Città Dei Mille febbraio marzo 2013

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Sartoria arcaini Abiti e camicie su misura

FEBBRAIO / MARZO 2013

Anno 16 - N째1 Febbraio/Marzo 2013 - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BERGAMO In caso di mancato recapito si restituisca a: Editrice Bergamasca Srl - via Madonna della Neve, 24 - 24121 Bergamo, che si impegna a pagare la relativa tassa. Euro 3,00


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ogni vino ha un’ anima...

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Edito riale

Editoriale

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ergamaschi popolo di aviatori, musicanti, saltimbanchi, locandieri e cucinieri. Declinare al vintage l’immagine della turgida sezione dedicata alle interviste del Città dei Mille che avete tra le mani a qualcuno suonerà strambo. Ci concediamo un divertissement perché effettivamente la crème cittadina riesce a stupirci ogni giorno di più. Industria? Edilizia? Certo. Ma c’è di più. L’estro bergamasco si dispiega in terreni lontani tra di loro, sorprendenti per varietà e natura. C’è Domenico Di Giminiani, ex allievo dell’Istituto Aeronautico Antonio Locatelli: «Non c'è obiettivo più ambizioso che realizzare un sogno». C’è Emanuele Beschi, nuovo direttore dell'Istituto Superiore di Studi Musicali Gaetano Donizetti (chiamato amichevolmente conservatorio) per il triennio 2012-2015. C’è Omar Fantini, comico di fama, alle prese con la puntata pilota di «Provato per voi» su Italia 1, la web sitcom «Amici @ Letto» a fianco di Melissa Satta, la conduzione di «Metropolis» con Melita Toniolo, un film con Giannini e Cucinotta. C’è Roberta Garibaldi, docente delle università di Milano e Bergamo, con delega al Turismo per il Comune di Bergamo. E poi, last but not least, Andrea Mainardi, Re Mida della cucina, inventore del ristorante mono-tavolo Officina Cucina di Brescia, ospite fisso a «La prova del cuoco», vocalist – campionato - nel disco «È straordinario». La sua specialità? Il ghiacciolo ostrica, limone e liquerizia, servito a magistrale chiusura di una spedizione degustativa nel futuro del gusto. Sanno stupire, questi bergamaschi. . Buona lettura!

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di Claudio Gualdi


Via Bruse 2, 24069 - Trescore Balneario (BG) - Tel 035-940999 - www.loroandco.com info@loroandco.com - chiuso il lunedĂŹ


La mia

rubrica

Pensiamo positivo!

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a prima cosa che insegnano quando si frequenta una qualsiasi scuola di scrittura è che, nel redarre un articolo, si devono seguire le cinque W: che tradotte in italiano significano chi, dove, quando, come, perché. Poi appena si fa giornalismo sul campo qualcuno ti dice che invece sono altre le lettere da seguire se si vuole attirare l’attenzione del lettore. Sono le tre S a scuoterlo: sesso, sangue, soldi. I più seguono questa indicazione e questo spiega perché ci capiti, quando ci sediamo a guardare la televisione o a sfogliare un giornale, di essere travolti da notizie che riguardano fatti di cronaca così negativi da farci sentire in trincea più che nel protetto salotto di casa. Però nel mondo accadono anche molte cose positive. Qualcuno sta iniziando a dircelo. Per esempio dei giornali e dei siti che selezionano buone notizie, annunci positivi, curiosità dal mondo che ne dimostrano il possibile miglioramento. E’ il caso di una nuova cura per la sclerosi multipla o di un progetto di finanza etica andato a buon fine o semplicemente il racconto di una storia che, dopo le dovute difficoltà, dimostri però la reale possibilità di una svolta nella direzione dell’ottimismo e della speranza realizzata. Nel prossimo numero proveremo a esplorare questo territorio non perché ci si voglia illudere con facili happy end ma perché almeno si provi qualche volta a riconoscere anche ciò che nel mondo va un po’ più dritto. Troppo nero annoia. E qualcosa, non tutto, si può cambiare.

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di Emanuela Lanfranco e.lanfranco@inwind.it


Approfondimento

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Si comincia con il vintage…

ichelle Obama, ce lo disse il Corriere della Sera nel 2010, scandalizzò il mondo della moda quando scelse di presentarsi ad un evento ufficiale con un abito "di seconda mano". Si trattava di un Norman Norell d’epoca da 2.500 dollari in pizzo nero, che la First Lady indossò durante il "Christmas in Washington", un concerto natalizio di beneficenza a favore di un ospedale per bambini. L’ a b i t o p r o v e n i v a d i r e t t a m e n t e dall’impressionante archivio dalla N e w Yo r k V i n t a g e , l ’ e s c l u s i v a boutique di Chelsea che vanta una collezione di vestiti risalenti addirittura ai primi del 1800 e che annovera

tra i suoi clienti celebrità come Julia Roberts, Scarlett Johansson, Jessica Lange, Lady Gaga e Beyoncé. Dunque possiamo affermare che anche il tabù dell’abito usato sia stato abbondantemente infranto e in tempi non così devastati dalla crisi al punto da dovere ricorrere a risparmi eccezionali. A servirsi del vintage non sono solo alcune dive, che potrebbero decidere questa scelta come una vezzosa civetteria, ma anche la gente comune, se si guarda al fiorire di negozi non solo nelle capitali europee, dove riteniamo che sia più facile il rapporto con la moda, ma anche in luoghi come Parigi, Milano, Roma e New York che

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Testo: Emanuela Lanfranco

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vantano una tradizione di buon gusto legata a un’idea di moda come voce attiva nel trend economico. Varrebbe forse la pena di ricordare che la parola “vintage” è stata rubata al linguaggio enologico infatti significa “vendemmia” e in origine stava a indicare vini di annate eccezionali, perciò difficilmente reperibili. Da qui il termine è scivolato a indicare ciò che, provenendo da un passato non così lontano da essere antiquario, vanta comunque una certa età e dunque, anche solo per questo, presenta caratteri di originalità e di pregio. Tale etichetta ben si accosta all’abbigliamento venendo così incontro a due esigenze. Da una parte l’originalità e la qualità e dall’altra il risparmio. Così l’abito usato, che forse per le generazioni passate costituiva il segno di un risparmio necessario e di un’indigenza che frenava il consumo almeno per l’abbigliamento, oggi è ben lontano dal significare un capo b r u t t o , r ov i n a t o , s p o r c o. D ’ a l t r o canto il diffondersi di questa moda tende anche a riparare i danni che il consumismo selvaggio di questi anni ha provocato: molti hanno armadi pieni di vestiti e di accessori non usati se non saltuariamente. Può essere una buona opportunità per liberarsi dell’eccesso e farlo circolare. Tanto più che ormai in economia va di moda (anche l’economia risente delle mode: ci sarebbe da chiedersi se esiste un’economia “vintage”) la Share economy, l’economia della condivisione. "Mercati di nicchia per tutte quelle cose o servizi che diventano economici se ci mettiamo insieme per usarli" così la definisce il Wall Street Journal. Perciò la marmellata che facciamo in abbondanza e che nessuno in casa nostra vuole più, i regali che a Natale ci sono d’impiccio, gli abiti usati,

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appunto, diventano preziosa merce di scambio, pienamente sdoganata. E il mercato premia oggi chi aveva pre-visto questa possibilità se leggiamo che Zipcar, una azienda di San Francisco che inventò la condivisione dell’auto elettrica, e Airbnb, che inventò lo scambio del posto-letto (non arricciate il naso: non si tratta di una pratica sessuale), sono recentemente state “pesate” in Borsa con quotazioni altissime. Ma la share- economy non si ferma a questi ambiti prevedibili, si allarga fino a interessare anche…i figli. Per esempio “Family by design” mette in contatto coppie che non possono avere figli con genitori desiderosi di condividere la responsabilità educativa con loro. Insomma l’argomento ci è sfuggito di mano: eravamo partiti a fare alcune osservazioni su alcune futilità e siamo finiti dritti dritti in un nuovo possibile modo di intendere il marketing. Non più solo una categoria economica ma un modo di istaurare nuove relazioni. Non solo perché alla base vi è la frugalità intesa non come penuria ma come divertimento ma anche perché l’economia della condivisione chiama in campo tutto il mondo delle relazioni. Di ciò che fa l’uomo “umano”. E in questo senso il web che finora si è espanso allargando le relazioni dall’individuo al gruppo compie una potente inversione di marcia. Infatti questa nuova forma di condivisione economica che si appoggia moltissimo alla Rete produce un’inversione di tendenza dall’individuale al sociale. Volete un esempio? Un network come EatFeastly.com che trasforma la casa per una sera in ristorante non fa solo guadagnare soldi ma, cosa più interessante, mette intorno al tavolo vuoto nuovi commensali, fa partire nuovi incontri, aiuta a vincere

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alcune solitudini. Ma questo lo sapeva già la fata Madrina quando regalò un vestito nuovo a Cenerentola: bisogna dare alla gente l’opportunità di uscire anche solo per poco dalla routine, dare, anche solo in prestito, la carrozza per potere arrivare dal Principe. Il resto della partita dobbiamo giocarcelo da soli, ma una carrozza può essere in alcuni casi più utile di una zucca. Perciò se per una sera indosseremo il vestito di una diva, qualcosa di buono ci può persino succedere. Il resto è vita. L’economia non può tutto, per fortuna.


