Papa Giovanni novembre 2010

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(Anno XXVIII) Nuova serie - Anno 9 n. 6- Novembre/Dicembre 2010 - Amici di Papa Giovanni - CONTIENE I.R.

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BERGAMO - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

Ricordato a Roma il 10° anniversario della beatificazione di Roncalli

Giovanni XXIII e il Concilio Una lezione di modernità

Per il cardinale Walter Kasper era il Pontefice dell’ottimismo

Le “Lettere dall’Oriente” scritte dal futuro Papa Giovanni

NOVEMBRE - DICEMBRE 2010


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Sotto la protezione di Papa Giovanni

Nonna Maria Adele, affida il suo amato nipotino Lorenzo all amatissimo Papa Giovanni XXIII, affinchè lo protegga oggi e sempre e lo tenga sotto il suo manto paterno

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Inviate la fotografia dei vostri bambini ad:

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I nonni Renzo e Luciana affidano alla protezione di Papa Giovanni XXIII i nipotini Matteo e Mariavittoria e i loro genitori

via Madonna della Neve, 24 - 24121 Bergamo


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Beatificazione di Roncalli In migliaia a Roma

Roncalli era grato di essere prete bergamasco

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Per il cardinale Kasper era il Papa dell’ottimismo

«Angelo Roncalli ha lasciato segni indelebili in Turchia»

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Le «Lettere dall’Oriente» scritte dal futuro Pontefice

Ricordato a Roma il 10° anniversario della beatificazione di Roncalli

Giovanni XXIII e il Concilio Una lezione di modernità

Giovanni XXIII e il Concilio Una lezione di modernità

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Sentiero del Papa, al via gli interventi di ripristino

(Anno XXVIII) Nuova serie - Anno 9 n. 6- Novembre/Dicembre 2010 - Amici di Papa Giovanni - CONTIENE I.R.

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Per il cardinale Walter Kasper era il Pontefice dell’ottimismo

Le “Lettere dall’Oriente” scritte dal futuro Papa Giovanni

NOVEMBRE - DICEMBRE 2010

n. 6 bimestrale novembre/dicembre

Direttore responsabile Monsignor Giovanni Carzaniga Direttore editoriale Claudio Gualdi

Madre Teresa ricordata a cento anni dalla nascita

Preti e grande schermo: un’attrazione senza fine

Roncalli ha amato, pregato e visitato spesso le Ghiaie

Editrice Bergamasca ISTITUTO EDITORIALE JOANNES

Redazione: don Oliviero Giuliani mons. Gianni Carzaniga direttore della “Fondazione Beato Papa Giovanni XXIII” con sede nel Seminario Vescovile Giovanni XXIII di Bergamo, mons. Marino Bertocchi parroco di Sotto il Monte, Suor Gervasia volontaria nelle carceri romane, Claudio Gualdi segretario dell’associazione “Amici di Papa Giovanni”, Pietro Vermigli, Giulia Cortinovis, Marta Gritti, Vincenzo Andraous padre Antonino Tagliabue Luna Gualdi Coordinamento redazionale: Francesco Lamberini Fotografie: Archivio del Seminario Vescovile di Bergamo, Archivio “Amici di Papa Giovanni”, Archivio “Fondazione Beato Papa Giovanni XXIII”

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Anno XXVIII Direzione e Redazione via Madonna della Neve, 26/24 24121 Bergamo Tel. 035 3591 011 Fax 035 3591117 Conto Corrente Postale n. 97111322 Stampa: Sigraf Via Redipuglia, 77 Treviglio (Bg) Aut. Trib. di Bg n. 17/2009 - 01/07/2009

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R I C O R R E N Z E

Beatificazione di Roncalli In migliaia nella capitale Lo scorso 3 settembre ricordato in S. Pietro il decimo anniversario dell’evento

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ono già trascorsi dieci anni da quando il compianto Papa Giovanni Paolo II, la mattina del 3 settembre, beatificò in piazza San Pietro Papa Giovanni XXIII: un decimo anniversario importante per tutti, soprattutto per i bergamaschi e in particolare per la comunità di Sotto il Monte, dove il futuro Pontefice nacque il 25 novembre 1881 e visse la sua infanzia. Nell’occasione la locale Amministrazione comunale ha programmato una serie di iniziative culturali, musicali e di spettacolo. L’evento è stato sottolineato da un servizio apparso su «L’Eco di Bergamo» a firma di Emanuele

Roncalli, pronipote di Papa Giovanni, che riproponiamo ai nostri lettori. Nelle pagine successive lo stesso giornalista scrive delle altre celebrazioni che si sono tenute a Roma lo scorso 4 settembre. «El buen Papa», «Le Pape des enfants», «Papst de konzils», «O Papa da paz». Davanti all’urna di Papa Giovanni sfilano fedeli di ogni Paese. Pur venendo da lontano, tutti ricordano il Pontefice bergamasco: quel nome è loro familiare. Qualcuno si ferma a mandare un bacio e a pregare davanti alla teca di vetro che accoglie le spoglie del Papa. E’ gente di ogni nazione e credo. La tomba del Beato sotto l’altare di San Gerolamo in San Pietro diventa così il crocevia di tanti fedeli: cristiani, cattolici e ortodossi, persone di altre religioni, turisti attratti dalle bellezze artistiche della monumentale Basilica Vaticana, ma che hanno voluto vedere dove riposa il Papa. Ciò che accadde dieci anni fa dunque si ripete. Allora sul sagrato della Basilica, sotto un cielo azzurro velato da qualche nuvola, giunsero migliaia di persone per assistere alla beatificazione di Papa Roncalli. In tanti ricordano lo stuolo di porpore cardinalizie, le tuniche bianche, le vesti religiose, i sai marroni e neri, come pure le alte personalità, i pellegrini di Bergamo e Sotto il Monte, le famigliole romane, i volti e le espressioni di gente di ogni dove. Le strade di ognuno si erano intrecciate lì sulla piazza. Oggi i percorsi dei fedeli tornano a convergere in quel luogo. Quel 3 settembre 2000 sul sagrato si erano visti conversare un cardinale con un ortodosso, un armeno con un fratello di Taizé. Oggi l’incontro è fra uomini e donne, europei, africani, asiatici. Tutti lì a contemplare e ricordare un Papa che aveva fatto del dialogo una delle pietre miliari della sua attività pastorale. A distanza di due lustri, Bergamo e Sotto il Monte

Papa Giovanni XXIII durante un rito in S. Pietro

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ricorrenze

hanno voluto tornare a Roma nel giorno dell’anni- glio non celebra particolari opzioni storiche da lui versario della beatificazione. Non per presenziare compiute, ma piuttosto lo addita all’imitazione e semplicemente a una ricorrenza, ma per rinnovare alla venerazione per le sue virtù. Di Papa Giovanni la loro fede davanti al Beato. Un centinaio di pelle- rimane l’immagine di un volto sorridente e di due grini già ieri mattina (il 2 settembre ndr.), di buon braccia spalancate in un abbraccio al mondo inteora, è scesa in pullman nella capitale. Questa mat- ro». tina alle 8 è prevista una celebrazione nella Basilica Fra i pellegrini, tanti chiedono ora quando il PonVaticana, presieduta dal vicario generale di Berga- tefice bergamasco diventerà santo. Per la canonizmo, monsignor Davide Pelucchi, e concelebrata da zazione è richiesto un nuovo miracolo. Alla Conmonsignor Maurizio Malvestiti, sottosegretario del- gregazione per le cause dei santi in passato erano la Congregazione per le Chiese Orientali, e dal cura- pervenute alcune segnalazioni, che tuttavia non to di Sotto il Monte don Davide Superchi e da altri hanno avuto seguito. Il lavoro procede nel massimo sacerdoti bergamaschi in servizio a Roma. Dopo la riserbo, anche per evitare sensazionalismi inutili. messa, i pellegrini di Sotto il Monte potranno visi- La gente – del resto – lo venera già come santo. E tare la Cappella Sistina e i Giardini Vaticani. Mentre le parole di Benedetto XVI sulla santità inducono domani mattina (sabato 4) parteciperanno a una li- alla moderazione: i santi e i martiri – ha detto in turgia nella chiesa dell’Arciconfraternita dei berga- un’occasione Papa Ratzinger – sono persone come le maschi dedicata ai Santi Bartolomeo e Alessandro, altre, persone come noi che hanno vissuto seguena piazza Colonna. Sulla strada del ritorno a casa, il do la via delle «beatitudini evangeliche» e «si sono 5 settembre, il gruppo farà sosta a Cascia per una sforzati di percorrerla pur consapevoli dei loro limiti visita alla Basilica di Santa Rita. umani». Esempi luminosi di esistenze normali. Così «Ricordo molto bene il giorno della beatificazione normali da diventare straordinarie. – dice una signora di mezza età –. Faceva un caldo terribile, la piazza era infuocata dal sole e dall’entusiasmo. Mi vengono i brividi se ripenso allo scrosciare degli applausi della gente quando Giovanni Paolo II parlava di Papa Giovanni. Non era stato così per gli altri beati». Quel giorno assieme al Pontefice bergamasco furono elevati agli onori degli altari anche Pio IX, Guillaume-Joseph Chaminade (fondatore della famiglia marianista), il vescovo Tommaso Reggio, fondatore della Congregazione delle suore di Santa Marta, e l’abate irlandese Columba Marmion. Ma tutti ricordano l’intensità degli applausi che saliva ogni qualvolta veniva pronunciato il nome di Papa Giovanni XXIII. «La Chiesa – disse allora Papa Maggio 1959: i bergamaschi in pellegrinaggio offrono la tiara al “loro” Papa Wojtyla – beatificando un suo fi5


C E L E B R A Z I O N I

Papa Giovanni era grato di essere prete bergamasco Durante la Messa è stato sottolineato che: «Non dimenticò mai le sue origini»

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si è detto commosso e portando i saluti del vescovo di Bergamo Francesco Beschi (un ricordo è andato anche al vescovo Roberto Amadei scomparso un anno fa) ha esordito: «E’ un privilegio essere qui, perché qui davanti a questa urna si ha la percezione della bontà di Dio. Con la vostra presenza testimoniate quanto è radicato l’amore per Papa Giovanni nella propria terra». Il vicario generale ha rievocato alcuni episodi della vita di Roncalli. Nel 1952, dopo aver ricevuto la porpora, il cardinale Roncalli confidò al vescovo di Bergamo Adriano Bernareggi di aver iniziato fin da piccolo le sue giornate con la preghiera del «Ti adoro, mio Dio» e di aver aggiunto negli anni successivi l’inciso «ti ringrazio di avermi fatto sacerdote e bergamasco», un riferimento non casuale. «In questo modo – ha detto monsignor Pelucchi – ha voluto accentuare la sua capacità di rispettare ogni cultura, quella più piccola e quella più vasta, perché se uno vuol bene al suo paese, alla sua diocesi, apprezza meglio la Chiesa universale». Un richiamo alle parole di Giovanni Paolo II che lo beatificò e un forte rimando alla formazione giovanile, all’educazione ricevuta dai genitori, alla devozione verso il suo parroco don Francesco Rebuzzini

l 3 settembre 2010 è stato ricordato aIRoma il decennale della beatificazione del Papa di Sotto il Monte: per lui fiori bianchi, come i gigli di Sant’Alessandro, patrono di Bergamo, come le margherite dei campi del suo paese natale. Non è un mistero che Roncalli fosse attaccato da un cordone ombelicale mai reciso con la sua terra. E questo suo legame intimo e indissolubile è stato il leit motiv delle parole pronunciate da monsignor Davide Pelucchi all’omelia, durante la Messa che ha presieduto in mattinata nella basilica, proprio sull’altare con le spoglie del Beato. Assieme al vicario generale di Bergamo c’erano anche monsignor Maurizio Malvestiti, sottosegretario della Congregazione per le Chiese orientali, don Davide Superchi, curato di Sotto il Monte, monsignor Tino Scotti che con monsignor Luigi Ginami è in servizio presso la Segreteria di Stato, altri sacerdoti bergamaschi pure in servizio nella capitale: don Paolo Rudelli, don Giulio Villa, don Daniele Bravi, don Sergio Bertocchi e don Rinaldo Donghi. Monsignor Malvestiti, prima dell’inizio della celebrazione, ha salutato i pellegrini giunti da Sotto il Monte e ha rivolto un invito a pregare per la canonizzazione di Giovanni XXIII. Monsignor Pelucchi

La celebrazione in ricordo della beatificazione di Papa Giovanni XXIII che si è tenuta nella basilica di San Pietro

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celebrazioni

morto il 25 settembre 1898 dal quale ereditò il libro dell’«Imitazione di Cristo», pagine che avrebbe riletto per tutta la vita. Per molti anni, il futuro Papa fu costretto a rimanere lontano dalla sua terra. A 40 anni partendo per Roma dopo essere stato nominato presidente di Propaganda Fide scrisse: «Io parto con Bergamo nel cuore». Da Papa testimoniò le sue origini in varie occasioni. Quando un migliaio di pellegrini guidati dal vescovo Giuseppe Piazzi si recò a Roma per l’incoronazione e Papa Giovanni quando seppe dell’intenzione della gente di donargli una tiara chiese che fossero inseriti sulla stessa alcuni gigli a ricordo di Sant’Alessandro patrono di Bergamo. Quella con i bergamaschi non è stata l’unica Messa celebrata in ricordo della beatificazione di Giovanni XXIII. «Meglio essere lì alle 7,30 – consigliava l’altro giorno monsignor Malvestiti – sennò qualche altro sacerdote occupa prima l’altare». E in effetti la lunga catena di Messe è proseguita per tutta la mattinata, quasi una «gara» fra religiosi a celebrare sull’altare del Papa. «Ora vi aspettiamo l’11 ottobre per la festa del Beato – si è congedato monsignor Malvestiti –, è una data storica che segna l’inizio del Concilio». Gli anniversari giovannei si susseguono e con cadenza quasi annuale invitano a tornare sulla tomba in San Pietro.

