alla luce del Correttivo: un’occasione mancata? determina a contrarre
12 Ma quale natura giuridica ha la determina/delibera/decisione di contrarre?
trasformazione digitale del ciclo di vita degli appalti
15 La digitalizzazione degli appalti pubblici: evoluzione normativa, fondamenti sistemici e portata innovativa del d.lgs. 36/2023 adesioni regionali
22 L’adesione alle convenzioni regionali da parte degli enti del SSN è obbligatoria senza se e senza ma oblio oncologico
26 Il diritto all’oblio oncologico e la sua corretta applicazione nelle aziende sanitarie l’approvvigionamento
30 Decalogo per costruire un appalto accordo quadro
34 Il Codice di Comportamento dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni e la sfida digitale sul lavoro: le regole per governare il cambiamento normativa
36 La nuova responsabilità nella Pubblica Amministrazione: anticorruzione, danno erariale e il controllo interno come leva strategica chirurgia robotica
38 La chirurgia robotica tra appropriatezza e risvolti economici nella sanità moderna: il salto di qualità per una organizzazione sanitaria X Corso di formazione FARE
44 X Corso di Alta Formazione 2023/24 per Funzionari e Dirigenti in Sanità gli esperti rispondono
47 Sulla clausola relativa all’iscrizione alla white list
48 focus
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Andrea Leonardi vive e lavora a Roma, svolge da trent’anni attività di grafico, elaborazione fotografica e consulenza nelle arti grafiche.
In questo numero alcuni particolari colti nella Serra Moresca di Villa Torlonia a Roma.
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Antonello Podda - Presidente A.R.P.E.S.
La motivazione come base del successo
Con questo tema, alquanto inconsueto per un incontro di dipendenti pubblici, si è proposto il Convegno Annuale dell’Associazione A.R.P.E.S. che si è svolto nella bellissima cornice di Arbatax il 22 e 23 maggio 2025.
Si è voluto, nei nostri lavori, in qualche modo esorcizzare la tesi secondo la quale ricercare il successo sia un fatto negativo nel contesto dell’amministrazione pubblica. Se mai ci fossero stati dubbi, abbiamo riaffermato che così non è, tanto più se interpretiamo il successo come raggiungimento di un risultato sia come singoli ma soprattutto come facenti parte di un gruppo.
Rafforzare il lavoro in team, condividere percorsi e traguardi, fondere nel gruppo i talenti dei singoli sono tra i principali propositi della nostra Associazione. Per questo utilizziamo il nostro Convegno annuale per stimolare il dibattito, interno ed esterno, anche su temi che talvolta possono apparire lontani dalla quotidianità.
Quest’anno avevamo scelto la parola successo come elemento cardine della discussione.
“Successo” è centrare l’obiettivo prefissato, farlo entro i termini prestabiliti, rispettando le regole e le persone. Per aiutarci in questo ragionamento a voce alta, è stato invitato Massimiliano Sechi, un uomo nato senza braccia e con una sola gamba che, con una straordinaria forza di volontà, ha dimostrato come il successo può arrivare anche laddove il destino sembra averti predisposto ad altro.
Sechi ha fondato una società che ha un nome evocativo “NoExcuses” e con lui collaborano stabilmente 15 persone nell’attività di motivatori. Un’impresa, manco a dirlo di successo, perché fondata sul principio che la volontà può farci raggiungere qualsiasi risultato, a dispetto dei soliti disfattisti e detrattori che pensano che nulla può cambiare,tanto più nella pubblica amministrazione che molti ritengono essere destinata solo ad una mediocre sopravvivenza a sé stessa.
Questo approccio motivazionale si concilia bene con i principi del nuovo Codice dei Contratti che durante i lavori abbiamo analizzato con il Magistrato del TAR Toscana, Marcello Faviere. Il principio del risultato, e quello della fiducia, tendono a rafforzare il ruolo fondamentale degli elementi sostanziali su quelli formali. E’ quindi compito dei dirigenti, dei RUP e dei loro collaboratori di vigilare, con sempre maggior attenzione, per rafforzare gli elementi che servono a far conseguire l’obiettivo finale dei nostri appalti, ossia ottenere la migliore offerta tra quelle possibili per conseguire il miglior risultato, non solo a valle della procedura ma per tutta la durata del contratto.
È stata davvero un’ottima occasione per ripensare il nostro modo di essere e agire, ambendo a nuovi traguardi avendo la consapevolezza, come ha detto un geniale professore canadese di cui non ricordo il nome, che le persone di successo sono persone comuni con abitudini di successo.
Spunti sistematici sull’uso dell’intelligenza artificiale nel subprocedimento di verifica dell’anomalia
Il subprocedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, previsto dall’art. 110 del D.Lgs. n. 36/2023, assume la forma di un modulo procedimentale dotato di autonomia funzionale e finalizzato ad accertare, mediante contraddittorio tecnico, la concreta sostenibilità economica dell’offerta presentata. A differenza delle fasi valutative standard, tale verifica non mira a sanzionare né a penalizzare il ribasso elevato in quanto tale, ma intende piuttosto escludere – nel rispetto del principio del risultato di cui all’art. 1 del Codice – offerte che, per le loro caratteristiche economico-organizzative, si rivelino obiettivamente inidonee ad assicurare l’efficace esecuzione del contratto pubblico1 In tale contesto, la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto l’ammissibilità delle sopravvenienze (sia normative che fattuali) tra i fattori legittimamente valorizzabili in sede di giustificazione dell’offerta sospettata di anomalia. La verifica, infatti, pur fondandosi su un giudizio ex ante, è funzionalmente proiettata a valutare la futura eseguibilità del contratto e, pertanto, non può disinteressarsi di fatti nuovi che, intervenendo dopo la presentazione dell’offerta, contribuiscano a spiegare o rafforzare la sua attendibilità economica. Infatti è ius receptum che può tenersi conto di economie sopravvenute, sempre che si accerti, sulla base di un apprezzamento globale e sintetico, che l’offerta sia affidabile. Ciò vale anche con riferimento al rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro, la cui efficacia normativa, pur sopravvenuta, deve essere considerata in quanto idonea ad incidere significativamente sulla sostenibilità del costo del lavoro – voce strutturalmente non comprimibile in molti settori, tra cui la sanità pubblica. Va tuttavia rilevato che tale apertura alle sopravvenienze è subordinata a precisi limiti di legittimità: in primo luogo, esse non possono tradursi in una modifica sostanziale dell’offerta, vietata dall’art. 93 del Codice; in secondo luogo, devono essere
oggetto di valutazione espressa da parte della stazione appaltante, che non può limitarne l’esame con formule preclusive o automatismi escludenti. In tale prospettiva, si delinea l’esigenza di un equilibrio tra immutabilità dell’offerta economica e flessibilità giustificativa, tale da non comprimere irragionevolmente la possibilità dell’operatore di dimostrare la congruità complessiva della propria proposta.
Il possibile contributo dell’intelligenza artificiale alla gestione delle sopravvenienze
Proprio sul terreno dell’analisi delle sopravvenienze, l’intelligenza artificiale può fornire un ausilio significativo alle amministrazioni aggiudicatrici. Mediante l’impiego di modelli predittivi e sistemi di data analytics, l’IA può:
• rilevare trend di mercato (es. rialzi delle materie prime, incrementi salariali, instabilità geopolitiche);
• calcolare l’impatto economico di modifiche normative sopraggiunte dopo la pubblicazione del bando;
• stimare margini di sostenibilità residua sulla base di parametri aggiornati;
• generare simulazioni comparative tra scenari pre-offerta e post-offerta, evidenziando scostamenti giustificativi significativi.
Tali funzionalità risultano particolarmente utili nei settori caratterizzati da elevata instabilità economica o da forte esposizione a variabili esogene (come, ad esempio, la fornitura di reagenti sanitari o dispositivi biomedicali), in cui il tradizionale criterio del prezzo fisso può risultare inadeguato a riflettere le dinamiche reali del mercato. Non si tratta, naturalmente, di consentire all’algoritmo di assumere in proprio la valutazione della congruità, bensì di fornire all’amministrazione un supporto tecnico e oggettivo che consenta di meglio comprendere il contesto in cui l’offerta è stata formu -
1 Per due recenti contributi bibliografici su questa rivista, si rinvia a M. Mariani, La naturale vocazione dell’Intelligenza Artificiale nei contratti pubblici, in Teme, n. 03/04.2025, pagg. 15/19; F. Fidanza, L’offerta economicamente più vantaggiosa e le opportunità dell’Intelligenza Artificiale, Ibidem, pagg. 12/14.
Marco Mariani - Docente a contratto nel Politecnico di Milano
lata, valutando così la razionalità delle giustificazioni presentate e la loro coerenza con il quadro di riferimento sopravvenuto. L’apertura all’uso dell’IA, tuttavia, non può in alcun modo compromettere l’integrità del contraddittorio procedimentale né svilire la centralità della valutazione umana. Le giustificazioni fornite dall’operatore devono essere esaminate nel merito da un decisore pubblico identificabile, che ne apprezzi la rilevanza, la fondatezza e la congruenza rispetto all’oggetto del contratto. In tal senso, l’impiego dell’IA deve essere concepito come strumento di supporto all’istruttoria, non come meccanismo sostitutivo della valutazione amministrativa. L’evoluzione normativa e tecnologica, se correttamente integrata, può condurre verso una verifica dell’anomalia più trasparente, completa e aderente alla realtà economico-sociale, evitando tanto il formalismo rigido quanto l’arbitrarietà soggettiva. La condizione, tuttavia, è che l’amministrazione si doti di modelli organizzativi, formativi e giuridici idonei a governare e non subire l’innovazione algoritmica. Il settore sanitario costituisce un terreno d’elezione per queste applicazioni. Le gare per dispositivi medici, reagenti, servizi di sterilizzazione, pulizia, manutenzione e ristorazione sanitaria sono caratterizzate da pluralità di prestazioni eterogenee; continua evoluzione tecnologica dei beni; elevata responsabilità pubblica e sanitaria; pressioni sui tempi e vincoli di spesa.
Tali elementi rendono la verifica dell’anomalia particolarmente complessa, ma anche strategica, per prevenire affidamenti a ribassi “patologici” che possano compromettere la qualità e la sicurezza dei servizi sanitari.
princìpi costituzionali.
a) Opacità algoritmica e “black box decision” Uno dei principali pericoli è rappresentato dalla cosiddetta opacità algoritmica. Molti modelli di IA, in particolare quelli basati su reti neurali profonde o sistemi di apprendimento automatico non supervisionato, generano esiti decisionali che non sono immediatamente intelligibili nemmeno per i programmatori che li hanno sviluppati. Questo fenomeno, noto come black box decision, risulta incompatibile con i principi di trasparenza e motivazione dell’azione amministrativa, sanciti dall’art. 3 della legge n. 241/1990 e dall’art. 97 della Costituzione. La decisione amministrativa, anche quando supportata da strumenti algoritmici, deve infatti restare comprensibile, motivata e sindacabile, pena la sua nullità o annullabilità per violazione dei principi fondamentali del procedimento.
b) Bias nei dati di addestramento e discriminazioni indirette
L’impiego dell’IA deve essere concepito come strumento di supporto all’istruttoria, non come meccanismo
sostitutivo della valutazione amministrativa
I rischi dell’intelligenza artificiale nella verifica dell’anomalia: profili critici e implicazioni giuridiche
L’introduzione dell’intelligenza artificiale nei procedimenti di verifica dell’anomalia delle offerte, se da un lato può innalzare il livello di efficienza e oggettività della valutazione amministrativa, dall’altro comporta rischi non trascurabili sul piano della legalità, della trasparenza e della tutela dei diritti degli operatori economici coinvolti. La sofisticazione degli strumenti intelligenti, infatti, non elimina – ma talvolta amplifica – le criticità strutturali tipiche dei processi decisionali automatizzati, specie in settori come gli appalti pubblici, in cui rilevano diritti soggettivi, interessi legittimi e
Un ulteriore rischio è connesso alla qualità dei dati di addestramento utilizzati per “allenare” i modelli di IA. Se i dataset storici incorporano pregiudizi, squilibri sistemici o errori, l’algoritmo rischia di replicare ed amplificare distorsioni in modo inconsapevole e strutturale. Nel contesto degli appalti pubblici, ciò potrebbe tradursi in discriminazioni indirette tra operatori economici, penalizzando imprese di minori dimensioni, nuove entranti, o provenienti da ambiti territoriali non rappresentati nei dati pregressi. Tali effetti sono particolarmente gravi, in quanto difficilmente rilevabili, e pongono seri interrogativi in relazione al rispetto dei principi di imparzialità, parità di trattamento e libera concorrenza (artt. 30-49 del D.Lgs. 36/2023).
c) Difficoltà di controllo, audit e accountability
La difficoltà di sottoporre i sistemi automatizzati a controllo e revisione esterna costituisce un altro elemento di fragilità. La pubblica amministrazione è tenuta a garantire la tracciabilità delle decisioni e la possibilità di esame da parte di organi interni (RUP, commissioni, Dirigenti) e giurisdizionali (TAR, Consiglio di Stato). Tuttavia, i processi decisionali automatizzati, specie se sviluppati da soggetti terzi (vendor tecnologici) e imple-
intelligenza artificiale
mentati su piattaforme chiuse, rendono complesso l’accesso ai codici, ai criteri e alle logiche sottostanti. Ne deriva un rischio concreto di accountability attenuata e di elusione dei principi di controllo democratico sull’attività amministrativa. Il Regolamento UE 2024/1689 impone, a tal riguardo, requisiti stringenti di auditabilità, documentazione tecnica e supervisione umana per le applicazioni di IA ad “alto rischio”, tra cui rientrano esplicitamente le procedure di affidamento di contratti pubblici.
d) Profilazione impropria degli operatori economici
L’impiego di IA nella verifica delle offerte può comportare, se non adeguatamente regolato, fenomeni di profilazione sistematica degli operatori economici, mediante la raccolta e l’elaborazione di dati relativi a comportamenti pregressi, strategie di ribasso, prassi ricorrenti e cronologia delle partecipazioni a gare. Se tali dati vengono utilizzati per assegnare automaticamente punteggi di rischio, o per condizionare la valutazione della congruità dell’offerta, si rischia di violare il principio di personalizzazione del procedimento e di
inficiare la par condicio tra i concorrenti. Inoltre, la profilazione economica automatizzata può dar luogo a pratiche discriminatorie o eccessivamente penalizzanti nei confronti di soggetti innovativi o atipici.
e) Trattamento non conforme di dati commerciali e riservati
Infine, l’integrazione dell’IA nei procedimenti di appalto impone la massima attenzione al tema della protezione dei dati, sia personali che commerciali. Le offerte presentate in gara contengono informazioni altamente riservate: know-how industriale, strutture di costo, strategie contrattuali, previsioni produttive. L’elaborazione algoritmica di tali dati, se non accompagnata da adeguate misure di sicurezza e crittografia, può determinare violazioni gravi del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) e delle norme in materia di segreti aziendali (D.Lgs. 63/2018). Il Codice dei contratti pubblici ribadisce che la digitalizzazione non può pregiudicare la riservatezza delle informazioni fornite dagli operatori economici: ciò vale, a maggior ragione, per le elaborazioni effettuate tramite IA.
Giampaolo Austa - Studio legale Legal Team - Professore incaricato di diritto amministrativo all'Università degli studi della Tuscia
Gli accordi quadro alla luce del Correttivo: un’occasione mancata?
Gli accordi quadro si confermano uno strumento flessibile e strategico per la gestione degli acquisti pubblici, particolarmente nel settore dei dispositivi medici, dove i fabbisogni sono complessi e, a volte, variabili. La normativa attuale, arricchita dalle recenti modifiche introdotte dal Correttivo, tenta di bilanciare tale flessibilità con le esigenze di certezza e sostenibilità economica, sia per le stazioni appaltanti che per gli operatori economici. Tuttavia, sebbene la disciplina aggiornata introduca importanti innovazioni, come la rinegoziazione e la revisione dei prezzi, alcune questioni rimangono aperte, in particolare in merito alla determinazione dei fabbisogni e alle conseguenze che genera la loro errata o superficiale determinazione.
L’impatto del primo
Correttivo al Codice dei
Contratti pubblici
Con l’adozione del d.lgs. 209/2024, il Legislatore ha avviato un intervento di ampio respiro sul Codice dei Contratti pubblici (d.lgs. 36/2023), finalizzato a perfezionarne l’applicazione e a risolvere alcune criticità emerse nella fase iniziale di attuazione. Le modifiche introdotte sono state dettagliate e hanno riguardato vari ambiti normativi. Tra le principali innovazioni, spicca l’introduzione dell’Allegato I.01, che riguarda le tutele lavoristiche, chiarendo i criteri oggettivi per valutare l’equivalenza dei CCNL indicati dagli operatori economici, qualora questi siano diversi rispetto a quelli prescritti dalla stazione appaltante negli atti di gara. In questo ambito, il Legislatore ha recepito la giurisprudenza consolidata per garantire
Ciò che il Correttivo non fa è introdurre dei sistemi di controllo e rendicontazione dei reali fabbisogni delle stazioni appaltanti. Tale lacuna rappresenta, allo stato, la principale criticità dell’istituto in esame, specie in settori come quello delle forniture di dispositivi medici
una maggiore certezza nell’applicazione dell’art. 11. La digitalizzazione ha ricevuto un ulteriore impulso con modifiche agli articoli 19, 23 e 24 del Codice, volte a semplificare l’alimentazione del fascicolo virtuale dell’operatore economico (FVOE) e a garantire l’interoperabilità delle banche dati. È stata inoltre estesa l’obbligatorietà della qualificazione delle stazioni appaltanti anche alla fase esecutiva del contratto. Rilevante è anche la disciplina riguardante la revisione dei prezzi, ora definita con maggiore chiarezza. Viene infatti confermato l’automatismo dei procedimenti di revisione, attivati d’ufficio, e la creazione di nuovi indici parametrici previsti nell’Allegato II.2bis . Un’attenzione particolare è stata dedicata alla partecipazione delle micro, piccole e medie imprese (PMI), per le quali sono stati previsti strumenti specifici, come la riserva obbligatoria di una quota di subappalto pari al 20% (art. 119, comma 2, d.lgs. 36/2023) e la possibilità di riservare, nell’ambito degli appalti sotto-soglia, l’esecuzione esclusivamente alle PMI (art. 61, comma 2-bis, d.lgs. 36/2023). Nel complesso, il Correttivo rappresenta un intervento di razionalizzazione normativa, finalizzato a rafforzare l’efficacia operativa del Codice, pur mantenendo intatti i suoi principi fondamentali e mirando a un auspicato periodo di stabilità regolativa. Tuttavia, sebbene vi siano evidenti miglioramenti, il Correttivo ha anche rappresentato un’occasione mancata, poiché alcune problematiche, già sollevate prima dell’adozione del nuovo Codice, non sono state adeguatamente affrontate. Una di queste è, senza dubbio, la disciplina degli accordi quadro.
accordo quadro
Le novità del Correttivo nella disciplina degli accordi quadro
L’accordo quadro, come disciplinato dall’art. 59 del d.lgs. 36/2023 e ulteriormente riformato dal Correttivo, costituisce una tecnica di aggiudicazione volta a razionalizzare gli acquisti pubblici mediante la standardizzazione delle condizioni contrattuali e l’aggregazione della domanda. Esso consiste in un accordo stipulato tra una o più amministrazioni aggiudicatrici e uno o più operatori economici, allo scopo di predeterminare, per un periodo limitato, le clausole fondamentali (prezzi, quantità, condizioni esecutive) dei contratti applicativi che saranno successivamente stipulati. Con il Correttivo, l’istituto è oggetto di alcune novità sia rispetto alla fase di programmazione che a quella esecutiva. Il d.lgs. 209/2024 ha infatti modificato il comma 1 dell’art. 59, rafforzando l’obbligo per la stazione appaltante di giustificare l’esigenza di ricorrere all’accordo quadro tramite un’accurata ricognizione dei fabbisogni, da formalizzare nella determinazione a contrarre. Nel caso di accordi pluri-operatore di cui all’art. 59, comma 4, lett. a) d.lgs. 36/2023, viene altresì previsto che la decisione a contrarre deve indicare le percentuali di affidamento ai diversi operatori economici al fine di assicurare condizioni di effettiva remuneratività dei singoli contratti attuativi. Importanti innovazioni interessano anche la fase esecutiva. Il nuovo comma 5-bis prevede che, qualora in sede di esecuzione sopravvengano circostanze oggettive idonee a compromettere l’equilibrio contrattuale (come significativi mutamenti nei costi di mercato) tali da non poter essere corrette con una rinegoziazione in buona fede (ex artt. 1375 e 1467 c.c.), sia l’operatore economico che la stazione appaltante possano astenersi dalla sua stipulazione o invocare la risoluzione del contratto attuativo. Resta fermo, in tal caso, che l’appaltatore ha diritto al pagamento delle prestazioni già eseguite (art. 122, comma 5, d.lgs. 36/2023). Tali interventi normativi sono coerenti con i principi generali introdotti dal nuovo Codice, come il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale (art. 9) e il principio di buona fede (art. 5). Come evidenziato nella Relazione illustrativa al Correttivo, il legislatore ha voluto valorizzare le “esigenze di investimento” e le legittime aspettative degli aggiudicatari di un accordo quadro riguardo alla stipula degli appalti successivi. Parallelamente, il Consiglio di Stato, nel parere sullo schema di decreto correttivo, ha sottolineato la duplice ratio dell’intervento: da un lato, garantire che la scelta degli operatori economici di partecipare alla gara sia informata da una chiara programmazione dei fabbisogni (nell’ottica applicativa del principio di accesso al mercato di cui all’art. 2); dall’altro, assicurare un’equa distribu-
zione degli affidamenti tra i diversi aggiudicatari in caso di accordi multi-fornitore, in modo che ciascuno possa fare affidamento su una quota predefinita di prestazioni.
