GSA Igiene Urbana 01-13

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scenari

Il “caso Caffaro” di Brescia

la zona più inquinata d’Europa di Marino Ruzzenenti

Una sfida per la ricerca e le tecnologie nel campo delle bonifiche.

32 igiene urbana igiene urbana gennaio-marzo 2013

A Brescia vi è una porzione della città, 4 milioni di metri quadrati, su cui vivono circa 25.000 abitanti, sottoposta da oltre 11 anni ad una Ordinanza sindacale che interdice l’uso e il contatto con il terreno, prescrivendo rigidissimi divieti: qualsiasi uso anche a scopo ricreativo dei suoli; consumo alimentare umano dei vegetali spontanei e dei prodotti degli orti presenti nella zona; allevamento di animali destinati direttamente o con i loro prodotti all’alimentazione umana; pascolo degli animali medesimi; consumo di alimenti di origine animale prodotti in zona; utilizzo dei sedimenti dei fossati; asportazione di terreno… Insomma i cittadini sono confinati nelle loro case e nei soli spazi cementificati o asfaltati. Significativa al riguardo la situazione della scuola primaria “Deledda” dove i bambini da 11 anni non possono giocare nel giardino della scuola stessa, costretti su una piattaforma di cemento. Questa Ordinanza è l’emblema di uno dei casi di inquinamento da PCB e diossine più disastrosi che si siano verificati all’interno di una città. Un emblema, tra l’altro, tanto clamoroso da impedire che, nonostante reiterati tentativi, il disastro ambientale che sottende possa essere rimosso e ricacciato sotto il proverbiale tappeto. In effetti fino al 2001 la società bresciana era riuscita a tenere perfettamente celato l’inquinamento di questa porzione della città per oltre mezzo secolo. In quell’anno, in verità, non si registrò nessun episodio particolare, nessun incidente o fuga di gas tossici in ambiente. Veniva semplicemente pubblicata la storia della Caffaro, le cui conclusioni vennero anticipate, il 13 agosto del 2001, dal quotidiano “La Repubblica”, con un lancio clamoroso in prima pagina - A Brescia c’è

una Seveso bis - che fece riemergere per intero quanto era stato per decenni rimosso. Si ipotizzava, in sostanza, una grave contaminazione da PCB, ma anche da diossine e mercurio, di una vasta zona a sud della Caffaro, un’industria chimica operante per circa un secolo all’interno della città di Brescia: la denuncia si basava sulla documentazione storica dei processi e dei prodotti dell’azienda, nonché sulle vie accertate di dispersione in ambiente delle sostanze tossiche trattate. La Caffaro fu l’unica azienda chimica italiana a produrre su licenza Monsanto, per oltre 40 anni fino al 1984, i famigerati PCB, parenti stretti delle diossine. A quel punto le istituzioni furono costrette a indagare, ne risultò un quadro ben più grave di quello ipotizzato dallo scoop agostano. In tutto il territorio a sud e a valle della Caffaro i PCB e le diossine erano presenti nel terreno da dieci a centinaia di volte oltre i limiti di legge, fino a un massimo di 8.330 μg/kg per i PCB (limite di legge: 60 μg/kg) e di 3.322 ngTEQ/kg per le

diossine (limite di legge: 10 ngTEQ/kg); ovvero livelli di contaminazione dei terreni sovrapponibili a quelli della zona A, a suo tempo evacuata, di Seveso, con l’aggravante che in questo caso lo strato di terreno contaminato non era di 7 cm, ma almeno di 50; e con un’estensione molto maggiore. Si rilevò, inoltre, la presenza di altre sostanze, tra cui mercurio, tetracloruro di carbonio, DDT, che interessava sia i corsi d’acqua superficiali che la falda. Ciò determinò l’inclusione nel 2002 dell’area nei siti inquinati di interesse nazionale, come “Sito Brescia-Caffaro”, e l’emanazione dell’Ordinanza sindacale, di cui si è detto, rinnovata di sei mesi in sei mesi, fino a oggi e a tempo indeterminato. Ma in quella zona a sud della fabbrica, in passato, e per decenni, avevano operato una ventina di aziende agricole che avevano prodotto latte e carne, che oggi sappiamo contaminati, per il macello comunale e la centrale del latte. Solo nel 2001 si è sostanzialmente interrotta la diffusione della contaminazione, che nel caso di


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