Un particolare dell’altare dedicato a Papa Roncalli

I romani lo sanno bene. I rivenditori di souvenir hanno rispolverato cartoline in bianco e nero con il ritratto di Papa Roncalli. Accanto alle cartoline a colori di Papa Wojtyla e Papa Ratzinger sembrano dire che sono passati parecchi decenni. Ma il tempo non è riuscito a sbiadire quell’immagine.

Sotto il Monte, una serata dedicata ad Angelo Roncalli della Propaganda della fede a Roma, casualmente ritrovate su una bancarella romana. Lettere che aprono un’inattesa «finestra» per illuminare ulteriormente il cammino umano e cristiano di colui che alcuni anni dopo sarebbe stato il protagonista del Concilio Vaticano II. Sempre nel ricordo del 3 settembre 2000 sono stati programmati al Palatenda di Sotto il Monte eventi musicali e culturali. La banda di Ponte San Pietro (Bergamo) diretta dai maestri Donato Semeraro e Pierangelo Gabbiadini ha eseguito un applaudito concerto, in particolare le opere «Alla luna» composta dal maestro Semeraro, dedicata al Beato Giovanni XXIII e «E’ la mano tua». I cori dell’Isola (che comprende un gruppo di Comuni bergamaschi) hanno eseguito un concerto diretto dal maestro Claudio Magni. Inoltre nei fine settimana, sino a metà ottobre, alla casa natale del Beato Giovanni XXIII è stato possibile visitare l’interessante mostra filatelica e di giornali d’epoca del filatelista Giulio Nervi dedicata in gran parte al papato di Giovanni XXIII.

Lo scorso 10 settembre, nella sala civica, l’Amministrazione comunale di Sotto il Monte, in collaborazione con la Comunità di San Leolino e con il patrocinio di Regione Lombardia e Provincia di Bergamo, ha dedicato una serata ad Angelo Roncalli in Oriente. La serata, promossa nel ricordo del decennale della beatificazione di Papa Roncalli, è iniziata con una esibizione: «Musiche di Giuseppe Liberto» eseguite dall’Accademia corale di Baccanello di Calusco d’Adda (Bergamo). C’è stato poi l’intervento di Cettina Militello, docente di teologia dogmatica su «Alle radici dell’ispirazione del Concilio Vaticano II», seguito dalla presentazione del volume di Crispino Valenziano «Angelo Roncalli, lettere dall’Oriente e altre inedite a Giovanni Dieci» (edizioni Feria Comunità di San Leolino). La serata ha voluto essere un incontro di riflessione sulle lettere scritte dal nunzio apostolico in Bulgaria, Turchia e Grecia monsignor Angelo Giuseppe Roncalli a un suo ex collaboratore nell’ufficio 7


A N N I V E R S A R I

Giovanni XXIII e il Concilio Una lezione di modernità Lettera aperta di monsignor Capovilla nella 48° ricorrenza del grande evento

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conta niente; è un fratello che parla a voi, un fratello diventato padre per volontà di Nostro Signore. Ma tutt’insieme, paternità e fraternità, è grazia di Dio. Siano sempre i nostri sentimenti quali adesso li esprimiamo dinanzi al cielo e al cospetto della terra: fede, speranza, carità, amore di Dio, amore dei fratelli; e poi, insieme, sorretti dalla pace del Signore, avanti nelle opere del bene». Si capì allora che nascondeva ai suoi figli la sofferenza fisica, solo preoccupato di spronarli ad «agire nella carità secondo verità» (Ef 4, 15). Fede, carità, speranza. San Paolo insegna che la realtà più grande di tutte è l’amore. Ma nel frastuono delle macchine e nella ridda di egoistici interessi c’è pericolo che fede e carità si spengano se a rischiarare il cammino non accendiamo la luce della speranza. Quella sera le fiaccole dei giovani romani, sollevate verso la finestra del vecchio Padre, commentarono simbolicamente la dottrina della salvezza e la strada da lui segnalata: «Attorno alla fede io vedo tutti i miei fedeli insieme inginocchiati nello stesso gesto, nella stessa voce, nella stessa preghiera. E attorno alla carità io vedo i miei poveri assisi in cerchio attorno a questo fuoco, mentre tendono le loro palme al calore del focolare. Ma la mia speranza è la foglia, e il fiore, e il frutto e il ramo. Essa è il germe e la gemma del fiore dell’eternità». (C. Péguy, I Misteri dei Santi Innocenti). Papa Giovanni ha esaltato questo fiore: che è vita e pregustamento dell’eterna beatitudine che Iddio riserva ai suoi servi fedeli. La speranza fu la forza dei patriarchi, dei giudici, dei profeti, dei re d’Israele, che nonostante spinte contrarie e situazioni paurose avanzarono intrepidi. Così Papa Giovanni. Allorquando nella cripta della basilica di San Marco a Venezia egli, ad anni 77, si era preparato il suo sepolcro, la voce misteriosa di Dio gli ingiunse di cambiare nuovamente rotta alla sua navigazione: «Parti dalla tua terra e dalla tua parentela, e dalla casa di

n occasione del 48° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II – 11 ottobre 1962 – e in coincidenza con la festa liturgica del Beato Giovanni XXIII, l’arcivescovo monsignor Loris Francesco Capovilla, già segretario del Pontefice bergamasco, ricorda il grande evento che rinnovò la Chiesa con una «lettera» inviata a religiosi, amici e conoscenti. Sempre l’11 ottobre scorso, festa del Beato, alle 20 nella chiesa parrocchiale di Sotto il Monte il vescovo di Bergamo monsignor Francesco Beschi ha celebrato la Messa. Di seguito pubblichiamo il testo della «lettera» di monsignor Loris Capovilla Tantum aurora est! «Siamo agli inizi». Risuona nei nostri cuori l’esortazione di Papa Giovanni, la sera dell’11 ottobre 1962, non nella maestà del rito pontificale in San Pietro, ma dalla finestra della sua casa: «Cari figlioli! Sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero: qui di fatto tutto il mondo è rappresentato. La mia persona

Piazza San Pietro la sera dell’11 ottobre 1962, quando Papa Giovanni pronunciò il famoso «Discorso della luna», la sera dell’inaugurazione del Concilio Vaticano II

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anniversari

tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Io farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome che diverrà una benedizione» (Gn12, 1-2). Ora che le spoglie mortali del Figlio della campagna bergamasca riposano accanto alla tomba del Pescatore di Galilea; ora che i luoghi legati al suo nome sono mèta di pellegrinaggio, tutto appare più chiaro. I primi passi verso la scuola elementare del paese nativo lo avvezzarono a camminare su strade sassose e disagevoli; la vita comunitaria di famiglia, in un contesto di povertà benedetta, obbedienza cordiale e rinuncia generosa, lo fecero maestro nell’annunciare al mondo, con naturalezza che non spegne il sorriso sulle labbra, il segreto del vero successo; il servizio della diocesi e del vescovo, del seminario e dell’Azione Cattolica, dei ragazzi d’Italia straziati dalla guerra; l’amicizia coi contadini, gli operai e gli emigranti abbandonati e misconosciuti allora più di oggi, lo rese magnifico nell’esercizio di virtù pastorali, che negli anni di pontificato dissiparono tenebre di incomprensioni e di paure. Umane imperfezioni Tutto appare ormai disvelato e chiaro. E comprendiamo come, a poco a poco, si fosse liberato da ogni residua scoria di umane imperfezioni, di nulla preoccupato, se non di imitare Gesù Cristo, mite e umile di cuore (Mt11, 29). La divina promessa in lui si è compiuta: «Renderò grande il tuo nome, che diverrà una benedizione». Il suo nome è pronunciato con riverenza in tutte le lingue; ed è caro a uomini di ogni paese, di ogni religione, persino e a volte ancor più a quelli che non credono, in Dio Padre e nel Figlio suo, redentore del mondo, e forse ne soffrono. La Parola biblica compendia la vita e le opere di Papa Giovanni, la sua morte e la sua sopravvivenza. La grande benedizione rianima ed allieta tutti: «Risollevatevi e alzate il capo perché la vostra liberazione è vicina» (Lc21, 28) e rende attenti agli insegnamenti di Pacem in terris e del Concilio. Il documento magisteriale (l’enciclica) e il momento di grazia (il Concilio) scoprono carenze, denunciano ritardi, soprattutto spronano ad assumente consapevolmente e pienamente le responsabilità individuali. Tono profetico La grande benedizione induce a farci esecutori del

programma che questo Pontefice ha annunciato con tono profetico. Ultima lezione è il suo testamento che Giovanni Paolo II, nel giorno della di lui beatificazione esortava a rimeditare: «Nell’ora dell’addio, o meglio dell’arrivederci, ancora richiamo a tutti ciò che più vale nella vita: Gesù Cristo benedetto, la santa Chiesa, il suo Vangelo e, nel Vangelo, soprattutto il Pater noster, e nello spirito e nel cuore di Gesù e del Vangelo, la verità e la bontà, la bontà mite e benigna, operosa e paziente, invitta e vittoriosa». Il Vangelo non inganna e non delude chi osa prendere alla lettera – così fece il santo Pontefice – il discorso della montagna, dalla pratica delle beatitudini alla preghiera che strappa miracoli, dalla carità ardimentosa, che non si arresta dinanzi ad alcun ostacolo, sino alla prudenza più avveduta che costruisce sulla roccia non tanto e non solo per se stessi e per oggi, ma per i figli: cosicché il mondo di domani, lievitato dalla grazia e fecondato dalla sofferenza, sia più giusto, più libero, più umano. Loris Francesco Capovilla Arcivescovo di Mesembria

Una nota autografa di Giovanni XXIII sul Concilio Vaticano II

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CELEBRAZIONI

Per il cardinale Kasper era il Papa dell’ottimismo Nell’omelia in S. Pietro ha ricordato la sua beatificazione avvenuta 10 anni fa