L'incidenza dei fabbisogni sugli oneri partecipativi
Ciò che il Correttivo non fa, invece, è introdurre dei sistemi di controllo e rendicontazione dei reali fabbisogni delle stazioni appaltanti. Tale lacuna rappresenta, allo stato, la principale criticità dell’istituto in esame, specie in settori come quello delle forniture di dispositivi medici. È infatti evidente come la stima di fabbisogni sovradimensionati (ossia “in eccesso”) possa comportare molteplici criticità, tanto in sede di gara quanto nel corso dell’esecuzione. L’ANAC ha più volte ribadito questa esigenza tanto da chiedere alle amministrazioni di esplicitare, nel bando (o in un allegato), come si è calcolato l’importo totale, indicando le quantità stimate e le componenti di costo utilizzate. L’obiettivo è evitare gare “al buio” e garantire trasparenza e proporzionalità (Comunicato del Presidente ANAC del 19.3.2025). Il rischio è che le offerte vengano formulate sulla base di quantitativi del tutto irrealistici con la conseguenza che la fornitura che non supera un determinato volume può non garantire un utile effettivo di commessa specie se i costi fissi (per garanzie, magazzino, ecc.) sono particolarmente elevati. Infatti, allo stato, il fabbisogno preventivato rappresenta il valore massimo delle prestazioni che potranno essere richieste all’affidatario e rappresenta, secondo l’art. 14, comma 16 d.lgs. 36/2023, l’importo posto a base di gara.Un sistema di rendicontazione dei fabbisogni realmente efficace permetterebbe il contemperamento tra la flessibilità dell’accordo quadro e la sua natura, con la garanzia di remuneratività dell’accordo. Dal punto di vista generale, però, con l’aggiudicazione e la stipula dell’accordo quadro non sorge in capo all’aggiudicatario un diritto a eseguire le prestazioni nella loro integralità, ma solo a eseguire quelle prestazioni che l’Amministrazione deciderà di affidargli secondo le proprie esigenze (non avendo dunque alcuna certezza di quali e quante saranno, potendo anche essere nessuna) ( Ex multis Cons. St., Sez. III, 15.12.2022 n. 10989; Cons. St., Sez. V, 23.1.2024, n. 741). Pertanto, l’accordo quadro non impone l’obbligo di stipulare contratti d’appalto, ma fornisce la possibilità, durante un determinato periodo, di acquisire le prestazioni oggetto dell’accordo, qualora ve ne sia necessità. Tale strumento consente alla stazione appaltante di razionalizzare e accorpare acquisti ripetuti di beni o servizi, riducendo così i costi procedurali derivanti dall’espletamento di gare analoghe. Dunque, solo una corretta determinazione dei fabbisogni consente di mitigare il rischio che gli operatori economici si assumano oneri eccessivi per
la partecipazione a gare che, in alcuni casi, si rivelano infruttuose. Gli operatori che partecipano e vincono una gara per un accordo quadro plurifornitore non solo si espongono al rischio di ricevere ordini inferiori alle loro (legittime) aspettative, ma, in casi tutt’altro che infrequenti, non ricevono alcun ordine, pur dovendo sostenere costi fissi per garantire la disponibilità dei dispositivi richiesti dalla PA. Tale asimmetria finisce per scoraggiare la partecipazione, soprattutto delle PMI, o, ancor più spesso, finisce per tradursi in prezzi più elevati volti a coprire il rischio di “inesecuzione”. Può capitare, infatti, che se a fronte di un volume massimo di fornitura l’operatore economico è disposto a ribassare il prezzo del 10-15-20%, vista l’incertezza, non può assumersi il rischio di farlo e può decidere di optare per un ribasso più limitato, con danno per gli enti del SSN che sono costretti a pagare di più.
Ma quali sono i costi fissi che l’impresa deve comunque sopportare?
La riflessione si spinge in primis sulle garanzie richieste, in particolare quelle definitive, che restano obbligatorie anche nei casi in cui non vengano successivamente effettuati ordini.
Nel caso degli affidamenti sotto-soglia, il d.lgs. 36/2023 ha semplificato la disciplina prevedendo l’abbattimento delle soglie e la sostanziale discrezionalità delle stazioni appaltanti nel richiedere la garanzia provvisoria e
definitiva. Tuttavia, specie in ambito sanitario, dove molte forniture rientrano nelle soglie comunitarie, tali disposizioni trovano raramente applicazione. Per gli affidamenti sopra-soglia, l’art. 117 stabilisce una disciplina speciale per la cauzione definitiva, riducendo il massimale al 2% dell’importo dell’accordo quadro per tutti gli operatori aggiudicatari, con un abbattimento significativo rispetto alla regola generale del 10%. Solo in relazione ai singoli contratti attuativi, la stazione appaltante può prevedere una cauzione specifica, anche inferiore al 10% del valore di ciascun contratto, modulando la maggiorazione in caso di ribassi d’asta. Tuttavia, la percentuale, pur ridotta, rimane consistente, specialmente quando si tratta di gare di rilevante importo. In questi contesti, le PMI affrontano difficoltà nel reperire le garanzie bancarie necessarie per far fronte a tali richieste, considerando che spesso i fatturati promessi non vengono concretamente realizzati, se la PA non effettua gli acquisti previsti. Oltre alle garanzie, gli operatori economici devono sopportare altri oneri di partecipazione, come le spese per la partecipazione, i costi per campioni o prototipi nel caso di forniture, e, se dovuto, il contributo ANAC. La corretta determinazione dei fabbisogni, che rispecchi realmente le esigenze della stazione appaltante, consente di dare maggiore chiarezza sul valore e sulle prestazioni richieste. Ciò permette ai concorrenti di valutare meglio la convenienza
accordo quadro
a partecipare, evitando spese inutili in gare che potrebbero risultare infruttuose. Questo approccio si inserisce nell’obiettivo di favorire la partecipazione delle PMI alle gare pubbliche – tema particolarmente rilevante nel mercato dei dispositivi medici e delle forniture ospedaliere – evitando che oneri sproporzionati diventino una barriera all’ingresso. In questo contesto è da cogliere con favore la novella introdotta dal Correttivo che, in caso di accordi quadro multi-operatore a prestazioni predeterminate (“accordi chiusi”), impone di stabilire a monte la percentuale di ordini che ogni aggiudicatario riceverà. Ciò significa che la documentazione di gara – in sede di decisione a contrarre – deve già indicare come sarà ripartito il fabbisogno tra gli operatori selezionati. L’intento è dichiaratamente quello di garantire a ciascun aggiudicatario una remuneratività effettiva del contratto attuativo, evitando che uno solo fornisca tutto e gli altri restino inutilizzati. Questa previsione è stata tuttavia criticata dal Consiglio di Stato, che nel parere reso sullo schema del Correttivo ha rappresentato come predefinire quote potrebbe entrare in tensione con la regola (ancora presente nell’art. 59, comma 4 lett. a) del Codice) secondo cui la scelta di volta in volta dell’operatore cui affidare una specifica prestazione deve avvenire con motivazione sulle esigenze della PA. In pratica, garantire una quota fissa a ogni fornitore potrebbe limitare la flessibilità di scegliere sempre il fornitore più adatto al singolo ordine. La ratio legis sembra tuttavia propendere per una maggiore tutela contrattuale degli operatori, ritenendo che orientare ex ante la distribuzione degli ordini non compromette il risultato purché tutti gli aggiudicatari siano comunque qualificati e idonei a eseguire le prestazioni (come peraltro garantito dai criteri di selezione). Tale misura è particolarmente rilevante in ambito sanitario, dove gli accordi quadro multi-fornitore sono diffusi: assicurare una quota minima di fornitura a ciascun aggiudicatario incentiva la partecipazione e l’investimento, soprattutto quando un unico operatore non può coprire l’intero fabbisogno per ragioni di capacità produttiva o per diversificare il rischio di approvvigionamento. Negli accordi quadro con un solo operatore, invece, resta il tema del minimo ordinabile.
La prassi amministrativa talvolta contempla delle clausole che specificano l’importo minimo garantito e, in taluni casi, lo fa non solo in linea generale, ma con riferimento ai singoli ordinativi degli enti aderenti, ad esempio, alla gara regionale. Questa rappresenta certamente una opzione utile, da un lato, a garantire il rispetto delle proporzioni stabilite in esito alla gara sulla base della valutazione qualità-prezzo della commissione giudicatrice e, dall’altro, a tutelare il legittimo affida-
mento degli aggiudicatari. Tuttavia, in linea di principio, il quadro normativo attuale non obbliga le stazioni appaltanti a garantire un quantitativo minimo in gara, in quanto l’accordo quadro si fonda sulla variabilità del fabbisogno.
L’incidenza dei fabbisogni nell’equilibrio economico del contratto
L’assenza di quantitativi garantiti e la sovrastima, tutt’altro che infrequente, dei fabbisogni degli accordi minano la possibilità di garantire e mantenere l’equilibrio economico del contratto per gli operatori economici. L’introduzione del comma 5-bis dell’art. 59, operata dal Correttivo, prevede che, prima di giungere alla rottura del vincolo contrattuale, le parti debbano tentare di ripristinare l’equilibrio mediante adattamenti del contratto, seguendo criteri di oggettiva buona fede. Qualora la rinegoziazione fallisca o non sia possibile raggiungere un’intesa equilibrata, intervengono i rimedi risolutori già previsti dal Codice: la facoltà di non stipulare il singolo contratto attuativo, se il disequilibrio emerge prima della stipula, e la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.), se invece il contratto attuativo è già in esecuzione. Queste opzioni, ora sancite nel Codice dei Contratti, attribuiscono sia all’amministrazione che all’appaltatore una exit strategy dal vincolo contrattuale, nel caso in cui eventi eccezionali abbiano stravolto l’equilibrio economico. Si tratta di un approccio innovativo, mutuato dal diritto civile, che si distacca dalla tradizionale visione della irrevocabilità del contratto in materia di contrattualistica pubblica, che ammetteva modifiche solo in caso di inadempimento. Con l’art. 59, comma 5-bis, il Legislatore riconosce che l’interesse pubblico può non essere più quello di proseguire il contratto alle condizioni originarie, specialmente quando i prezzi sono divenuti fuori mercato o l’acquisto da parte della PA risulterebbe antieconomico, e simmetricamente riconosce che l’operatore ha diritto a non subire perdite eccessive per cause non imputabili a lui. Tuttavia, sebbene l’introduzione della rinegoziazione e della risoluzione sia apprezzabile nelle sue finalità, la norma non sembra rispondere appieno alle esigenze di riequilibrio che potrebbero derivare dall’errata determinazione dei fabbisogni, che porta a una bassa richiesta di fornitura o addirittura alla totale assenza di ordini. La norma, infatti, potrebbe trovare applicazione nei casi in cui la mancata stipula di contratti attuativi fosse radicata in situazioni sopravvenute e non prevedibili al momento della stipula del contratto, mentre non pare rispondere ai deficit di indagine che si verificano in fase di programmazione. In tali casi, dunque, una soluzione più coerente potrebbe essere quella di preve-
dere clausole contrattuali di modifica che consentano una rettifica o, comunque, una variazione delle quantità massime preventivate in corso di esecuzione. Sebbene non vi sia un obbligo di esaurire il massimale, nulla vieta alle parti di accordarsi per ridurre il massimale stesso se si realizza che il fabbisogno è significativamente inferiore a quanto previsto. Ad esempio, dopo un anno dalla stipula del contratto, qualora il consumo annuale si riveli significativamente inferiore alle attese, la stazione appaltante e l’operatore potrebbero concordare di abbassare di comune accordo il plafond dell’accordo quadro, con conseguente riduzione degli oneri, tra cui le garanzie. Questo aggiustamento potrebbe avvenire tramite una modifica consensuale ex art. 120, comma 1, lett. a) d.lgs. 36/2023, ossia attraverso la previsione di clausole chiare, precise e inequivocabili. Inoltre, secondo l’art. 120, comma 3, d.lgs. 36/2023, sarebbe possibile modificare i contratti senza necessità di una nuova procedura di gara, qualora il valore della modifica sia inferiore alle soglie comunitarie e al 10% del valore iniziale del contratto per i contratti di servizi e forniture. Un altro strumento utile sarebbe la previsione di una riduzione delle quantità entro il 20%, applicabile secondo l’art. 120, comma 9, il c.d. quinto d’obbligo. Questo articolo stabilisce che, qualora, in corso di esecuzione, si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino al 20% dell’importo complessivo del contratto, la stazione appaltante possa imporre all’appaltatore l’esecuzione alle condizioni originariamente previste. In tal caso, l’appaltatore non può esercitare il diritto alla risoluzione del contratto.
Conclusioni
La trasparenza nella determinazione dei fabbisogni e l’introduzione di un sistema di rendicontazione accurata sono elementi fondamentali per evitare che le gare “al
buio” diventino una prassi consolidata. Questo è particolarmente importante alla luce della normativa attuale, che, come abbiamo visto, non offre strumenti adeguati ad affrontare efficacemente la mancata esecuzione dei contratti attuativi. In quest’ottica, l’introduzione di una garanzia di un minimo ordinabile per gli accordi quadro potrebbe rappresentare una soluzione cruciale per garantire maggiore stabilità nelle forniture e ridurre il rischio di squilibri economici tra le parti. Una misura del genere offrirebbe agli operatori una maggiore prevedibilità, incentivando così la loro partecipazione e assicurando la disponibilità delle prestazioni richieste dalle amministrazioni pubbliche. Alcune centrali di committenza, utilizzando opportunamente la propria discrezionalità, condizionano la possibilità di approvvigionamento degli enti aderenti al rispetto delle percentuali previste in sede di aggiudicazione. Questo rappresenta, in molti casi, uno strumento utile a mitigare i rischi esaminati. In ogni caso, la sfida per il futuro degli accordi quadro sarà quella di trovare un giusto equilibrio tra la necessaria flessibilità garantita agli enti, per rispondere a fabbisogni mutevoli, e le certezze economiche richieste dagli operatori, che diventano ancora più rilevanti nei contesti complessi e imprevedibili. Pur essendo strumenti utili e versatili, gli accordi quadro necessitano di ulteriori perfezionamenti legislativi e pratici per diventare ancora più funzionali e sicuri per tutte le parti coinvolte, specie nel settore sanitario. Il Correttivo, pur avendo introdotto progressi significativi, lascia comunque aperte alcune questioni che richiedono un approfondimento, al fine di rafforzare la stabilità e l’efficacia di questo strumento nel lungo periodo. Solo con interventi normativi mirati e una corretta applicazione delle modifiche, infatti, sarà possibile rendere gli accordi quadro uno strumento realmente vantaggioso per il sistema degli appalti pubblici e per gli operatori economici.
determina a contrarre
Ma quale natura giuridica ha la determina/delibera/decisione
di contrarre?
Il decreto correttivo al Codice dei Contratti Pubblici ha aumentato la confusione circa la natura giuridica della determina/delibera/decisione a contrarre (di seguito per semplicità la chiameremo solo determina a contrarre).
La determina è disciplinata dall’art.17, comma 1, che dispone: “1. Prima dell’avvio delle procedure di affidamento dei contratti pubblici le stazioni appaltanti e gli enti concedenti, con apposito atto, adottano la decisione di contrarre individuando gli elementi essenziali del contratto e i criteri di selezione degli operatori economici e delle offerte”.
La determina è, dunque, quel provvedimento, sottoscritto da chi nell’amministrazione ha responsabilità di budget (dirigente/direttore), che avvia la procedura e nomina il RUP.
del contratto, ovvero colui che si occupa di predisposizione del progetto e di controllo dell’esecuzione del contratto da parte dell’appaltatore.
La determina a contrarre è sottoscritta dal responsabile di budget che, quindi, amministra l’amministrazione, decidendo come spendere i soldi, ma non necessariamente ha competenze tecniche in relazione a ciò che sta comprando.
La confusione che il legislatore continua ad ingenerare sulla determina a contrarre ha, quale conseguenza, che molte amministrazioni ancora allegano alla determina anche
il capitolato e gli atti di gara, facendoli sottoscrivere a chi ha responsabilità di budget
Il RUP, dispone l’art.15, è nominato “Nel primo atto di avvio dell’intervento pubblico da realizzare” e diviene responsabile di tutte le fasi quali: “programmazione, progettazione, affidamento e per l’esecuzione”. La determina a contrarre, quindi, interviene inevitabilmente prima della fase progettuale che deve avere un proprio responsabile unico ed è sottoscritta da chi, nell’amministrazione, ha responsabilità di budget. Tre sono le figure interne all’amministrazione responsabili della soddisfazione del bisogno pubblico:
- il responsabile di budget, ovvero chi decide quale sia il bisogno da soddisfare e quanti soldi allocare sulla soddisfazione di tale bisogno;
- il responsabile di progetto, ovvero chi gestisce tutte le fasi dalla programmazione al collaudo;
- il responsabile della fase di progettazione ed esecuzione
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Giusto per intenderci: in ambito sanitario, molto frequentemente, la determina a contrarre (prendendo la natura di delibera) viene sottoscritta dal Direttore Generale dell’Azienda Sanitaria al quale è riconosciuto il diritto di non avere alcuna competenza tecnica in relazione a ciò che sta ordinando di acquistare. Eppure, eppure il Codice dei Contratti pubblici pretende che nella determina a contrarre siano inseriti contenuti che necessitano di elevata competenza tecnica, quali:
- come già detto l’art.17 prevede che la determina contenga: “gli elementi essenziali del contratto e i criteri di selezione degli operatori economici e delle offerte”;
- l’articolo 11 prevede che la determina contenga: “il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’attività oggetto dell’appalto o della concessione”;
- l’articolo 44 prevede che la determina stabilisca se “il contratto abbia per oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori sulla base di un progetto di fattibilità tecnico/economica approvato”;
- l’articolo 53 dispone che, se si decide di chiedere una cauzione provvisoria anche per un affidamento diretto, le esigenze particolari debbano essere “indicate nella decisione di contrarre oppure nell’avviso di indizione della
Vittorio Miniero - Avvocato*
procedura o in altro atto equivalente”;
- l’articolo 59 dispone che, in caso di accordo quadro plurilaterale senza nuovo rilancio competitivo “la decisione a contrarre di cui all’articolo 17, comma 1, indica le esigenze di programmazione sulla base di una ricognizione dei fabbisogni di ricorso al mercato per l’affidamento di lavori, servizi e forniture. Nei casi di cui al comma 4, lettera a), la decisione a contrarre indica altresì le percentuali di affidamento ai diversi operatori economici al fine di assicurare condizioni di effettiva remuneratività dei singoli contratti attuativi”.
- L’articolo 83, dopo avere imposto che i bandi siano conformi ai bandi tipo approvati da Anac, dispone che “Le stazioni appaltanti, nella delibera a contrarre, motivano espressamente in ordine alle deroghe al bando-tipo”;
- l’articolo 119 prevede che il subappalto possa essere limitato esclusivamente: “Nel rispetto dei principi di cui agli articoli 1, 2 e 3, previa adeguata motivazione nella decisione di contrarre”;
- l’Allegato 1.01 dispone all’articolo 1 che nella determina a contrarre debba essere individuato il “contratto collettivo nazionale e territoriale da applicare al personale impiegato”; il medesimo articolo prevede anche che la determina individui i criteri per la “presentazione e verifica della relativa dichiarazione di equivalenza delle tutele ai sensi dell’articolo 11, comma 4” (qualora l’aggiudicatario proponesse in offerta l’applicazione di un CCNL differente rispetto a quello individuato dall’amministrazione negli atti di gara);
- l’Allegato 1.01 dispone all’articolo 2 che la determina a contrarre debba identificare “l’attività da eseguire mediante indicazione (…) del codice del rispettivo codice ATECO, secondo la classificazione delle attività economiche adottata dall’ISTAT, eventualmente anche in raffronto con il codice per gli appalti pubblici (CPV)”; - l’allegato II.1 prevede che la procedura negoziata debba prendere avvio con la determina a contrarre che contiene: “l’indicazione dell’interesse pubblico che si intende soddisfare, le caratteristiche delle opere, dei beni o dei servizi oggetto dell’appalto, l’importo massimo stimato dell’affidamento e la relativa copertura contabile, la procedura che si intende seguire con una sintetica indicazione delle ragioni della scelta, i criteri per l’individuazione degli operatori da invitare alla procedura negoziata a seguito dell’indagine di mercato o della consultazione degli elenchi, i criteri per la selezione degli operatori economici e delle offerte nonché le principali condizioni contrattuali”. Non si pretenderà un pò troppo dalla determina a contrarre?
La verità è che, a parere di chi scrive, il legislatore non ha ancora individuato una natura giuridica ben definita per questo provvedimento fondamentale che dà avvio a
determina a contrarre
qualunque procedura di gara. Da quando il procedimento di soddisfazione del bisogno ha inglobato anche la fase della progettazione, pretendendo che vi sia un responsabile unico che guidi tutto il procedimento dalla sua nomina (ovvero dalla determina a contrarre) al collaudo, la determina a contrarre, che dà avvio a tutto, non può contenere anche scelte che sono prettamente progettuali.
La determina a contrarre interviene, infatti, indubbiamente, prima della fase della progettazione.
Ma se è così (ed è indubbio, altrimenti la fase della progettazione non avrebbe un proprio RUP) come fa chi firma la determina, prima della fase della progettazione realizzata, a sapere, conoscere ed indicare:
- “gli elementi essenziali del contratto e i criteri di selezione degli operatori economici e delle offerte” (Art.17);
- “il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’attività oggetto dell’appalto o della concessione” (Art.11 e All.I.01);
- se realizzare le opere ponendo a base di gara un progetto esecutivo o un PFTE (Art.44);
- se valga la pena o meno richiedere sempre e comunque la cauzione provvisoria (Art.53);
- le modalità di distribuzione percentuale dei vari contratti adesivi tra gli operatori aggiudicatari dell’Accordo Quadro (Art.59) ;
- se sia necessario derogare dai contenuti del bando tipo di Anac (Art.83);
- se sia necessario limitare il subappalto (Art. 119);
- quale sia il codice CPV ed Ateco dell’attività principale da porre a base di gara (Allegato 1.01, Art.2);
- quali siano i criteri di selezione degli operatori economici da invitare alla procedura negoziata (Allegato II.1).
