Papa giovanni maggio giugn

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Il Papa era già malato? «Certo, è proprio per il suo stato di salute che mi hanno mandata. Il tumore allo stomaco era ormai in fase avanzata. Ricordo gli esiti degli esami del sangue, ricordo la carenza di globuli rossi e che bisognava effettuare delle trasfusioni. Una volta ero in casa da sola, non ricordo per quale motivo, non riuscivo a mettermi in contatto con i medici e il Papa stava male, aveva tremori forti. Io per fortuna avevo già una certa esperienza in campo sanitario, così pensai subito a un farmaco antiallergico, il Trimeton. Mi recai poco dopo nella farmacia vaticana e non esitai a prenderlo. Andò bene. Io penso che l’Angelo custode mi abbia aiutato in quella circostanza». Soffriva molto il Papa? «Ricordo una volta che eravamo al suo capezzale, io a destra e don Loris Capovilla a sinistra. Il Papa mi fece cenno di spostarmi perché mi trovavo davanti al Crocefisso. Gli ultimi giorni sono stati di grandi sofferenze per il Pontefice. Ricordo che venne a visitarlo il vescovo di Bergamo, monsignor Piazzi. Stava male, ma volle recitare il Rosario fino all’ultimo. Da quel che vedevo doveva sopportare dolori molto forti. C’era allora una diversa mentalità della sofferenza, ancora non si consideravano più di tanto gli antidolorifici. C’era tanta sofferenza nel Papa, ma mai disperazione e nei momenti più difficili invocava San Vincenzo». Suor Dalmaziana, quale fu la sua formazione? «Volli diventare suora a ogni costo, ma mio padre me lo impediva. Potei cominciare questo percorso soltanto al compimento della maggiore età, a ventuno anni. Feci la scuola per infermiere a Roma, poi ebbi diverse esperienze a Milano e a Varese». Lei arrivò in coincidenza con il Concilio. «Sì. Il Papa ce ne parlava la sera quando lo incontravamo per dire il Rosario insieme, parlava di alcuni momenti, delle speranze che nutriva ma anche delle preoccupazioni che dopotutto nutriva. A proposito del Rosario: mi ricordo che suor Zaveria lo recitava con estrema lentezza, una volta il Papa si voltò e disse in bergamasco: “Su, su suora, pestì mìa la nif, non pesti la neve”. Io preparavo la tavola, il Papa mangiava da solo. Don Loris si limitava a consumare un’insalata e una bistecca, mangiate in fretta. Ricordo che il Papa gli diceva: “Mangi con più calma, monsignore”».

Gli atteggiamenti di Giovanni XXIII non erano condivisi da tutti, in Vaticano. «Una volta ci disse: “Qualcuno dice che sono comunista, ma non è così. Il fatto è che io voglio bene alle persone”. Poi ripeteva che bisogna cercare sempre quello che unisce, non quello che divide. Era del tutto contro le scomuniche, diceva che la Chiesa doveva pensare in modo diverso, che non poteva limitarsi a condannare, ma che doveva capire la gente, capire i giovani, capire chi sbaglia. Sì, sapevamo che qualcuno non condivideva le sue aperture». Il Papa parlava mai della sua morte? «Un giorno chiese al professor Valdoni quanto gli restava da vivere. Il professore gli rispose con franchezza: “Circa tre giorni”. Allora il Papa rispose: “Le valigie sono già pronte” e chiese che gli si amministrassero subito i sacramenti». Che cosa ricorda degli ultimi istanti? «Quando è morto c’era lì don Loris. Il Papa morì tranquillamente, dopo tanti dolori. Il decesso avvenne di sera, quando mancavano dieci minuti alle otto di quel 3 di giugno. Aveva risposto al Rosario fino a pochi minuti prima. C’era don Loris che piangeva, e piangevo anch’io. Io ero l’infermiera, gli chiusi gli occhi e la bocca. Sul suo comodino aveva il libro della beata Gemma Galgani, una donna straordinaria. Adesso quel volume ce l’ho qui con me, l’ho letto e riletto. Ogni volta penso a quei momenti e prego il nostro Papa Giovanni».

Suor Dalmaziana Bonalumi nella casa delle Poverelle

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