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Di questo ottimismo sereno abbiamo bisogno oggi di nuovo in una situazione dove ci sono ancora molti profeti di sventura. La loro paura stringe il cuore e lo indurisce. E come sempre: la paura è un cattivo consigliere. Il Beato Papa Giovanni, ci dia fede, ci dia coraggio, ci dia serenità di cuore». E’ un passaggio tra i più efficaci dell’omelia pronunciata dal cardinale Walter Kasper nella Santa Messa presieduta in San Pietro all’altare dove riposano le spoglie mortali del Pontefice bergamasco. Così inizia l’articolo di Maurizio Malvestiti pubblicato su «L’Eco di Bergamo» lo scorso 12 ottobre, che così prosegue. E’ stato toccante avvertire la convinta ammirazione per «l’umile Papa Giovanni» – come lui stesso si definiva – in uno dei testimoni più significativi della odierna riflessione teologica, appunto il cardinale Kasper, che ha acquisito una esperienza ecumenica di assoluto rilievo avendo guidato per oltre un decennio il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Giovanni Paolo II, dieci

anni orsono, all’atto della beatificazione ne abbinò la memoria liturgica all’anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. Volle riconoscere la più alta intuizione «pastorale» di Papa Roncalli, ossia la convocazione di tutta la Chiesa in una «nuova Pentecoste», e chiedere al nuovo Beato di accompagnare la comunità ecclesiale nell’assumere un volto conciliare. Due discorsi rimasti indelebili L’11 ottobre 1962 Giovanni XXIII pronunciò due discorsi rimasti indelebili nella memoria della Chiesa e del mondo. Al mattino nella Basilica Vaticana prese le distanze dai «profeti di sventura, che annunciano eventi sempre infausti», confermando la sua fiducia nella «Provvidenza che ci sta conducendo ad un nuovo ordine di rapporti umani». Auspicò «un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze» e assicurò che la Chiesa avrebbe continuato a combattere gli errori, preferendo usare tuttavia «la medicina della misericordia». La sera nel «discorso della luna» diede prova di essere colmo di quella misericordia che aveva attinto dal cuore del Buon Pastore: si mostrò fratello e padre, offrì «la carezza ai bambini» ed accennò alle «lacrime» che avrebbe voluto asciugare. I bergamaschi in San Pietro Questi pensieri hanno accompagnato, lo scorso 11 ottobre, i partecipanti alla celebrazione in San Pietro grazie alle parole del cardinal Kasper, segnate dal temperato accento teutonico, che non gli ha impedito di attestare con affetto devoto il cuore ecumenico di Papa Giovanni. Con lui hanno concelebrato alcuni partecipanti al Sinodo per il Medio Oriente: il patriarca Siro di Antiochia, proveniente dal Libano, l’arcivescovo

La celebrazione presieduta dal cardinale Kasper all’altare di Giovanni XXIII

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celebrazioni

maggiore siro-malankarese dell’India, gli arcivescovi Vasil, segretario della Congregazione per le Chiese Orientali, e Farhat, già nunzio in Turchia e perciò successore di Papa Giovanni, i vescovi Salachas di Grecia, Bercea di Romania e Bosco-Siromalabarese dell’India. C’era poi il Custode di Terra Santa, padre Pizzaballa, e un buon gruppo di sacerdoti bergamaschi impegnati nella Santa Sede e nelle parrocchie romane, con altri sacerdoti anche di rito orientale. Erano presenti le religiose e i fedeli bergamaschi abitanti a Roma e di passaggio, accolti da monsignor Tino Scotti. Oriente ed Occidente si sono ritrovati nella lode al Signore per il dono di Papa Giovanni, che ci ha avvicinati al cuore del Padre e ha risvegliato nell’umanità intera la nostalgia dell’unica famiglia dei figli di Dio. Idealmente uniti, hanno pregato per Papa Benedetto XVI e i Padri Sinodali, perché docili allo Spirito Santo possano indicare alle Chiese Orientali e Latine del Medio Oriente sentieri nuovi che le mantengano saldamente sulla via che è Cristo. Ed esse diffondano nel mondo il lievito evangelico dell’unità e della pace. Per tutta la giornata sono continuate numerose le visite all’altare di Papa Giovanni. Il «Papa buono» non è stato dimenticato. Permane il fascino di una bontà che scaturisce dalla fede, dal coraggio e dalla serenità di cuore. E porta con sé l’ottimismo che impedisce alla paura di indurire i cuori.

Il cardinale Kasper con i patriarchi, gli arcivescovi e i sacerdoti riuniti nel ricordo del Papa buono

contagioso ed ha messo in movimento il Concilio e stampato le assise conciliari. Ma ci domandiamo: che ottimismo era il suo? Non un ottimismo diciamo naturale e neppure facile, ma un ottimismo di fede, di profonda fede vissuta. Essa era la sorgente della sua serenità e anche del suo buon umore. La fede gli dava il coraggio che era necessario per convocare un Concilio con tutte le sue incertezze e imprevedibilità. Era un uomo di preghiera, che si sapeva nelle mani di Dio e della sua provvidenza. Sapeva, dunque, che Cristo morto e risorto è con la sua Chiesa fino alla fine del mondo e le forze della morte non la conquisteranno. Anche da Papa si riteneva solo come un piccolo servitore di ciò che Dio vuole con la sua Chiesa in questa situazione del mondo e della Chiesa. Di questo ottimismo sereno abbiamo bisogno oggi di nuovo in una situazione dove ci sono ancora molti profeti di sventura. La loro paura stringe il cuore e lo indurisce. E come sempre: la paura è un cattivo consigliere. Il Beato Papa Giovanni, ci dia fede, ci dia coraggio, ci dia serenità di cuore. Il suo ottimismo di fede era contagioso. Però ancora più contagioso era il suo carattere pastorale. Nel suo ingresso a Venezia in San Marco disse che la diplomazia ecclesiastica deve essere permeata dallo spirito pastorale, diversamente conta nulla. Anche qui, non era un atteggiamento pastorale facile, non si trattava solo di bonarietà e filantropia. Certo, aveva un cuore grande e buono, ma il suo carattere pastorale era uno spirito sul modello del buon pastore che dà la sua vita per le sue pecorelle; era un’ansia buona per salvare le anime e per guidarle

L’omelia del cardinale Kasper E’ molto significativo che ci raduniamo oggi nell’anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II alla tomba del beato Papa Giovanni XXIII, del «Papa buono», come dicono i romani e non solo i romani. Lui ha voluto il Concilio; lui lo ha aperto 48 anni fa, appena mezzo secolo è passato. Nondimeno mi ricordo bene di questo giorno importante per la storia recente della nostra Chiesa. Ero un giovane sacerdote e stavo preparando la mia tesi di abilitazione. Il suo discorso, o meglio la sua predica d’apertura, ci ha tanto impressionati e commossi. Papa Giovanni parlò dei profeti di sventura, che pensano che tutto vada sempre peggio e che la Chiesa stia al margine della rovina. Il suo ottimismo era 11


clebrazioni

a Dio e alla vita eterna. Lui era un santo pastore. E il suo mezzo e metodo pastorale era innanzitutto la preghiera per raccomandare i bisogni dei fedeli e di tutta la Chiesa al Signore e alla Madonna. Ecco l’insegnamento dell’anno sacerdotale, che abbiamo appena concluso: anche e soprattutto oggi abbiamo bisogno di santi pastori. Dovremmo essere noi santi pastori sul suo esempio. Tutte le riforme del Concilio Vaticano II da lui avviate, sono importanti e ne siamo grati, ma valgono poco o nulla se non respirano lo spirito di santità e se non aiutano a santificare noi stessi e i nostri fedeli. Speriamo e preghiamo che anche il Sinodo per il Medio Oriente, aperto oggi per una zona del mondo tanto cara al beato Papa Giovanni, aiuti la Chiesa in quelle regioni tormentate e contribuisca a santificare e così a pacificare i cuori per il bene di tutta la Chiesa e della pace nel mondo. Beato Papa Giovanni prega per noi. Amen.

Un’intensa espressione di Papa Giovanni ripreso in primo piano

Corna Imagna, Papa Giovanni ricordato nella sua Roncaglia Numerosi cittadini della Valle Imagna, in provincia di Bergamo, e villeggianti hanno partecipato al raduno che si è svolto in agosto nella contrada Roncaglia del Comune di Corna Imagna in memoria del Beato Papa Giovanni XXIII. Alla Roncaglia hanno abitato le famiglie Roncalli, gli avi di Papa Giovanni XXIII, prima di emigrare in pianura a Sotto il Monte. Il parroco don Roberto Favero ha concelebrato la Messa con don Doriano Locatelli, nativo di Corna Imagna, che attualmente studia a Roma. Don Locatelli al termine della celebrazione ha letto il famoso discorso «alla Luna» pronunciato dal Papa in piazza San Pietro l’11 ottobre 1962 al termine della giornata di apertura del Concilio Vaticano II. Stefano Frosio, cultore della storia del Papa bergamasco, ha sottolineato che da numerosi anni alla Roncaglia si ricorda uno dei giorni più importanti del futuro Pontefice Roncalli: il 10 agosto 1904, quando venne ordinato sacerdote. Frosio, in seguito, ha consegnato a don Favero, che presto lascerà le parrocchie di Corna e Locatello, la pergamena con l’albero genealogico della

famiglia «Roncalli Frosio» e la storia del casato con aneddoti su Papa Roncalli. Le persone intervenute alla giornata di festa hanno poi visitato la mostra curata da Frosio con decine di fotografie e giornali d’epoca su Papa Giovanni XXIII. La giornata si è conclusa, s e m p re n e l l a contrada Roncaglia, con l’esibizione serale di un gruppo jazz nell’ambito La Messa alla contrada Roncaglia della rassegna musicale «Per antiche contrade, suoni e voci della Valle Imagna, musica classica e jazz nei suggestivi angoli dei paesi Vallari». 12


I N C O N T R I

«Angelo Roncalli ha lasciato segni indelebili in Turchia» Da Istanbul la visita a mons. Capovilla del portavoce della Conferenza episcopale

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E’ stato un grande piacere incontrare anche solo per poco tempo monsignor Loris Capovilla», confida il direttore della Caritas turca e portavoce della Conferenza episcopale della Turchia Rinaldo Marmara che, accompagnato da don Claudio Visconti, direttore della Caritas Bergamasca, ha incontrato nell’estate scorsa il segretario di Papa Roncalli nel suo studio a Ca’ Maitino, a Sotto il Monte. Così inizia l’articolo di Remo Traina pubblicato su «L’Eco di Bergamo» qualche mese fa. «L’arcivescovo – continua Marmara – è un uomo di grande cultura che ha avuto la grande opportunità di vivere per diversi anni vicino al Papa Buono. Angelo Roncalli ha lasciato segni indelebili a Istanbul e in tutta la Turchia, dove è stato nunzio apostolico per dieci anni, dal 1934 al 1944. Già nel 2.000, in occasione della sua beatificazione ho pubblicato, in quattro lingue, il volume “Giovanni XXIII amico dei turchi”, finanziato tra l’altro dal ministero della Cultura della Repubblica turca. Sempre quell’anno il Governo ha dedicato la via dove è situata la nunziatura a Papa Roncalli. Da alcuni mesi, nel 50° anniversario delle relazioni diplomatiche tra la Santa sede e Turchia, iniziate nel 1960 proprio da Papa Giovanni XXIII, sono impegnato a scrivere un altro libro per raccontare i dieci anni di monsignor Roncalli trascorsi a Istanbul come nunzio apostolico e le relazioni diplomatiche intervenute in questi 50 anni con lo Stato turco». «Con l’aiuto del mio collega don Claudio Visconti – prosegue – mi sono documentato nella biblioteca del seminario e dalla voce del suo segretario monsignor Capovilla ho potuto approfondire momenti importanti sotto l’aspetto religioso e civile di monsignor Roncalli. Nel nostro incontro Ca-

povilla ha voluto evidenziare che Papa Giovanni è stato un uomo di pace, amore e con una grande apertura al dialogo con tutte le culture e le religioni. Ha ricordato che in quei dieci anni monsignor Roncalli era considerato un turista e ogni sei mesi doveva rinnovare il visto di soggiorno come era previsto dalle leggi di allora in Turchia. I suoi rapporti erano ottimi con tutti: con il governo turco, con i rappresentanti dei Paesi a Istanbul e con le varie confessioni, compresi gli ortodossi e le numerose comunità che si erano stabilite in Turchia. Erano momenti difficili ma il nunzio apostolico, con la sua semplicità e la sua cultura seppe guadagnarsi la stima dei politici turchi e degli ambasciatori, compreso quello tedesco che con la sua collaborazione riuscì a mettere in salvo centinaia di bambini ebrei». Al termine del colloquio il portavoce della Conferenza episcopale ha voluto ricordare la visita con una fotografia davanti al busto in bronzo del Papa.