Sommario Editoriale La mia rubrica L’approfondimento Città dei Mille - anno 16 n. 1 Aut. Trib. n. 52 del 27 Dicembre 2001

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Sartoria Arcaini: un abito su misura

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cover story

Editore: Editrice Bergamasca S.r.l. www.ediberg.it

5° Gran Galà della Solidarietà Nepios Foppapedretti, alle radici dell'albero delle idee

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vip & news

Direzione e Redazione: Via Madonna della Neve, 24 Bergamo Tel. 035 35 91 011 Fax 035 35 91 117 www.cittadeimille.com

Il sogno? tornare in Via Arena Ho realizzato un sogno: volare Un "tecnico" al Turismo: Roberta Garibaldi

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interviste

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shopping

Andrea Mainardi, cucina da showman Omar Fantini, comicità al galoppo

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interviste

Lartigianabottoni sale in cattedra al Politecnico Tessera a tutela delle proprie volontà Un grazie alla Bergamo che produce

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imprese

Luberg Enologia Cucina Wedding Golf Moda Motori Sanità Arte Spiritualità

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rubriche

BergamoJazz compie 35 anni La Madonna del Mantegna è tornata a Bergamo Società del Quartetto, stagione numero 109 Donizetti, rinnovare nella tradizione Le tre Fanfare incantano il Donizetti

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cultura

Direttore responsabile: Claudio Gualdi Direttore editoriale: Emanuela Lanfranco Redazione: Fabio Cuminetti Abbonamenti: 035 35 91 011 segreteria@ediberg.it 1 anno - 27 euro Stampa: Sigraf - Treviglio (Bg) Pubblicità: Tel. 035 35 91 158

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Co ver

Sartoria Arcaini: un abito su misura

Un altro mondo rispetto al pret-à-porter. "Il prodotto finale è notevolmente differente caso per caso. Tanto personale che spesso sta bene addosso al cliente e male sulla gruccia porta abito".

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rende le misure, taglia il modello e verifica sul cliente il capo imbastito. Luigi Arcaini è un architetto più che un costruttore. Parte da esperienze di formazione nella sartoria per poi diventare “uomo prodotto” - figura cardine con compiti di mediazione fra il marketing, lo stile e la produzione - nella confezione industriale e nel fashion design. Oggi conduce una sartoria a Bergamo, in via Cimarosa 6, dove vengono realizzati camicie, pullover e abiti da uomo, tutto esclusivamente e rigorosamente su misura. Con lui - esperto modellista e “cutter/ tagliatore” - intraprenderemo il percorso per realizzare un abito. Innanzitutto la scelta del tessuto. «È il momento sicuramente a cui si dedica maggior tempo in quanto il cliente deve sentirsi sicuro e appagato dalla scelta che ha fatto. Da sempre uso le stoffe prodotte dai migliori tessutai come Loro Piana, Ermenegildo Zegna, Vitale Barberis.

Questo è importante perché i tessuti sono la materia prima del vestire». Con quali criteri si sceglie il modello? «Innanzitutto è indispensabile avere una sartoria dotata di prototipi di taglia e taglio diversi da poter provare in modo tale che il cliente possa farsi un’idea di come potrebbe essere il suo abito. E poter apprezzare le diverse vestibilità e forme soprattutto nel punto che caratterizza la giacca: la spalla. In questa fase è importante la presenza del “cutter” che ascolta le esigenze del cliente ed espone quelli che possono essere i consigli tecnici e modellistici più idonei alle diverse conformazioni. Ogni modello ha le sue caratteristiche, il numero dei bottoni, l’ampiezza del rever, l’altezza e il numero degli spacchi. Deciso tutto questo si passa alla realizzazione del cartamodello, la mappa dell’abito!». E siamo giunti alla fase del taglio del tessuto.

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«La rilevazione delle misure, combinate con un sistema basato sulle proporzioni ideali delle statue greche formulato all’inizio dell’ottocento, permettono al modellista la creazione di un cartamodello - verrà tagliato con forbici diverse da quelle più grandi usate per il taglio del tessuto - che servirà per tutti i successivi capi realizzati per voi: se il peso cambia il cartamodello verrà allargato o stretto di conseguenza. La stoffa scelta, dopo un trattamento a vapore che ne stabilizza la dimensione, viene stesa sul tavolo e su di essa viene appoggiato il cartamodello in modo che il sarto segni con il gesso il contorno delle varie parti lasciando una certa abbondanza sui margini di cucitura per consentire gli adeguamenti dovuti al cambio di peso». La prima prova dopo quanto tempo? «Per una abito su misura occorre mediamente un mese di tempo ed è necessaria una prova a lavorazione in corso, normalmente

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dopo due settimane da quando si sono prese le misure. Il cliente prova l’abito imbastito, è una prova di controllo durante la quale vengono annotate le modifiche e i perfezionamenti necessari. Provando la giacca il sarto identifica l’assetto ideale della struttura che verrà successivamente stabilizzata e messa in forma con il fondamentale lavoro del ferro, ossia le operazioni di stiratura eseguite a mano a più riprese». Cosa differenzia una giacca di confezione sartoriale industriale da un capo di sartoria? «La sartoria è identità: parte dall’individuo e a lui ritorna. La confezione invece è forma: nasce da gusti condivisi e resta un fenomeno collettivo. Ecco perché chi sceglie il prêt-àporter ha una sola convinzione – quell’abito è bello -, mentre chi si affida alle sapienti mani di un sarto pensa: è mio. La sartoria tende alla realizzazione di forme e volumi che seguono e valorizzano la corporatura del singolo cliente con una lavorazione tradizionale basata, oltre che sulle pinces, su importanti interventi creativi del ferro sul tessuto. Il prodotto finale è notevolmente differente caso per caso. Tanto personale che spesso sta bene addosso al cliente e male sulla gruccia porta abito». Il guardaroba ideale di un uomo cosa deve comprendere? «Un guardaroba minimo comprende quattro-cinque abiti: due grigi, uno blu, e uno fantasia da scegliere tra il gessato, l’occhio di pernice o il principe di Galles. Un abito non dovrebbe mai essere indossato per due giorni consecutivi, anzi, deve essere fatto riposare dopo l’uso in modo tale che possa perdere l’umidità assorbita e riprendere le sue forme. Il guardaroba ideale prevede otto-nove abiti: due grigi, due blu, due fantasie, uno estivo in lana seta o lana mohair, eventualmente un velluto sportivo e un abito da cerimonia. L’abito grigio o blu può essere indossato con una maggior frequenza mentre per le fantasie come gessati e principe di Galles, più “appariscenti” sarebbe meglio distanziarne nel tempo l’impiego. Lo spezzato per le occasioni meno formali è una scelta funzionale, una volta si indossava la giacca blu con pantaloni grigi,

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oggi si preferisce la giacca grigia o blu indossata con i jeans. L’abito completo a tre pezzi comprende il gilet che dà alla figura un tono di formalità e completezza. In genere ha sei bottoni, può essere tutto in tessuto oppure con la schiena in fodera». Sotto l’abito l’uomo indossa un capo molto importante: la camicia. «Nella camicia vedi tutto a colpo d’occhio: taglio, tessuto, finiture, colletto, polsino, cannoncino, bottoni, stiratura. La camicia sartoriale si distingue per tanti particolari, per il tessuto, nella misura e nel taglio, per una manica dal giro più stretto e una cuffia più alta, per la cura di asole e bottoni. La spesa non supera quella per una camicia già confezionata di buona qualità e in due settimane è pronta. Il collo italiano, o francese con le punte tagliate, da un punto di vista tecnico è più adatto all’uso con cravatta, mentre il botton-down è il meno indicato in quanto considerato più informale. Il polso potrà essere con spigoli più o meno smussati ma raramente rettangolare; può avere asola e bottoni oppure chiudersi con i gemelli. La camicia davanti può essere liscia, con il

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cannoncino cucito, semplicemente ripiegato o con l’abbottonatura all’inglese, cioè coperta». Armadio ideale di un uomo: quante camicie? «Nell’armadio di un uomo ci dovrebbero essere una quindicina di camicie di cui 8 nelle varie gradazioni d’azzurro, azzurrino, a righe sottili o a quadretti piccoli di gusto sobrio, 3 o quattro bianche e le altre in fantasia». Luigi Arcaini, qual è il tocco di classe che lascia il sarto? «Quando l’abito è finito si procede a mano alla finitura di particolari interni ed esterni e al trattamento finale di stiro a vapore che prepara il capo per la consegna… E non deve mai mancare un’etichetta con la data dell’ordine e il nome del cliente che viene cucita al suo posto, ovvero all’interno della tasca destra». sartoria arcaini via Borgo Santa Caterina, 41 Bergamo 035.226405 - www.luigiarcaini.com