In un Codice che prevede che la determina a contrarre sia quel provvedimento che dà avvio a tutto e che nomini la figura Responsabile che si fa carico di gestire tutto dalla progettazione al collaudo, la determina dovrebbe avere tre contenuti minimi essenziali costitutivi:
- l’individuazione del bisogno da soddisfare;
- l’indicazione della quantità di risorse disponibili per soddisfare tale bisogno;
- l’indicazione di chi sia il RUP che seguirà la soddisfazione del bisogno fino al collaudo.
Tutti gli altri contenuti più sopra individuati necessitano di competenze tecniche che il responsabile di budget ha diritto di non conoscere (o quanto meno di non conoscere ancora all’atto dell’avvio del procedimento) e dovrebbero trovare corretta collocazione negli atti successivi propedeutici alla realizzazione della procedura e non nella determina a contrarre.
Mi sia consentita un’ultima indicazione.
La confusione che il legislatore continua ad ingenerare sulla determina a contrarre ha, quale conseguenza, che
determina a contrarre
molte amministrazioni ancora allegano alla determina anche il capitolato e gli atti di gara, facendoli sottoscrivere a chi ha responsabilità di budget.
In alcune amministrazioni si parla ancora di “determina di indizione della procedura”.
Si ritiene tale prassi non corretta e non coerente con la responsabilità che ciascuno deve assumersi nella realizzazione della procedura.
Al responsabile di budget sta la competenza a sottoscrivere
la determina a contrarre, nominando un RUP, ed individuando bisogno e soldi.
Da lì in poi sarà il RUP, con propri atti, ad approvare atti che egli stesso o chi per lui (professionisti esterni o responsabili di fase) avranno redatto e sottoscritto.
Questa prassi parrebbe maggiormente coerente con le responsabilità e competenze che il legislatore ha inteso distribuire tra le tre figure maggiormente coinvolte nella soddisfazione del bisogno e più sopra descritte.
trasformazione digitale del ciclo di vita degli appalti
Chiara Pratesi - Funzionario Regione Toscana
La digitalizzazione degli appalti pubblici: evoluzione normativa, fondamenti sistemici e portata innovativa del d.lgs. 36/2023
Il d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (Codice) segna un mutamento strutturale nella disciplina dei contratti pubblici, ponendo la digitalizzazione non più come supporto tecnico ma quale architrave dell’azione amministrativa. Lungi dal limitarsi alla dematerializzazione documentale, la riforma impone una gestione integralmente digitale dell’intero ciclo di vita del contratto mediante un ecosistema di piattaforme interoperabili e banche dati integrate. Il presente contributo si propone di analizzare il rilievo giuridico di tale transizione, articolandosi in tre sezioni. La prima ricostruisce l’evoluzione normativa e l’impianto sistemico della digitalizzazione nel nuovo Codice. La seconda approfondisce l’art. 19 del Codice, che codifica principi e diritti digitali, elevando la cittadinanza digitale a presupposto operativo dell’e-procurement. La terza esamina la trasparenza informativa come architettura della legalità procedimentale nella prospettiva di un’amministrazione orientata al risultato, alla fiducia e all’efficienza.
La Trasformazione
Digitale del Ciclo di vita degli Appalti Pubblici:
il D.lgs. 36/2023 tra principi e innovazione normativa
La digitalizzazione degli appalti pubblici: evoluzione normativa, fondamenti sistemici e portata innovativa del d.lgs. 36/2023
La riforma introdotta con il decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 costituisce un momento di svolta nel lungo processo di evoluzione della contrattualistica pubblica. Per la prima volta, la digitalizzazione non è più configurata come elemento accessorio o meramente strumentale, ma assurge a fondamento strutturale della disciplina, trovando
compiuta espressione nella Parte II del Libro I del Codice, interamente dedicata al ciclo di vita dei contratti, dalla programmazione all’esecuzione1. L’adozione esplicita dei principi digitali sin dalle prime disposizioni non si limita a segnalare un mutamento formale ma consacra un vero e proprio mutamento di paradigma: la transizione digitale si configura come architrave della nuova disciplina degli appalti pubblici, nonché come condizione necessaria per la sua effettività2. È da osservare che la digitalizzazione dei contratti pubblici non si esaurisce nella sostituzione del cartaceo con documenti informatici firmati digitalmente ma implica un ripensamento complessivo del ciclo contrattuale. Dalla programmazione all’esecuzione, ogni fase deve svolgersi all’interno di un ecosistema digitale integrato, composto da piattaforme, sistemi e banche dati interoperabili. Il nuovo Codice promuove una digitalizzazione strutturale e sistemica, superando approcci frammentari e affidando agli articoli 19-36 del Codice il compito di disciplinare organicamente questa trasformazione3.L’approccio adottato si inserisce in una più ampia traiettoria evolutiva, di matrice tanto europea quanto nazionale, nella quale la digitalizzazione è intesa come riforma funzionale al rafforzamento della competitività e dell’efficienza dell’apparato pubblico. In tal senso, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)4 – che merita di essere qualificato come elemento teleologico e non meramente congiunturale del nuovo Codice – individua nella transizione digitale e nell’interoperabilità dei dati due assi strategici per la modernizzazione sistemica del Paese,
1 Relazione illustrativa del Consiglio di Stato al D.lgs. 36/2023 disponibile sul sito www.giustizia-amministrativa.it, 37 ss.
2 M. C. Pollicino, I principi di digitalizzazione nei contratti pubblici. Le maggiori novità, le criticità e i punti di forza della nuova tecnica legislativa per principi nel digital, Amministrativamente Rivista scientifica trimestrale di diritto amministrativo 3/2024, 1178 ss.
3 F. Tallaro, La digitalizzazione del ciclo dei contratti pubblici, Giustizia Amministrativa (www.giustizia-amministrativa.it), 2023, 1.
4 Per un approfondimento, vd. AA.VV., I Piani di resilienza in prospettiva comparata, Rivista trimestrale di diritto pubblico, 4/2021, 1137 ss.
trasformazione digitale del ciclo di vita degli appalti
attribuendo alla pubblica amministrazione un ruolo propulsivo centrale5. In questa cornice, l’implementazione concreta delle tecnologie digitali in tutte le fasi del procedimento contrattuale non rappresenta una scelta tecnica, ma una condizione imprescindibile per il miglioramento strutturale della performance amministrativa6. Non meno rilevante è il profilo assiologico della riforma: la digitalizzazione, lungi dal ridursi a un vettore di efficienza, si configura anche come presidio di legalità e strumento di contrasto alla corruzione7. La tracciabilità informatica, l’automatismo procedurale e l’accessibilità generalizzata ai dati pubblici realizzano, infatti, una forma avanzata di controllo diffuso e partecipato, che consente di superare alcune delle opacità storicamente connaturate alla gestione degli appalti. In questo senso, l’infrastruttura digitale concorre a garantire l’allocazione trasparente delle risorse pubbliche e il rispetto del principio di legalità sostanziale8. Anche sotto il profilo operativo, l’adozione di strumenti telematici interoperabili e la standardizzazione dei processi contribuiscono a ottimizzare i tempi amministrativi e a ridurre il margine di errore, contrastando fenomeni patologici quali disallineamenti documentali, omissioni o vizi formali9 Tale efficienza procedimentale, tuttavia, va letta non solo come risultato ma come riflesso di un nuovo assetto istituzionale nel quale la gestione dei dati sostituisce la centralità dell’atto amministrativo. In tale scenario, si può osservare che, da un lato, con il tempo è maturata una più diffusa consapevolezza circa il ruolo strategico della digitalizzazione quale leva essenziale per l’innovazione amministrativa, con un conseguente rafforzamento degli investimenti nella formazione e nell’acquisizione di competenze digitali da parte della pubblica amministrazione. Dall’altro, la materia
è oggetto di una regolazione normativa sempre più organica e strutturata in grado di incidere progressivamente sugli assetti tradizionali del diritto amministrativo10. Sul piano storico, il nuovo Codice si colloca nel solco tracciato dal “Rapporto Giannini” del 197911 e con il riconoscimento legislativo della strumentazione digitale attraverso l’art. 3-bis della legge n. 241/199012 e il Codice dell’amministrazione digitale del 2005 (CAD); in particolare, l’art. 3-bis impone alle amministrazioni pubbliche l’obbligo di agire mediante strumenti informatici e telematici “per conseguire maggiore efficienza”13. Tuttavia, il percorso applicativo di questi precetti si è mostrato disomogeneo. Nonostante le direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE abbiano imposto la gestione elettronica delle procedure di gara, il d.lgs. 50/2016 – pur formalmente conforme – ha faticato a tradurre in prassi gli obiettivi di digitalizzazione, anche a causa della mancata tempestiva adozione dei decreti attuativi previsti14. Ne è derivato un sistema disorganico, caratterizzato da scarsa interoperabilità e frammentazione informativa15. Il nuovo Codice si distingue dunque per la sua nettezza prescrittiva: a partire dal 1° gennaio 2024, tutte le procedure devono essere integralmente gestite attraverso piattaforme certificate, interoperabili e collegate in tempo reale alla Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (cd. “BDNCP”) che funge da fulcro dell’ecosistema digitale16 Tale assetto è composto da piattaforme di e-procurement e servizi digitali abilitanti17 che non solo rendono possibile l’interoperabilità ma diventano condizione tecnica per l’esercizio dei diritti soggettivi digitali in capo ai diversi attori del procedimento 18. La BDNCP si configura come snodo centrale – hub - per la raccolta e la gestione unitaria dei dati e delle informazioni inerenti alle procedure ad evi-
5 G. Mancini Palamoni, Il paradigma digitale dell’evidenza pubblica, Rivista interdisciplinare sul diritto delle amministrazioni pubbliche, 2/2023, 65.
6 G.M. Racca, La “fiducia digitale” nei contratti pubblici tra piattaforme e data analysis, Le Istituzioni del Federalismo, 2/2023, 357.
7 Relazione Illustrativa, op. cit, 38.
8 A. Massari, L’applicazione del nuovo Codice dal 1° gennaio 2024 e la “pandigitalizzazione” del ciclo di vita dell’appalto (Prima parte), Appalti&Contratti, 1-2 2024, 12.
9 P. Chirulli, Contratti pubblici e amministrazione del futuro, Rivista interdisciplinare sul diritto delle amministrazioni pubbliche, 3/2023, 32.
10 E. D’Orlando, G. Orsoni, Editoriale “La digitalizzazione e l’organizzazione della pubblica amministrazione”, Le Istituzioni del Federalismo, 2/2023, 290-291.
11 Ci si riferisce al Rapporto sui principali problemi dell’Amministrazione dello Stato, redatto da Massimo Severo Giannini, allora ministro della funzione pubblica, e trasmesso alle Camere il 16 novembre 1979, costituisce un fondamentale antecedente teorico che ha ispirato il dibattitto e le successive riforme della pubblica amministrazione italiana. Per approfondimenti vd. Aurisicchio Gabriele, Lo Bianco Gian Carlo Le vicende della riforma della pubblica amministrazione: una riflessione critica ed alcune prospettive in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1984, fasc. 2, 479.
12 L’articolo 3 bis L. 241/1990 (Uso della telematica) prevede che “Per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche agiscono mediante strumenti informatici e telematici, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati”.
13 A. Saporito, Verso una “nuova” amministrazione digitale. Towards a “new” digital administration, AmbienteDiritto, 2/2023, 3.
14 Vd. L’art. 44 del D.lgs. 50/2016 prevedeva che le procedure di gara fossero integralmente gestite attraverso piattaforme telematiche, demandando però a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la definizione delle relative modalità operative. Tale decreto – il D.M. 12 agosto 2021, n. 148 – è giunto con significativo ritardo, a distanza di oltre cinque anni dall’entrata in vigore del Codice.
15 G. Mancini Palamoni, op. cit.
16 Vitiello, La digitalizzazione dei contratti pubblici: trasparenza e accesso agli atti, in Amministrazione in Cammino, 2025, 6.
17 Vd. artt. 22 e 23 D.lgs. 36/2023:lL’ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale (e-procurement) è costituito dalle piattaforme e dai servizi digitali infrastrutturali abilitanti la gestione del ciclo di vita dei contratti pubblici la cui infrastruttura tecnologica portante è la Banca dati nazionale dei contratti pubblici (BDNCP) di cui all’articolo 62-bis del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 e di cui è titolare in via esclusiva l’ANAC ai sensi dell’articolo 62-bis del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
18 A. Massari, op. cit, 16.
trasformazione digitale del ciclo di vita degli appalti
denza pubblica. In tale prospettiva, appare evidente il nesso inscindibile tra l’attuazione degli obblighi di trasparenza e i processi di digitalizzazione che, come vedremo, si pongono quale strumento imprescindibile per la concreta realizzazione del principio di trasparenza amministrativa19. La portata della riforma è generale: le disposizioni sulla digitalizzazione si applicano a tutte le tipologie contrattuali, senza soglie di importo, e a tutte le fasi del ciclo di vita del contratto20. Le attività devono essere eseguite mediante piattaforme digitali interoperabili conformi al CAD e nel rispetto della disciplina sulla tracciabilità dei flussi finanziari. Il principio di trasparenza assume così una nuova conformazione, diventando immanente alla progettazione digitale delle procedure. Tuttavia, la piena attuazione di tale modello richiede un investimento integrato, non limitato al solo ambito tecnologico, ma esteso anche alla dimensione organizzativa e culturale. Oltre agli interventi infrastrutturali e alla formazione continua del personale, si rende necessario un profondo ripensamento delle dinamiche operative dell’amministrazione, volto a favorire l’adozione di nuovi paradigmi gestionali coerenti con la logica dei dati e dell’interoperabilità. È in questo quadro che la digitalizzazione consente una rinnovata declinazione del principio costituzionale di buon andamento, ai sensi dell’art. 97 Cost., promuovendo un’amministrazione più efficiente, trasparente e responsabile21. Si tratta, in definitiva, di un processo che non può essere letto nei soli termini di innovazione tecnologica, ma che incide profondamente sulla fisiologia dell’amministrazione pubblica, riconfigurandone l’identità in chiave digitale. In questa prospettiva, l’ambiente digitale non si esaurisce in una funzione meramente strumentale, ma assume il ruolo di catalizzatore dell’innovazione istituzionale: da un lato, semplifica e rinnova in profondità numerosi procedimenti amministrativi; dall’altro, incide sulla produzione, gestione e valorizzazione dei dati pubblici, divenuti sempre più numerosi e centrali nei processi decisionali.22. Tuttavia, questa trasformazione comporta anche sfide rilevanti, in particolare per quanto riguarda la sicurezza e la protezione dei dati personali. L'adozione di tecnologie avanzate e l'interoperabilità
tra sistemi informativi richiedono misure adeguate a garantire la riservatezza, l'integrità e la disponibilità delle informazioni trattate.
Principi e diritti digitali nel ciclo di vita dei contratti: l’art. 19 del D.lgs. 36/2023
L’articolo 19 del D.lgs. 36/2023 rappresenta un pilastro del nuovo Codice dei contratti pubblici, ponendosi come punto di raccordo tra i principi generali – in particolare, risultato, fiducia e accesso al mercato 23– e la struttura operativa dell’e-procurement. Con questa disposizione, il legislatore codifica in maniera organica i principi e i diritti digitali destinati a presidiare l’intero ciclo di vita del contratto pubblico, traducendo in norma positiva l’orizzonte riformatore di una pubblica amministrazione interamente digitalizzata24. Significativo è che il legislatore abbia collocato la disposizione all’interno della Parte II del I Libro del Codice, immediatamente dopo i principi generali, riconoscendole una funzione strutturale e non meramente funzionale. L’art. 19, in particolare, individua quattro direttrici fondamentali dell’amministrazione digitale: neutralità tecnologica, trasparenza, sicurezza informatica e protezione dei dati personali che, nel loro insieme, configurano una cornice di garanzie a presidio di quel diritto che, più di ogni altro, risulta direttamente coinvolto e ridefinito dalla transizione digitale: il diritto alla cittadinanza digitale 25. Tale espressione è intesa quale insieme di situazioni giuridiche soggettive riconosciute al cittadino nei rapporti digitali con la pubblica amministrazione, agevolati da strumenti come identità digitale, PEC, domicilio digitale, firme elettroniche e pagamenti26. La cittadinanza digitale è a sua volta rafforzata proprio dai plurimi obiettivi tra loro complementari della digitalizzazione del ciclo contrattuale: l’efficienza procedimentale, la semplificazione amministrativa, la riduzione dei tempi di verifica dei requisiti grazie al fascicolo virtuale dell’operatore economico, la tracciabilità dei flussi finanziari e la certezza dei dati, anche attraverso tecnologie innovative quali blockchain e Building Information Modeling (BIM)27. Questi principi, recepiti anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea28 e nel Codice
19 C. Marchese, I percorsi intrecciati della trasparenza e della digitalizzazione nel Codice dei contratti pubblici, Urbanistica e appalti 6/2023, 713.
20 Vd. art. 21, D.lgs. 36/2023 - Ciclo di vita digitale dei contratti pubblici- comma 1 dispone che “Il ciclo di vita digitale dei contratti pubblici, di norma, si articola in programmazione, progettazione, pubblicazione, affidamento ed esecuzione”.
21 A. Corrado, I nuovi contratti pubblici, intelligenza artificiale e blockchain: le sfide del prossimo futuro, Federalismi 19/2023, 129.
22 J.-B. Auby, La digitalizzazione come motore dell’evoluzione dell’organizzazione della pubblica amministrazione, Istituzioni del Federalismo, 2/2023, 389.
23 Artt. 1- 3 D.lgs. 36/2023.
24 M.C. Pollino, op. cit., 1183.
25 M. Macchia, Digitalizzazione dei contratti pubblici e legge della fiducia, Munus, 3/2023, 833.
26 F. Costantino, La c.d. cittadinanza digitale, Diritto pubblico 1/2023, 150-151.
27 G. Carlotti, I principi nel Codice dei contratti pubblici: la digitalizzazione in Giustizia Amministrativa 2023, www.giustizia-amministrativa. it.
28 In particolare l’art. 11 - Libertà di espressione e d’informazione – al comma 1 stabilisce che “Ogni individuoha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”.
trasformazione digitale del ciclo di vita degli appalti
dell’Amministrazione Digitale29, trovano fondamento nella cornice costituzionale e delineano i presupposti per una cittadinanza digitale effettiva30. In particolare, il fondamento costituzionale della digitalizzazione amministrativa si rinviene nell’art. 117 Cost., sia al primo comma – in quanto attuazione di obblighi europei – sia al secondo comma, lett. r), che riserva allo Stato il coordinamento informativo, statistico e informatico tra amministrazioni statali, regionali e locali31. In tale prospettiva, la neutralità tecnologica, prevista dal comma 1 dell’art. 19, comporta l’abbandono di vincoli legati all’adozione di soluzioni proprietarie, riconoscendo alle stazioni appaltanti la libertà di selezionare strumenti informatici coerenti con le specificità procedurali e funzionali al principio del risultato. Tale libertà trova un’applicazione concreta nell’art. 30, che disciplina l’utilizzo delle procedure automatizzate in coerenza con la strategia europea sull’intelligenza artificiale32 . I commi 6 e 7 dell’art. 19, in particolare, precisano che l’utilizzo dell’au-
29 Vd. Parte I Sezione II rubricata “Carta della cittadinanza digitale”.
30 M. Macchia, op. cit. 833 ss.
31 A. Massari, op. cit., 17.
32 M.C. Pollicino, op. cit., 1185.
Il collegamento tra interoperabilità e qualità dell’azione amministrativa trova ulteriore conferma nell’art. 12 del CAD36, che riconosce l’efficienza organizzativa quale esito diretto della digitalizzazione e del coordinamento tra sistemi
33 L’articolo 19 D.lgs. 36/2023 dispone commi 6 e 7 che “ 6. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurano la tracciabilità e la trasparenza delle attività svolte, l’accessibilità ai dati e alle informazioni, la conoscibilità dei processi decisionali automatizzati e rendono le piattaforme utilizzate accessibili nei limiti di cui all’articolo 35. I gestori delle piattaforme assicurano la conformità delle medesime alle regole tecniche di cui all’articolo 26.
7. Ove possibile e in relazione al tipo di procedura di affidamento, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti ricorrono a procedure automatizzate nella valutazione delle offerte ai sensi dell’articolo 30£.
34 Boris Vitiello, op. cit, 10.
35 G. Carloni, op. cit.
36 Art. 12 del CAD rubricato Norme generali per l’uso delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni nell’azione amministrativa al tomazione deve essere proporzionato alla complessità della procedura, garantendo in ogni caso tracciabilità e verificabilità delle decisioni algoritmiche33. La riflessione prosegue con il secondo comma dell’art. 19, nel quale viene sancito il principio del “once only” ovvero unicità dell’invio. Tale previsione stabilisce che i dati forniti da un operatore economico non possano essere nuovamente richiesti da altre amministrazioni ma debbano essere resi disponibili attraverso l’interoperabilità delle banche dati, oggi strutturalmente centralizzate nella Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici gestita da ANAC34. La disposizione si colloca in linea con gli artt. 18 l. 241/1990 e 43 d.P.R. 445/2000 che impongono alle PA di non richiedere ai privati documenti già in loro possesso.35.