Da sinistra don Claudio Visconti, monsignor Capovilla e Rinaldo Marmara

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P R O G E T T I

Sentiero del Papa, al via gli interventi di ripristino Sarà pronto nella primavera 2011. Lo percorreva Angelo Roncalli undicenne

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ntro la primavera del prossimo anno si potrà camminare tra i campi sulle orme di Papa Giovanni. In senso letterale, visto che sarà pronto il sentiero che il futuro Pontefice, appena undicenne, percorreva per raggiungere il collegio di Celana dalla sua casa di Sotto il Monte. La notizia è stata data di recente dal quotidiano «L’Eco di Bergamo» attraverso un articolo di Angelo Monzani. I lavori per sistemare il «Sentiero di Papa Giovanni XXIII» stanno infatti iniziando e saranno completati, rendendo percorribile il tratto, entro la primavera 2011. E’ quanto emerso da un incontro tenuto

a settembre nella sala civica di Sotto il Monte, organizzato dall’associazione Monvico e da Promoisola che stanno promuovendo il progetto di riattivare il sentiero che compiva l’undicenne Angelo Roncalli per recarsi a scuola al collegio di Celana. L’idea di questa iniziativa è di Pierino Angeloni, fondatore di Monvico. «Nella mattinata di lunedì 6 settembre – spiega Pierino Angeloni – abbiamo fatto un sopralluogo a piedi lungo il sentiero che parte dalla casa natale di Papa Giovanni XXIII e continua toccando i Molini a Carvico, Valle di Villa d’Adda, Faida e Cà De Rizzi a Pontida, quindi, attraversata la strada pro-

La casa natale di Papa Giovanni a Sotto il Monte

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progetti

vinciale, risale verso la località Ombria a Celana, Caprino Bergamasco, Sant’Antonio e San Gregorio di Cisano Bergamasco. Un sentiero di una quindicina di chilometri, con un percorso a tratti pianeggiante e a tratti in salita, e con tre agriturismi che potranno essere un buon punto d’appoggio per chi lo percorrerà. Il primo intervento sarà bypassare la zona di Faida con un nuovo sentiero di circa duecento metri, dopo la chiusura di quello precedente per la realizzazione di un nuovo insediamento che un operatore privato sta realizzando. L’altro tratto da sistemare è tra Celana e Sant’Antonio, e si trova nel bosco: risulta ostruito in più punti da frane che sono cadute a causa delle piogge. Per ultimo, dobbiamo collocare un’adeguata segnaletica, poiché oggi non esiste alcun cartello che indichi questo sentiero come quello utilizzato da Papa Giovanni XXIII». All’incontro erano presenti responsabili e sindaci dei paesi interessati da questo percorso: Sotto il Monte, Carvico, Villa d’Adda, Pontida, Caprino Bergamasco e Cisano. Presente anche il gruppo Ana Protezione civile di Bergamo che curerà i lavori di sistemazione. Sarà possibile l’uso del «sentiero papale» entro l’inizio della primavera 2011. Pierino Angeloni aveva maturato già qualche anno fa il proposito di ripristinare questo sentiero per ricordare la figura di Papa Roncalli bambino, quando

Il ballatoio della casa natale di Roncalli

partiva il lunedì verso Celana per studiare e, per non ritornare a casa ogni giorno, recarsi dai parenti a San Gregorio, per poi rientrare nel fine settimana. I Comuni di Sotto il Monte e di Carvico hanno già posato alcune pietre con lo stemma di Papa Roncalli lungo il percorso che da Sotto il Monte porta a Celana.

Santa Cerioli diventa patrona dell’ospedale Bolognini Con commozione e un pizzico di legittimo orgoglio Amedeo Amadeo, direttore generale dell’Azienda ospedaliera Bolognini di Seriate (Bergamo), ha annunciato pubblicamente lo scorso 24 settembre di aver ricevuto il decreto con cui la diocesi di Bergamo «concede che l’Azienda ospedaliera Bolognini di Seriate possa annoverare come Patrona, accanto al SS. Redentore, la Santa Paola Elisabetta Cerioli». Una concessione giunta in tempi rapidissimi, considerato che la richiesta inoltrata da Amadeo porta la data del 6 luglio: appena due mesi – è datata, infatti, 8 settembre – ed ecco la conferma dell’accoglimento dell’istanza da parte dell’ordi-

nario della diocesi. Nella conferenza stampa ha specificato Amadeo: «Vogliamo valorizzare le virtù di una persona che ha vissuto in maniera concreta la realtà di Seriate del suo tempo, si è dedicata alla cura e istruzione dei ragazzi, ma in diversi episodi ha mostrato attenzioni particolari ai malati». Questa sensibilità è testimoniata negli atti processuali della santificazione di Paola Elisabetta Cerioli avvenuta nel 2004 con Papa Giovanni Paolo II, e nella bibliografia esistente. «Santa Cerioli compatrona dell’ospedale – ha concluso Amadeo – corre sulla linea della ricerca dell’umanità nella sanità. Vogliamo professionisti di qualità ma anche di grande umanità, come Santa Cerioli».

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PUBBLICAZIONI

Le «Lettere dall’Oriente» scritte dal futuro Pontefice Il libro, ricco di approfondimenti, fa seguito alla prima edizione edita nel 1968

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dieci anni dalla beatificazione di Papa Giovanni XXIII l’Amministrazione comunale di Sotto il Monte ha voluto ricordare questo avvenimento attraverso la presentazione del volume di Crispino Valenziano Angelo Roncalli. Lettere dall’Oriente e altre inedite a Giovanni Dieci. L’evento è stato illustrato nell’articolo di Monica Gherardi pubblicato su «L’Eco di Bergamo» lo scorso 1° ottobre. Un libro – si legge nel servizio – che ha visto la sua prima edizione nel 1968 e che ora, edito da Feeria-Comunità di San

Leolino, si presenta in una veste più completa, arricchita da testimonianze e approfondimenti. L’autore è giunto per la prima volta nella città natale di Roncalli, esprimendo la sua particolare commozione nel sentirsi così vicino alle radici di un Pontefice che ha segnato la storia della Chiesa. Monsignor Valenziano ha raccolto nel libro le lettere che Angelo Roncalli scrisse fra il maggio del 1925 e l’aprile 1955 a don Giovanni Dieci, un sacerdote che, in quel tempo sofferente nello spirito, chiedeva a Roncalli parole di conforto e di aiuto. Da Sofia, da Istanbul, da Rapallo, da Roma, da Sotto il Monte e da Venezia partono le lettere che il futuro Papa indirizza all’amico. Una vera e propria testimonianza scritta di un accompagnamento spirituale intriso di umiltà e di pazienza, di ascolto e di compartecipazione. A sviluppare una riflessione sul significato più profondo di queste lettere è stata Cettina Militello, docente di teologia dogmatica, anche lei giunta a Sotto il Monte per la presentazione del libro. «Voglio manifestare il mio sentimento di gratitudine verso Papa Giovanni – ha detto, salutando i presenti – perché, come donna, non avrei mai potuto studiare, insegnare o redigere un testo di ecclesiologia se non ci fossero stati lui e il Concilio Vaticano II». Nel libro di Valenziano sono raccolte lettere di carattere privato che, come ha spiegato Militello, lasciano già emergere quella profezia ecclesiale che ha portato poi Roncalli ad affrontare la questione conciliare. «Ciò che emerge nelle sue parole è l’infinita pazienza, che toglieva tempo anche alle sue occupazioni. Una pazienza attiva che esortava ad operare, a resistere». E’ la pazienza che starà alla

Angelo Roncalli all’epoca in cui era delegato apostolico a Istanbul

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pubblicazioni

radice del Concilio, pur nel suo desiderio quasi ansioso di giungere ad una riforma ecclesiale, nella consapevolezza che solo nello Spirito può avvenire una nuova stagione della Chiesa. «Roncalli, ancora prima di salire al soglio pontificio, – ha continuato Militello – avvertiva la necessità di una vicinanza spirituale e concreta della Chiesa alla gente, quella comune, quella che, come lui aveva sperimentato, parlava lingue diverse. Quella pazienza e quella vicinanza, che sapeva esercitare anche nei rapporti epistolari privati, è stata il fulcro della sua profezia, della sua visione di una Chiesa viva che cresce sotto il soffio dello Spirito». «Il valore di questa pubblicazione – ha spiegato don Alessandro Andreini della Comunità San Leolino – sta nella possibilità di andare alle radici di tante sue ispirazioni. Scopriamo così che negli anni in Bulgaria e in Turchia, che sembravano vederlo ai margini della vita della Chiesa di quel tempo, già viveva la scuola dell’alterità, nella vicinanza con realtà di fede diverse. Un’esperienza che avrebbe dato il frutto del Concilio». L’autore ha rievocato il modo fortuito in cui è giunto in possesso delle lettere nel 1968. Documenti che Valenziano trovò ripiegati fra i lembi incollati di una cartelletta acquistata su un mercatino di Porta Portese per 500 lire. Nel volume, oltre all’epistolario, sono raccolte le pagine

Monsignor Angelo Roncalli patriarca di Venezia

del diario di monsignor Dieci dal novembre del 1935 al gennaio 1936, oltre all’omelia di Natale pronunciata a Sofia nel 1934, al saluto alla comunità bulgara nel 1935 e all’omelia di Pentecoste a Istanbul nel 1944.

Compie un secolo la santella che sorge a Foppi «Dove sorge una santella dedicata alla Vergine Maria, lì non solo è luogo di devozione e di preghiera, ma anche di rispetto e amore per l’uomo e la natura». Così don Lorenzo Cortinovis, parroco di Songavazzo (Bergamo), ha voluto evidenziare il valore e il significato della cappelletta votiva che da cent’anni vigila sugli escursionisti in località Foppi a Songavazzo, ai lati di un fontanella naturale e all’incrocio di un sentiero boschivo con un torrente affluente del Valleggia. Questa santella raffigurante la Madonna del Monte Carmelo fu edificata infatti nel 1910 e poi più volte sottoposta a restauri

ad opera della famiglia di Zamboni Giovanni e Maria. A loro è andato il ricordo del parroco di Songavazzo durante l’omelia, e al figlio Rocco la locale associazione volontari ha donato in segno di ringraziamento una medaglia messa a disposizione per l’occasione dal Consiglio regionale lombardo. Una santella, questa, che assume particolare valore anche perchè sorge nel luogo dove Papa Ratti (il Papa alpinista di Desio passato alla storia come Papa Pio XI e che tanto amò le montagne e le scalate) si fermò a dissetarsi e a riposare durante le sue escursioni ai piedi della Presolana ad inizio secolo.

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PERSONAGGI

Addio a fra’ Mario Merelli sacrista di Giovanni Paolo II Per diciotto anni ha preparato i paramenti e le vesti di Papa Karol Wojtyla

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tre mandati consecutivi, è stato il sacrista di Papa Giovanni Paolo II, titolare della sagrestia pontificia del Vaticano. Fra’ Mario Merelli, originario di Orezzo, frazione di Gazzaniga (in provincia di Bergamo), fratello laico appartenente all’ordine degli Agostiniani, è morto dopo una lunga malattia nella mattinata dello scorso 23 settembre all’Hospice di Vertova (Bergamo) dove era ricoverato da alcuni giorni. La scomparsa del noto personaggio, che aveva 67 anni, è stata ricordata attra-

verso un servizio a firma di Franco Irranca pubblicato su «L’Eco di Bergamo» sabato 25 settembre. Questo il seguito dell’articolo. I funerali si svolgeranno oggi (sabato 25 settembre) alle 16,30 partendo dall’abitazione di via Sottochiesa 9. Verrà sepolto nella cappella del cimitero di Orezzo dove è nato e ha vissuto. Fra’ Mario Merelli aveva risposto alla vocazione all’età di 30 anni, dopo una giovinezza passata nella sua famiglia di contadini e alcuni anni trascorsi come tessitore al cotonificio

Suor Enrica Rottigni, 101 anni fra i bambini Lo scorso anno ha scritto con calligrafia sicura un ringraziamento per i festeggiamenti a lei dedicati dalla comunità di Gandino, cui si è aggiunta un’autobiografia in cui suor Enrica ha ricordato gli anni della vocazione e il servizio prestato ai fratelli nel segno della disponibilità e della preghiera. Risiede da alcuni anni nella casa madre di Gandino.

«Il Signore ricompensi con tante benedizioni quanti mi sono stati vicini in questa lunga vita». C’è tutta la semplicità di una vita di preghiera nelle parole di suor Enrica Rottigni di Gandino (Bergamo), che lo scorso 9 settembre ha tagliato il traguardo dei 101 anni. Suor Enrica è la decana delle suore Orsoline di Maria Vergine Immacolata, che a Gandino hanno la casa madre. L’Istituto fu fondato nel 1818 da don Francesco Della Madonna, allora parroco di Gandino, ha la casa generalizia in via Masone a Bergamo e opera in Brasile, Argentina, Polonia, Kenya, Eritrea ed Etiopia. Suor Enrica entrò in convento nel 1927, «il nove del nove» come ama ripetere per sottolineare anche la coincidenza con la sua data di nascita, che è appunto il «nove del nove del nove». Nel 1937 emise la professione perpetua. La sua vocazione, in tanti anni, l’ha portata in diverse parrocchie come insegnante nella scuola materna, catechista e animatrice della liturgia, quando accompagnava con il canto e la musica le celebrazioni. In alcune comunità ha avuto anche l’incarico di Superiora, mostrando una generosa dedizione verso tutti. Pur con qualche difficoltà di movimento, è ancora dotata di limpida memoria.