VIP

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5° Gran Galà della Solidarietà Nepios

iovedì 17 gennaio, al Teatro Donizetti, il pubblico delle grandi occasioni ha voluto testimoniare con la sua presenza la gratitudine verso Nepios, associazione a tutela dell'infanzia, nella persona della presidente Tullia Vecchi. La onlus si prodiga a raccogliere fondi per mantenere e proseguire gli obiettivi dei progetti in corso: in collaborazione con Neuropsichiatria Infantile dell'Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII di Bergamo, il progetto Diagnosi precoce dei disturbi dello sviluppo neuropsicomotorio e cognitivo nelle età sensibili in bambini selezionati per alto rischio", e in collaborazione con il Centro per il Bambino e la famiglia dell'ASL di Bergamo, il piano di prevenzione secondaria del disagio psichico in bambini ed adolescenti in condizioni socio-familiari di pregiudizio presso il centro Famiglia di Longuelo. Cos'è Nepios Nepios, nata nel 2001 è un'associazione senza scopo di lucro a tutela dell'infanzia e della famiglia, che opera grazie a un fondo incre-

mentato dai contributi diretti degli associati e di terzi pubblici e privati. Incoraggia e gestisce iniziative di carattere culturale, ricreativo e di sensibilizzazione sociale, atte a reperire fondi da destinare a progetti in linea con gli scopi statuari. I fondi raccolti sono destinati a progetti di vario genere, tutti finalizzati a sostegno dell'Infanzia e della Famiglia. Nepios opera in stretta collaborazione con le Istituzioni cittadine ed è sovvenzionata dalla generosità delle imprese del territorio bergamasco, che sempre si dimostrano sensibili alle iniziative. Tra i progetti Nepios conclusi, ricordiamo la collaborazione con" St. Mary's Lacor Hospital -Gulu in Uganda, impegnata dal 2001a 2006 con la partecipazione di 120.000 euro, e continuata dal 2007 al 2011 con un importo di altri 120.000 euro. Altro progetto concluso, la "Costruzione del Villaggio dedicato a Silvia e Michele Citarristi ad Azimganj in India che Nepios ha finanziato con 77.500 euro. In Ecuador Nepios ha

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promosso il progetto triennale Esmeraldas, proposto dalla signora Citaristi per dare vita a una piccola impresa di confezioni, con un contributo di 6.152 euro. Sesto progetto sostenuto da Nepios "Mettiamoci in gioco" in collaborazione con l'Oratorio S. Filippo Neri di Bergamo, del quale sono stati utilizzati gli spazi. LĂŹ 80 bambini, tutti stranieri, hanno avuto la possibilitĂ di aggregarsi e sentirsi accolti e sostenuti circa l'aspetto scolastico e le dinamiche razionali e amicali. L'evento svoltosi al Teatro Donizetti, concesso dall'amministrazione comunale di

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Bergamo, oltre al contributo del pubblico, si è potuto realizzare grazie anche alla disponibilità di tutti gli Artisti: Pippo Baudo, Serena Auteri, Al Bano, Archimia, Chiara Canzian, Coro I Mitici Angioletti, Enzo Jacchetti, Giampiero Perone, Gigi D'Alessio, Mario Biondi, Massimo Boldi, Maurizio Fabrizio, Roby Facchinetti and Harmonium, che hanno offerto la loro partecipazione a titolo gratuito, e reso la serata straordinaria. Grazie anche al lavoro "extra" del nostro Roby Facchinetti, direttore artistico del Gran Galà .

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Foppapedretti, alle radici dell’albero delle idee

La storia dell’azienda in mostra al Macef

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ai giocattoli in legno realizzati dal fondatore Ezio Foppa Pedretti nella soffitta di casa, nell’immediato Dopoguerra, al passeggino con motore elettrico premiato con il Red Dot Design Award nel 2011, passando per i banchi scuola degli Anni Settanta e i prodotti per la casa che hanno rivoluzionato e semplificato la vita delle casalinghe italiane a partire dagli Anni Ottanta. Poi i mobili da giardino progettati da noti designers e i successi sportivi con le sponsorizzazioni di pallavolo femminile e football americano, senza dimenticare le imponenti campagne pubblicitarie che hanno contribuito a rendere il marchio Foppapedretti tra i brand più conosciuti a livello nazionale. La storia dell’azienda bergamasca, dal 1946 ad oggi, sarà protagonista della mostra Foppapedretti: alle radici dell’albero delle idee presentata al Macef, l’importante Salone internazionale della casa in programma a Milano, nel polo fieristico di Rho, dal 24 al 27 gennaio (Padiglione 3). Un progetto, a cura dell’architetto Luca Trazzi, che prevede un suggestivo allestimento con gli storici articoli che hanno segnato i successi del marchio Foppapedretti, fino ad oggi gelosamente conservati in azienda dalla famiglia

Foppa Pedretti. In mostra si potranno ammirare i giocattoli che hanno contraddistinto i primi anni di attività dei fratelli Ezio, Tito e Letizia Foppa Pedretti, insieme ai prodotti dedicati alla prima infanzia, come un seggiolone degli Anni Cinquanta e un tavolino da campeggio trasformabile in valigetta contenente quattro sedie pieghevoli, tutti rigorosamente in legno, poi fantasiosi carretti trainati da cavalli, colorati trenini e modellini di cucine super accessoriate, fino ai lettini e alle camerette degli Anni Settanta e Ottanta, insieme all’ormai celebre Sediolone, che in oltre trent’anni ha venduto più di un milione di pezzi. Non mancano gli storici articoli dedicati alla casa, che a partire dagli anni Ottanta hanno contribuito al successo del marchio, apprezzato per la funzionalità e la qualità dei prodotti studiati per facilitare la vita di ogni giorno. Protagonisti gli oggetti per la casa che, dopo oltre vent’anni, continuano ad essere tra i best seller nati dall’albero delle idee di Foppapedretti: su tutti, l’asse da stiro Asso e lo stendibiancheria Gulliver, progettati dall’ufficio tecnico aziendale prima diretto dal geniale progettista Franco Andreoli, poi da Edilio Zilioli e, negli ultimi anni, dall’ingegner Luciano Cuni. Da non dimenti-

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care le collezioni realizzate da Foppapedretti in collaborazione con noti designer e architetti: dai mobili da giardino disegnati da Giandomenico Belotti nei primi Anni Novanta alla colorata e innovativa Collezione Trax progettata da Luca Trazzi, passando per i complementi d’arredo del giapponese Toshiyuki Kita e i mobili da esterno in acciaio inox dello Studio Talocci Design di Roma. In esposizione anche l’evoluzione dei mobili da giardino di Foppapedretti: dalle sedie in laccato bianco passando per il legno africano Iroko, fino alle poltrone in teak e acciaio. Non può certo mancare l’ultima novità dell’azienda di Grumello del Monte: l’innovativo passeggino con motore elettrico Myo Tronic, che punta a rivoluzionare il settore del passeggio per la prima infanzia. A rendere prestigioso l’albero delle idee, storico simbolo dell’azienda, ha contribuito anche la squadra di pallavolo femminile Foppapedretti Bergamo, che dal 1991 è protagonista nel massimo campionato italiano e nelle coppe europee: in mostra al Macef alcuni dei 29 prestigiosi trofei vinti in vent’anni dal team rossoblu, che ha contribuito a portare la pallavolo femminile italiana ai massimi livelli.

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Inter vista

«Il sogno? Tornare in via Arena»

Emanuele Beschi, nuovo direttore dell'Istituto Superiore di Studi Musicali Gaetano Donizetti di Bergamo per il triennio 2012-2015: «Non mi aspettavo una situazione così delicata per quanto riguarda i bilanci»

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ra bello quando, passeggiando per Città Alta, si arrivava in via Arena e passo dopo passo si finiva quasi ipnoticamente attirati verso quella casa da cui si diffondeva musica. Musica importante, lo stesso ritornello lo si sentiva ripetere una, due, tre volte, e ancora, finché non giungeva perfetto. Ecco, si era davanti al conservatorio, dove gli allievi si stavano preparando per il loro futuro musicale. Per noi bergamaschi rimarrà sempre conosciuto come “il Conservatorio”, anche se bisogna dire Istituto Superiore di Studi Musicali, e la sede non è più nella romantica sede di via Arena ma in via Scotti, in Città Bassa. Dove incontro il nuovo direttore, il professor Emanuele Beschi. Professore, cosa significa dirigere questo tipo di istituto?

«Anch'io mi posi questa domanda tempo fa, quando i colleghi del Conservatorio di Milano mi chiesero di assumermi la carica di direttore, di "studiare" da direttore. Ma nello studiare le problematiche di un Conservatorio così importante per storia e per numeri ho capito una cosa: questi “numeri” avrebbero impegnato tutte le energie che avevo a disposizione. Quando dei colleghi mi proposero la sede di Bergamo, mi dissi che era un conservatorio più a dimensione d'uomo, e soprattutto con il fascino di una grandissima storia alle spalle. Il fascino di questa storia ha contribuito a farmi scegliere questa strada. Chiaramente rispetto a Milano i famosi “numeri” sono inferiori, anche se in questi anni sono decisamente aumentati. Stiamo parlando di circa quattrocento allievi. E mi sono accorto solo dopo un mese che le energie, viste le dimensioni, me le porta via comunque tutte…».