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informativi37. Il Codice riprende dunque istanze già presenti nell’ordinamento, confermandole e rafforzandole in un settore, quello degli appalti, di fondamentale importanza pratica. In continuità logica, il comma 3 dell’art. 19 estende l’obbligo della gestione digitale a tutte le attività e i procedimenti amministrativi relativi al ciclo di vita del contratto pubblico, imponendo l’utilizzo delle piattaforme e dei servizi digitali previsti dal CAD. La disposizione si salda con quanto previsto al comma 4, che impone ai soggetti titolari di banche dati di adottare misure organizzative e regolamentari idonee ad assicurare l’accesso automatico e l’interoperabilità delle informazioni, al fine di realizzare una tracciabilità integrale dei dati38. La disciplina si completa con il comma 5, che introduce obblighi in materia di sicurezza informatica e protezione dei dati personali, stabilendo che stazioni appaltanti, enti concedenti e operatori economici adottino presìdi tecnici e organizzativi adeguati. La medesima disposizione stabilisce altresì che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti garantiscano in modo continuativo la formazione del personale. Ciò dimostra come la
piena attuazione della digitalizzazione amministrativa non si esaurisce nell’adozione di strumenti tecnologici ma richiede un profondo mutamento culturale e organizzativo. È necessario superare la logica burocratica tradizionale, fondata sul documento cartaceo e su procedure compartimentate, per abbracciare un modello operativo centrato sull’integrazione dei processi e sull’elaborazione del dato39. In tale prospettiva, la formazione continua del personale si configura come presupposto essenziale per vincere le resistenze culturali e garantire al contempo un uso consapevole ed efficace delle piattaforme digitali: in assenza di adeguate competenze, anche le soluzioni informatiche più avanzate risultano inefficaci o impropriamente applicate40. In tale contesto, la formazione continua del personale emerge come elemento imprescindibile per il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, ai sensi dell’art. 97 Cost.41. In sintesi, l’art. 19 del Codice non si limita a enucleare obblighi operativi ma si configura quale fulcro del nuovo assetto digitale dei contratti pubblici. Esso impone un mutamento paradigmatico: la progettazione delle procedure non pren-
comma 1 stabilisce che “ Le pubbliche amministrazioni nell’organizzare autonomamente la propria attività utilizzano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la realizzazione degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e partecipazione nel rispetto dei principi di uguaglianza e di non discriminazione […].
37 A. Massari, op. cit. 16.
38 Relazione Illustrativa, op. cit., 41.
39 A Corrado, Le innovazioni digitali e la qualificazione delle stazioni appaltanti, in R. Cavallo Perin M. Lipari G. M. Racca, Contratti pubblici e innovazioni nel nuovo codice trasformazioni sostanziali e processuali, Napoli, 2024, 96-97.
40 M. Macchia, op. cit. 840-841.
41 Relazione Illustrativa, op. cit., 41.
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de più avvio dal documento ma dal flusso informativo dei dati. In questa prospettiva, la digitalizzazione non è più un semplice strumento tecnico ma un elemento identitario dell’amministrazione pubblica. Il vero banco di prova sarà la capacità delle amministrazioni di tradurre l’innovazione normativa in prassi efficaci, evitando derive tecnocratiche e salvaguardando le garanzie costituzionali.
La trasparenza digitale come architettura dell’azione amministrativa: profili sistematici e implicazioni giuridiche
Nell’ambito della contrattualistica pubblica, la trasparenza si configura come principio cardine dell’azione amministrativa in quanto strumentale alla conoscibilità delle procedure, alla promozione della concorrenza e alla garanzia dell’efficienza. Come evidenziato nella Relazione al Codice, essa non può restare una mera enunciazione di principio, ma deve trovare effettiva attuazione attraverso un complesso organico di obblighi informativi, pubblicità legale e accessibilità dei dati42. Essa assume una valenza ordinamentale fondamentale, non solo in quanto strumento di controllo e legalità, ma anche come leva di riavvicinamento tra cittadini e istituzioni. Tale centralità trova già fondamento nell’art. 1 del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (c.d. “decreto trasparenza”43), che riconosce alla trasparenza un ruolo essenziale nell’organizzazione e nello svolgimento dell’attività amministrativa, nonché nella costruzione di un modello democratico fondato sull’accessibilità e sulla partecipazione 44. In quest’ottica, il nuovo Codice dei contratti pubblici rappresenta un momento di svolta segnando il passaggio da un modello documentale a un paradigma di trasparenza informativa digitale nella contrattualistica pubblica. In tale contesto, la Parte II del Libro I, e in particolare gli articoli 20, 27 e 28, disegnano, come vedremo, un assetto normativo che affida alla digitalizzazione non solo una funzione strumentale, ma una vera e propria valenza sistemica. L'art. 20 del Codice, rubricato "Principi in materia di trasparenza", sancisce l'intreccio inscindibile tra trasparenza e digitalizzazione, enucleando il principio dell'unicità dell'invio e della pubblicazione dei dati e imponendo alle amministrazioni pubbliche l'utilizzo di piattaforme digitali interoperabili.
42 Relazione Illustrativa, op. cit., 42.
Ciò implica non solo l’adozione di strumenti tecnologici innovativi, ma anche una revisione complessiva dei modelli organizzativi, in cui la trasparenza si afferma come finalità e la digitalizzazione come mezzo per un’amministrazione più efficiente, responsabile e orientata al risultato. In tale contesto, la digitalizzazione contribuisce anche al buon funzionamento del mercato e al consolidamento di un'amministrazione più moderna, integrata e orientata al risultato45 Come abbiamo visto, il nuovo regime si innesta in un più ampio processo di riforma che investe tutte le fasi del ciclo di vita del contratto pubblico, dalla programmazione all'esecuzione, e che impone un ripensamento delle ordinarie procedure amministrative, non più basate sull'acquisizione documentale, bensì sull'accesso diretto e interoperabile ai dati digitali custoditi nella Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP)46. Tale infrastruttura, non si limita a svolgere una funzione di archiviazione, ma assume il ruolo di collettore nazionale, in cui confluiscono le informazioni giuridicamente rilevanti e che, proprio per ciò, assume valore di pubblicità legale47. In tale logica si inserisce anche l’art. 27, che equipara la pubblicazione in BDNCP agli effetti dell’albo pretorio, e l’art. 28, che estende gli obblighi di alimentazione digitale anche ai contratti esclusi o parzialmente regolati dal Codice. In particolare, i primi due commi dell’art. 28 impongono la trasmissione tempestiva dei dati alle piattaforme digitali e il loro collegamento alla sezione “Amministrazione trasparente” dei siti istituzionali, secondo una logica di efficienza informativa e non duplicazione48
La disciplina distingue dunque nettamente tra pubblicità legale e pubblicità trasparente: la prima diretta a produrre effetti giuridici, la seconda orientata a garantire il controllo diffuso da parte dei cittadini49. Tale estensione della trasparenza investe l’intero ciclo dell’appalto, inclusa la fase esecutiva. Al riguardo si ravvede un precedente rilevante nell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10/202050 che ha riconosciuto l’accesso civico generalizzato non solo agli atti delle procedure di gara ma anche all'esecuzione dei contratti pubblici, in una prospettiva di trasparenza totale dell’intero ciclo della procedura ad evidenza pubblica. Questa trasformazione rappresenta una delle innovazioni
43 Il d. lgs. 14 marzo 2013, all’ art. 1 “Principio generale di trasparenza” comma 1 stabilisce che “La trasparenza è intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.
44 A. Corrado, Il regime della trasparenza e dell’accesso digitale ai documenti nei contratti pubblici: vantaggi e criticità alla vigilia dell’applicazione delle nuove norme del Codice, Federalismi, 31/2023, 82.
45 M. Guarino, La digitalizzazione nei contratti pubblici, Rivista della Corte dei conti, 4/2024, 69-70.
46 A. Corrado, op. cit., 80-84.
47 C. Marchese, op. cit., 712-713.
48 A. Massari, L’applicazione del nuovo Codice dal 1° gennaio 2024 e la “pandigitalizzazione” del ciclo di vita dell’appalto (Seconda parte), Appalti&Contratti 3/2024, 11.
49 Relazione Illustrativa, op. cit, 43.
50 Consiglio di Stato ad. plen., 02/04/2020, n.10 in DeJure. Per approfondimenti, vd. A. Grignani Commento ad una prima lettura della sentenza 2 aprile 2020, n. 10 del Consiglio di Stato sull’accesso agli atti nelle procedure ad evidenza pubblica in Foro Amministrativo (Il), fasc.4, 2020, 748.
trasformazione digitale del ciclo di vita degli appalti
più rilevanti introdotte dal nuovo Codice: la centralità della Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici consente di strutturare un ecosistema digitale in cui la trasparenza non costituisce più una mera opzione bensì un effetto diretto e necessario dell’interoperabilità tra banche dati51. Si tratta di un vero e proprio cambio di prospettiva in cui la trasparenza digitale assume un ruolo centrale nella ridefinizione dell'azione amministrativa secondo i canoni dell'amministrazione di risultato. In tale ottica, la conoscibilità integrale e verificabile dei dati rappresenta una condizione necessaria per l'effettiva valutazione delle performance pubbliche, rendendo l'accesso alle informazioni non solo un diritto dei cittadini, ma uno strumento per la misurazione dell'efficienza52. Particolare rilievo assume il valore giuridico del dato digitale, nella misura in cui la trasparenza, quale principio generale dell’azione amministrativa ex art. 1, comma 1, del Codice, costituisce il presupposto imprescindibile per l’attuazione del principio del risultato. Solo un’azione conoscibile e tracciabile è infatti suscettibile di valutazione in relazione al conseguimento degli obiettivi pubblici, secondo i criteri di tempestività, qualità ed economicità53. Questa transizione dal documento al dato è funzionale alla costruzione di una “fiducia digitale”, intesa come affidamento razionale sull’operato amministrativo da parte di cittadini e operatori economici. Ciò richiede un’evoluzione del contratto pubblico verso modelli più collaborativi, in cui la gestione digitale del ciclo contrattuale sostituisca logiche oppositive basate su interessi contrapposti54. L’adozione di piattaforme certificate garantisce trasparenza, tracciabilità e sicurezza, alimentando un patto fiduciario virtuoso tra amministrazione e mercato55. Tale fiducia si traduce, per cittadini e operatori economici che interagiscono con l’amministrazione, in un dovere di fedeltà alla Repubblica ai sensi dell’art. 54 della Costituzione, orientato al perseguimento condiviso degli obiettivi di tempestività, efficienza e risultato56. L’effettività della trasparenza informativa richiede l’interoperabilità tra sistemi informatici, in attuazione del principio del “once only”. In questa prospettiva, la trasparenza non è più una funzione amministrativa separata, ma una qualità strutturale dell’infrastruttura digitale pubblica, da incorporare sin dalla fase di progettazione dei sistemi. Il principio dell’unicità dell’invio, strettamente connesso a tale logica, consente una semplificazione concreta per cittadini e imprese, oltre a determinare risparmi significativi per le amministrazioni nelle attività conoscitive, come la verifica
dei requisiti di partecipazione degli operatori economici57. L'inquadramento sistemico del rapporto tra trasparenza e digitalizzazione risulta dunque imprescindibile per comprendere la razionalità sottesa alla Parte II del Libro I del d.lgs. 36/2023. Il dato digitale, oltre a costituire l'oggetto della trasparenza, ne diventa anche il supporto tecnico-giuridico. Il dato digitale, svincolato dalla mera funzione documentale, assume una valenza sostanziale, abilitando nuovi strumenti di controllo sociale e responsabilità pubblica. La Parte II del Libro I del d.lgs. 36/2023 restituisce così alla trasparenza una dimensione operativa e sistemica fondata sul dato digitale come elemento costitutivo dell’azione amministrativa.
Osservazioni conclusive
La riforma introdotta con il d.lgs. 36/2023 segna una cesura rispetto al passato proiettando la contrattualistica pubblica in una dimensione autenticamente digitale. Il Codice configura la digitalizzazione come elemento fondativo del procedimento amministrativo, non più relegato alla funzione accessoria della semplificazione, bensì assunto quale criterio ordinante dell’intero ciclo contrattuale. Ne discende una ridefinizione del rapporto tra amministrazione, mercato e cittadini, incentrata sulla cittadinanza digitale, sulla trasparenza nativamente informativa e sulla centralità del dato quale oggetto e supporto della legalità amministrativa. Il nuovo impianto normativo esige un cambiamento culturale e organizzativo profondo, che non si esaurisce nell’adozione di strumenti tecnologici, ma implica la revisione delle prassi amministrative secondo la logica dell’interoperabilità e della tracciabilità. In questa prospettiva, il dato digitale diviene parametro di legittimità e strumento di valutazione delle performance pubbliche, mentre la trasparenza, da enunciazione programmatica, si consolida come effetto giuridicamente necessario del sistema informativo integrato. Nonostante il suo impianto innovativo, la riforma pone il rischio di disomogeneità tra amministrazioni, dovuto a disparità infrastrutturali e può compromettere l’effettività dei diritti digitali e la parità di trattamento. Inoltre, l’adozione estesa di sistemi automatizzati richiede garanzie di trasparenza, controllo e sicurezza dei dati, per evitare derive opache e lesive dei principi di imparzialità e buon andamento. La sfida è dunque culturale oltre che tecnica: occorre rafforzare le competenze nella PA e presidiare l’evoluzione tecnologica con adeguate tutele giuridiche.
51 G.M. Racca, Trasformazioni e innovazioni digitali nella riforma dei contratti pubblici, Diritto Amministrativo, 4/2023, 723-728.
52 F. Conte, Il ruolo del principio di risultato e della digitalizzazione nel processo di riforma della pubblica amministrazione, Amministrativamente Rivista scientifica trimestrale di diritto amministrativo, 3/2024, 1290-1292.
53 B. Vitiello, op. cit., 6-7.
54 G. Racca, op. cit., 723.
55 M. Guarino, op. cit, 72. L’autore sottolinea come “la digitalizzazione sembra procurare fiducia nei confronti dell’amministrazione, contrastando quelle carenze che prendono il nome di “paura della firma” o “burocrazia difensiva”.
L’adesione alle convenzioni regionali da parte degli enti del SSN è obbligatoria senza
se e senza ma
Con un recente arresto1, meritevole di menzione per la rilevanza e l’attualità della questione trattata, il TAR Lombardia ha affermato alcuni importanti principi in materia di obbligatorietà dell’adesione, da parte degli Enti del Servizio Sanitario Regionale, alle convenzioni stipulate dalle Centrali di Committenza Regionale. In particolare, i Giudici amministrativi hanno (almeno per il momento) definitivamente chiarito se, in presenza di una convenzione regionale “attiva” per l’acquisto presso un determinato fornitore di una tipologia di prodotti (farmaci o dispositivi medici), sussista o meno per un’Azienda del Servizio Sanitario della medesima Regione, che intenda approvvigionarsi degli stessi, un obbligo inderogabile di adesione a tale convenzione e, quindi, un correlativo divieto assoluto di procedere all’acquisto degli stessi in autonomia, anche a seguito dell’esperimento di un’eventuale specifica procedura di scelta del contraente.
La fattispecie
Un Ente del Servizio Sanitario della Regione Lombardia ha indetto una procedura di gara per l’acquisto di un medicinale. Un operatore economico del settore ha proposto ricorso dinnanzi al TAR Lombardia, lamentando di essere pregiudicato dalla decisione assunta dall’amministrazione di indire una autonoma procedura di gara, stante l’attualità dell’efficacia di un accordo quadro stipulato fra lo stesso e la Centrale di Committenza Regionale ARIA S.p.A. - avente ad oggetto la fornitura del medesimo farmaco oggetto della procedura di scelta del contraente indetta - al quale la stazione appaltante avrebbe dovuto aderire, così come tutti gli Enti del Servizio Sanitario Regionale.
A dire della ricorrente, dunque, l’esistenza di una convenzione regionale efficace, avente ad oggetto il medesimo farmaco oggetto dell’indetta procedura di gara,
1 TAR Lombardia, Milano, sez. II, 7 marzo 2025, n. 801
renderebbe in radice e fin dall’origine illegittima la stessa, a prescindere dal suo eventuale esito, sussistendo un inderogabile obbligo dell’Ente del S.S.R., in base alla normativa sul contenimento della spesa sanitaria e la centralizzazione degli acquisti, di adesione alle convenzioni regionali “attive”, senza possibilità di deroga alcuna. L’Amministrazione resistente difende il proprio operato sul presupposto che la procedura di gara esperita le avrebbe consentito di ottenere un risparmio di spesa, che dovrebbe fungere, in ipotesi, da presupposto derogatorio dell’obbligo di adesione alla convenzione regionale “attiva”.
Il quadro normativo di riferimento
Prima di esaminare i principi sanciti dal TAR Lombardia, appare utile passare in rassegna il quadro normativo di riferimento. In primo luogo, l’art. 1, comma 449, l. n. 296 del 2006 2 ha stabilito che “nel rispetto del sistema delle convenzioni di cui agli articoli 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, nonché gli enti nazionali di previdenza e assistenza sociale pubblici e le agenzie fiscali di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, sono tenute ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni-quadro. Le restanti amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti, possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti. Gli enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi
2 Recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)”.
Mario Zoppellari - Professore Agg. nell’Università di Bologna Mariateresa Badolato - Studio Legale Zoppellari e Associati
utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni regionali, le convenzioni-quadro stipulate da Consip S.p.A.”.
Il d.l. n. 95 del 2012 3, convertito con modificazioni dalla legge n. 135 del 2012, che, come noto, ha introdotto misure di spending review, per quanto di interesse in questa sede, in ambito sanitario, ha statuito:
• all’art. 1, comma 3, che “le amministrazioni pubbliche obbligate sulla base di specifica normativa ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni di cui all’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 stipulate da Consip S.p.A. o dalle centrali di committenza regionali costituite ai sensi dell’articolo 1, comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 possono procedere, qualora la convenzione non sia ancora disponibile e in caso di motivata urgenza, allo svolgimento di autonome procedure di acquisto dirette alla stipula di contratti aventi durata e misura strettamente necessaria e sottoposti a condizione risolutiva nel caso di disponibilità della detta convenzione”;
• all’art. 15, comma 13, lett. d), che “gli Enti del Servizio Sanitario Nazionale [...] utilizzano, per l'acquisto di beni e servizi di importo pari o superiore a 1.000 euro relativi alle categorie merceologiche presenti nella piattaforma Consip, gli strumenti di acquisto e negoziazione telematici messi a disposizione dalla stessa Consip, ovvero, se disponibili, dalle centrali di committenza regionali di riferimento [...]. I contratti stipulati in violazione di quanto disposto dalla presente lettera sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa”.
Il TAR Lombardia, in base ad un’interpretazione testuale del dato normativo ha ritenuto che l’obbligo di adesione alle Convenzioni regionali debba essere necessariamente inteso in senso assoluto e non passibile di deroga alcuna, neppure ove motivata su un possibile risparmio di spesa
con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi, d’intesa con la Conferenza unificata, sentita l’Autorità nazionale anticorruzione, entro il 31 dicembre di ogni anno […] sono individuate le categorie di beni e di servizi nonché le soglie al superamento delle quali […] gli enti del servizio sanitario nazionale ricorrono a Consip S.p.A. o agli altri soggetti aggregatori di cui ai commi 1 e 2 per lo svolgimento delle relative procedure. Per le categorie di beni e servizi individuate dal decreto di cui al periodo precedente, l'Autorità nazionale anticorruzione non rilascia il codice identificativo gara (CIG) alle stazioni appaltanti che, in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma, non ricorrano a Consip S.p.A. o ad altro soggetto aggregatore […] È comunque fatta salva la possibilità di acquisire, mediante procedura di evidenza pubblica, beni e servizi, qualora i relativi prezzi siano inferiori a quelli emersi dalle gare Consip e dei soggetti aggregatori”;
• all’art. 9, comma 3-bis che “le amministrazioni pubbliche obbligate a ricorrere a Consip S.p.A. o agli altri soggetti aggregatori ai sensi del comma 3 possono procedere, qualora non siano disponibili i relativi contratti di Consip S.p.A. o dei soggetti aggregatori di cui ai commi 1 e 2 in caso di motivata urgenza, allo svolgimento di autonome procedure di acquisto dirette alla stipula di contratti aventi durata e misura strettamente necessaria”.
Il successivo d.l. n. 66 del 20144, convertito con modificazioni dalla legge n. 89 del 2014, ha, poi, previsto:
• all’art. 9, comma 3 5 , che “[…] con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri6, di concerto
Ancora, la l. n. 208 del 2015 7 ha prescritto all’art. 1, comma 548, che “gli enti del Servizio sanitario nazionale sono tenuti ad approvvigionarsi, relativamente alle categorie merceologiche del settore sanitario, come individuate dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all'articolo 9, commi 1 e 3, del d.l. 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, avvalendosi in via esclusiva, delle centrali regionali di committenza di riferi -
3 Recante “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario”.
4 Recante “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale”.
5 Articolo abrogato dall’art. 39, comma 3 bis, d.l. n. 90 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 114 del 2014.
6 d.P.C.M. 11 luglio 2018, recante “Individuazione delle categorie merceologiche, ai sensi dell’articolo 9, comma 3, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2014, n. 89”.
7 Recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”.
adesioni regionali
mento”. Tale regola, in base all’art. 1, comma 510 della medesima legge, può essere derogata “esclusivamente a seguito di apposita autorizzazione specificamente motivata resa dall'organo di vertice amministrativo e trasmessa al competente ufficio della Corte dei Conti, qualora il bene o il servizio oggetto di convenzione non sia idoneo al soddisfacimento dello specifico fabbisogno dell'amministrazione per mancanza di caratteristiche essenziali”.
Le diverse interpretazioni di tale normativa fornite dalla giurisprudenza amministrativa
La giurisprudenza amministrativa ha offerto, in passato, due diverse opzioni interpretative del quadro normativo ora ricostruito, in particolare per ciò che concerne la questione centrale della configurabilità o meno di un divieto assoluto per i singoli Enti del Servizio Sanitario Nazionale di approvvigionarsi autonomamente, anche a seguito dell’esperimento di una specifica procedura di scelta del contraente, di prodotti oggetto di una convenzione regionale efficace e capiente.