Suor Enrica Rottigni

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personaggi

Bellora di Cene (Bergamo). «A convincerlo ad abbracciare la vita religiosa – racconta la sorella Gesuina, la prima di quattro fratelli – era stato un frate agostiniano venuto a predicare il Triduo dei morti a Orezzo». Dopo il noviziato a Genova, nella chiesa della Consolazione degli Agostiniani, prese i primi voti nel 1973 e quelli perpetui nel 1976. Poi, nel 1983, su designazione del superiore degli Agostiniani, giunse il prestigioso incarico a Roma, in Vaticano dove fu nominato addetto al culto, cerimoniere in San Pietro, in una parola sacrista del Papa. Era lui che assisteva ai riti pontificali, preparava gli arredi e i paramenti, curava la predisposizione degli altari per la celebrazione delle Messe. Era lui che provvedeva a preparare le valigie del Pontefice in occasione dei viaggi e delle trasferte italiane ed estere, selezionando gli indumenti sacri e quelli per gli incontri diplomatici. Un servizio che svolse anche nella parrocchia di Sant’Anna, a Roma, dove celebravano, fino a dieci Messe giornaliere, gli alti prelati ospiti in Vaticano. Un’attività che svolgeva con cura e precisione e che lo portava ad avere contatti frequenti e una grande familiarità con Papa Giovanni Paolo II che non mancò di dimostrargli il suo apprezzamento per la fedeltà e la costanza esercitate nel corso degli anni. Fra’ Mario Morelli era, tra l’altro, custode del tesoro vaticano che curava con grande passione e responsabilità. A lui erano affidate le chiavi della Cappella Sistina e di altre stanze riservate del Vaticano. «La sua vita – racconta ancora la sorella – si è conclusa dopo sei anni di sofferenze sopportate in silenzio, peregrinando tra ospedali e case di riposo. Ora riposerà nel suo paese dove era solito tornare ogni anno per trascorrere in famiglia tre settimane di vacanze». Ai suoi funerali interverranno i padri dell’istituto genovese e i superiori agostiniani di Roma. Fra’ Morelli ha avuto dunque un rapporto molto intenso con Papa Giovanni Paolo II, al secolo Karol Wojtyla, nato il 18 maggio 1920 e scomparso il 2 aprile 2005. E’ bene ricordare che è stato il 264º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica nonché sovrano dello Stato della Città del Vaticano. La sua elezione risale al 16 ottobre 1978. A seguito del

Papa Wojtyla ripreso mentre si intrattiene con fra’ Mario Merelli

processo di canonizzazione, ancora in corso, gli è stato conferito il titolo di servo di Dio il 2 aprile 2007 ed è stato proclamato venerabile il 19 dicembre del 2009. Primo Papa non italiano dopo 455 anni, ovvero dai tempi dell’olandese Adriano VI (1522 - 1523), è stato inoltre il primo Pontefice polacco della storia.

Un gesto affettuoso di Giovanni Paolo II rivolto al suo sacrista

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PERSONAGGI

Madre Teresa ricordata a cento anni dalla nascita La beata delle Missionarie della carità si incontrò con Papa Giovanni nel 1960

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nendosi alle celebrazioni per il centenario della nascita di Madre Teresa di Calcutta, avvenuta il 26 agosto 1910 da una famiglia albanese a Skopje, in Macedonia, Benedetto XVI l’ha ricordata come «un modello esemplare di virtù cristiana» e un «dono inestimabile» di cui «la Chiesa e il mondo» devono rendere grazie a Dio. Sempre riferendosi all’Angelo dei poveri, questo il messaggio inviato dal Papa a suor Mary Prema, superiora generale delle Missionarie della Carità, l’ordine che la Beata fondò nel 1950: «Confido nel fatto che quest’anno sarà per la Chiesa e per il mondo un’occasione di gratitudine fervente verso Dio per il dono

inestimabile che Madre Teresa è stata nel corso della sua vita e che continua a essere attraverso l’opera amorevole e instancabile che svolgete voi, sue figlie spirituali». Il Pontefice ha auspicato che l’amore «esemplificato eccellentemente» da Madre Teresa «continui a ispirarvi a donarvi generosamente a Gesù, a quanti vedete e servite, ovvero ai poveri, ai malati, alle persone sole e abbandonate». Il Pontefice ha poi incoraggiato le religiose «ad attingere con costanza dalla spiritualità e dall’esempio di Madre Teresa». Il messaggio è stato letto lo scorso 26 agosto durante la Messa celebrata dall’arcivescovo di Calcutta, Lucas Sirkar, nella Casa madre delle Missionarie della Carità, una delle celebrazioni previste in vari Paesi del mondo per i cento anni della nascita di Madre Teresa, premio Nobel per la Pace nel 1979, beatificata da Giovanni Paolo II il 19 ottobre del 2003. Karol Wojtyla fu particolarmente impressionato da questa piccola suora. Quando arrivava a Roma saliva al Palazzo apostolico senza nemmeno farsi annunciare. Ma anche Paolo VI l’ammirava, così come Giovanni XXIII che conobbe nel 1960, quando Madre Teresa aveva cinquant’anni. Da 12 aveva lasciato l’insegnamento, si era messa addosso il sari bianco e aveva incominciato a inginocchiarsi accanto ai poveri. Per la prima volta aveva lasciato l’India per andare in America, invitata dal Congresso delle donne cattoliche. Al ritorno si fermò a Roma e salì da Angelo Roncalli per chiedere che la congregazione che aveva fondato, «Le Missionarie della carità», potesse ricevere il titolo di diritto pontificio. Il riconoscimento arrivò cinque anni dopo e permise l’apertura delle case della carità anche fuori dall’India. Sempre sulla figura di questa suora merita di essere segnalata una recente pubblicazione del sacerdote bergamasco Valentino Salvoldi. Già docente di Filosofia e Teologia morale all’Accademia Alfonsiana e collaboratore del celebre teologo

Madre Teresa, venuta alla luce il 26 agosto 1910, è stata ricordata nel centenario della nascita

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personaggi

Bernhard Häring (1912-1998), l’autore in questione è incaricato dalla Santa Sede per la formazione del clero nelle giovani chiese del Sud del mondo. Il suo volume Al servizio della vita – Sulle orme di Madre Teresa si ispira alla convinzione che «la parte più bella e incisiva della morale non consista tanto nel dare regole, bensì nel creare una sensibilità, un gusto per il bello e per il buono, una percezione che il bene si fa spontaneamente». Come spiega nella prefazione monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni, Narni ed Amelia, don Salvoldi si prefigge di ricondurre i principi della bioetica alla testimonianza resa in parole ed opere da Madre Teresa di Calcutta. Le questioni morali riguardanti la sessualità, il concepimento, la nascita e la morte sono presentate in forma di «teologia narrativa», traendo spunto dalla vita, dai pensieri e dalle azioni della fondatrice delle Missionarie della carità. Proprio il primato accordato alla carità costituisce il tratto più peculiare della morale cristiana e la salvaguarda dal pericolo di cristallizzarsi in un’astratta osservanza di norme e tabù, slegati dalla vita. «Compito della teologia – afferma don Salvoldi – è cercare di leggere il disegno di Dio nella storia di ogni giorno. Mentre afferma che il credente pone come assoluto il suo rapporto con Dio, subito aggiunge che c’è un altro assoluto: il rapporto con il prossimo». Luna Gualdi

La beata delle Missionarie della carità conobbe Papa Giovanni nel 1960

Dedicato ad Amadei il centro per disabili di El Alto Sarà dedicato a monsignor Roberto Amadei il centro di riabilitazione e di formazione per ragazzi disabili di El Alto in Bolivia. Accoglie da oltre 20 anni i ragazzi con handicap fisico o mentale che nel Paese sudamericano non trovano ancora adeguato inserimento nei percorsi scolastici e attenzione mirata nella cura e assistenza medica. Il centro, costruito nel 1987 dalla diocesi boliviana di El Alto (la più alta nel mondo) grazie al sostegno della diocesi di Bergamo, ha preso vita, stanza dopo stanza, laboratorio dopo laboratorio, grazie all’impegno di alcuni missionari. Ora si prepara ad ospitare il neovescovo ausiliare di El Alto, monsignor Eugenio Scarpellini, che ha deciso di vivere insieme ai 265 bambini e ragazzi che ospita o assiste la struttura. Nel dipartimento di fisioterapia è stata apposta una targa che ricorda il vescovo di Bergamo scomparso a fine dicembre 2009: è stata scoperta nell’ultima visita dell’attuale vescovo Francesco

Beschi in Bolivia proprio in occasione dell’ordinazione episcopale di monsignor Scarpellini avvenuta a settembre. «Il centro – spiega monsignor Scarpellini – è attrezzato per le lezioni scolastiche, ma anche con laboratori di manualità, con consultori e assistenza medica: si sviluppa su tre piani ed è molto rinomato nel Paese». Significativa anche la scelta del neovescovo di andare a vivere I piccoli ospiti del centro di El Alto proprio lì.

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PERSONAGGI

Preti e grande schermo: un’attrazione senza fine Mons. Viganò: «Il cinema ha proposto figure incisive di sacerdoti impegnati»

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tupisce quanto siano numerosi i «preti di celluloide» nel cinema mondiale, presentati sotto le più diverse sfaccettature, dal comico al drammatico, dal macchiettistico all’agiografico, dal realistico al menzognero, all’insegna di una profonda ammirazione o di un’aspra condanna. Così inizia l’ampio servizio a firma di Maria Pia Forte che il quotidiano «L’Eco di Bergamo» ha pubblicato lo scorso 30 agosto e che riproponiamo ai nostri lettori. Da Spencer Tracy nei panni del realmente esistito padre Flanagan in due film del 1938 e 1941 a Gregory Peck missionario in Cina nel film «Le chiavi del Paradiso», tratto nel 1944 dall’omonimo romanzo di

Cronin; dal Don Bosco che Rufillo Uguccioni diresse nel 1932 ad altre pellicole su educatori celebri, tra cui «Don Lorenzo Milani - Un prete scomodo» di Pino Tosini (1975), «Don Milani» di Ivan Angeli (1976) e San Filippo Neri («State buoni se potete» di Luigi Magni, 1973); dal don Camillo dei tanti film tratti dai romanzi di Guareschi, specchio di un’Italia dalle forti radici contadine dove il sacerdote, come racconta Alessandro D’Alatri, era «quella figura pacioccona e sempre sorridente che, dopo la Messa o il catechismo, tirava fuori un enorme mazzo di chiavi dalle tasche della lunga tonaca nera e apriva la porta del cortile della parrocchia per la partita di calcio o della sala in cui era custodito il proiettore cinematografico. E’ lì che ho scoperto il cinema. Il prete era un personaggio fortemente radicato nel territorio». Quindi le commedie degli anni Settanta che, banalizzando la delicata questione del celibato, presentavano sacerdoti alle prese con le tentazioni della carne; dal don Nazarín di Buñuel privo di ogni speranza (1958) al coraggioso prete polacco Jerzy Popieluszko portato sullo schermo sia da Agnieszka Holland sia da Rafal Wieczyinski, dal prete che facendo «L’esorcista» nel film di William Friedkin del 1973 libera una giovane dal Male che la possiede al giovane testardo sacerdote di «Gran Torino» di Clint Eastwood. La lista non finirebbe mai: i maggiori registi, da Chaplin a Hitchcock, da Stone a John Patrick Stanley («Il dubbio»), da Almodóvar a John Dutigan («Romero»), da Roland Joffé («Mission») a Lasse Hallström («Chocolat») hanno visto nell’abito talare la possibilità di scavare nelle pieghe della psiche umana. Certo, oggi la figura del prete nel cinema è molto cambiata rispetto al passato. Ma è «la società, il modo in cui essa si rappresenta nei media – dice monsignor Viganò – ad essere cambiata. Il cinema inglese racconta ad esempio i preti (pastori) nelle periferie che

Terence Hill nella nota serie televisiva «Don Matteo»