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Di Emanuela Lanfranco

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Non ha trovato quello che pensava di trovare? «Mi sono trovato un Istituto Superiore di Studi Musicali importante, non solo dal punto di vista didattico, che si distingue nel panorama italiano, ma anche per le capacità e la storia. I docenti che insegnano qui sono di primissimo ordine, e questo è un fiore all'occhiello dell'istituto. Ho trovato il massimo di quello che si può desiderare». Quale sarà il suo metodo? «Per me importante è riuscire a far vivere la formazione e coniugarla con quello che sarà poi la produzione. E' stato uno dei miei scopi fondamentali come docente a Milano, dove mi sono dedicato con passione all'attività didattica e alla fase di uscita dello studente. Troppe volte un bravissimo strumentista si sente una stella nell'istituto musicale dove suona, poi dopo l'ultimo esame si trova completamente spiazzato in un mondo che spesso non riconosce il valore. Anche perché il mondo della musica, dei teatri e dell'orchestra è completamente saturo. Del resto la nostra nazione non investe risorse e non riesce nemmeno a sviluppare quelli che potrebbero essere i potenziali della nostra cultura». Vuol dire che non c'è collaborazione tra i vari enti? «Collaborare non vuol dire solo scambio di merce umana, di studenti che vanno ad integrare l'orchestra: vuol dire avere una progettazione sulla tematica, sull'uscita dei ragazzi. L'offerta formativa che viene data ai nostri ragazzi non è più come nel vecchio conservatorio, dove gli sbocchi erano quattro: orchestra, musica da camera, solismo per i più fortunati, insegnamento. Ora l'offerta è molto più ampia. La riforma, la famosa Legge 508, ha un punto molto forte che è quello dell'offerta formativa, che dà ai nostri studenti la possibilità di una preparazione ampia. È possibile diventare un operatore nel mondo del teatro, un tecnico del suono. Il ventaglio è esteso». Parliamo dell'istituto. «Non mi aspettavo una situazione così delicata per quanto riguarda i bilanci». Spieghi meglio. «Io arrivo da un conservatorio dove ci devono essere ottimi amministratori, anche se non è il problema di fondo perché lo Stato comunque

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garantisce. Però bisogna usare il denaro pubblico in modo attento e con parsimonia. Ma qui, e in altri venti istituti italiani, i tagli sono corposi. Il Donizetti è sostenuto dal Comune e da poche altre risorse. Con i tagli sono a rischio gli stipendi dei docenti. Sapevo che c'era un problema di questo tipo, ma non sapevo che il problema fosse così pesante». Ci sarà una statizzazione degli istituti? «Si sta lavorando alla statizzazione degli istituti musicali. Una statizzazione graduale. Stava uscendo un articolo sul decreto che la riguardava, ma siamo di fronte alla chiusura imminente delle Camere, per cui può darsi che tutto possa saltare». Torniamo al professor Beschi. Quale iter segue la nomina di direttore? «La mia fortuna è che il direttore è eletto dalla base, e la base non significa che gli insegnanti sono nominati con graduatoria nazionale. La carica non è come una carica politica, non devi superare un concorso, per la nomina di

direttore ci deve essere la fiducia del 50% più 1 dei voti dei colleghi docenti, perchè il direttore viene eletto tra i docenti che potrebbero essere anche di altri istituti». Secondo lei perché hanno fatto il suo nome? «Credo di essere stato chiamato per un motivo molto semplice: sono uno strumentista ancora in attività, quindi ho molti colleghi che conoscono il mio lavoro. E poi perché ho un incarico al Ministero: sono nel Consiglio Nazionale per l'Alta Formazione Artistica (Cnam). Sono un consigliere tecnico, quindi conosco norme e leggi. La fiducia di cui godo presso il Ministero forse ci darà la possibilità di portare in questa città qualche progetto che faccia da grimaldello ai privati. Parlo di fondazioni o banche. Per avere credibilità sul territorio bisogna agire su progetti di fascia alta. Non per autoincensarmi, ma sono stato prima viola per quasi trent'anni in un'orchestra, l'Angelicum, dove ho subito due licenziamenti. E ho subito la chiusura dell'orchestra della

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Rai di Milano. Ma io ho avuto la forza di far nascere un'altra orchestra, insieme ai miei colleghi, sulle ceneri dell'Angelicum, della quale sono diventato direttore artistico. Ho fondato a Brescia il Festival di Musica Antica, diventato in pochi anni internazionalmente riconosciuto. Ritengo di aver fatto qualcosa per la musica, e i miei colleghi me lo hanno riconosciuto». Direttore dell'Istituto Superiore di Studi Musicali Gaetano Donizetti, nella città di Donizetti. Un'emozione. «La cosa che mi ha stupito è che in una città con una tradizione come quella di Bergamo molti bergamaschi non conoscano l'istituto. Credono sia una scuola privata. Pensare che, come ho detto, gli allievi sono quattrocento, nonostante le rette elevate». Mai avuto lamentele? «Una cosa che non avevo messo sul piatto della bilancia sono proprio alcune lamentele da parte dei genitori, specie dei ragazzi che arrivano dalla provincia. Che hanno addirittura la retta più alta rispetto a quelli di città». Perché? «Perché l’istituto è sovvenzionato dal Comune. Forse un aiuto anche dalla Provincia potrebbe essere la soluzione per queste famiglie che si lamentano. Ma le casse provinciali non sono floride, in questo periodo». Professore, ma qual’è la differenza tra conservatorio e istituto musicale? «Il conservatorio è statale, gli istituti musicali parificati sono sovvenzionati da Comuni, Province o altri enti. Negli ultimi anni conservatori e istituti sono stati tutti riconosciuti come Issm (Istituto Superiore di Studi Musicali) nella Afam (Alta Formazione Artistica Musicale). Non c’è differenza, dunque, se non amministrativa». Il progetto che vorrebbe realizzare durante la sua direzione? «Il mio sogno sarebbe di riportare qualche attività in via Arena. Spetterà al sottoscritto, insieme al consiglio accademico, valutare quale iniziativa potrebbe essere: un corso di alta formazione, un biennio superiore, un master particolare e, perché no, la direzione». IL CURRICULUM Insegnante di viola in ruolo presso il Conserva-

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torio di Musica “Giuseppe Verdi” di Milano dal 1/11/1991. È stato docente di viola presso il Conservatorio “Luca Marenzio” di Brescia, sezione staccata di Darfo Boario Terme dall’anno scolastico 1985/86 fino al trasferimento presso il Conservatorio di Milano. È stato consulente artistico, sotto la direzione dei direttori G. Salvetti, L. Taschera e B. Zanolini della Filarmonica del Conservatorio. Ha inoltre seguito il settore comunicazione e, in particolare, i rapporti tra Conservatorio e Istituzioni – Festival con l’estremo oriente. Gaetano Donizetti Ha insegnato Marketing dell’arte e dello spettacolo (2009 – 2011) presso Machina – Lonati Faschion and Design Institute – Brescia. Ha ricoperto il ruolo di prima viola presso alcune tra le più importanti orchestre sinfoniche e da camera italiane: Angelicum di Milano, Pomeriggi Musicali, Milano Classica, Orchestra Sinfonica di Bergamo, Filarmonici di Verona, Orchestra Verdi di Milano, Orchestra Sinfonica di Brescia, Toscanini di Parma, è, inoltre, commissario in giurie di concorsi per viola e concorsi e audizioni per orchestre.

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La sua attività artistica, oltre a comprendere un’importante carriera cameristica in Duo, Trio e Quartetto con pianoforte, lo ha visto protagonista, negli ultimi anni, nel campo della Direzione Artistica d’importanti realtà italiane: - Fondatore dell’Orchestra Milano Classica di cui è stato dal 1993 al 1995 consulente artistico di Lorenzo Arruga. - Direttore Artistico dal 1995 al 2000 dell’Orchestra Milano Classica. - Direttore Artistico dal 2000 al 2002 dell’Orchestra Sinfonica di Brescia. - Consigliere e coordinatore artistico dellaFondazione Romano Romanini di Brescia e coordinatore artistico del prestigioso concorso internazionale di violino “Città di Brescia” dal 2002 al 2006. - Nel 2003 decide di far rinascere il glorioso Festival di Musica Antica di Brescia, e fonda l’Associazione Nuove Settimane Barocche, di cui è Presidente e Direttore Artistico promuovendo le “Settimane Barocche di Brescia” – Festival Internazionale di musica antica in Brescia e provincia, Festival che ha avuto, ad oggi, importanti riconoscimenti in campo nazionale ed internazionale. - Partner e membro del consiglio d’ammini-

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strazione di Rete Orfeo – Circuito Lombardo di Musica Antica - Nominato, a Parigi, nel consiglio di amministrazione del R.E.M.A. (Réseau Européen de Musique Ancienne) dal 2006. - Fondatore e direttore artistico dell’associazione culturale Piano Nobile di Brescia dal 2009 al 2011. - Consulente per gli eventi musicali di Cremona “Mondomusica” e “Mondomusica New York”. - È stato nominato nel 2009 consigliere e rappresentante del Ministro Mariastella Gelmini nel CNAM, Consiglio Nazionale per l’Alta Formazione Artistica e Musicale. - Riconfermato consigliere CNAM nell’attuale legislatura. - Dal 2009 è membro del Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della musica presieduto da Luigi Berlinguer.