In base ad un primo orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cons. Stato, sez., III, 11 ottobre 2021, n. 6817; Cons. Stato, sez. III, 31 marzo 2021, n. 2707; Cons. Stato, sez. III, 25 agosto 2020, n. 5205; Cons. Stato, sez. III, 26 febbraio 2019, n. 1329; Cons. Stato, sez. V, 28 marzo 2018, n. 1937), sarebbe ammessa una deroga al generale obbligo di adesione alle convenzioni regionali da parte degli Enti del SSN, qualora questi dimostrino che l’acquisto autonomo garantirebbe un
risparmio di spesa rispetto a quello effettuabile attraverso l’adesione alla convenzione medesima. Secondo un opposto orientamento giurisprudenziale (inter alia, Cons. Stato, sez. III, 18 gennaio 2013, n. 288), invece, l’obbligo di approvvigionamento attraverso l’utilizzo delle procedure di aggiudicazione centralizzate sussisterebbe anche quando il singolo ente dimostri di essere in grado di ottenere condizioni più favorevoli rispetto a quelle emergenti dai contratti stipulati dai soggetti aggregatori.
L’approdo ermeneutico del TAR Lombardia
Ricostruito il quadro normativo di riferimento e gli orientamenti giurisprudenziali formatisi sul tema, il TAR Lombardia, in base ad un’interpretazione testuale del dato normativo - ed in particolare dell’art. 1, comma 449, della l. n. 296 del 2006, in base al quale gli Enti del SSN sono “… in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di riferimento” - ha ritenuto che l’obbligo di adesione alle Convenzioni regionali debba essere necessariamente inteso in senso assoluto e non passibile di deroga alcuna, neppure ove motivata su un possibile risparmio di spesa.
A parere dei Giudici milanesi, tale conclusione risulta la sola ammissibile, non solo in quanto maggiormente rispondente alla lettera della legge, ma anche perché più logica dovendo l’efficienza delle procedure di aggiudicazione aggregate essere misurata, non già a livello di singolo ente, ma con riferimento al sistema sanitario
regionale nel suo complesso.
Si legge, in un interessante passaggio motivazionale della sentenza in commento, che “la coesistenza delle gare centralizzate con la possibilità per le singole aziende di effettuare gare autonome potrebbe privare di appetibilità e competitività le gare bandite dalle centrali acquisti che diventerebbero, in pratica, poco più di un sistema per fissare le basi d’asta. L’obbligo di utilizzare i contratti stipulati dai soggetti aggregatori salvaguarda quindi l’efficacia delle gare da essi bandite e salvaguarda altresì gli investimenti che le regioni hanno sostenuto per costituire tali soggetti. Non ha dunque il rilievo il fatto che una o più aziende sanitarie possano ottenere autonomamente limitate forniture a condizioni più vantaggiose, se ciò comporta il rischio di minare la credibilità dell'intero sistema centralizzato di acquisizioni e, quindi, la possibilità di ottenere significativi risparmi di spesa su scala ampia e complessiva”.
Sulla base di tale argomentazioni, il TAR Lombardia ha ritenuto che l’unica eccezione all’obbligo di approvvigionamento in adesione agli strumenti negoziali aggregati in corso di esecuzione possa sussistere nel caso in cui non vi siano contratti centralizzati in essere aventi ad oggetto lo specifico bene del quale il singolo Ente del S.S.R. abbia necessità di approvvigionarsi, e comunque limitatamente all’indizione e all’aggiudicazione di “gare ponte”, così come stabilito dall’art. 1, comma 3, d.l. n. 95 del 2012 e dall’art. 9, comma 3-bis, del d.l. n. 66 del 2014.
Conclusioni
La sentenza dei Giudici amministrativi meneghini appare interessante, e merita adesione, sia dal punto di vista della statuizione, sia da quello dell’impianto argomentativo. Il dictum della pronuncia non lascia adito alla persistenza di dubbi interpretativi in materia; appare, in particolare, definitivamente superata la questione del “risparmio di spesa” per la singola fornitura quale possibile presupposto legittimante la deroga per gli Enti del Servizio Sanitario Regionale dell’obbligo di procedere all’adesione alle convenzioni regionali.
L’argomento motivazionale che più convince, invece, è quello relativo alla funzione ed al ruolo di “sistema” dei soggetti aggregatori regionali e degli strumenti negoziali da essi messi a disposizione degli Enti del S.S.R., anche in un’ottica di salvaguardia del ruolo e del prestigio di tali
Centrali di committenza, che verrebbero irrimediabilmente limitati e, per certi versi, compromessi ove si ammettesse la possibilità che ciascuna singola azienda del S.S.R. potesse procedere ad acquisti autonomi, semplicemente sul presupposto di un (ancorché minimo) risparmio di spesa sul singolo acquisto. Risparmio di spesa, peraltro, che prescinderebbe del tutto dalla considerazione dei costi indiretti per l’acquisto, con particolare riferimento a quelli relativi all’indizione ed allo svolgimento dell’autonoma procedura di scelta del contraente, che andrebbero comunque a sommarsi, a livello di sistema regionale, a quelli già sostenuti dalla centrale di committenza per la conclusione dello strumento negoziale centralizzato.
oblio
Roberta Taurino - Direttore UOC Direzione Amministrativa Ospedali e Responsabile Ufficio Protezione Dati Personali Asl Roma
Il diritto all’oblio oncologico e la sua corretta applicazione nelle aziende sanitarie
Il diritto all’oblio oncologico rappresenta, anche in Italia, una delle conquiste più significative nel campo della tutela della dignità delle persone. Con questo termine, come noto, si intende il diritto dei pazienti guariti da patologie oncologiche a non essere discriminati a causa del loro passato clinico, nei limiti indicati dalla legge, in particolare per l’accesso ad una serie di servizi, nell’ambito delle procedure di adozione e per l’accesso ai concorsi, alle selezioni, al lavoro e alla formazione professionale. Questo diritto assume una rilevanza particolare oggi in un contesto dove il progresso scientifico ha reso possibile la cura di molte patologie oncologiche, trasformando spesso una diagnosi terribile in un capitolo superato della vita di molte persone: la guarigione, non sempre facile, non dovrebbe essere accompagnata, poi, da pregiudizi che possano influenzare la qualità della vita di qualcuno sulla base di una storia clinica ormai conclusa.
Oggi, il diritto all’oblio
è la possibilità per un individuo di non essere
permanentemente identificato attraverso informazioni passate, specialmente quando queste non sono più rilevanti o pertinenti
Il concetto di oblio e la sua evoluzione storica
Il termine oblio deriva dal latino oblivium , costituito da ob (verso) e dalla radice liv (scolorire, divenire oscuro); sostanzialmente indica un fenomeno in base al quale la traccia dei ricordi delle persone si frammenta, fino alla loro completa perdita. Nell›antichità, era spesso associato al leggendario fiume Lete della mitologia classica, il cui passaggio permetteva ai trapassati di dimenticare le sofferenze terrene. In realtà, almeno in un primo momento, l’oblio viene utilizzato con un’accezione più spiccatamente
“puntiva”. Si pensi all’ostracismo nell’antica Gracia, alla damnatio memoriae del diritto romano, con cui il nome e le gesta di alcuni individui venivano rimossi dai documenti pubblici, dalle iscrizioni e dalla memoria collettiva. Una punizione riservata anche, nell’antico Egitto, ad Akhenaton, il “faraone eretico” della XVIII dinastia, che è stato oggetto di un’opera di cancellazione sistematica dopo la sua morte a causa della sua rivoluzione religiosa che prevedeva l’adorazione di Aton come unico dio e l’abbandono di tutti gli altri dèi tradizionali. Dopo la sua morte, i suoi monumenti furono abbattuti o occultati, le sue statue distrutte e il suo nome cancellato dalle liste reali. L’oblio, in questo contesto, era un’arma di potere, usata per controllare la narrazione storica e punire i trasgressori. Con il cristianesimo l’oblio assume anche un significato di redenzione, legato al perdono e alla possibilità di rinascita spirituale. Durante l’Illuminismo e l’ascesa dell’individualismo, il concetto ha iniziato a spostarsi verso una dimensione ancora più personale e psicologica. A fine Ottocento, Sigmund Freud ha introdotto l’idea che dimenticare potesse essere un meccanismo di difesa, un modo per proteggere la psiche da traumi o ricordi dolorosi. Questa visione ha gettato le basi per una reinterpretazione dell’oblio come qualcosa di positivo, non più solo punitivo. Nel XXI secolo, l’avvento del digitale ha reso l’oblio una questione cruciale strettamente legata al controllo e alla cancellazione di informazioni personali, soprattutto quelle raccolte online. Nell’era moderna, invero, la diffusione di Internet e dei social media ha
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Mario Mazzeo - Avvocato cassazionista in Roma e Data Protection Officer di strutture pubbliche e private
reso la nostra vita privata sempre più esposta e accessibile a chiunque, con possibili conseguenze negative sui nostri diritti fondamentali, anche in termini di impatto sulla riservatezza e sulla nostra dignità.
L’oblio nell’era di Internet e dei Social Network I dati personali sono diventati una merce preziosa, trattata da una pluralità di soggetti, quali operatori, fornitori di servizi, motori di ricerca, piattaforme online, che possono usarli per scopi diversi da quelli per i quali sono stati raccolti o condivisi. Man mano che le tecnologie diventano sempre più pervasive nella nostra vita quotidiana sorgono nuove domande, ad esempio, su sicurezza, responsabilità, equità ed etica. In questo scenario, i dati personali possono essere esposti a usi illeciti, abusivi o, comunque, non autorizzati possono essere oggetto di violazioni di sicurezza informatica, di diffusione illegale o dannosi. Inoltre, i dati personali possono rimanere in rete per sempre, senza possibilità di controllo o modifica da parte degli interessati. Ciò che si invia attraverso la Rete è “per sempre” e può essere usato da terzi per ricattare, umiliare, molestare o abusare della vittima. Ancora, i dati personali così esposti possono influire negativamente anche sulle future relazioni, lavorative ma anche sentimentali, degli interessati. Per questo motivo, soprattutto con riferimento al delicato tema della protezione dati personali (la c.d. “privacy”), si è sviluppato il concetto di “diritto a farsi dimenticare”, ovvero il diritto di ogni persona a chiedere la cancellazione dal Web o la limitazione della diffusione dei propri dati personali che sono obsoleti, irrilevanti, inesatti o lesivi della propria immagine.
Il diritto all’oblio
oblio oncologico
Il diritto all’oblio diviene, in sintesi, il diritto di ogni persona a non essere più ricordata per fatti che appartengono al suo passato e che non hanno più rilevanza attuale, soprattutto quando la loro diffusione può arrecare un pregiudizio alla sua reputazione o alla sua privacy. In Europa, il diritto all’oblio è stato riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in diverse sentenze, come quella del 1992 nel caso Leander contro Svezia [Leander v. Sweden], in cui si affermava che il diritto al rispetto della vita privata comprende anche il diritto di accedere ai propri dati personali e di chiederne la rettifica o la cancellazione. Il diritto a farsi dimenticare online ha avuto una svolta decisiva nel 2014, quando la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso una sentenza storica (c.d. “Google Spain”), in favore di un avvocato spagnolo che aveva chiesto al motore di ricerca Google la rimozione dei link che lo collegavano a una notizia del 1998, in cui si riferiva del suo coinvolgimento in una procedura di pignoramento immobiliare per debiti. La Corte ha riconosciuto che l’interessato aveva il diritto di opporsi al trattamento dei suoi dati personali da parte di Google, in quanto la notizia era ormai priva di interesse pubblico e poteva pregiudicare il suo diritto al rispetto della vita privata e della protezione dei dati personali. Un diritto oggi stabilmente riconosciuto e tutelato dalla normativa europea in materia di protezione dei dati personali e, in particolare, dall’articolo 17 del Regolamento UE n. 2016/679 (GDPR) a mente del quale “L’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali” in presenza di vari possibili presupposti (i dati non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati; l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento o si oppone al trattamento se non sussiste alcun altro elemento prevalente per procedere al trattamento; i dati sono stati trattati illecitamente o devono essere cancellati per adempiere un obbligo giuridico; i dati sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione). Non si tratta, però, di un diritto assoluto. Lo stesso articolo 17, al terzo paragrafo, contiene una serie di eccezioni espresse alla sua applicabilità (quando il trattamento sia necessario per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e d’informazione; per l’adempimento di un obbligo di legge o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento; per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica; a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici; per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria). Come si diceva, comunque, oggi, il diritto all’oblio è la possibilità per un individuo di non essere permanentemente identificato attraverso informazioni passate, specialmente quando queste non sono più rilevanti o pertinenti. Questo diritto è particolarmente sensibile nel caso degli ex pazienti oncologici. La diagnosi di cancro incide, infatti, profondamente sulla psiche del paziente. La fase post-terapia rappresenta un momento cruciale, spesso segnato dal desiderio di “ricominciare” e liberarsi dal marchio della malattia. La permanenza delle informazioni sanitarie nei registri pubblici, nei sistemi digitali o nelle procedure burocratiche può rappresentare un ostacolo concreto alla piena reintegrazione sociale, lavorativa e psicologica della persona guarita. Il ricordo obbligato della malattia, ogni volta che si affronta una selezione lavorativa, si richiede un mutuo o si stipula un’assicurazione, contribuisce a una forma di “cronicizzazione sociale” della patologia ormai superata.
oblio oncologico
La normativa italiana
La legge italiana sul diritto all’oblio oncologico riconosce, allora, il valore di una memoria selettiva, in cui l’oblio non è negazione del passato, ma protezione della dignità e della libertà individuale. Non è stato facile, però, avviarsi su questa strada. Per molti anni in Italia si è discusso del diritto all’oblio oncologico. L’accesso ad alcuni servizi era spesso tutt’altro che semplice per gli ex malati oncologici i quali, in molti contesti, anche di particolare importanza nella vita delle persone, dovevano spesso dichiarare di aver avuto un tumore, anche se guariti da anni. Solo dopo un lungo iter parlamentare è stata finalmente approvata la Legge n. 193 del 7 dicembre 2023 recante “Disposizioni per la prevenzione delle discriminazioni e la tutela dei diritti delle persone che sono state affette da malattie oncologiche”. Il testo, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.294 del 18.12.2023, è entrato in vigore lo scorso 2 dicembre 2024. Sulla scia di analoga normazione di altri paesi europei, come Francia, Lussemburgo, Belgio, Olanda, Portogallo e Romania, che avevano già da tempo adottato atti normativi a tutela dei cittadini guariti dal cancro, la Legge n.193/2023 ha riempito un vuoto normativo importante. C’è da dire, però, che l’approvazione di questa legge in Italia ha suscitato reazioni molto contrastanti nel panorama sociale giacché, da un lato, vi sono stati coloro i quali considerano l’oblio oncologico un diritto umano e sociale, necessario per garantire la dignità e l’uguaglianza delle persone guarite, dall’altro, vi sono, però, coloro i quali1 che lo ritengono un ostacolo e un rischio per il funzionamento e la stabilità economica del nostro Paese.
I critici di questo diritto sostengono, infatti, che l’oblio oncologico possa produrre distorsioni e inefficienze nel mercato dei servizi finanziari, bancari e assicurativi. In particolare, temono che il suo esercizio possa comportare una riduzione della trasparenza e della concorrenza nel settore; una maggiore difficoltà nella valutazione del rischio e nella determinazione dei prezzi; una minore disponibilità di prodotti personalizzati e adeguati alle esigenze dei clienti; una maggiore esposizione a frodi e abusi da parte di soggetti malintenzionati. Ciò posto, la novella prevede che le persone interessate non possano più essere escluse o penalizzate nella stipula di contratti assicurativi o nella concessione di finanziamenti o mutui a causa della loro passata esperienza patologica, né possano essere discriminate nell’accesso al lavoro, nella carriera professionale, nella partecipazione alla vita pubblica e associativa e nei percorsi d’adozione. L’obiettivo, come detto, è garantire che le persone che sono riuscite a superare una malattia
così importante possano reintegrarsi pienamente nella società senza il peso della stigmatizzazione legata alla loro storia medica. La legge 193, costituita da soli cinque articoli, prevede che, dopo un determinato periodo di tempo dalla conclusione del trattamento, una persona dichiarata guarita dal cancro possa richiedere che tale informazione venga rimossa dai registri sanitari, per scongiurare possibili effetti negativi sulle loro opportunità di vita e, in ogni caso, ottenere il diritto di non dover più dichiarare la propria storia di storia medica in contesti lavorativi, assicurativi, bancari e/o nel campo delle adozioni, rendendo la condizione di “oblio” giuridicamente riconosciuta. La normativa stabilisce che, trascorsi 10 anni dalla fine delle cure (o 5 anni per i pazienti diagnosticati prima dei 21 anni) senza recidive, i sopravvissuti al cancro non debbano più dichiarare la loro storia clinica in questi contesti. Decorso questo periodo, quindi, il diritto all’oblio oncologico implica, da un lato, il divieto per chiunque di richiedere o utilizzare informazioni relative alla passata esperienza patologica delle persone interessate, salvo che ciò non sia indispensabile per l’interesse pubblico o per la difesa di un diritto in sede giudiziaria e, dall’altro, che i pazienti non siano obbligati a dichiarare la loro condizione oncologica nel vari contesti citati, a meno che non ci sia un rischio specifico per la loro salute o la sicurezza degli altri (ad esempio, nell’ambito di lavori particolarmente pericolosi). Inoltre, il diritto all’oblio oncologico comporta la possibilità per le persone interessate di chiedere la cancellazione o la limitazione dell’accesso alle informazioni relative alla loro passata esperienza patologica presenti su Internet o su altri mezzi di comunicazione. L’interessato, già paziente oncologico, può presentare quindi un’apposita istanza, debitamente documentata, usando un apposito modello – che, in tal senso, da ognuna dovrebbe realizzare – ad una struttura sanitaria pubblica o privata accreditata, ad un medico dipendente del Servizio sanitario nazionale nella disciplina attinente alla patologia oncologica di cui si chiede l’oblio, al medico di medicina generale oppure al pediatra di libera scelta.
Gli adempimenti di governance a carico delle Aziende Sanitarie
Per un’efficace applicazione della novella, è dunque fondamentale che questi soggetti e, in generale, aziende private e pubbliche amministrazioni attuino pratiche di gestione che rispettino i principi della nuova legge. Alcuni aspetti cruciali per la corretta applicazione della stessa includono, ad esempio, una informazione semplice e chiara da rendere all’utenza, l’opportuna modifica dei processi
1 La proposta normativa ha incontrato aspre critiche a parte di soggetti che operano nel settore finanziario, bancario e assicurativo, tra i quali, l’Associazione Bancaria Italiana (ABI), l’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici (ANIA), la Federazione Italiana Agenti Assicurativi Professionali (FIAAP) e la Federazione Nazionale dei Consulenti Finanziari Indipendenti (FIDAFIN).
interni onde garantire un accesso equo e inclusivo alle cure, l’eventuale attivazione di rapporti di collaborazione con enti esterni, attività di monitoraggio e revisione. Le aziende sanitarie, in particolare, sono tenute a riorganizzare i processi interni che prevedano anche la definizione di precisi ruoli, funzioni e responsabilità su questo tema, verosimilmente all’esito di una puntuale attività di formazione ed aggiornamento professionale per tutto il personale coinvolto, sanitario e amministrativo, circa la protezione legale offerta dalla Legge 196/2023 e i temi legati alla non discriminazione e alla tutela della privacy degli ex pazienti. Da non sottovalutare, in particolare, l’aspetto formativo. Sebbene il trattamento medico e la cura siano obiettivi primari nell’assistenza sanitaria, è altrettanto importante considerare l’impatto psicologico e sociale che le informazioni riguardanti una diagnosi oncologica possono avere. Il personale dev’essere formato, quindi, per comprendere appieno l’importanza di garantire la riservatezza e la protezione delle informazioni mediche e per applicare correttamente gli adempimenti attuativi della legge. Per garantire che il personale sanitario sia preparato a rispettare la legge 193 e a tutelare i diritti dei pazienti oncologici, è fondamentale che la formazione non sia limitata a un evento isolato, ma sia parte di un processo di aggiornamento continuo. Senza una formazione adeguata, c’è un rischio elevato che la legge non venga rispettata, con conseguenti danni per i pazienti, in termini di discriminazione, pregiudizio e perdita di opportunità lavorative, e per le aziende sanitarie. Necessaria è anche la definizione di policy interne ad hoc per la gestione dei dati dei pazienti oncologici guariti. In tal senso appare fortemente opportuno il coinvolgimento del Responsabile Protezione Dati (DPO) di cui al Regolamento 2016/679/UE (GDPR) che potrà fornire opportuni suggerimenti sulla base della normativa vigente in materia di privacy. Altri aspetti organizzativi fondamentali riguardano l’aggiornamento dei moduli di raccolta e gestione dei dati sanitari, affinché non siano
archiviati dettagli che possano identificare “per sempre” in modo discriminante un ex paziente oncologico; la previsione di audit interni, con azioni di monitoraggio e revisione periodica degli step organizzativi e l’istituzione di procedure di reclamo per i pazienti che ritengano di subire discriminazioni o di non beneficiare appieno del diritto in parola. Si richiede, poi, anche l’adozione di sistemi informativi avanzati in grado di gestire l’esercizio di questo diritto. Risulta necessario, in particolare, poter procedere con semplicità alla anonimizzazione dei dati: i registri medici devono essere gestiti in modo che, dopo il periodo previsto dalla legge, le informazioni sensibili non siano più riconducibili al paziente; garantire ancor più efficacemente il controllo degli accessi informatici: solo il personale autorizzato deve poter accedere ai dati, e solo per scopi sanitari legittimi; assicurare la conformità dei processi al GDPR: principi come la minimizzazione dei dati e la limitazione delle finalità devono guidare la gestione delle informazioni. Il tutto senza trascurare l’importanza di un accesso equo e inclusivo alle cure, posto che le aziende sanitarie devono garantire anche che il diritto all’oblio non implichi una riduzione dei trattamenti sanitari e assistenziali necessari per il benessere del paziente. Il rispetto del diritto all’oblio oncologico, dunque, impone un approccio trasversale che coinvolge uffici legali, direzioni sanitarie, DPO, sistemi informativi e governance aziendale. Questo diritto rappresenta un’importante evoluzione culturale e giuridica, in cui la persona guarita viene finalmente liberata da una memoria amministrativa e burocratica che rischiava di trasformarsi in stigma. L’oblio, da punizione, è divenuto strumento di tutela della dignità. La sua attuazione richiede, però, sin da subito un impegno concreto e integrato da parte delle aziende sanitarie, che devono operare un bilanciamento tra il diritto alla cura e il diritto a essere dimenticati. Solo così l’oblio diventerà, davvero, una conquista civile.
l’approvvigionamento
Decalogo per costruire un appalto
L’approvvigionamento è il frutto di un processo complesso, articolato in diversi segmenti, la cui somma consente alla stazione appaltante di soddisfare il fabbisogno per il quale l’appalto è indetto. L’acquisto, di qualunque natura, non può quindi essere il frutto di scelte superficiali, ma deve derivare dalla definizione di una strategia, che è fondamentale per assicurare il conseguimento degli interessi dell’ente in coerenza con il principio di risultato, scolpito nel primo articolo del codice degli appalti. Ciò è tanto più vero nel settore della salute, ambito nel quale gli “appalti sono più appalti degli altri” perché il loro esito investe, direttamente o indirettamente, il principio fondamentale sancito dall’art. 32 della nostra Costituzione. In tale premessa, la definizione di un decalogo del “buon appalto” è importante, non fosse altro perché si tende a pensare che il momento fondamentale di un appalto sia la fase della selezione dei concorrenti, cioè l’esame della documentazione di gara, derubricando il prima (la progettazione della gara) e il dopo (l’esecuzione del contratto). E’, pertanto, necessario organizzare la stazione appaltante per renderla pronta ad affrontare la sfida delle gare. Organizzare significa, innanzitutto, disporre delle risorse umane da destinare a tale funzione, nel numero e con la preparazione idonei a seconda del volume e dei settori merceologici oggetto dei possibili affidamenti. Ovviamente non mi sfuggono - come del resto a voi - le difficoltà registrate dalle amministrazioni su entrambi i fronti, che fortunatamente sono arginate dalla possibilità di avvalersi di supporti consulenziali esterni per coprire vacanze
di personale o di competenze, oppure dal ricorso alle consultazioni preliminari di mercato (art. 77, d.lgs. 36/2023) per raccogliere dati ed informazioni utili per la predisposizione di un appalto.