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personaggi

diventano, alla fine degli anni Ottanta, il solo baluardo per la “working class”, come in “Piovono pietre” di Ken Loach». In ogni caso il prete si addice al cinema: eroismi, totale abnegazione a favore dei più derelitti fino a mimetizzarsi fra operai delle fabbriche o immigrati delle periferie urbane, ansia di evangelizzazione e di maggiore essenzialità che li conduce a divenire missionari, vocazione di educatori, scelta gioiosa della povertà, ma anche dubbi, debolezze e cadute di questi esseri che traggono forza dalla fede ma che la tonaca non trasforma certo in superuomini, hanno sempre ispirato il grande schermo, fin dagli anni Venti. Nemmeno il tubo catodico si è sottratto al fascino dei sacerdoti, realmente esistiti come don Bosco, don Gnocchi o don Luigi Di Liegro, o di fantasia come il padre Brown-Rascel degli anni Settanta, il don Marco della serie Un prete tra noi o il popolarissimo don Matteo in onda dal 2000. Ma anche il cinema si addice al prete, a giudicare dalla partecipazione con cui il clero segue la settima arte, vedendovi il riflesso di inquietudini, speranze, ideali, frustrazioni della società nella quale esso opera. E’ un esempio di questo interesse monsignor Dario Edoardo Viganò, preside dell’Istituto pastorale «Redemptor Hominis» della Pontificia Università Lateranense, docente di Semiologia del cinema e degli audiovisivi alla Luiss di Roma, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo della cui Rivista del Cinematografo, edita dal 1928, è direttore; e che, autore di numerosi saggi sul tema della comunicazione e sul rapporto tra Chiesa e mass media, ha ora pubblicato Il prete di celluloide (Cittadella Editrice, 170 pagine, 9,50 euro). Un volume ispirato dall’Anno Sacerdotale indetto per il 2010 dal Papa in occasione del 150° anniversario della nascita del Curato d’Ars; e che nella prima parte esamina «il rapporto tra le grandi narrazioni cinematografiche e il ministero del prete» e alcuni degli aspetti della vita sacerdotale privilegiati dal grande schermo; mentre nella seconda raccoglie le interviste a nove registi italiani che nei loro film hanno introdotto figure di preti. Il cinema, scrive l’autore, «può contribuire a ri-collocare l’immagine del prete nell’immaginario sociale e all’interno della società».

La celebre scena del film «Roma città aperta» con Anna Magnani e Aldo Fabrizi nei panni di don Pietro

Intanto a giugno è stata inaugurata presso la sede universitaria di piazza San Giovanni in Laterano a Roma la mostra – poi itinerante in altre città italiane, si è già vista anche a Milano – dedicata a «Preti al cinema. I sacerdoti e l’immaginario cinematografico». L’iniziativa, con fotografie selezionate dalla Fondazione Ente dello Spettacolo in collaborazione con il Centro sperimentale di cinematografia, era destinata a creare un percorso in grado di illustrare e ripercorrere i cambiamenti e le evoluzioni della figura del prete nella storia del cinema, soprattutto italiano, dal periodo del muto ad oggi. Un evento unico, in quanto la maggior parte delle immagini esposte erano foto di scena concesse eccezionalmente dalla Fototeca del Centro sperimentale, con i protagonisti sul set

L’indimenticabile Fernandel nei panni di don Camillo, curato di campagna

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personaggi

decisi a vivere nell’ordinarietà la propria passione per l’umano: da don Puglisi di Alla luce del sole di Roberto Faenza a don Lorenzo di Preferisco il rumore del mare di Mimmo Calopresti, che evoca la figura di don Milani. Del resto, è anche quanto avviene nel piccolo schermo: da Don Milani - Il priore di Barbiana con Sergio Castellitto a Don Zeno. L’uomo di Nomadelfia con Giulio Scarpati». Perché tanto interesse del grande (ma anche del piccolo) schermo per la figura del prete? «Credo almeno per due ragioni. Anzitutto perché il prete è una figura istituzionale, crocevia di relazioni nel tessuto sociale, riferimento spesso unico di fronte ai bisogni inascoltati delle persone. E poi perché costituisce un modello fortemente caratterizzato, ben funzionante per la narrazione. Se la prima ragione emerge con forza nel cinema, la seconda è tratto tipico della fiction televisiva». Quali sono i «preti di celluloide» più memorabili, divenuti parte integrante del nostro bagaglio culturale? «Nel panorama del cinema italiano, Aldo Fabrizi in Roma città aperta. Anche se è indubitabile che la memoria di ogni italiano fa i conti con l’entusiasta don Camillo-Fernandel e col triste don Giulio di Nanni Moretti nel film La messa è finita, icona della trasformazione della società italiana, che fin dagli anni Ottanta mostra segni di implacabile crisi. Ampliando gli orizzonti oltre confine, sono molte le figure di preti che ho amato al cinema: dagli educatori come in Arrivederci ragazzi di Louis Malle al protagonista del Diario di un curato di campagna». Verdone ha inserito spesso un prete nei suoi film. Cosa pensa dell’ultimo, il protagonista di Io, loro e Lara, interpretato dallo stesso regista? «Verdone ha raccontato in trent’anni di carriera preti con difetti e debolezze spesso in maniera macchiettistica, non mancando però di offrire anche occasioni di riflessione su alcuni momenti tipici del ministero sacerdotale, come l’omelia. Nell’ultimo film restituisce la complessità della vita di un missionario che, facendo i conti con le proprie paure e fragilità, misura la sua vocazione, a cui rimarrà fedele. Una commedia amara che mostra le contraddizioni e patologie dell’Occidente opulento».

e nei momenti di riposo. Attraverso una variopinta galleria di personaggi – dal Don Bosco portato sullo schermo da Giampaolo Rosmino nel capolavoro di Goffredo Alessandrini del 1935, al don Camillo a cui Fernandel ha prestato magistralmente più volte il proprio volto, fino al disilluso don Giulio di La Messa è finita (1985) di Nanni Moretti e al modernissimo padre Carlo di Io, loro e Lara (2010) di Carlo Verdone – la mostra cerca di interpretare il succedersi delle stagioni culturali, politiche e religiose che hanno attraversato non solo il nostro Paese, ma il mondo intero. Ne scaturisce un omaggio alla figura del prete, alle sue personali vicende biografiche e alla passione per il suo ministero, rivisitati attraverso un itinerario fotografico di portata eccezionale. La mostra, ideata con il sostegno dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei e realizzata grazie al contributo di Poste Italiane, Postel e UniCredit, è stata resa possibile grazie alla collaborazione della Cineteca nazionale e della Fototeca del Centro sperimentale di cinematografia. Monsignor Viganò, com’è il prete presentato con più frequenza dal cinema italiano di oggi? «Nel nostro cinema attuale mi pare prevalgano i preti

Nanni Moretti nel film «La Messa è finita» da lui interpretato e diretto

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P E R S O N A G G I

Il ricordo di mons. Nicoli In un libro la sua biografia Il ritratto nel volume del giornalista Alborghetti, a un anno dalla sua scomparsa

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n anno fa moriva monsignor Aldo Nicoli dopo una lunga malattia che aveva affrontato con forza straordinaria. L’articolo che proponiamo, firmato da Paolo Aresi, è apparso su «L’Eco di Bergamo» lo scorso 13 settembre ed ha voluto essere un omaggio rivolto alla figura dell’illustre religioso. La salma di don Aldo venne esposta nella navata di Santa Maria in Borgo, la chiesa bergamasca quattrocentesca che si trovava in stato di abbandono e che egli volle restaurare. Fu un pellegrinaggio continuo, persino sorprendente, dal mattino alla sera tardi. Migliaia di persone andarono a porgergli l’estremo saluto. Bambini, famiglie, persone anziane. Si scoprì una dimensione poco nota di

don Aldo, a Bergamo conosciuto soprattutto per le sue capacità manageriali. Oggi (13 settembre 2010) a un anno dalla morte, Nembro, suo Comune di origine nella Bergamasca, lo ricorda con una Messa celebrata in serata dal vescovo emerito monsignor Lino Belotti. Al termine un concerto dell’organista Paolo Oreni e un’anteprima del volume in ricordo di don Aldo pubblicato in questi giorni dall’editrice Velar. Titolo del libro: «Don Aldo Nicoli - Nel grande gioco della Provvidenza». Dice l’autore, Roberto Alborghetti: «Questo lavoro doveva concretizzarsi in un libretto di una cinquantina di pagine. Non abbiamo potuto farne meno di

Sulle Dolomiti targa in ricordo del vescovo Amadei che fa da confine tra Italia e Austria, dovendosi quindi fermare al rifugio Calvi. Si era comunque ripromesso che quando sarebbe andato in pensione una delle prime escursioni sarebbe stata proprio raggiungere Sappada e il Rifugio Calvi. La malattia non glielo ha permesso e il vescovo di Bergamo è scomparso a fine dicembre 2009.

«Auguro di amare la montagna; mi ha sempre affascinato e compatibilmente con gli impegni cerco ogni tanto di non perdere l’abitudine di camminare per le stupende vallate della Lombardia e del Veneto». Sulla scia di queste parole, pronunciate dal compianto monsignor Roberto Amadei, un gruppo di una trentina di persone, composto da parenti, amici, compaesani di Pognano (Bergamo), ha voluto ricordare la passione per la montagna del vescovo Roberto con una escursione di due giorni (il 20 e 21 settembre scorsi) a Sappada (Belluno), al Rifugio Calvi a 2.164 metri di altezza, divenuto famoso per aver ospitato Papa Giovani Paolo II. Nella stupenda cornice delle Dolomiti del Brenta nella mattinata di martedì 21 settembre è stata celebrata la Messa durante la quale si è benedetta una targa ricordo del vescovo Roberto, collocata poi nella cappelletta adiacente il rifugio. Il motivo della scelta della località bellunese l’ha spiegato monsignor Alessandro Locatelli, già segretario del vescovo Roberto, durante l’omelia: nel 2006 monsignor Amadei si era recato su quelle stupende montagne ma non era riuscito, a causa delle avverse condizioni climatiche, ad arrivare al passo e alla vetta

Il gruppo di escursionisti al Rifugio Calvi, sulle Dolomiti

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personaggi

cento, tanti sono gli episodi, le riflessioni, gli aspetti della vita di monsignor Nicoli che sono emersi. E tanti altri ce ne sarebbero. Quello che più mi ha colpito è l’umanità di questo prete, la sua capacità di essere pastore, di stare vicino alle persone». Don Aldo, ordinato sacerdote nel 1961, era stato destinato come curato a Comenduno (Bergamo). Dal 1968 in poi don Nicoli aveva avuto soprattutto incarichi in Curia, in materia economica. Nel 1992 l’impegno tornò a essere soprattutto di tipo pastorale: venne inviato a Nembro come arciprete. Arrivò con la fama di manager, di prete dedito soprattutto agli affari e i primi momenti non furono facili, ma la conoscenza portò un profondo cambiamento di opinione, al punto che il sindaco di Nembro, Eugenio Cavagnis, dichiarò: «La sua eredità più grande, al di là delle opere materiali per cui è noto, è stata la capacità di fare comunità, anche fra le parrocchie». Il vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi, ha conosciuto don Nicoli negli ultimi mesi di vita. Ha scritto fra l’altro nella prefazione al volume di Alborghetti: «L’ho conosciuto con un animo continuamente proteso non solo al bene della Chiesa, ma a quello concreto degli uomini, dei giovani, dei bisognosi, delle parrocchie. Ciò che mi ha colpito è la sua coscienza sacerdotale: la preoccupazione pa-

storale, l’amore per la sua parrocchia, la fraternità con tanti preti». Il libro presenta anche una nota introduttiva di monsignor Lino Belotti, vescovo emerito di Bergamo, per tanti anni al fianco dell’allora vescovo monsignor Roberto Amadei. Ha scritto monsignor Lino Belotti: «Un cammino, quello di don Aldo, che permette di ammirare bellissimi e diversissimi panorami: umani, ecclesiali, sportivi, diocesani, parrocchiali». Roberto Alborghetti, giornalista, ha scelto di aprire il testo con un ricordo personale, con un’immagine che chiarisce bene un aspetto fondamentale della personalità di don Aldo. Alborghetti ricorda un giorno verso la fine degli Anni Ottanta: «Venne a prelevarmi dalla scrivania e mi portò nel grande cantiere edile aperto a fianco dell’ingresso della sede de L’Eco di Bergamo. Il lato destro di quella che un tempo era stata la gloriosa “Casa del Popolo” del movimento cattolico ... era stato sventrato dalle ruspe. Nella grande voragine, nel giro di pochi mesi, avrebbe trovato posto l’opera forse più ambiziosa suggerita dalla carità creativa di don Aldo Nicoli: il Centro Congressi Giovanni XXIII con le sue sale e il suo auditorium e i locali per associazioni e realtà ecclesiali diocesani. Don Aldo, spingendo lo sguardo oltre le mura diroccate, le gru e le squadre di muratori, mi disse: «Mi piacerebbe che questo nuovo Centro fosse il simbolo di una rinascita culturale, nella scia delle intuizioni che ebbero il Rezzara e i fondatori della Casa del Popolo. Il mio sogno è che questa struttura, che sarà moderna e dotata di nuove tecnologie, possa divenire un punto di riferimento per le attività di comunicazione dei media diocesani. Fare incontrare qui giornale, televisione, radio, eventi e manifestazioni che promuovono il bene e la bellezza delle espressioni umane.... Mi ricordo ancora: brillavano gli occhi a don Aldo per l’emozione di avere sostenuto e lottato per un progetto gettato sul futuro della Monsignor Aldo Nicoli durante una cerimonia religiosa città e della diocesi». 26