Insegnante di viola in ruolo presso il Conservatorio di Musica “Giuseppe Verdi” di Milano dal 1 novembre 1991


Inter vista

«Ho realizzato un sogno: volare»

Domenico Di Giminiani, ex allievo dell’Istituto Aeronautico Liceo Scientifico Aeronautico “Antonio Locatelli”: «Non c'è obiettivo più ambizioso che realizzare un sogno». E lui c’è riuscito

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rima di presentare Domenico Di Giminiani vorrei presentare l'istituto aeronautico, una realtà locale di grande importanza perché, come lo dimostrano anche i fatti, è una scuola che offre opportunità di lavoro ai suoi alunni a breve, appena ottenuto il diploma. Bisogna sfatare il mito che «finito il liceo non hai in tasca nulla». Per quanto riguarda il liceo scientifico aeronautico la realtà è diversa. Il corso di studi è costituito da un ciclo quinquennale articolato in un biennio propedeutico e in un successivo triennio di specializzazione. Al termine del corso gli studenti conseguono il diploma di maturità valido per l'accesso a tutte le facoltà universitarie, per il concorso alle accademie militari

(nei ruoli di pilota e non) e per l'inserimento nel mondo del lavoro. Gli allievi in possesso dei requisiti per l'idoneità di volo hanno la possibilità durante il 4° anno di accedere alle attività per il conseguimento dell'attestato di pilota privato (PPL), e durante il 5° anno possono completare il ciclo di addestramento utile a conseguire la licenza di pilota commerciale. Il titolo conseguito permette di avviarsi alla carriera di controllore di volo, meteorologo, pilota professionista, dirigente di enti e compagnie aeree, assistente (hostess e steward) di terra e di volo, e a tutte le carriere connesse col trasporto aereo per il quale è da prevedere un notevole sviluppo nella regione (aeroporti di Malpensa, Linate e Orio al Serio, Montichiari).

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Chi ha seguito questo iter è Domenico Di Giminiani. «Non sapevo quale potesse essere il mio futuro. Finita la terza media, non sapevo che superiori scegliere, e finite le superiori non sapevo cosa fare da grande. Ho frequentato il liceo scientifico aeronautico perché "costretto". Nel senso buono. Mio papà è dirigente scolastico dell'istituto, e comunque il liceo mi avrebbe dato più possibilità di scelta per un futuro universitario. Il problema si è posto anche terminato il liceo, non avevo il pallino per l'aeronautica». E quando ha scelto di fare il pilota? «Nel momento in cui ho effettuato il mio primo volo. Durante il liceo ovviamente ho acquisito tutta la preparazione che offre la scuola. Alla fine mi son detto: perché non prendere la licenza di volo? Così, quando iniziò la collaborazione tra l'istituto e la Gestair, scuola di volo portoghese, feci questo corso che consisteva nel seguire la parte teorica, 14 materie di esami da superare in Italia, e la parte

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pratica, 150 ore di volo, a Lisbona. Queste ore di volo ovviamente sono con l'istruttore. Finché non ritiene che sei pronto per volare da solo. Dopo 10-15 ore ho fatto il mio primo volo solista... qui mi sono reso conto che questo sarebbe stato il mio lavoro. La sensazione avvertita durante il primo volo solista ti resta dentro, ti avvince, ti prende e non ti abbandona più». Quale è stato il suo percorso? «Dopo la maturità, iniziai il corso a

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novembre 2009 e terminai a maggio 2011. Nel giro di quindici mesi presi la licenza di volo. Ovviamente ogni linea aerea ha i suoi aeromobili per i quali ci vuole un ulteriore specializzazione. Nel mio caso, avendo trovato lavoro presso la Sonnig, compagnia Executive, ho fatto il passaggio macchine, perché sopra un determinato peso c’è bisogno di una licenza apposita. Avendo ottenuto un posto di lavoro sull’ Hawker, ho dovuto fare una specializzazione sull’ Hawker


1000, aereo della compagnia». Quale è stato il viaggio più emozionante? «Ogni viaggio è un'emozione, indipendentemente dal volo. Può dipendere dai personaggi che trasporti. Una volta avevamo a bordo una signora con una bimba e la baby sitter; arrivati in aeroporto vedo uno che sale la scaletta, era Bruce Willis: avevamo trasportato sua moglie con la figlia! Un’altra volta abbiamo portato il tenore Jose Carreras in Turchia, per un concerto: ha invitato tutto l'equipaggio a teatro». Ricorda il primo volo ai comandi? «Lo ricordo benissimo, il comandante era il capo della compagnia aerea, volo Ginevra-Nizza. Ero agitato, addirittura balbettavo nel fare le comunicazioni con la torre di controllo. La prima volta che ho portato un aereo a terra, da solo, è stato alla fine di un volo Dubai-Rimini: eravamo vuoti, senza passeggeri, ci stavamo avvicinando alla pista. Il comandante mi disse “You have controls” (prendi tu il controllo). Si mise a braccia conserte e mi lasciò fare. Feci un bell’atterraggio». Lei segue anche la vita dell'istituto all'esterno, per esempio con i ragazzi che devono fare il brevetto. «Per l'istituto mi occupo di seguire il dopo maturità. Lavoro come Deputy in una scuola di Fort Pierce e Venice, la Flyeft, dove vengono indirizzati gli allievi in procinto di iniziare la carriera di pilota, perche fare il pilota non è un lavoro ma è uno stile di vita. Seguo anche il marketing dell'istituto aeronautico: lavorando nel mondo dell'aeronautica ho la possibilità di essere un diretto testimone di questa realtà, cosa molto utile: gli allievi con i cui mi confronto sono curiosi di saperne sempre di più di questa attività. In istituto ci sono le aule con simulatore di volo e simulatore di torre di controllo: queste ore sono le più amate dai ragazzi perché ti portano a vivere "virtualmente" la fase più importante di quello che sarà il lavoro».

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Quali sono le materie specifiche dell'istituto? «Aerotecnica: studia l'aerodinamica, l'impiego dei diversi tipi di motori, le leggi della meccanica del volo, le caratteristiche costruttive, le prestazioni e l'impiego degli aeromobili. Circolazione Aerea: regole e procedure osservate nell'aviazione civile da piloti e controllori del traffico aereo per svolgere un sicuro, ordinato e veloce trasporto aereo a terra e di volo. Navigazione Aerea: navigazione significa spostarsi da un punto all'altro della terra in volo conoscendo sempre la propria posizione rispetto alla sua superficie. Partendo dagli elementi che caratterizzano la Terra, la sua forma, le sue dimensioni e i suoi movimenti, la navigazione aerea deve risolvere in modo corretto i tre problemi fondamentali: la posizione, la direzione, la distanza oltre alla corretta misura del tempo. Meteorologia Aeronautica: le previsioni del tempo come applicazione della meteorologia condizionano quotidianamente l'umore e l’emotività delle persone, nonché numerose attività umane. In ambito aeronautico la meteorologia ha un ruolo ancora più importante perché deve garantire la sicurezza del volo e quindi di milioni di passeggeri».

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Le opportunità di lavoro ai ragazzi dopo il diploma? «Sono sono notevoli, in campo civile: C o m p a g n i e a e re e : P i l o t a , Fl i g h t Dispatcher, Assistente di volo (hostess e steward), Impiegati dei servizi a terra. ENAV (Ente Nazionale Assistenza Volo): Controllore di volo, Esperto di assistenza volo. ENAC (Ente Nazionale Aviazione Civile): Personale della Direzione Aeroporto in tutti gli aeroporti civili, Licenza operatore del servizio informazioni Volo (FIS). Società gestione aeroportuale: SACBO (Orio al Serio) e SEA (aeroporti di milano): Operatore specializzato. Opportunità anche nel mondo militare, Forze Armate: Accademia aeronautica: Pilota, Navigatore, Controllore del

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traffico aereo. Ufficiale di complemento: Pilota, Navigatore, Controllore del traffico aereo». Ci sono tanti ragazzi che provengo dalla provincia, c'è la possibilità per loro di avere una struttura a disposizione, quella che una volta si chiamava collegio? «C'è una nuovissima struttura alla porte della città, a Madone, dove i ragazzi possono alloggiare in camere spaziose e attrezzate per le loro esigenze. C'è la sala ristorante, una sala per la tv, la possibilità di tenersi in allenamento in una palestra e sui campi da calcetto e pallavolo. Diciamo che si vive la scuola con un altro concetto, un po' più stile campus. E a loro disposizione c'è un bus navetta per raggiungere la scuola».