È
necessario organizzare la stazione appaltante per renderla pronta ad affrontare la sfida delle gare. Organizzare significa, innanzitutto, disporre delle risorse umane da destinare a tale funzione, nel numero e con la preparazione idonei a seconda del volume e dei settori merceologici oggetto dei possibili affidamenti
Organizzare significa anche formare ed aggiornare il personale sulle materie dei contratti pubblici. E, mi sia consentito, significherebbe consentire alle amministrazioni di assicurare la più ampia tutela legale in favore delle risorse che si occupano di appalti, perché costoro svolgono una funzione di estrema responsabilità e complessità per la quale è opportuno che il Legislatore si faccia carico di un gesto di civiltà giuridica, che - ne sono convinto - infonderebbe serenità al RUP ed ai suoi collaboratori, con tutti i benefici che ne conseguirebbero.
Organizzare significa anche saper ascoltare la voce dei portatori di interesse connessi all’affidamento da predisporre: stakeholders interni (a seconda dei casi: clinici, capi dipartimento, responsabili degli uffici preposti) oppure esterni (esempio: comunità scientifica, associazioni di pazienti, Università). L’ascolto deve essere completo ma soprattutto tempestivo e procedimentalizzato, ed ecco perché la stazione appaltante dovrebbe dotarsi di un regolamento snello per disciplinare tempi e modalità di interlocuzione tra gli stakeholders e l’ufficio deputato alla predisposizione dei bandi. Ancora oggi ricordo l’episodio (appreso a margine di un corso di formazione) di un ricercatore universitario (genio della scienza, ma ignaro dalle regole di amministrazione attiva) che pretendeva “il giorno per il giorno dopo” l’acquisto di reagenti necessari alle attività di laboratorio perché erano
Lucio Lacerenza - Foro di Roma
terminate le scorte di magazzino, ma senza che avesse comunicato per tempo le sue esigenze al provveditorato-acquisti; ebbe a dire: “Se non acquistate i reagenti, violate il diritto costituzionale alla ricerca scientifica!”. Non mi sfuggono le difficoltà dell’ascoltare che voi vivete. Penso alle difficoltà del dialogo con la comunità scientifica o con i clinici, alla necessità che gli stakeholder (a partire dalle associazioni dei pazienti) siano formati per partecipare al c.d. “dialogo tecnico” con le amministrazioni, non dimenticando alcune amministrazioni che ritengono il dialogo un mero appesantimento amministrativo.
L’ascolto degli stakeholders - mediante le consultazioni preliminari di mercato ove trattasi di soggetti esterni all’ente, o attraverso le procedure interne previste dal predetto regolamento se trattasi di personale dell’amministrazione - restituisce un quadro informativo da raccogliere, sistematizzare ed analizzare al fine di isolare i dati che sono utili alla predisposizione della lex specialis secondo le aspettative che l’amministrazione intende conseguire con la indicenda gara. Per ciascun affidamento da avviare, la raccolta di tali dati, unitamente alle risultanze del contratto in corso di esecuzione (ove ci fosse), consente di disporre degli elementi utili per programmare (art. 37, d.lgs. 36/2023) la procedura per l’affidamento. Lungi dall’essere un adempimento formale, la programmazione è importante perché definisce il contenuto, i mezzi e le modalità degli approvvigionamenti (al di sopra delle soglie previste dal citato art.
37), in forza dei quali progettare la gara, ovvero definire il dettaglio della procedura sotto il profilo del quadro economico complessivo e del contenuto essenziale delle prestazioni da mettere a gara e di cui necessita la stazione appaltante. A parer mio, bene fà la stazione appaltante che, già in fase di programmazione, sondi il “polso del mercato” per raccogliere lo stato dell’arte, soprattutto nei settori ad alto tasso di evoluzione/innovazione, e ciò per evitare di programmare l’acquisto di prestazioni obsolete, e conseguentemente progettare una gara “nata vecchia” perché basata su specifiche tecniche superate dalle novità (tra un pò vi parlerò del caso dei letti antidecubito). Mi piace riportarvi al riguardo le parole della Corte dei Conti secondo la quale “La necessità che l’affidamento di un appalto di servizi o di forniture sia preceduta da un’attività di programmazione e di progettazione, volte a definire i bisogni della collettività, ad approntare le necessarie misure per soddisfarli ed a consentire la verifica della congruità, proporzionalità, dell’efficienza dei risultati raggiunti, rappresenta un’esigenza immanente nell’Ordinamento a prescindere dal valore del contratto” (delibera n. 25/2019/SRCPIE/PAR).
E’ utile schematizzare i dati emersi nelle precedenti fasi in un documento riassuntivo che evidenzi gli elementi essenziali della procedura da predisporre (tipologia, oggetto, requisiti generali di partecipazione, criteri di valutazione), che saranno poi impiegati per scrivere gli atti di gara, a partire dal capitolato e dal disciplinare. Se sono stati adeguatamente svolti i segmenti procedu-
rali precedenti, l’amministrazione giunge alla schematizzazione dell’appalto avendo chiari (i) contenuto ed obiettivo della procedura di affidamento (da scrivere), (ii) percorso procedurale e (iii) metodi per selezionare il miglior offerente in grado di assolvere al fabbisogno per il quale la stazione appaltante ha avviato l’iter di gara. La chiarezza su questi tre elementi consente alla persona deputata alla materiale scrittura dei documenti di gara di elaborarli in modo ragionato e consapevole, avendo come faro un punto fondamentale: la soluzione di un problema a cui la stazione appaltante è chiamata a dare una risposta proprio mediante l’esito della gara. In altri termini, tutte le clausole della lex specialis devono essere pensate e scritte tenendo conto del contributo che ciascuna di esse deve dare per risolvere il problema per il quale l’amministrazione intende indire la gara. Per questo è importante elaborare i documenti di gara tenendo conto delle peculiarità della stazione appaltante: a parità di oggetto di gara, diverse potrebbero infatti essere le esigenze tra differenti aziende sanitarie, e dunque diverse potrebbero essere le previsioni prestazionali dei capitolati elaborati dalle stazioni appaltanti. Nel predisporre i documenti di gara la pratica del “copia/incolla” non è utile perché mette sullo stesso piano amministrazioni dissimili che potrebbero avere esigenze (anche in parte) diverse; senza considerare che il fenomeno del “copia/incolla” favorisce la ripetizione di errori o sviste commessi da altri, come mi è capitato di registrare per alcuni bandi di device infungibili. Nei miei corsi ricordo sempre due esempi, iconici del modo di scrivere una gara trascurando gli obiettivi della stazione appaltante: 1) gara per la fornitura di letti antidecubito, formalmente aggiudicata in modo corretto, ma nella sostanza basata su un capitolato che prevedeva specifiche tecniche obsolete (in barba alle buone prassi di programmazione e progettazione degli appalti, che richiedono l’acquisizione del “polso del mercato” e delle sue evoluzioni attraverso le consultazioni di mercato); 2) procedura per la gestione dei rifiuti nella quale sui 70 punti previsti per l’offerta tecnica, ben 25 valorizzavano la campagna di comunicazione sulla raccolta e solo 15 il ciclo di trattamento del rifiuto (ritengo che la ponderazione avrebbe dovuto tener conto del contrario). Due esempi che danno la misura del modo non corretto di predisporre una gara. Al contrario, in aderenza al principio di risultato occorre elaborare clausole che valorizzano le offerte in ragione di cosa sia realmente necessario per la stazione appaltante, e per essa per gli “utilizzatori finali” delle prestazioni che saranno acquistate, siano essi uffici interni alla stessa o utenti oppure pazienti. Tanto per fare un altro esempio: le procedure device che fissano generici requisiti tecnici di minima della forni-
tura ivi compresa la marcatura CE, anziché prevedere specifici requisiti funzionali commisurati all’esigenza da soddisfare; una simile modalità di redazione degli atti di gara non consente di differenziare le offerte, e quindi di premiare quella di qualità migliore, perché i capitolati sono basati su requisiti che sono comuni alla pluralità delle soluzioni presenti sul mercato.
Selezionare il miglior offerente diventa, quindi, relativamente semplice (al netto delle problematiche che potrebbero insorgere nel corso dello scrutinio delle offerte) se la gara sia stata correttamente impostata, progettata e chiaramente predisposta sotto il profilo della documentazione messa a disposizione dei concorrenti. Senza considerare che una lex specialis così elaborata semplifica non solo lo scrutinio del RUP e della commissione di gara, ma anche gli oneri partecipativi gravanti sugli operatori economici; ciò che consente di affidare il contratto al migliore offerente, scongiurando i rischi di contenzioso, che inevitabilmente rallenterebbero la conclusione dell’iter di gara. Il momento della stipula del contratto non deve costituire la fine della procedura di gara, è bene evidenziarlo con forza. E’ necessario monitorare attentamente l’esecuzione del contratto stesso per almeno due ragioni; la prima, e più scontata, verificare che l’aggiudicatario rispetti le obbligazioni assunte; la seconda, un po’ meno scontata, rilevare eventuali criticità o dinamiche esecutive, delle quali tener conto ai fini della riedizione della prossima procedura di affidamento della stessa prestazione. Per inciso: in tale monitoraggio, oltre al ruolo del RUP e del DEC potrebbe rivelarsi significativo anche il contributo degli utilizzatori finali (ad esempio le associazioni dei pazienti) che potrebbero fornire informazioni utili in ordine all’esecuzione del contratto (esempio, nel caso di un contratto che prevede la consegna di dispositivi “a domicilio”). Dunque, con il monitoraggio del contratto, fino alla sua scadenza naturale, si chiude il “ciclo di vita” dell’affidamento, e si raccolgono dati utili per riavviare il percorso del nuovo affidamento della medesima prestazione. Il decalogo racchiude, quindi, le buone prassi cui tendere per acquistare il meglio in termini di qualità ed al miglior prezzo, sapendo che ciascuna stazione appaltante ha un faro rispetto al quale misurarsi ed è chiamata ad agire per un fine di interesse generale. Ça va sans dire, se la funzione di acquisto delle amministrazioni deve essere strategica nel modo sopra detto, non meno strategico deve essere l’approccio alle gare da parte degli operatori economici. La partecipazione agli appalti deve, infatti, essere il frutto di una strategia in ragione della quale calibrare la dimensione e le competenze dell’ufficio-gare che - al pari del provveditorato-acquisti - deve essere formato e gratificato.
Partecipare con strategia alle gare significa conoscere la stazione appaltante (cioè studiare i suoi atti, a partire dalla programmazione degli acquisti), dotarsi delle certificazioni necessarie per qualificare i processi (certificazioni di qualità, modello 231, rating di legalità, per citare alcuni asset immateriali dell’impresa), darsi una strategia di partecipazione agli appalti (prezzo e/o
qualità), saper predisporre la documentazione di gara (documenti amministrativa, ma soprattutto relazione tecnica che deve saper cogliere le aspettative della stazione appaltante), monitorare l’esecuzione del contratto affidato in modo da non incrinare la credibilità professionale verso l’amministrazione, infine dialogare correttamente con quest’ultima. Buoni appalti!
accordo quadro
Annalisa Damele - Responsabile S.S. Gestione gare d’appalto lavori, forniture e servizi. Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano.
Accordo quadro multioperatori e Correttivo al Codice dei Contratti Pubblici. Brevi spunti di riflessione
L’art. 59 del d.lgs. n. 36/2023 (nella versione previgente al Correttivo) prevedeva che l’accordo quadro aggiudicato a più operatori economici potesse essere eseguito senza riapertura del confronto competitivo “quando [detto accordo avesse contenuto] tutti i termini che disciplinano la prestazione dei lavori, dei servizi e delle forniture, nonché le condizioni oggettive, stabilite nei documenti di gara dell’accordo quadro, per determinare quale degli operatori economici parti dell’accordo effettuerà la prestazione” (comma 4, lett. a).
Lo stesso articolo disponeva, inoltre, che “ l’individuazione dell’operatore economico che effettuerà la prestazione avviene con decisione motivata in relazione alle specifiche esigenze dell’amministrazione” (ultimo periodo comma 4, lett. a).
La previsione, con particolare riferimento al disposto dell’ultimo periodo, si attagliava perfettamente alle esigenze dinamiche delle amministrazioni sanitarie.
In altri termini, l’accordo quadro è sempre stato inteso come uno strumento dinamico, come tale suscettibile di attagliarsi alle esigenze di Amministrazioni che, come quelle sanitarie, devono rispondere a fabbisogni che si modificano anche repentinamente.
L’intervento del Correttivo al Codice dei Contratti Pubblici
Il Correttivo non ha semplificato, né agevolato l’utilizzo dell’accordo quadro. Non può negarsi, infatti,
che l’introduzione
di una percentuale (minima o effettiva che sia) abbia ingessato una procedura dinamica che aveva una grande utilità
L’utilizzo di un accordo quadro, infatti, consente di avere una pluralità di fornitori, con un doppio vantaggio: in primo luogo garantisce la possibilità di avere a disposizione prodotti di diverse tipologie in modo da aumentare al massimo lo spettro delle possibilità di trattamento dei pazienti e, sotto un secondo (ma non meno importante profilo) tutela la stazione appaltante in caso di carenze di prodotti, ritardi di consegna di uno dei fornitori, ecc. dando possibilità di rivolgersi all’altro o agli altri aggiudicatari dell’accordo quadro.
Con il che si risponde all’esigenza di assicurare il trattamento migliore a ciascun paziente, oltre che di garantire la continuità dell’attività assistenziale.
Il d.lgs. n. 209 del 31/12/2024 (Disposizioni correttive al codice dei contratti pubblici) ha modificato l’art. 59 del Codice prevedendo, in particolare, che in caso di accordo quadro concluso con più operatori economici debbano essere indicate nella decisione a contrarre le “percentuali di affidamento ai diversi operatori al fine di assicurare condizioni di effettiva remuneratività dei singoli contratti attuativi” (comma 1). In altri termini, occorre preindividuare le quote che si prevede di assegnare ai diversi aggiudicatari onde consentire ai concorrenti di presentare un’offerta ponderata fondata sulla futura ripartizione contrattuale. Rimane, peraltro, inalterata la previsione di cui all’ultimo periodo del comma 4, lett. a) in forza della quale “l’individuazione dell’operatore economico che effettuerà la prestazione avviene con decisione motivata in relazione alle specifiche esigenze dell’amministrazione”.
Sicché, da un lato vanno indicate le percentuali di aggiudicazione (in ipotesi, 70 al primo, 20 al secondo, 10 al terzo se presente, ecc.), ma, in ogni caso, va motivata la decisione per individuare l’operatore economico che effettuerà la prestazione, anche, in mancanza di indica-
zioni contrarie, se detta prestazione rimane nell’ambito della percentuale preventivamente indicata. La ratio della modifica è espressa: assicurare la remuneratività effettiva 1 dei contratti attuativi 2, ossia eliminare l’alea alla quale, in mancanza della preindividuazione di quote, i concorrenti erano soggetti nella vigenza della precedente versione dell’art. 59.
Alcune riflessioni critiche
Le modifiche introdotte dal Correttivo suscitano diverse perplessità.
In primo luogo, occorre capire che cosa si intenda per percentuali. Più precisamente: sono quote minime, massime o devono saturare il complessivo 100% dell’affidamento?
La risposta ha evidenti ricadute pratiche. Se sono percentuali che devono coprire il totale dell’assegnazione, infatti, in sede di aggiudicazione la Stazione Appaltante si impegna ad assegnare un contratto con un importo definitivamente individuato, dal quale non può discostarsi se non per un 20% in aumento o diminuzione, ove previsto nella lex specialis.
Tale impostazione, tuttavia, vanifica sostanzialmente l’utilità dell’accordo quadro.
Come si è già sottolineato sub a), infatti, lo scopo che si intende perseguire con l’accordo quadro non coincide con quello di un ordinario appalto pubblico.
L’utilizzo dell’istituto è finalizzato ad avere un parterre di fornitori (e relativi prodotti) dai quali attingere a seconda delle necessità clinico assistenziali di volta in volta presenti.
Non solo. Se questa fosse la lettura corretta, non si spiegherebbe il mantenimento dell’ultimo periodo del comma 4, lett. a) dell’art. 59 3. Che senso avrebbe, infatti, motivare l’individuazione dell’operatore economico stante la preindividuazione della quota contrattuale allo stesso assegnata?
Se, invece, riteniamo che si tratti di percentuali minime ne deriva una maggiore tutela per l’Amministrazione, la quale indicherà quote che è certa di poter assicurare (per esempio: il 10% a tutti gli idonei). In questo modo oltre la quota fissata nessun concorrente potrebbe avere nulla a pretendere.
Pare evidente, tuttavia, che l’interpretazione della percentuale minima non soddisfi la ratio espressa della norma, ossia assicurare la remuneratività dei contratti attuativi. Analogamente si dovrebbe concludere ove si intendesse la quota come percentuale massima affidabile, ma non definitiva: anche in questo caso vi sarebbe un’alea circa l’effettivo importo contrattuale che si distanzia dalla finalità del Correttivo ancora più della quota minima.
In sintesi, quindi: l’introduzione dell’obbligo di individuare le percentuali di affidamento ai diversi operatori può essere declinata praticamente con modalità diverse e non pare esservi certezza di quale sia quella corretta.
Certo è che il Correttivo non ha semplificato, né agevolato l’utilizzo dell’accordo quadro. Non può negarsi, infatti, che l’introduzione di una percentuale (minima o effettiva che sia) abbia ingessato una procedura dinamica che aveva una grande utilità.
1 Nella versione originaria dello schema di decreto legislativo presentato al Consiglio di Stato per il parere di rito il comma 1 era formulato nel senso di prevedere la specificazione delle percentuali “al fine di assicurare l’equilibrio di ciascun contratto”. La Relazione di accompagnamento allo schema di decreto specificava che la modifica normativa era stata ideata “nell’ottica di tutelare le esigenze di investimento degli operatori economici aggiudicatari dell’accordo quadro e le loro legittime aspettative in ordine alla stipula dei contratti attuativi”.
Il Consiglio di Stato aveva evidenziato l’opportunità di sostituire il riferimento all’equilibrio di ciascun contratto con “l’affidamento equilibrato”. Ciò nel rispetto della ratio della previsione, volta a garantire ai concorrenti la certezza del perimetro contrattuale affidato dall’Amministrazione.
La versione infine approvata del Correttivo è ancora più chiara, in quanto fa riferimento all’effettiva “remuneratività” del contratto.
2 Il che si traduce nella garanzia di un “minimo d’ordine” così M. Greco, Accordo quadro in Sanità dopo il Correttivo, in Appalti e Contratti, 3/2025.
3 Come precisato, ivi si prevede che “l’individuazione dell’operatore economico che effettuerà la prestazione avviene con decisione motivata in relazione alle specifiche esigenze dell’amministrazione”.
Salvatore Salzano - Funzionario Amministrativo Dell'AORN A. Cardarelli
La nuova responsabilità nella Pubblica Amministrazione: anticorruzione, danno erariale e il controllo interno come leva strategica
Negli ultimi anni, il concetto di responsabilità nella Pubblica Amministrazione (PA) ha vissuto una trasformazione profonda e strutturale. Le crescenti esigenze di legalità, efficienza e trasparenza si sono intrecciate con la necessità di delineare in modo più chiaro e definito i confini dell’azione amministrativa, cercando di ridurre le cosiddette “zone grigie” e le incertezze interpretative che spesso paralizzano le decisioni dei funzionari pubblici. In questo scenario, si è affermata una visione più moderna della responsabilità, intesa non più solo come mera sanzione, ma come strumento di garanzia, prevenzione e miglioramento continuo.