T ESTIMONIANZE

Roncalli ha amato, pregato e visitato spesso le Ghiaie Sui legami con questo lembo di terra proponiamo due brani tratti da suoi scritti

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a questo numero del nostro bimestrale proponiamo una serie di interventi di don Elio Artifoni che è stato parroco alle Ghiaie di Bonate Sopra (Bergamo) per più di 12 anni, dal 1987 al 2000. Questo, in breve, il suo percorso religioso. Nato a Torre Boldone (Bergamo) il 31 maggio del 1944, è stato ordinato sacerdote il 28 giugno 1969. Dopo numerosi incarichi ottenuti in varie parrocchie è approdato alle Ghiaie dove vi è rimasto per un lungo periodo. Successivamente, per otto anni, è stato parroco di Palazzago e dal 2008 ha assunto l’attuale incarico di parroco alla frazione Prezzate di Mapello, sempre nella Bergamasca. E’ stato lo stesso don Artifoni a fornirci il materiale che pubblichiamo di seguito.

medesimo da Bonate Sopra al nuovo cimitero delle Ghiaie, fu lui che tenne la commemorazione funebre per l’amico-maestro e per Giuseppe Bonzanni, insigne benefattore della comunità. Ma il motivo più vistoso che lega Papa Giovanni alla comunità ghiaiese passa attraverso la figura di mons. Radini Tedeschi, insigne vescovo di Bergamo di cui fu segretario particolare proprio don Angelo Roncalli. Bisogna ricordare che il canonico Locatelli, quando era ancora chierico, fu assistente degli studenti del Collegio S. Alessandro di Bergamo; tra gli studenti c’era il giovane piacentino Radini Tedeschi che poi divenne sacerdote, canonico di S. Pietro in Vaticano e infine vescovo di Bergamo. Fin da chierico, passava parte delle vacanze a Ghiaie, presso don Alessandro Locatelli. Diventato vescovo di Bergamo ritornava volentieri dal suo ex assistente, naturalmente accompagnato dal segretario don Angelo Roncalli sempre grande amico del suo ex maestro, don Locatelli. Vescovo e segretario furono insigni benefattori

Per due motivi Angelo Roncalli, poi diventato Papa Giovanni XXIII, ha amato, pregato e visitato molte volte la comunità di Ghiaie. In primo luogo perché il canonico Alessandro Locatelli, fondatore della parrocchia, era suo compaesano (nato a Carvico, andò poi ad abitare a Sotto il Monte). Angelino veniva a prendere lezioni dal suo maestro canonico, amministratore della Chiesa di Ghiaie. Il futuro Papa Giovanni scrisse una specie di pergamena, ad elogio del canonico Locatelli, esposta nella casa di Sotto il Monte; più tardi dettò l’iscrizione incisa sulla lapide commemorativa che ricorda il fondatore della parrocchia e che si può leggere ancora sulla parete sinistra della Chiesa. Dopo la morte del canonico Locatelli, Angelo Roncalli fu esecutore testamenMons. Capovilla mentre celebra la Messa di ricordo del canonico tario delle sue ultime volontà. Durante la Locatelli nel ’97 al cimitero delle Ghiaie funzione per la traslazione della salma del 27


testimonianze

dolorosa ai molti che lo conoscevano, lo stimavano e gli volevano bene. Poiché era impossibile conoscere don Alessandro Locatelli e non concepirne grande stima e riverenza, e non amarlo di onore. Nato a Sotto il Monte nel 1850; alunno fino al sacerdozio del Collegio S. Alessandro negli ultimi anni di mgr. Valsecchi; coadiutore giovanissimo a Roncola S. Bernardo; poi a Bonate Sopra per oltre 30 anni nella frazione delle Ghiaie; maggiordomo della casa vescovile durante i due lustri del governo di mgr. Radini Tedeschi che lo aveva avuto prefetto amatissimo nel collegio S. Alessandro; infine dal 1910 canonico della Cattedrale; direttore spirituale in parecchie comunità religiose femminili della città, don Alessandro recò dappertutto quella nota di dignità, di calma, di spirito superiore, che caratterizza il vero sacerdote del Signore, retto, intemerato, pio, dal giudizio sicuro e fine, dal tratto modesto e schivo, dal cuore buono e generoso. Aveva ingegno abbondante, cultura ed erudizione assai più che non manifestasse all’apparenza, soprattutto giustezza di principi e di discernimento, così da meravigliare chi lo avvicinava. Portato dall’indole sua ad una vita di solitudine e di nascondimento, in questa trafficò i tesori della sua carità sacerdotale industriosa ed inesausta. La nuova chiesa delle Ghiaie si deve tutta a lui, che la eresse si può dire colle sue mani, vi consacrò tutta la sua sostanza, la sua intera vita. Fu uomo che badava ai fatti suoi e non si curava degli altrui, se non fossero quelli delle anime affidate a suo ministero. Per questo era tutto, amico, pastore, madre. Laggiù alle Ghiaie di Bonate il suo nome rimarrà benedetto in eterno. Accanto alla persona, nella casa del vescovo Radini Tedeschi che gli consacrò sino all’ultimo la schietta famigliarità e la affettuosa riverenza degli anni lontani della vita del collegio, fu titolo d’onore del canonico Locatelli l’aver saputo sempre mantenere il suo posto con quella compitezza e quel riserbo che si conveniva, senza uscire mai dalla sua ombra, senza esporre la sua persona alle facili compromissioni di se e del suo Superiore, di cui era sempre inteso a procurare l’onore, ad interpretare il buon cuore episcopale. Quanti poveretti, dell’Alta Città specialmente, anche oggi ricordano e benedicono il canonico Locatelli, dalla forma qualche volta ruvida e recisa, ma dalla mano

Papa Giovanni ebbe forti legami con la frazione Ghiaie di Bonate Sopra

dell’erigenda nuova parrocchia. Gli incontri Roncalli-Locatelli divennero coabitazione quando il nuovo vescovo di Bergamo volle che il canonico Locatelli diventasse suo maggiordomo e andasse ad abitare in Episcopio, pur continuando a far servizio alle Ghiaie. Nel Chronicon della parrocchia si legge la seguente testimonianza rilasciata da don Cesare Vitali: «Mons. Radini Tedeschi incominciò a conoscere Angelo Roncalli qui a Ghiaie fin da chierico… Mons Roncalli ebbe a dire che egli doveva la sua carriera all’incontro con mons. Radini Tedeschi qui a Ghiaie». Sui legami tra Papa Giovanni e le Ghiaie lasciamo parlare lui stesso attraverso un paio di brani tratti dai suoi scritti, da dove risalta la sua frequentazione alle Ghiaie già da piccolo seminarista nella casa del canonico Alessandro Locatelli, suo compaesano. La morte del canonico Locatelli da «L’Eco di Bergamo» del 2 agosto 1918 Colpito ieri sera da un attacco improvviso di angina pectoris, cessava di vivere nelle prime ore del mattino il canonico Alessandro Locatelli. Aveva 68 anni. La notizia riuscirà, quanto improvvisa, altrettanto 28


testimonianze

sempre aperta a dare, dal cuore sempre pronto alla commozione innanzi alle miserie altrui, specialmente alle più nascoste ed umilianti! E molte e molte cose si potrebbero aggiungere di questo sacerdote umile e degnissimo, a santa e comune edificazione dello spirito. Ora anch’egli se ne è andato al Signore con quella calma imperturbabile da cui furono sempre accompagnate le sue parole, le sue opere, il suo tratto; con quella semplicità e con quell’abbandono confidente in Dio che è la migliore espressione della buona coscienza, dopo una vita sacerdotale tutta spesa nella ricerca della gloria di Lui, del bene della Chiesa e delle anime. Sia benedetta la tua memoria, o don Alessandro nostro! E mentre noi circondiamo la tua salma di lacrime e di preghiere, tu fatto più vicino in Dio a quegli spiriti eletti che insieme abbiamo tanto amato, ottieni con loro sopra di noi e sopra i tuoi buoni figli delle Ghiaie, come sopra tutti quelli che soffrono ed aspettano in questa ora di pena e di sacrificio, l’abbondanza dei doni celesti, pegno di non lontani giorni migliori. Un ritratto a olio del canonico Alessandro Locatelli

Don Angelo Roncalli

Messa con Comunione dei fanciulli; assistenza alla Messa funebre e mie parole commemorative; poi processione al cimitero colla salma del canonico e del signor Giuseppe Bonzanni. Nel pomeriggio parlo al popolo dopo i Vespri della devozione al S. Cuore di Gesù e do la benedizione. Parto con don Pietro Forno, in auto del signor Noble, direttore della Società «Vicina Montagna», per Gorno dove arrivo e vengo molto bene accolto dalla buona gente e dalle notabilità. Tempo poco buono.

Dal diario dell’arciv. Angelo Giuseppe Roncalli 11 settembre 1937 In mattinata mi recai alle Ghiaie di Bonate per il trasporto della salma del canonico Alessandro Locatelli dal cimitero di Bonate nel cimitero nuovo delle Ghiaie. Così si è compiuto l’ideale di quel degno sacerdote, di cui per dieci anni fui contubernale (soldato che alloggiava con altri sotto la stessa tenda) in episcopio con mgr Radini. Mia Santa

Sessant’anni fa moriva Maria Elisabetta Mazza Sessanta anni fa, il 29 agosto del 1950, moriva la Serva di Dio Maria Elisabetta Mazza, fondatrice delle Piccole apostole della scuola cristiana, di cui è in corso il processo di beatificazione. La ricorrenza è stata ricordata il 4 settembre con due iniziative in casa Mazza (via Nullo a Bergamo): alle 15 presentazione del volume «Maria Elisabetta Mazza. Salvare la scuola per salvare la società», scritto da Roberto Alborghetti; alle 17 Messa presieduta dal vescovo di Bergamo

Francesco Beschi. Maria Elisabetta Mazza nacque a Martinengo (Bergamo) il 21 gennaio 1886. Rimasta orfana della madre, Bettina – come era affettuosamente chiamata – trascorse tre anni nel monastero di S. Benedetto e poi fu accolta in casa da una zia. Ottenuto il diploma di maestra, nel ‘36 Bettina diede inizio alla Pia Associazione delle piccole apostole della scuola cristiana, dedita all’insegnamento nella scuola pubblica, eretta in congregazione religiosa nel 1964.