Inter vista

Un "tecnico" al Turismo: Roberta Garibaldi

Bergamo è ricca di interesse e una felice scoperta per tutti quelli che ci arrivano

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ei è docente per l'Università di Bergamo. Da gennaio ha la delega al Turismo per il Comune di Bergamo. Un tecnico “prestato” all’Amministrazione, per portare competenze di alto livello al servizio di un progetto per la città. È un incarico che mi riempie di orgoglio. Amo la mia città e il turismo, insieme alla cultura, oltre ad essere il mio lavoro, sono soprattutto le mie passioni. Diciamo che ho realizzato un piccolo grande sogno: avere la possibilità di contribuire concretamente alla valorizzazione di tutte le grandi potenzialità di questa città. Il nostro è un territorio unico e sono convinta che insieme, tutti gli attori di città e provincia, potremo fare grandi cose. «Prima solo l'8% di chi arrivava a Orio entrava in Città Alta: oggi lo fa il 16%»,

ha detto Tentorio in sede di sua nomina al posto di Paolo Moretti. Fino a che punto è possibile intercettare i viaggiatori che passano da Orio? In questi anni è già stato fatto un ottimo lavoro. Continuando e potenziando le attività di promozione e contribuendo a dare a Bergamo una identità forte, unica e definita sul fronte turistico, potremo incrementare ulteriormente le presenza in città. Bergamo è ricca di interesse, è una felice scoperta per tutti coloro che ci arrivano. Il passaparola si sta diffondendo, il lavoro fatto in questi anni sta dando i suoi frutti. Il nostro obiettivo è quello di far conoscere e far scoprire ancora di più la nostra città perché chi la visita non può non amarla. Su quali binari si sta muovendo la sua attività? Prima di tutto sul dialogo. In questo primo

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mese di attività ho incontrato molti operatori del settore per raccogliere suggerimenti e richieste. L'obiettivo è quello di arrivare a disegnare un progetto, il più concreto possibile, da condividere con tutti gli enti che lavorano insieme al Comune per il turismo del territorio. Bergamo card (la tessera che consente al visitatore di avere accesso a prezzi contenuti a mezzi di trasporto e musei, e di godere di sconti in ristoranti e negozi), urban steward (figure già sperimentate che avranno il compito di assistere i turisti dando loro informazioni sui servizi offerti dalla città): sono strumenti di marketing utili per il turista tipo a cui può interessare Bergamo? Sono utili, importanti ma soprattutto sono apprezzati. Lsa Bergamo card è stata uno strumento che ha favorito il dialogo e ha permesso agli operatori culturali di mettersi in rete, creando un ponte tra turismo e cultura. E’ stato un importante risultato raggiunto. Ha poi ottenuto nel 2012 apprezzabili risultati di vendita Già migliaia di turisti hanno ricevuto informazioni importanti dagli urban steward, è una esperienza da ripetere. Oggi il turista low cost si muove in autonomia sul web: Bergamo è ben attrezzata o si può fare di meglio? Già il fatto di avere un unico portale (www. turismo.bergamo.it) è un ottimo risultato. Il sito è un biglietto da visita importante per chi si affaccia per la prima volta alla nostra città e provincia da tutti i Paesi del mondo. Consci dell’importanza di questo mezzo, quest'anno lavoreremo maggiormente sui blog di turismo e sui social network più diffusi, monitoreremo la web reputation, offrendo ancora più informazioni ai turisti e ai visitatori attraverso la rete. L’andamento del turismo a Bergamo durante la crisi: un bilancio. Purtroppo anche la Bergamasca sta soffrendo. Dopo un 2011 che ci aveva risollevato il morale con numeri positivi, il 2012 si è chiuso con una flessione, ma che resta comunque inferiore alla tendenza nazionale. Siamo scesi ma meno degli altri, segno importante.

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Aspettiamo la fine della stagione invernale per vedere come è andata quest'anno. In linea generale si è accorciata la durata media del soggiorno e quindi la spesa media e, se da una parte il turismo straniero regge, quello italiano ha subito un contraccolpo importante. Nonostante i numeri però dobbiamo essere positivi perchè Bergamo e la sua provincia hanno molti punti di forza su cui puntare per risollevarsi. Expo, Unesco e candidatura a Capitale della Cultura: tre chance fondamentali. Expo 2015 rappresenta un’occasione unica e preziosa per incrementare le presenze turistiche sul nostro territorio e per generare un indotto che inevitabilmente ricadrà a cascata su tutti gli operatori economici. Si potrà dare volano all’economia e concretizzare per la prima volta un vero e proprio lavoro sinergico di programmazione congiunta dell’offerta culturale, turistica e commerciale. In Italia, in occasione di Expo è previsto un flusso turistico stimato in 21 milioni di visitatori. Bergamo deve presentarsi pronta con

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un'offerta ricca di eventi e manifestazioni dedicate, con la proposta di itinerari tematici sul territorio e magari legati ad altre città lombarde così di creare una grande occasione unica di promozione. È un passaggio cruciale, anche in vista della candidatura della nostra città a Capitale europea della cultura e alla lista Unesco, dove le sinergie dovranno essere complete da parte di tutto il territorio. E proprio la Candidatura a Capitale della Cultura 2019 è prima di tutto un'occasione per disegnare una nuova Bergamo, per pensare, tutti insieme, a come vorremmo la nostra città tra dieci anni. Tagliare questo importante traguardo vorrebbe dire riposizionare Bergamo nell'immaginario collettivo e far crescere il profilo internazionale della città. Sulla cultura in Lombardia c’è un’altra candidatura forte: Mantova. Che ha messo in campo anche Emma Marcegaglia. Bergamo ce la può fare? Possiamo farcela solo se ci metteremo nell'ottica di lavorare insieme perché l'obiettivo è importante. Qualunque sia l'esito, il


progetto della Candidatura può diventare comunque un punto di partenza per avviare riflessioni sulla politica culturale della nostra città, sulla creazione di un'identità cittadina più chiara e per la costruzione di nuove partnership.

tivato grazie alla presenza di altre forme di mobilità, dalla bici al trasporto pubblico. Questo significa più vivibilità e un maggior appeal per il turismo. Il turismo negli anni ha perso colpi di fronte alla concorrenza di altri Paesi.

esigenze ma su altri target. La promozione va centralizzata e riqualificata. Ricordiamoci della grande occasione Expo. Il Certet della Bocconi ha calcolato un impatto sul turismo italiano di 11 miliardi euro e solo insieme possiamo essere vincenti.

Una città estera che Bergamo potrebbe assumere a modello e perché. Le città soprattutto europee che si possono prendere a modello sono tante, da Amsterdam e Friburgo: piste ciclabili e pedonali, una forte coscienza ecologica, una dinamica scena artistica e culturale a cui contribuiscono i molti giovani che frequentano l'università. Prendo come esempio Friburgo dove è stato creato il distretto di Vauban, il quartiere car-free più grande d'Europa dove l'uso dell'auto è disincen-

Quali passi in avanti sono chiamati a fare operatori e sistema pubblico per invertire la tendenza? È necessario e fondamentale lavorare in rete. Nel turismo non si può essere vincenti se ognuno segue la propria strada. Solo sviluppando sinergie è possibile riconquistare le posizioni perdute. Il turista legge l’offerta turistica come un unicum, un prodotto globale: non ha soddisfazione nel suo soggiorno se l’albergo è perfetto ma i servizi collaterali sono scarsi o non centrati sulle sue

Bergamo, 2030. Quale si auspica possa essere il futuro turistico della città? Un futuro in cui Bergamo sia riconosciuta come meta importante di turismo culturale. Sogno una Città Alta senza più auto nella piazze, con ancora più opere d'arte che la arricchiscano e servita da un grande parcheggio collegato con mezzi pubblici frequenti. Inoltre mi piacerebbe vedere ulteriormente valorizzato il Parco dei Colli.

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Andrea Mainardi, cucina da showman

Il ristorante mono-tavolo a Brescia, l’apertura a New York, le sfide con suor Stella a «La prova del cuoco», il disco «È straordinario»: lo chef bergamasco tramuta in oro ogni cosa che tocca. E se la ride

C'

è chi si assicura che da piccolo conteneva in nuce tutto quello che poi è diventato. Ne dava i segnali, almeno. Brillante lo è sempre stato. Un po’ matto, nel senso buono, pure. Quell’occhio furbo abbinato al sorriso assoluto se lo ricordano bene, nel quartiere Carnovali, in città, dove è cresciuto. Estro creativo fuori dal comune, frivolezza contagiosa, talento culinario e personalità spiccata l’hanno portato lontano. Trent’anni ancora da compiere, diploma all’alberghiero di San Pellegrino, ha mosso i primi passi da Frosio, ad Almè. Poi ha cominciato a girare. Grill di Courmayeur, La Siriola di San Cassiano, Casablanca di Baia Sardinia. E tre anni all’Albereta di un certo Gualtiero Marchesi. Il 10 marzo 2010 ha realizzato il suo sogno: essere chef patron di un ristorante

completamente restaurato e tutto suo, con un solo ed unico tavolo da 2 a 10 persone, «tutto da coccolare». È Officina Cucina, a Brescia (via San Zeno 119, www.officinacucina.com), dove bisogna prenotare con mesi d’anticipo. Ma i suoi piatti d’avanguardia sono arrivati anche Oltreoceano, a New York (The Bowery, Williamsburgh). E poi presto, in partnership, in Connecticut, Brasile, Marocco. E chi lo ferma più. Non c’è solo la scelta del tavolo singolo di rivoluzionario. La proposta culinaria è da fantascienza. Mainardone, come lo chiamano gli amici, ha sovvertito le regole tradizionali della ristorazione. Niente antipasto, primo e secondo, ma una decina di portate costruite liberamente sulle attitudini dei commensali. Un’esplosione di profumi e di sapori, spesso contrastanti, ma che poi alla fine si

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Di Fabio Cuminetti

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armonizzano perfettamente. Una sorpresa continua. E poi c’è lui, showman nel dna, ingrediente imprescindibile del menù. La sua specialità? Il ghiacciolo ostrica, limone e liquerizia, servito a magistrale chiusura di una spedizione degustativa nel futuro del gusto.