Uno degli snodi centrali di questo processo è rappresentato dalla revisione del reato di abuso d’ufficio, operata con il Decreto Legge n. 76/2020 (convertito con modifiche dalla Legge n. 120/2020). La norma ha ristretto l’ambito applicativo del reato alle sole violazioni di disposizioni di legge o di regolamento, escludendo atti generici contrari ai principi di imparzialità o buon andamento. L’intervento normativo si è posto l’obiettivo di superare la cosiddetta “paura della firma”, fenomeno ritenuto una delle principali cause di inerzia amministrativa. Tuttavia, questo restringimento ha sollevato non poche perplessità. L’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione), in particolare, ha segnalato il rischio che un’eccessiva limitazione possa indebolire la rete di tutela pubblica, compromettendo la funzione preventiva e deterrente della norma penale in ambito amministrativo. Il timore è che si possa aprire la strada verso comportamenti scorretti, difficilmente perseguibili, vanificando così il sistema di prevenzione della
corruzione.
Un ruolo cruciale nell’anticorruzione è svolto dal sistema dei controlli interni, che deve essere concepito non solo come meccanismo di verifica a posteriori, ma come leva proattiva di governance e strumento di indirizzo strategico
In tale contesto, la Legge n. 190/2012 continua a costituire il pilastro della strategia di contrasto alla corruzione nella PA. I Piani Triennali per la Prevenzione della corruzione e della trasparenza (PTPCT) rappresentano il cuore operativo di tale strategia, prevedendo l’analisi dei rischi corruttivi e l’individuazione di misure organizzative idonee a mitigarli. Il loro impatto, tuttavia, dipende in modo essenziale dalla qualità dell’attuazione concreta e dalla capacità degli enti di integrare questi strumenti nei propri processi decisionali e gestionali. Fondamentale, in questo ambito, è il ruolo del Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (RPCT), figura chiave chiamata a guidare e coordinare l’attuazione del piano, oltre a garantire il rispetto delle norme sulla trasparenza amministrativa. Ma non è solo l’apparato normativo a determinare l’efficacia delle politiche anticorruzione: un ruolo cruciale è svolto dal sistema dei controlli interni, che deve essere concepito non solo come meccanismo di verifica a posteriori, ma come leva proattiva di governance e strumento di indirizzo strategico. In quest’ottica, l’internal audit assume una valenza che va oltre la semplice funzione ispettiva. Esso diventa parte integrante del ciclo di gestione delle performance e della qualità, contribuendo all’individuazione delle criticità, alla diffusione della cultura della legalità e al rafforzamento della capacità amministrativa degli enti pubblici. Un esempio emblematico dell’applicazione concreta di questo approccio si trova nel settore sanitario, in particolare nelle Regioni soggette a piani di rientro
dal disavanzo sanitario. In Campania, ad esempio, i Decreti Commissariali, come il DCA n. 27/2019, hanno introdotto Procedure Amministrative-Contabili standardizzate con l’obiettivo di migliorare la tracciabilità e la trasparenza delle attività svolte nelle aziende sanitarie locali. In tale cornice, i nuclei di audit interno svolgono un ruolo di primo piano, fungendo da presidio qualificato per garantire l’uso corretto delle risorse pubbliche e per prevenire fenomeni di cattiva gestione o di malversazione. Il loro operato non si limita alla verifica contabile, ma si estende all’analisi dei processi, all’individuazione dei rischi e alla proposta di misure correttive e migliorative.
Un altro ambito di grande rilevanza è quello della responsabilità erariale, profondamente rivisto con la Legge n. 14/2023. Tale legge ha introdotto un’importante novità: l’esclusione della colpa lieve dal perimetro sanzionatorio della Corte dei Conti, restringendo la responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave. Questa evoluzione normativa mira a rafforzare il principio di proporzionalità e a tutelare l’autonomia decisionale dei dirigenti pubblici, in linea con gli obiettivi di efficienza e snellimento dell’azione amministrativa. Tuttavia, ciò rende ancora più importante il rafforzamento dei controlli interni: senza strumenti adeguati di monitorag-
gio e correzione, anche errori lievi potrebbero generare danni patrimoniali rilevanti, privi però di conseguenze dirette per la responsabilità.
Alla luce di questi cambiamenti, la responsabilità nella PA sta assumendo una fisionomia sempre più complessa e articolata. Essa non si configura più esclusivamente come responsabilità giuridica o disciplinare, ma si declina in forme diverse, in cui l’enfasi si sposta verso la gestione consapevole del rischio, la prevenzione sistemica, la trasparenza operativa e il miglioramento continuo. In altre parole, la responsabilità si inserisce in un ecosistema di governance pubblica in cui il controllo non è visto come un ostacolare l’adempimento formale, ma come fattore abilitante dell’efficienza e della qualità dell’azione amministrativa.
In conclusione, la sfida della responsabilità nella Pubblica Amministrazione oggi non è solo normativa o procedurale, ma soprattutto culturale. Si tratta di promuovere una visione nuova del ruolo pubblico, orientata ai risultati, alla legalità sostanziale e alla fiducia del cittadino. In questo contesto, la prevenzione della corruzione, il controllo interno e la responsabilità amministrativa non sono elementi separati, ma componenti di un’unica strategia integrata per costruire una PA più efficace, trasparente e responsabile.
La chirurgia robotica tra appropriatezza e risvolti economici nella sanità moderna: il salto di qualità per una organizzazione sanitaria
La letteratura internazionale riserva alla chirurgia robotica particolare attenzione specialmente in alcuni setting quali la ginecologia, l’urologia, la chirurgia generale e la cardiologia. Contrariamente a quanto avviene in Italia (Einpresswire, 2021), dove il 60% del volume di interventi chirurgici robotici è sostenuto da procedure urologiche, a livello internazionale la maggiore percentuale di interventi è eseguito in chirurgia generale (30%), seguito dalla ginecologia (25%) e poi dalla urologia (20%), distribuendo il restante 25% in altre specialità quali ortopedia, otorinolaringoiatria e neurochirurgia. In particolare, nel campo ginecologico una recente metanalisi (Lenfant, 2023), contenente studi randomizzati e prospettici che confrontano l’approccio robotico con tutte le vie chirurgiche alternative esistenti, ha riportato vantaggi in termini di una durata di degenza ospedaliera (LOS) più breve, una minore perdita ematica stimata (EBL) ed un minor numero di complicanze, riammissioni, reinterventi entro 30 giorni dall’intervento. Infatti, laddove gli approcci vaginali o laparoscopici non sono praticabili a causa della complessità del caso, l’implementazione della tecnica robotica eviterebbe la laparotomia, offrendo migliori risultati post-operatori, specialmente per pazienti con caratteristiche preoperatorie che indicano una potenziale complessità chirurgica, come precedenti chirurgici, BMI elevato o utero di grandi dimensioni (Lambat, 2021). Seppur sono scarse le evidenze che indagano i costi nel campo della chirurgia robotica ginecologica, uno studio retrospettivo (Glass Clark, 2023) ha confrontato i costi totali della sacrocolpopessi robotica (RSC) tra due piattaforme robotiche: RSC Senhance (Ascensus) e RSC DaVinci (Intuitive). L’analisi statistica ha mostrato una similarità nei costi delle piattaforme (Senhance $5368,31 ± 1486,89, DaVinci $5741,76 ± 1197,20, p =
0,29) e nelle sottocategorie (farmaci, forniture, p > 0,05). Tuttavia, dalla regressione lineare multivariabile, il costo totale è risultato inferiore di $ 908,33 per Senhance (p = 0,01) quando si è tenuto conto della durata dell’intervento (più lungo con Senhance), della perdita ematica stimata, della concomitante sling medio-uretrale e dell’uso del sistema GelPoint miniport rispetto al sistema DaVinci. D’altra parte, nel setting urologico, uno studio retrospettivo (Baghli, 2023) ha valutato il rapporto costo-efficacia della chirurgia robotica assistita rispetto alla chirurgia aperta nel contesto della nefrectomia parziale per la gestione di piccoli tumori renali, arruolando 395 pazienti operati con chirurgia robot-assistita (RAPN) o con nefrectomia parziale a cielo aperto (OPN). L’analisi costo-efficacia, condotta grazie al Sistema Nazionale di Assicurazione Sanitaria (NHIS), ha tenuto conto dei costi della degenza e delle complicanze riscontrate a distanza di 12 mesi dall’intervento chirurgico. Per quanto concerne le complicanze, si segnala un’assenza pari all’82% dei pazienti del gruppo OPN e al 93% dei pazienti del gruppo RAPN, con l’11% a favore dell’assistenza robotica (p < 0,001). Per quanto concerne invece i costi, compresi quelli relative alle complicanze, è stato rispettivamente di 9.637 € e 8.305 € per i gruppi OPN e RAPN, con un costo inferiore di 1.332 € (p < 0,001) per la coorte robotica, risultando un’alternativa efficace alla chirurgia open nella nefrectomia parziale. Ampiamente utilizzata in chirurgia generale, la tecnica robotica è stata largamente revisionata (De Angelis, 2024) per interventi di ernia inguinale dove è stata dimostrata un’associazione minore di recidiva, minori lesioni intestinali, minore conversione alla chirurgia “open”, minor ricorso a trattamenti farmacologici oppioidi rispetto la tecnica laparoscopica. Rispetto alla tecnica “open”, la robotica è stata associata a minori com-
1 Direttore Attività Didattiche Professionalizzanti CdL Infermieristica – AST Ascoli Piceno Regione Marche;
2 Direttore Professioni Sanitarie - AST Ascoli Piceno Regione Marche;
3 Direttore Professioni Sanitarie - AST Fermo Regione Marche;
5 Incarico di Funzione Organizzativa SOD Cardiochirurgia e Cardiologia Pediatrica e Congenita Unità Terapia Intensiva Pediatrica Azienda Ospedaliero Universitaria delle Marche – Ancona
6 Incarico di Funzione Organizzativa Macroarea Ospedaliera – AST Ascoli Piceno Regione Marche;
7 Tutor Clinico di Tirocinio CdL Infermieristica – AST Ascoli Piceno Regione Marche.
plicazioni postoperatorie, minori infezioni correlate al sito chirurgico, minori perdite ematiche intraoperatorie, ridotta durata di degenza e minori riammissioni ospedaliere. Anche il setting cardiologico è stato coinvolto ampiamente. Difatti, la metanalisi di Husen (Husen, 2023) comprendente 18 studi con 60.331 pazienti, ha riscontrato come l’utilizzo della tecnica robotica nel trattamento chirurgico di riparazione o sostituzione della valvola mitrale determina un tasso inferiore di utilizzo di trasfusioni di sangue, minor tempo per la ventilazione meccanica e tempo di guarigione, minore durata della degenza, minor rischio di infezione e minor tasso di mortalità rispetto ad altri interventi (Toolan, 2021). Tuttavia, la chirurgia robotica è considerata più impegnativa rispetto alla sternotomia a causa di alcuni motivi, tra cui la complessità durante il processo di selezione dei pazienti (Chitwood, 2016) e ad alcuni svantaggi come il rischio di fibrillazione atriale. Il rapporto costi-benefici non viene preso in considerazione da tutti gli studi scientifici e tale aspetto merita alcune considerazioni. In primis, l’implementazione di un programma chirurgico con tecnica robotica deve porre in considerazione costi significativi, con esborso di capitale inziale. In secondo luogo, la messa in atto dei costi correnti del contratto di manutenzione annuale e degli strumenti, oltre a una clausola di interventi di manutenzione straordinaria. In terza considerazione, non per ultima, la spesa formativa nei confronti del team chirurgico, comprensivo di personale medico, infermieristico e tecnico o di supporto, coerente con il programma della piattaforma chirurgica adottata. Alcuni studi (Coyan, 2018) riportano come le spese totali degli interventi in robotica e in tecnica “open” tendono a sovrapporsi in quanto i primi costi diretti sono più elevati nel gruppo robotico (Hassan, 2015), senza riportare alcuna recidiva, anche se si assiste ad un marcato aumento dei costi indiretti tardivi con la coorte di sternotomia dovuto all’aumento della durata della degenza, all’utilizzo di trattamenti trasfusionali ed ai tassi di riammissione a 30 giorni. Nel contesto di un centro specializzato statunitense (Bolenz, 2010), sono stati analizzati i
Nel 2019 sono stati eseguiti in Italia circa 24.000 interventi di chirurgia robotica con una ripartizione che vede al primo posto l’Urologia (67%), seguita dalla chirurgia generale (16%), ginecologia (10%), chirurgia, toracica (5%) e ORL (2%).Secondo il Consiglio Superiore di Sanità nel 2022, attualmente si dispone di n° 296 robot chirurgici
costi dell’intervento chirurgico in tecnica “open” retropubica (RRP), in laparoscopia (LRP) e con robot-assistito da Vinci (RALP), inclusi onorari professionali, attrezzature, manutenzione, occupazione della sala operatoria, stanza di degenza, farmaci ed emotrasfusioni. Da questa analisi, emerge che il costo complessivo per procedura in caso di acquisto dell’apparecchiatura è stato di $ 4.437 (RRP), 5.687 $ (LRP) e 6.752 $ (RALP). Le principali differenze tra le metodiche si sono registrate sia per i costi di manutenzione che gravano sul singolo intervento 185 $ (RRP), 725 $ (LRP), ben 2.015 $ (RALP), sia i costi di sala operatoria 1.611 $ (RRP), 2.453 $ (LRP), ben 2.798 $ (RALP). Nel contesto anglosassone (Joseph, 2008), un’analisi retrospettiva (i costi sono riportati in dollari) ha messo a confronto i costi tra la prostatectomia robot assistita con da Vinci (n°=106), la chirurgia laparoscopica (n°=57) e la tecnica “open” retropubica (n°=70). Si è evidenziato come i costi medi di esercizio per caso sono stati di 5.410 $ (RALP), 3.876 $ (LRP) e 1.870 $ (RRP) con una maggiore incidenza dei costi operativi associata alla chirurgia robot-assistita (4.805 $). I pazienti sottoposti a chirurgia robot-assistita sono stati dimessi il giorno successivo all’intervento chirurgico (Degenza Media= 1,1 giorni), mentre la degenza media per la chirurgia laparoscopica ed open è stata rispettivamente di 2,7 e 3 giorni.
La chirurgia robotica nel Servizio Sanitario Nazionale: un approccio economicamente sostenibile
A livello Nazionale, gli impatti sull’adozione a lungo termine della chirurgia robotica non sono ben noti, o sono comunque obsoleti (AGENAS, 2017) perciò, sono diverse le evidenze scientifiche in tale ambito che mostrino, oltre ai benefici, gli impatti economici e sociali. Nel 2019 sono stati eseguiti in Italia circa 24.000 interventi di chirurgia robotica con una ripartizione che vede al primo posto l’Urologia (67%), seguita dalla chirurgia generale (16%), ginecologia (10%), chirurgia, toracica (5%) e ORL (2%). In realtà, la ginecologia sta crescendo notevolmente in tale settore e si sta avvicinando ai dati di
chirurgia robotica
maggiore attività (Ministero della Salute, 2023). Secondo il Consiglio Superiore di Sanità nel 2022, attualmente sul territorio nazionale si dispone di n° 296 robot chirurgici fra sistema pubblico e privato, di cui a maggior prevalenza Lombardia (n°52), Lazio (n°37) e Veneto (n°31). Secondo la survey della Regione Emilia-Romagna (Ballini, 2008), l’analisi economica del report evidenzia che nel nostro Paese il robot da Vinci è una tecnologia ad elevati costi di acquisto, di utilizzo e manutenzione. Tra i costi diretti vi sono la stima d’acquisto pari a € 1.680.000 (IVA inclusa) e l’ammortamento annuo, considerando 8 anni, di € 210.000 con costi di manutenzione inerenti ad un contratto full risk, stimati al 10% del valore della tecnologia, quindi € 168.000, comprensiva dei costi di formazione. I costi di impianto non sono stati considerati, in quanto il sistema robotico è mobile, formato da tre moduli trasportabili su ruote. I costi del personale sono stati valutati pari a € 600-1.500 ad intervento in relazione alla presenza di chirurghi (n°2 per 4 ore), anestesisti (n°1 per 3,3 ore) ed infermieri (n°3 per 4 ore). Per i costi del materiale sanitario utilizzato (farmaci, materiali), è stato stabilito un costo medio di € 1.800-2.500 ad intervento mentre per i costi indiretti (pulizie, sterilizzazione) si è stimato circa € 200-400 ad intervento. Dal calcolo del Break Even Point (BEP), nel caso della prostatectomia radicale robotica nella Regione Lazio, considerando il rimborso col DRG n. 306 (versione 19, anno 2006) pari a € 4.553 per paziente, il punto di equilibrio verrebbe raggiunto con l’erogazione di 508 prestazioni prodotte, quota che non genera né profitto né perdite. Nel campo della chirurgia urologica, un recente studio (Landi, 2025), condotto presso l’Unità di Urologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona (AOUIVR), ha effettuato un’analisi comparativa dei costi utilizzando due piattaforme robotiche attraverso il time-driven activity-based costing (TDABC). Lo studio, applicato su di una corte totale di n°100 pazienti con carcinoma prostatico confinato d’organo, ha previsto l’assegnazione di n°50 pazienti assegnati alla robot-assisted radical prostatectomy (RARP) eseguita con il sistema da Vinci (DV-RARP) e n°50 assegnati alla RARP con il sistema Hugo RAS (H-RAS). In relazione al time-driven activity-based costing (TDABC) è emerso che sebbene i risultati clinici siano stati simili, la piattaforma Hugo è complessivamente meno costosa rispetto al da Vinci (€ 3.511,73 vs. € 4.97,21 p-value < 0,001), pur avendo quest’ultima un valore maggiore escludendo i costi dei kit chirurgico. Precedentemente l’analisi dei costi riferita a tale procedura era stata analizzata anche da Sighinolfi (Sighinolfi, 2024) al fine di valutare i costi diretti della degenza ospedaliera per i sistemi Da Vinci ed Hugo RAS, considerando i costi delle apparecchiature (ricavati dalla gara d’appalto), i costi della sala operatoria
e del ricovero. Il costo diretto per la prostatectomia radicale è pari a € 2.246,31 con procedura Da Vinci e di € 1.995 con Hugo RAS. Applicando questo costo diretto ai nostri dati clinici, la spesa per l’intero ricovero indice è di € 6.7755,1 per Da Vinci e € 6.637,15 per Hugo RAS. In conclusione, Hugo RAS fornisce l’11% del risparmio sui costi dell’intervento chirurgico con una disponibilità da parte del sistema nel ridurre le spese dirette della chirurgia robotica, fornendo risultati peri-operatori simili rispetto al Da Vinci. Tuttavia, è necessario prendere in considerazione anche altri fattori di costo, come la durata dell’utilizzo della sala operatoria, la cui flessibilità può dipendere dal background e dall’organizzazione della struttura ma anche dal carico di lavoro, dagli accordi e dalle trattative locali. Nell’analisi dei costi, le scelte organizzative e strutturali inerenti alla tecnologia robotica prescelta devono comprendere i seguenti aspetti:
• Formazione professionale dell’equipe o team chirurgica e, conseguente, analisi relazionale tra professionisti (Chirurghi, Infermieri e Personale tecnico/ di supporto). La formazione si articola in due fasi principali: una prima a carattere gestionale del robot ed una seconda a carattere gestionale dell’intervento chirurgico. Tale programmazione, periodicamente aggiornata secondo i programmi della piattaforma adottata, deve essere adeguatamente tracciata.
• Aspetti logistici in cui vi è una chiara definizione, supportata da apposita planimetria, in cui si definiscono gli spazi dedicati alla collocazione della macchina;
• Aspetti organizzativi, pianificati secondo procedure interne, ove, tramite matrici di responsabilità, si chiarificano le attività di ogni singolo attore coinvolto;
• Aspetti economici, correlati alla valutazione dei costi associati;
• Piano di monitoraggio per la valutazione dell’utilizzo clinico appropriato del robot in termini sia di indicazioni cliniche all’intervento che di esiti clinici ottenuti;
• Supporto informativo, tramite Carta dei Servizi, in cui si fornisce un’appropriata informazione sul servizio offerto sia per gli utenti che per i professionisti e strutture del Servizio Sanitario Nazionale;
• Gestione dei sistemi di prenotazione e delle agende adeguati a rispondere ai volumi e accessi preventivati;
• Organizzazione e programmazione dei turni di una equipe chirurgica dedicata alla robotica, affinché siano congrui e compatibili con l’uso programmato del robot e in grado di assicurare sempre la presenza di una équipe formata all’assistenza dell’intervento robotica.
• Sistemi e dettagliati programmi di gestione del rischio connesso all’utilizzo della tecnologia;
• Programmi di comunicazione del servizio offerto;
• Gestione clinica-assistenziale ed organizzativa del percorso pre- e postchirurgico del paziente.
La spinta internazionale e nazionale per il graduale aumento del mercato dei robot chirurgici è innescata da un incidente numero di richieste di interventi minimamente invasivi che garantiscono una molteplicità di vantaggi legati ad un minor tempo di recupero da parte del paziente, una minore percezione del dolore correlato alla procedura chirurgica ed un minor rischio di infezione. Tali aspetti sono ovviamente supportati da un sistema robotico complesso e ben definito in cui l’intervento umano di alta precisione è veicolato da uno strumento ad alta definizione e di ottimo controllo, che ne permette di ottimizzare i tempi della procedura e di adottarne l’utilizzo per diverse specializzazioni chirurgiche.