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RICORRENZE

Teresa Verzeri, celebrazioni per i 10 anni di canonizzazione Si è tenuto un convegno a ottobre con presentazione di una biografia sulla santa

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Teresa Verzeri, una Santa per il nostro tempo» è stato lo slogan che ha scandito le celebrazioni per il decennale di canonizzazione della Fondatrice delle Figlie del Sacro Cuore, iscritta nell’albo dei Santi da Giovanni Paolo II il 10 giugno 2001. Le iniziative, un convegno, un concerto di musica sacra e una Messa in Cattedrale presieduta dal vescovo di Bergamo Francesco Beschi, sono state riportate in un articolo di Carmelo Epis pubblicato su «L’Eco di Bergamo». «Nella Deus caritas est di Papa Benedetto XVI – sottolinea suor Eugenia Libratore, della casa della congregazione in via Ghirardelli – si afferma che i Santi sono sempre portatori di luce nella storia perché ricchi di fede, speranza e amore. E proprio perché i Santi possono dare agli uomini e alle donne del nostro

tempo, ai giovani, ai provati dalla vita, un po’ di luce in mezzo alla nebbia delle idee e alla confusione delle parole di oggi, che la nostra Congregazione celebra il decennio di canonizzazione della Fondatrice. Teresa Verzeri è stata una donna forte, dinamica, contemplativa, radicata nella tradizione e aperta al nuovo». Teresa Verzeri nacque a Bergamo il 31 luglio 1801 in una famiglia aristocratica. Entrò ed uscì tre volte dal monastero di Santa Grata. L’8 febbraio 1931, insieme al canonico Giuseppe Benaglio, una delle figure di spicco del clero bergamasco, avviò al Gromo in Città Alta la Congregazione delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù. Il progetto è una sintesi fra contemplazione e impegno nel mondo con l’alfabetizzazione delle ragazze povere, uno dei bisogni più avvertiti dell’epoca. Il nuovo istituto incontrò la freddezza della linea teologico-pastorale tardogiansenistica del vescovo Carlo Gritti Morlacchi, che disse alla Verzeri di «non esservi bisogno di nuovi ordini religiosi, dato che la Diocesi ne era già sufficientemente provvista». Teresa Verzeri trasferì allora la casa madre a Brescia. Le Costituzioni dell’istituto furono approvate nel 1847 da Papa Gregorio XVI. Verzeri si spense cinquantenne il 3 marzo 1852 a Brescia. Nel 1854 la casa madre tornò a Bergamo. Attualmente l’istituto, impegnato in scuole, evangelizzazione e promozione umana, è presente in Italia, Albania, Romania, Brasile, Argentina, Bolivia, Paraguay, Repubblica Centrafricana, Camerun, Congo, Costa d’Avorio e India. Il convegno di martedì 26 ottobre in Sant’Alessandro in Colonna a Bergamo ha visto gli interventi di don Valentino Salvoldi («Teresa Verzeri, una santa per il nostro tempo»), suor Eugenia Libratore («L’aspetto pedagogico in Teresa Verzeri») e monsignor Gianni Carzaniga («La spiritualità di Teresa Verzeri»). Nell’occasione è stata presentata anche una biografia sulla santa (edizioni Velar) scritta da don Salvoldi.

Un’immagine di Santa Teresa Verzeri

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ESPOSIZIONI

Sculture, paramenti sacri e argenti tutti da scoprire E’ il patrimonio conservato nel Museo d’arte sacra a Gandino, nella Bergamasca

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andino, Comune bergamasco, ha ricevuto sabato 16 ottobre la visita dei maggiori esperti mondiali di tessuti, presenti nello stesso week-end a Milano per una «due giorni» di lavoro che ha riunito studiosi di ogni continente, in rappresentanza delle realtà museali più prestigiose del globo. «Gli studiosi sono associati – ha spiegato Silvio Tomasini, rettore del Museo della basilica gandinese – in uno specifico organismo denominato Cieta, acrostico francese del Centro internazionale di studio dei tessili antichi. E’ un’associazione fondata nel 1954, per coordinare i metodi di lavoro impiegati dagli esperti di tessuti antichi». La sede dell’associazione è a Lione, in Francia, dove vengono catalogate le varietà tessili più pregiate, codificando procedure di tessitura e tecniche di restauro e conservazione. Fanno parte del Cieta 525 rappresentanti di 34 nazioni. Da sottolineare che Gandino conserva un patrimonio di arredi e parametri sacri fra i maggiori in Europa, se non al mondo. Scrigni principali di questi tesori sono la basilica di Santa Maria Assunta e il Museo di arte sacra, fra i più antichi del Nord Italia, fondato nel 1929 recuperando un edificio seicentesco. Negli anni Ottanta il museo è stato ampliato e dotato di nuove aree relative all’arte tessile e ai presepi. Le sezioni di maggiore interesse sono quelle del tessuto, degli argenti e delle sculture lignee. Nelle sale di via Loverini, a pochi passi dalla basilica, fanno bella mostra di sé ben due serie di arazzi del Cinquecento e una pinacoteca con dipinti veronesi, veneti e lombardi. La raccolta dei tessuti spazia dal XV al XX secolo, ed è considerata dagli esperti tra le più importanti sia per la quantità delle opere, sia per la qualità e la rap-

presentatività delle tecniche di lavorazione. La sezione degli argenti documenta i vivaci rapporti con l’area milanese, bolzanina e soprattutto tedesca. L’altare d’argento che viene ancora utilizzato per rivestire l’altare di marmo e bronzo della basilica nelle festività liturgiche, è l’espressione più alta del concorso di queste tre aree. Le statue lignee, molte delle quali del secolo XV, provengono dall’antica chiesa quattrocentesca, precedente alla basilica. Il museo di Gandino aderisce alla rete dei Musei della Diocesi di Bergamo. I visitatori sono in costante crescita, tanto che, nell’ultimo anno, sono stati più di 6.000 gli ingressi, compresi quelli riservati alle scolaresche. Qui infatti gli alunni, dalla materna alle scuole medie, trovano idonei laboratori per svolgere attività didattiche specifiche sul tessile e l’arte orafa. Di recente il museo di Gandino ha ricevuto il riconoscimento ufficiale da parte della Regione Lombardia.

Da sinistra donosservano Claudio Visconti, Capovilla Alcuni esperti da vicinomonsignor un pezzo custodito e Rinaldo Marmara al Museo della basilica

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INIZIATIVE

Sarà costruita una chiesa in un centro commerciale L’arcidiocesi di Catanzaro-Squillace ha accolto con gioia la generosa proposta

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Un complesso parrocchiale collocato nell’area di un centro commerciale può offrire i suoi servizi pastorali a tutti i lavoratori delle varie attività presenti nella struttura, ai visitatori e soprattutto agli abitanti della zona. E’ questo il motivo per cui la diocesi ha accolto con gioia la generosa proposta della società proprietaria del centro commerciale “Le Fontane” di costruire una chiesa da destinare alla parrocchia». Con queste parole l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, monsignor Antonio Ciliberti, ha spiegato l’accordo fra l’arcidiocesi e la società per la costruzione del nuovo complesso, in grado di ospitare oltre duecento persone, che prende il nome dell’esistente parrocchia dedicata a San Massimiliano Maria Kolbe. La dedicazione della chiesa è avvenuta lo scorso 11 settembre. La notizia che pubblichiamo è tratta da un articolo apparso di recente sul giornale cattolico «L’Osservatore Romano». Servizio che così prosegue. L’architettura fonde il classico modello romanico con soluzioni moderne consentite dai nuovi materiali: il campanile della chiesa sarà in vetro, come in vetro saranno la copertura e le pareti perimetrali che delimitano l’altare. La pala d’altare occuperà interamente l’abside e sarà formata da una vetrata retroilluminata rappresentante san Massimiliano Kolbe in preghiera davanti al roveto ardente, nel cui interno è collocato il tabernacolo. La parrocchia sarà al servizio degli abitanti di una vasta area situata tra Catanzaro e il Lido e rivolgerà le sue attenzioni pastorali ai mille lavoratori del centro commerciale e agli oltre diecimila visitatori che in media vi si recano quotidianamente. Alla domenica si celebreranno due messe: una al mattino e una in serata. Ogni giorno feriale si celebrerà una messa. «Ogni giorno – ha dichiarato il parroco, don Gio-

vanni Scarpino – percepisco l’entusiasmo dei fedeli per la nuova struttura parrocchiale. Da circa vent’anni, infatti, la comunità si riunisce in una piccola stanza ricavata nell’ex scuola del quartiere, non del tutto a norma di sicurezza. La chiesa nell’area del parco “Le Fontane” sarà un motivo in più per poter portare con impegno il Vangelo nei luoghi dove vive la gente». E’ la prima volta che viene realizzata una parrocchia all’interno di un centro commerciale. «In un momento storico della società – ha spiegato l’ingegner Floriano Noto, presidente della società proprietaria del parco – caratterizzato sempre più dalla perdita di alcuni valori così importanti come quello della fede religiosa, abbiamo voluto realizzare questo complesso per ricordare quanto sia importante nella vita di ognuno di noi coltivare quotidianamente il proprio spirito. Ci auguriamo che il nostro esempio serva da spunto per altre analoghe situazioni in Italia».

Un sacerdote ripreso sull’altare durante una Santa Messa

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Ringraziamo le persone che hanno sottoscritto abbonamenti al giornale e inviato offerte all’associazione Amici di Papa Giovanni ALBERTI ANNA MARIA

DASSI PIERA

PAVONE CARMELA

ALBESANO ERNESTA

DI CHIARA ORIANA

PERANO NATALINA

ANTONINI LUIGINA

DI MUCCIO GIUSEPPE

PEZZOTTA RENATA

ARESI MARIA

DI VELLA NICOLINA LUCIA

PIANALTO TRATTENERO MARIA

ARPE ADRIANA

DONELLI MARIA

PITTALIS RITA

BAIARDI ADRIANO

ERLICHER ANGELO

PITZALIS ANNA

BELLAGENTE PACE LUIGINA

FAENZA EVELINA

PLEBANI AMALIA

BELLINZONA ANNA

FERRAGUTI GRAZIELLA

QUADRI CRISTINA

BERTAGGIA NOVELLI ROMEA

FERRARI LUIGINA

RAMONI PAOLINA

BERTUOL GIORGINA

FORTUNATO FRANCESCO LETTA

RAVASI ALESSANDRA

BIANCHI GIUSEPPINA

FOSSATI TAVERNA TERESA

RAVOTTI GIOVANNA

BOFFA GIUSEPPINA

FRANCIOSA ANTONIO

RECANATI MAURIZIO

BONGIORNO ANNA MARIA E SANTO ANTONINO

FRANCO ELVIRA

REGGIORI M. LAURA E ROSA

GALLI FRANCA AZZONI

RIGON POLINARI GIOVANNA

GAMBARINI ROMANO

ROMANI EMMA

GARGANTI MIRELLA

ROVIGATTI PAOLA BIANCA

GASPARINI ROSA

RUSSO UBALDO

GERVASONI CHIARA LAURA

SAVOLDI GENOVEFFA

GHIBAUDO UMBERTO

SCOTTON DOMENICA

GHIOLDI ROSANNA

SGARIGLIA RONCONI MARIA

GHIRIMOLDI MARIUCCIA

SGRO FRANCESCO

LAPORTA PIETRO

SIGNORELLI RITA

LOTTINI SILLA

SONZOGNI ANGELA

LUZZI DILIA

STEFANI RENATA

MAGNI OSVALDO

STRIANI ANNA MARIA

MANENTI FILOMENA

TAVERNA TERESA

MANZOLINI TINO

TOGNACCINI LORETTA

MARCHESE GADDA MARIA

TOSINI ILDE

MASCHERONI TINA

TRAPELLI CARLA E GIUSY

MINACAPILLI LUCIA

TURINO ROSA CATERINA

MOLINAROLI GIUSEPPE

TURNONE GRAZIA

MOREA MARIA

VALERA GRAZIA

NEGRETTI PAOLA

VENTURINI BRUNA

PACHER GIULIETTA

VERCELLONE BIANCA

PAGANELLI GEA

VISINTAINER REMO

PAGANIZZA LINA

VOLPATO GABRIELLA

PARIANI ELDA

ZACCONI CLARA

BONI PAOLO BOSCHINI ELISABETTA BOSSO ROSA CAPELLO SILVIO CAPPELLO RINA CARRARA LANDINO CATTINI RINA CECCHINI NUNZIA CHIAMETTI NATALINA CLERICI SILVIA E MARIO COCCO ANTONIO COLOMBO CAROLINA COLOMBO FRANCA COLOMBO MARIA LUISA CREOLA GULIANO CURTO ASSUNTA D’AMBROSIO ANNAMARIA D’ANDREA CONCETTA D’ANDREA FLAVIO DAMIANO ANTONIO DE NADAL MARIA GRAZIA DE NIGRO SILVIA DELLE VILLE ANNA MARIA DEMOLLI FRANCA

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Sotto la protezione di Papa Giovanni

La nonna Adele affida alla protezione di Papa Giovanni le sue nipotine Sara (il giorno della sua Prima Comunione) e Serena

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Nonno Piero e nonna Mirella con zio Claudio e zia Patty, affidano il loro amato nipotino Gabriele, alla protezione di Papa Giovanni XXIII affinchè lo protegga per tutta la vita

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Inviate la fotografia dei vostri bambini ad:

via Madonna della Neve, 24 - 24121 Bergamo



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