Ricordi la prima volta che ti sei messo ai fornelli? «Ci sono due aneddoti divertenti a riguardo. La prima volta ero piccolissimo e sono riuscito a bruciare la cappa. Avevo provato a flambare qualcosa ma un po’ di alcol mi è finito sulla fiamma, e addio

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filtro. Un’altra volta, invece, avevo fatto una sorta di crema pasticcera calda che per raffreddare in fretta ho messo subito nel frigorifero. Ma gli ho fuso il motore». Come definiresti la tua cucina? «L’importante è che non si parli di “tradizione rivisitata”, una definizione che proprio non sopporto. Diciamo che a mia è una cucina creata per il format particolare di Officina Cucina, allineata alle mie idee e gusti, e tendente al palato di tutti. Anche se caratterizzata da preparazioni estreme». A “La prova del cuoco” stravolgi le ricetta classiche di suor Stella. «A parte l’utilizzo dei tecniche inconsuete come la temperatura lenta che non supera mai la temperatura di 60 gradi e gli abbinamenti fuori dagli schemi, la mia è fondamentalmente una cucina divertente. Sorprende, ma soddisfa». Come sei arrivato su Raiuno? «Tutto è partito due anni fa con un primo provino. Cui ha fatto seguito con mia grande sorpresa una chiamata dalla Rai. Sono stato subito elettrizzato dall’idea di entrare in contatto con il pubblico di casa, a cui portare le mie ricette e la mia cucina. Stare di fronte alle telecamere è molto emozionante, e Antonella è davvero simpatica». Andare in televisione ha cambiato qualcosa? «La notorietà mi ha investito come un treno. La curiosità suscitata dalla mia cucina ha fatto allungare notevolmente i tempi delle prenotazioni al ristorante». Hai anche una figlia, Michelle, 4 anni. «È la mia vita. Non appena ho un minuto di libertà lo dedico a lei. Con la sua piccola cucina professionale a induzione ci divertiamo a preparare piatti per i commensali. Bambole, di solito! Le faccio sempre assaggiare le mie creazioni, il suo palato schietto non inganna». Come ti vedi tra dieci anni? «In giro per il mondo ad esportare il mio modello di ristorante con un tavolo solo su prenotazione. Vorrei aprirne tanti di locali come “Officina Cucina”».

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VERIFICHE PROTEZIONI INTERFACCIA AT-MT-BT NOLEGGIO della strumentazione compresa di personale tecnico SOSTITUZIONE dei sistemi di protezione obsoleti VERIFICA sistemi di protezione MT-BT integrati con apposite cassette prova COLLAUDO E MESSA IN SERVIZIO di sistemi di protezione mediante iniezione PRIMARIA e SECONDARIA delle grandezze da verificare

NORMATIVE CEI 0-16 CEI 0-21 Allegato Terna A70

Con il nuovo sistema di prova trifase RTS-3 (conforme alle normative CEI 0-16, CEI 0-21, all’allegato TERNA A70 e alla delibera ENEL AEEG 84/2012/R/EEL), siamo in grado di verificare IN CAMPO tutti i sistemi di interfaccia AT-MT-BT, compresi i sensori THYSENSOR e relè ABB con la conversione in segnali di basso livello.

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v i a Te r m i n i , 7 / c - 2 4 0 4 0 O s i o S o p r a ( B e r g a m o ) - Te l . 0 3 5 5 0 2 8 1 8 - F a x 0 3 5 5 0 2 8 2 0 - w w w . c m m e . i t - i n f o @ c m m e . i t


Inter vista

Omar Fantini, comicità al galoppo

La puntata pilota di «Provato per voi» su Italia 1, la web sitcom «Amici @ Letto» con Melissa Satta, la conduzione di «Metropolis» con Melita Toniolo, un film con Giannini e Cucinotta: per il bergamasco stagione sulla cresta dell’onda

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a carriera di Omar Fantini corre al galoppo. Il numero zero dello show «Provato per voi» - con Paolo Casiraghi (anche lui bergamasco), alias Suor Nausicaa di Colorado, e il romano Gianluca «Scintilla» Fubelli, dei Turbolenti – il 18 dicembre su Italia 1, in prima serata. La seconda serie della web sitcom «Amici @ Letto» con l’ex Velina Melissa Satta (« parliamo di una forma di relazione per cui due persone stanno insieme non legate da un sentimento ma da una reciproca urgenza fisica di piacere. Io sono stato scelto in quanto feticcio sessuale di tutte le donne italiane – scherza – mentre Melissa solo perché passava di lì»). La conduzione del programma di cabaret «Metropolis», su Comedy Central (canale Sky), con l’ex diavolita Melita Toniolo. La partecipazione, infine, al film «Oggi a me, domani a te», di Amedeo Visconti, in uscita ad aprile: è coprotagonista con

Diego Casale di Zelig, e nel cast compaiono nientemeno che Giancarlo Giannini, Maria Grazia Cucinotta e Anna Falchi. Omar, non ti ferma più nessuno. Partiamo da «Provato per voi», nato da una tua idea sviluppata con l’autore Andrea Boin. «Si trattava di vivere sulla propria pelle esperienze border-line, sperimentando tutto quello che la gente comune sogna di fare ma a cui rinuncia per paura, titubanza o mancanza di mezzi. Prove estreme che suscitano emozioni diverse, dalla vergogna alla paura, dallo «schifo» al dolore. Sono andato a posare nudo in una scuola d’arte e ho sfidato il pugile Clemente Russo, per dare un’idea». Com’è andato l’esperimento? «Stiamo ancora aspettando una risposta dalla direzione di Italia 1. Si sono presi tempo fino a marzo per decidere se il programma entrerà nel palinsesto della

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Di Fabio Cuminetti

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prossima stagione, da settembre o magari da gennaio. Gli ascolti non sono stati entusiasmanti, ma fare una “one shot” in una serata così complicata, contro la partita e Ballarò, non era facile. I riscontri in rete però sono stati estremamente positivi: abbiamo animato la serata, attraverso Twitter e Facebook, dei siti che si occupano di televisione. Unica eccezione una giornalista di Tv Blog che mi ha attaccato frontalmente. In modo divertente, sia chiaro». L’originalità della proposta è piaciuta. «C’è voglia di novità. Vediamo, nel caso ce ne diano la possibilità, se riusciamo a reggere una serie. Secondo me su una programmazione lunga “Provato per voi” potrebbe esplodere in tutta la sua naturalezza. Lavoreremmo con più libertà. La puntata pilota, invece, è stata come camminare all’indietro su un cavo a 300 metri d’altezza. Con uno zaino di piombo». Limiti di produzione? «Non dico che la puntata sia stata smembrata, sarebbe troppo. È stata completamente rimontata, tutto spostato. Il risultato è buono, ma sono saltati i

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commenti post prova che a mio giudizio rappresentavano una parte intrigante». Le prove con le auto sportive sono sparite del tutto. «Vero. E sì che erano meno diseducative di altre – ride Fantini -. Forse ci sono stati problemi legati alle sponsorizzazioni. Comunque è stato bello provare delle supercar. Io e Paolo ci scannavamo per la vittoria mentre Scintilla faceva lo scemo. Esempio: partenza con gas a martello, frenata in fondo al rettilineo, quattro frecce. Per scendere a fare pipì». Qual è il target di uno show di questo tipo? «Prettamente maschile. Non ci sottoporremmo mai a prove di uncinetto o a sfilate con tacco 13. Per questo, forse, abbiamo sofferto la concorrenza della partita». Ma come, Omar Fantini nudo non alza la curva degli ascolti al femminile? «Sì, forse si sono aggiunte quattro donne sopra i 75 anni…». Pa s s i a m o a Me t ro p o l i s . C o m e d y Central ti sta dando grande fiducia. «Non avevo mai considerato di tatuarmi addosso il logo di un canale televisivo, ma in questo caso potrei farlo. A Comedy

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Central investono su di me da 5 anni, con due-tre progetti ogni stagione, e per questo li ringrazio. Mi hanno lanciato come conduttore e spero di fruttargli bene. I risultati di Metropolis, per il momento, sono molto buoni». Meglio i canali piccoli, quindi? «Hanno un concetto di costruzione del palinsesto di lungo periodo, non sono legati in maniera così stringente agli ascolti. Sono parti di grandi network internazionali, se lo possono permettere». Passiamo a «Amici @ Letto». Quali le novità della seconda edizione? «L’anno scorso abbiamo spiegato cosa significa essere amici di letto. Quest’anno ci dedichiamo soprattutto alla vita dei due protagonisti. E prendiamo in giro molte mode del momento: il sadomasochismo di «50 sfumature di grigio», i cooking show tipo “I Menù di Benedetta” e “Masterchef ”, i sex tape delle star. Come quello di Belen. Il cast è allargato: c’è anche Scintilla che viene a vivere da noi, e Omar Pedrini, ex Timoria, fa la parte di mio papà. Con tanto di consigli sessuali al suo “bambino”».