Le tendenze attuali indicano una crescente integrazione tra sistemi robotici e algoritmi di IA avanzati, che potrebbero portare a interventi chirurgici completamente automatizzati e personalizzati. La combinazione di machine learning e big data permetterà ai robot chirurgici di analizzare enormi quantità di informazioni in tempo reale, ottimizzando le decisioni intraoperatorie ed ottimizzandone ulteriormente la precisione. Con il costante miglioramento
chirurgia robotica
dell’interfaccia uomo-macchina, è probabile che i robot chirurgici diventino strumenti indispensabili in ogni sala operatoria. Ciò ridurrà al minimo gli errori umani e aprirà nuove frontiere nella medicina personalizzata, migliorando significativamente i risultati a favore dei pazienti. La grande criticità del mercato globale sta nella mancanza di personale sufficientemente addestrato per operare e mantenere efficacemente i sofisticati sistemi robotici. Infatti, l’onerosità del processo si somma alla specificità formativa del personale sul campo, che deve essere sostituito dal punto di vista clinico-assistenziale nel momento in cui si effettuano periodici programmi di formazione ed aggiornamento professionale. Infatti, la complessità dei sistemi robotici e l’alta curva di apprendimento per i professionisti coinvolti rallenta il ritmo dell’accettazione della chirurgia robotica poiché il mancato aggiornamento del personale ne limita le opportunità di utilizzo ed i margini di interesse investiti dalle strutture, creando un grande deterrente dal portare il mercato al suo completo potenziale (Business Research, 2025). Perciò, la sfida sanitaria consiste nella promozione di una democratizzazione della chirurgia robotica, ove gli investimenti delle nuove tecnologie, supportate da programma di Intelligenza Artificiale, debbano primariamente considerare il fattore fondamentale dei buoni esiti clinico-assistenziali, ovvero la formazione al fine ultimo, non per importanza, di soddisfare il benessere dei pazienti
chirurgia robotica
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TRIBUNALE DI ROMA
SEZIONE XVII CIVILE
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA
P.Q.M.
Visto l’art. 669 terdecies c.p.c.,
– accoglie il reclamo proposto dalla Fondazione F.A.R.E. e, per l’effetto, in riforma dell’ordinanza impugnata, dispone nei confronti delle resistenti LTM & Partners S.r.l ed Experience S.r.l. inibitoria di qualsivoglia uso del segno “faresanità”, anche come nome a dominio, sia in caso di uso da solo che in congiunzione con altri segni;
– fissa la somma di euro 1.000,00 quale penale dovuta dalle resistenti alla Fondazione per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della presente ordinanza, decorsi quindici giorni dalla comunicazione di essa;
– dispone la pubblicazione del dispositivo della presente ordinanza, ex art. 126 c.p.i., sull’home page del sito delle resistenti www.faresanita.it e sul profilo Linkedin delle resistenti www.linkedin.com/ company/fare-sanita/, per trenta giorni, nonché sul quotidiano “Il Sole 24 Ore” per cinque giorni consecutivi;
– respinge il reclamo avverso l’ordinanza proposto dalla Federazione F.A.R.E.;
– in riforma parziale dell’ordinanza impugnata, condanna le resistenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese della prima fase del procedimento in favore della ricorrente Fondazione F.A.R.E., nella misura di complessivi euro 545 per spese vive ed euro 5.500, per compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, fermo il provvedimento di condanna della Federazione al pagamento delle spese nei confronti delle resistenti;
– condanna le resistenti al pagamento nei confronti della Fondazione anche delle spese del procedimento di reclamo che si liquidano nella misura di euro 321, per spese vive ed euro 6.637, per compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge e, condanna la parte reclamante Federazione F.A.R.E. al pagamento delle spese della presente fase nei confronti delle resistenti che si liquidano nella misura di euro 6.637, per compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge;
– Visto l’art. 13 comma 1 quater D.P.R. 115/2002, dà atto dell’obbligo della parte reclamante Federazione F.A.R.E. di versare in favore dell’Erario somma pari all’importo già versato ai sensi dell’art. 13 comma 1 bis medesimo D.P.R..
Così deciso nella camera di consiglio del 17 aprile 2025.
X Corso di Alta Formazione 2023/24
per Funzionari e Dirigenti in Sanità
Area Provveditorato - Economato - Patrimonio
Tutor: Gian Luca Viganò
Il nuovo Codice dei Contratti e la digitalizzazione delle procedure: cosa cambia per gli affidamenti diretti. Proposta di procedura da applicare per il RUP sottosoglia.
Gruppo di lavoro:
Emilia Monaco - InnovaPuglia S.p.A. – Bari
Maria Vacca - InnovaPuglia S.p.A. - Bari
Claudio Masi - InnovaPuglia S.p.A. - Bari
Claudia Caricasole - Azienda Sanitaria Locale di Taranto
Angelica Di Terlizzi - ASST Melegnano e Martesana - Vizzolo Predabissi
Paola Econdi - ASST Melegnano e Martesana - Vizzolo Predabissi
Silvia Colzani - ASST Fatebenefratelli Sacco - Milano
Sabina Sorrenti - Azienda Sanitaria Locale di Barletta - Andria-Trani
L’e-procurement, quale elaborazione digitale della procedura di acquisti tradizionalmente analogica, nonché risultato del passaggio da processi a evidenza pubblica basati su supporti cartacei a processi che implicano strumenti informatici, è stato oggetto di recente Riforma normativa.
La, ormai nota, digitalizzazione della P.A. rappresenta la vera grande sfida dei prossimi anni che potrà contribuire al rilancio del Paese. Lo stesso Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza ha previsto, infatti, tra i suoi obiettivi quello di definire le modalità per digitalizzare le procedure per tutti gli appalti pubblici nonchè i requisiti di interoperabilità e interconnettività tra le piattaforme di approvvigionamento digitale.
Da ultimo, il decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, con piena efficacia dal 1° gennaio 2024, ha modificato l’impianto strutturale del Codice Appalti, innovando la materia dei contratti pubblici in un’ottica di ripresa, velocizzazione e slancio verso la digitalizzazione del settore : mira alla semplificazione, aumentando la discrezionalità delle amministrazioni e prevenendo il rischio di fenomeni corruttivi grazie a qualificazione e trasparenza.
Il Nuovo Codice dei Contratti pubblici dedica alla digitalizzazione del ciclo di vita dei contratti pubblici un’intera sezione del Codice (articoli 19-36) in virtù dei quali le stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurano l’informatizzazione del ciclo di vita dei contratti nel rispetto dei principi e delle disposizioni del Codice dell’ Amministrazione Digitale, garantendo l’esercizio dei diritti di cittadinanza digitale e operando secondo i principi di neutralità tecnologica, di trasparenza, nonché di protezione dei dati personali e di sicurezza informatica. Tra i principali interventi si menzionano – a decorrere dal 1° gennaio 2024 – l’acquisizione dei CIG da effettuarsi direttamente dalle piattaforme di approvvigionamento digitale certificate; la verifica - attraverso il Fascicolo virtuale dell’operatore economico (FVOE) - del possesso dei requisiti di ordine generale e di ordine speciale da parte degli operatori economici; la titolarità nazionale – in capo all’ANAC (“e-sender”) delle pubblicazioni dell’UE; l’assolvimento dei relativi obblighi di pubblicazione a fini di trasparenza per il quale la gestione del ciclo di vita dei contratti tramite piattaforme di approvvigionamento digitale certificate assicura anche il rispetto degli obblighi di trasparenza per tutti i dati trasmessi alla BDNCP. In questo mutato quadro normativo e, per la conseguenza, giurisprudenziale, importanti sono le ricadute applicative in tema di affidamenti diretti. Attraverso il public procurement le amministrazioni esercitano la loro capacità generale di diritto privato stipulando contratti soggetti a regole speciali di natura pubblicistica volte a tutelare gli interessi delle stesse amministrazioni e a garantire la par condicio tra i potenziali contraenti.
Per la conseguenza, la formazione della volontà negoziale dell’amministrazione e la scelta del contraente avvengono attraverso un procedimento amministrativo ad evidenza pubblica di tipo competitivo e più precisamente : la fase di formazione del vincolo contrattuale è retta da regole di diritto pubblico e si sviluppa in una sequenza procedimentale che culmina nell’emanazione di un provvedimento di aggiudicazione; la fase di esecuzione del contratto è invece retta essenzialmente dalle regole del diritto privato.1
Nell’ambito della predetta volontà negoziale - in casi e condizioni tassative individuate dal legislatore - l’intento della P.A. di assegnare un servizio o una fornitura ad un operatore economico senza l’attivazione di alcun confronto competitivo è qualificato come “affidamento diretto” , inteso come modalità di aggiudicazione eccezionale e sottratta alle dinamiche del mercato e della concorrenza, fino ad oggi soggetta a strette limitazioni normative.
L’affidamento diretto - secondo consolidata giurisprudenza amministrativa - non presuppone una procedura di gara, né abilita i soggetti non selezionati a contestare le valutazioni dell’Amministrazione, per cui l’eventuale mera procedimentalizzazione dell’affidamento diretto, mediante l’acquisizione di una pluralità di preventivi
1 M. CLARICH “Manuale di diritto amministrativo”, Ed. Mulino, quinta edizione
X Corso di formazione FARE
e l’indicazione dei criteri per la selezione degli operatori, non conduce a qualificare quindi l’iter adottato dall’Amministrazione in una procedura formale di gara2
Legato a rigidi presupposti nella previgente disciplina codicistica, il nuovo art. 50 D. Lgs. 36/23 - nel dare continuità alle semplificazioni introdotte e dai decreti-legge n. 76 del 2020 e n. 77 del 2021 legate ai fenomeni pandemici – generalizza oggi la possibilità di ricorrere all’affidamento diretto per lavori entro € 150.000,00 e per servizi e forniture entro € 140.000,00.
Queste disposizioni costituiscono applicazione dell’ormai noto principio del risultato di cui all’art. 1 del Codice che impone, tra l’altro, alle Stazioni Appaltanti e agli enti concedenti di perseguire il risultato dell’affidamento del contratto con la massima tempestività. Tale principio costituisce peraltro attuazione nel settore dei contratti pubblici dei principi Costituzionali di buon andamento, efficienza, efficacia ed economicità. Esso è perseguito nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea.
La formulazione del nuovo dettato normativo ha indotto il dibattito dottrinale e giurisprudenziale al confronto relativo la possibilità o, a contrario, l’obbligo della Stazione Appaltante ad attivare sempre l’istituto dell’affidamento diretto nei casi codificati dal legislatore.
Come già esposto, la disposizione di cui all’art. 50 disciplina le procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea, rinviando all’Allegato II.14 per l’individuazione delle modalità di gestione degli elenchi e delle indagini di mercato ivi previste e facendo espresso riferimento alla possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie di aggiudicazione contemplate nel Codice, esclusivamente alla lettera d), con riguardo ai lavori di importo pari o superiore a 1 milione di euro e fino alle soglie di cui all’articolo 14 del Codice.
Per queste ragioni, il dubbio interpretativo era sorto a causa della lettura del citato dispositivo che sembra non prevedere alcuna possibilità di utilizzo di altre procedure se non quelle indicate: difatti, la norma sembra voler imporre alle stazioni appaltanti l’utilizzo delle procedure di affidamento diretto e negoziate per gli importi sopra elencati, ricavabile proprio dall’interpretazione letterale della norma, la quale utilizza il tempo indicativo presente (“le stazioni appaltanti procedono” anziché “le stazioni appaltanti possono procedere” come previsto invece nel vecchio codice, d.lgs. 50/2016), nel prevedere le procedure da applicare. Inoltre, è la norma stessa ad indicare per i soli casi sub d) (procedura negoziata per lavori di importo pari o superiore a 1 milione di euro e fino alle soglie di cui all’articolo 14) che la procedura negoziata possa essere sostituita dalla procedura aperta ordinaria. è stato chiarito a più riprese dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti (CIRCOLARE 20 novembre 2023, n. 298) che il ricorso a tale strumento, da parte delle Stazioni Appaltanti, configurerebbe per le stesse una possibilità e non un obbligo ferma sempre la facoltà per l’amministrazione di ricorrere alle procedure aperte o ristrette per testare il mercato e attivare la concorrenza. Anche l’ANAC, con il parere del 13/03/2024, n. 13, richiamando i chiarimenti resi dal MIT con circolare del 298 del 20 novembre 2023, ha affermato che le procedure sotto soglia “vanno interpretate e applicate tenendo conto, non solo del principio del risultato che impone, tra l’altro, alle Stazioni appaltanti di raggiungere il risultato con la massiva tempestività, ma anche di tutti gli altri principi richiamati dall’articolo 48, 1° comma, del nuovo Codice dei Contratti, tra cui rilevano in particolare, il principio di accesso al mercato degli operatori economici, il principio di concorrenza, di imparzialità e di fiducia”. Proprio per il rispetto dei suddetti principi insieme alle regole della normativa di settore dell’Unione Europea “…deve ritenersi consentito, in via generale, per gli affidamenti di valore inferiore alle soglie comunitarie di cui all’articolo 50 del d.lgs 36/2023 anche il ricorso alle procedure previste nel codice, secondo le opportune valutazioni della Stazione appaltante in relazione alle caratteristiche del mercato di riferimento, alle peculiarità dell’affidamento e agli interessi pubblici ad esso sottesi”.
Nell’ambito del citato principio del risultato , ad avviso del quale “le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza, perseguito nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea” si definisce certamente un cambio di rotta, ovvero, il passaggio da una visione prettamente formale dei procedimenti amministrativi e della contrattualistica pubblica, ad una visione programmatica e pratica che concretizzi le metodiche di analisi del contesto e che, attraverso appositi indicatori, individui la strategia progettuale migliore di affidamento in termini di rapporto qualità/prezzo e una corretta esecuzione del contratto affinché si possano raggiungere i risultati attesi. Anche alla definizione del R.U.P., che troviamo all’articolo 15 del nuovo codice, non corrisponde più l’acronimo di Responsabile Unico di Procedimento, bensì di Responsabile Unico di Progetto, discostandosi quindi dalla precedente identificazione della mera procedura/procedimento formale, ponendo in risalto una connotazione prettamente manageriale, che trova nel sostantivo “progetto” il passaggio dalla visione burocratica alla visione progettuale dell’intero ciclo dell’appalto.
2 Cons. Stato, Sez. IV, 23/04/2021, n. 3287
Monica Piovi e Studio Legale Fidanza
Su errori formali e principio di risultato
Un nostro lettore chiede di sapere se sia possibile procedere comunque all’ammissione alla gara nel caso in cui un concorrente partecipante ad una gara di appalto abbia sottoscritto 2 relazioni dell’offerta tecnica in modo incompleto, mancando nelle suddette relazioni la firma del legale rappresentante di una delle imprese mandanti dell’ ATI.
L’articolo 101 del Decreto Legislativo 31 marzo 2023, n. 36, alla lettera b) del primo comma, com’è noto, dispone che il soccorso istruttorio da parte della Stazione Appaltante è finalizzato a sanare omissioni, inesattezze o irregolarità dei documenti di gara “con esclusione della documentazione che compone l’offerta tecnica e l’offerta economica. Non sono sanabili le omissioni, inesattezze e irregolarità che rendono assolutamente incerta l’identità del concorrente”.
L’interpretazione letterale della norma, ci indurrebbe, pertanto, a dare al quesito del lettore una risposta negativa. Ma una recente sentenza del Consiglio di Stato (sezione V, n. 1620/2025) prospetta, invece, una interpretazione diversa. Infatti alla luce del principio del risultato introdotto dall’art.1 del D.Lgs 36/2023, applicabile anche alle procedure di appalto rette dalla precedente normativa (TAR Campania, Napoli, n. 377/2024), l’attività della Stazione Appaltante deve privilegiare l’effettivo e tempestivo raggiungimento del risultato sostanziale, superando i formalismi che impedirebbero di perseguire l’interesse della Pubblica Amministrazione. Nel caso affrontato nella citata sentenza n. 1620: a) la società mandante non risultava correttamente registrata nella piattaforma telematica; b) l’offerta tecnica non era sottoscritta da entrambi i componenti del raggruppamento. Il Consiglio di Stato, facendo proprie anche le conclusioni del giudice di primo grado, ribadisce che la documentazione di gara conteneva comunque tutti gli elementi per identificare la volontà delle imprese di partecipare in ATI (ricavabili dalla domanda di partecipazione) e l’assenza della firma della mandante nell’offerta tecnica non ha impedito di accertare l’effettivo impegno dell’ATI a eseguire il contratto (la piena tracciabilità dei dati immessi in proce-
dura e le tempistiche del relativo trattamento rendono conoscibili le provenienze degli atti con piena garanzia della provenienza dalle due imprese dell’ATI). Dal complesso della documentazione effettivamente sottoscritta (compresa la firma dei due operatori nell’offerta economica) nonché tenendo conto di tutti gli elementi ed adempimenti di gara comunque effettuati e riferibili ad entrambi i concorrenti e caricati sulla piattaforma informatica la Stazione Appaltante ha verificato la sussistenza della volontà di partecipazione alla gara dell’ATI e ha ritenuto pertanto legittima l’ammissione alla gara. Questa sentenza segna una nuova tappa nel percorso interpretativo che si propone di superare il formalismo a volte esasperato delle procedure di gara, ribadendo chiaramente un principio: se un errore formale non compromette la trasparenza, la concorrenza o la serietà dell’offerta, l’esclusione di un operatore economico non è giustificata.
Tornando al quesito che ci è stato sottoposto, la commissione di gara, in questo caso, deve verificare che le due relazioni firmate dai progettisti, ma non dal legale rappresentante, risultino inequivocabilmente attribuibili al concorrente (ad esempio tramite credenziali di accesso alla piattaforma informatica fornite solo al soggetto autorizzato, tracciabilità delle operazioni svolte sulla piattaforma, sottoscrizione di altre analoghe relazioni da parte del legale rappresentante). Una volta effettuata la verifica e accertato che i documenti successivamente firmati dal legale rappresentante siano perfettamente identici a quelli trasmessi in precedenza, si ritiene possibile, anche invocando il principio del favor partecipationis , consentire il ricorso al soccorso istruttorio e la prosecuzione della gara.
Piattaforma BIM di Net4market: il software per la gestione digitale delle opere pubbliche
La gestione delle gare d’appalto di lavori e progetti superiori ai 2 milioni di euro per le Pubbliche Amministrazioni richiede l’adozione obbligatoria di strumenti digitali avanzati. In questo contesto, il BIM (Building Information Modeling) rappresenta la soluzione ideale per affrontare le sfide della progettazione, costruzione e gestione di opere pubbliche in modo trasparente, efficiente e conforme alla normativa.
Il BIM di Net4market è un metodo innovativo che consente di creare un modello digitale unico e condiviso tra tutti gli attori coinvolti: progettisti, imprese, stazioni appaltanti e gestori. Questo modello integra dati geometrici, tecnici e funzionali, offrendo una rappresentazione dinamica e completa dell’opera lungo tutto il suo ciclo di vita: dal concept alla progettazione, dalla costruzione alla manutenzione. L’approccio BIM supporta l’analisi delle alternative progettuali e l’ottimizzazione delle soluzioni già in fase preliminare, garantendo una gestione integrata e consapevole.
Gestire gare d’appalto con la piattaforma BIM significa investire in qualità, efficienza e sostenibilità, con uno sguardo rivolto al futuro della gestione pubblica.
Scopri tutti i vantaggi sul sito:
www.net4market.com/bim/
Digitalizzazione
dei servizi
soft: la soluzione Sodexo per l'efficienza senza sprechi e la tracciabilità al 100%
Nella gestione quotidiana di un ospedale o clinica, anche i servizi no core, come la sanificazione ambientale, sono fondamentali per garantire qualità, sicurezza e comfort ai pazienti. Per questo Sodexo ha sviluppato SMS (Site Management System), una piattaforma digitale progettata per gestire in modo integrato ed efficiente tutte le attività legate ai servizi soft.
Attualmente, in fase di implementazione in strutture sanitarie italiane, SMS consente la mappatura digitale degli spazi, l’archiviazione centralizzata della documentazione tecnica, delle attrezzature e dei prodotti, e il monitoraggio continuo della qualità tramite report condivisi con il cliente. Include anche la gestione delle richieste straordinarie tramite QR code (es. pulizie urgenti).
Negli Stati Uniti, il sistema è già attivo da tempo in diverse cliniche e ha permesso di ridurre gli sprechi, di migliorare sensibilmente la qualità del servizio (la conformità agli standard è cresciuta dal 75% al 90%) e di liberare il 10% delle risorse operative.
Un alleato strategico per le strutture sanitarie che vogliono evolvere nella gestione dei servizi no core e migliorare l’esperienza di pazienti e operatori.
www.it.sodexo.com
Piattaforma BIM di Net4market
Il software dedicato alle PA per gestire gare d’appalto di lavori e progetti
Il modello di progettazione di gara BIM
Il BIM , acronimo di Building Information
Modeling , è un metodo che consente di creare un modello digitale unico e condiviso tra tutti gli operatori coinvolti. Questo modello integra tutte le informazioni necessarie per la progettazione , la gestione, la costruzione e la manutenzione di edifici e infrastrutture.
Obbligatorio per un importo sopra ai 2 milioni di euro!
I vantaggi della gestione digitale dell’opera
Piena conformità normativa
Gestione completa del ciclo di vita
Ambiente OpenBIM
Requisiti necessari per le Stazioni Appaltanti:
Atto organizzativo
La disponibilità e la gestione della piattaforma ACDat è uno degli elementi centrali.
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Piano degli investimenti
Il piano degli investimenti è fondamentale per adottare correttamente il BIM.
Piano di formazione
Include le strategie, gli strumenti e le azioni di comunicazione relative all’adozione della metodologia BIM.
P.IVA. 02362600344
L’EFFICIENZA
DIFFICILMENTE PASSA INOSSERVATA.
Un partner unico per soluzioni integrate di facility