Impre se

Lartigianabottoni sale in cattedra al Politecnico di Milano

Antonia Gualini, responsabile ufficio stile dello storico marchio della “Button Valley”, ha fatto scuola agli studenti del Corso di Design del Gioiello

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artedì 8 gennaio di gloria per Lar tigianabottoni, storico marchio bergamasco che produce bottoni e bijoux per le più importanti griffe del made in Italy. L'azienda è salita in cattedra al Politecnico di Milano di fronte agli studenti del corso di Design del Gioiello. Nell’ambito del progetto culturale “Il Bijou Italiano del Novecento” Antonia Gualini, presidente e responsabile dell’ufficio stile, ha tracciato la storia dell’accessorio negli ultimi decenni attraverso l’esperienza sul campo vissuta con l’azienda di famiglia. «Ho accettato con piacere l’invito dell’ateneo milanese», spiega Antonia Gualini. «Il confronto con i giovani è

sempre istruttivo. Sono ricchi di idee, creatività ed entusiasmo. È nostro dovere guidarli, insegnando loro i trucchi del mestiere, e aiutandoli ad esprimere le loro potenzialità». Le tecniche di lavorazione, i tipi di resina, le tendenze che hanno fatto moda negli anni Ottanta e Novanta fino alla collaborazione con le grandi case di moda per dare forma alle idee degli stilisti e realizzare pezzi unici destinati alle passerelle internazionali: un patrimonio di valore e conoscenza, che ora Lartigianabottoni mette a disposizione delle giovani generazioni in un’epoca in cui la riscoperta delle tradizioni artigianali si propone come opportunità per affrontare il nuovo mercato del lavoro.

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A cura della redazione

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«Fin da quando ero una bambina seguivo mio padre nei suoi viaggi, affascinata da forme e colori, desiderosa di imparare tecnica ed arte del mondo dei bottoni», continua Antonia Gualini. «Ora è il momento di iniziare a trasmettere quanto ho imparato in questi anni. Il primo consiglio che mi sento di dare ai giovani è di osare senza paura». Lartigianabottoni S.p.a. è nata

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dall’intuizione di Giuseppe Gualini che nel 1961 avviò l’attività puntando sul bottone da donna. Oggi è leader nel settore dell’accessorio in resine pregiate sotto la guida dei figli Antonia, Stefano e Denis. Con i suoi bottoni, bijoux e accessori per pelletteria e calzature realizzati in esclusiva per le più importanti griffe dell’haute couture e del prêt-à-porter, l’azienda di

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Tessera a tutela delle proprie volontà

Scegliere la cremazione in anticipo si può!!!

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vitare intralci burocratici. Avere la garanzia che la proprie volontà siano rispettate. Scegliere la cremazione in anticipo si può. Basta rivolgersi alle Onoranze Funebri Ricciardi & Corna Group, Viale Pirovano 5/a – per trovare una sezione dell’Associazione I.di.cen, Istituto Nazionale di cremazione e dispersione ceneri, legalmente riconosciuta con personalità giuridica. Basta iscriversi: la quota versata è unica. L’associato ogni anno riceve la tessera che conferma il rinnovo. Si avrà anche la possibilità di accedere a una serie di servizi: stesura di contratti pre-mortuari per liberare i propri familiari dalle incombenze amministrative e finanziarie, raccolta testimonianze olografe, garanzia di altissima professionalità nell’organizzazione di cerimonie

funebri per la dispersione delle ceneri con il rispetto dei diversi culti religiosi in Italia ed all’estero. A seguito della cremazione, le ceneri verranno sepolte in base alle volontà descritte nel testamento olografo. Le diverse tipologie di sepoltura sono: con-tumulazione e tumulazione, ovvero collocazione dell'urna all'interno del cimitero, presso un cinerario o insieme a un feretro (o resti) nello stesso loculo o ossario; con-inumazione, ovvero collocazione dell'urna all'interno del cimitero insieme a un feretro sepolto in terra. Terza possibilità, lo spargimento delle ceneri in natura: in un giardino del ricordo all'interno del Cimitero, sui monti, in fiumi o laghi. E nel mare, naturalmente. Dove uno preferisce. Anche questa, è una scelta.

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Un grazie alla Bergamo che produce

52ª edizione del «Riconoscimento del lavoro e del progresso economico», cerimonia di premiazione in Fiera a Bergamo. Una festa ricca di emozioni

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na festa ricca di emozioni per celebrare i lavoratori e le imprese bergamasche, a cui ha partecipato una nutrita platea. Si è svolta nella mattinata di domenica 16 dicembre in Fiera a Bergamo la cerimonia di premiazione della 52ª edizione del “Riconoscimento del lavoro e del progresso economico” con cui la Camera di Commercio riconosce e premia i meriti dei lavoratori bergamaschi. Alla presenza della Giunta Camerale, rappresentata dal presidente Paolo Malvestiti, da Matteo Zanetti, Luigi Trigona, Angelo Carrara, Franco Nicefori, Giancarlo Colombi e Patrizio Fattorini e del segretario generale Emanuele Prati, sono stati assegnati 64 riconoscimenti a lavoratori e imprenditori suddivisi in cinque categorie – lavoratrici e lavoratori

dipendenti o autonomi (6 premi), dirigenti d’azienda (1 premio), imprese industriali/commerciali/agricole/artigiane (12 premi), coltivatori diretti (5 premi) e lavoratrici e lavoratori dipendenti – Anzianità e Fedeltà (40 premi) – e 3 riconoscimenti a personalità benemerite: Carlo Pesenti, Felice Rizzi e alla Diocesi di Bergamo, nella persona di S.E. Mons. Francesco Beschi. Ad aprire la mattinata di festa ci ha pensato l’Ensemble del Bergamo Musica Festival “Gaetano Donizetti”, rappresentato dalle splendide voci del soprano Lorena Avanzini e del tenore Livio Scarpellini e da Gianni Biocotino al flauto, Alessia de Filippo al violino, Christian Serazzi alla viola e Giovanni Pietro Fanchini al contrabbasso, che si sono esibiti nell’Inno alla Gioia di Ludwig Van

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Beethoven e nell’Inno d’Italia di Michele Novaro. La cerimonia è entrata quindi nel vivo con l’intervento di Patrizio Fattorini, Presidente della Commissione di valutazione del premio, che ha ricordato come, proprio nei periodi di maggiore compessità, i lavoratori bergamaschi siano capaci di grande coraggio ed intraprendenza. Ha inoltre introdotto il tema dell’edizione, focalizzata sul diffuso desiderio di riscatto dei lavoratori e su una generale apertura verso nuove opportunità che il mutato contesto lavorativo e sociale offre. Il pubblico presente in sala ha potuto assistere alla proiezione di un primo contributo video: un filmato introduttivo che, messo da parte il pessimismo, pur nel rispetto di chi si trova in difficoltà, ha scelto come tema la speranza e il futuro, visto anche dagli occhi delle nuove generazioni. Il filmato si è concluso con le parole del Presidente Paolo Malvestiti, che ha sottolineato l’importanza di questo premio, così come quella di tutti i lavoratori che ogni giorno costruiscono il tessuto economico e sociale della nostra provincia. Al termine del filmato il presidente ha ribadito la sua riconoscenza nei confronti di quanti, con il loro impegno e la loro dedizione, spingono costantemente in avanti l’economia del nostro territorio. E da qui si è dato il via alle premiazioni vere e proprie. Ciascuna categoria è stata introdotta da un filmato realizzato da Teamitalia con spaccati di vita di alcuni dei premiati. E’ stato così fornito un ritratto dei veri protagonisti di questo riconoscimento, che hanno condiviso con il pubblico il loro percorso professionale, il loro modo di vivere il lavoro, i valori che li guidano nella vita di tutti i giorni. La cerimonia ha visto anche l’assegnazione di riconoscimenti a tre benemeriti che, con la loro attività, hanno contribuito e contribuiscono tuttora allo sviluppo e all’arricchimento del tessuto economico e sociale bergamasco. Ad introdurli è stato Matteo Zanetti, membro della

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giunta camerale e della commissione che ha selezionato i candidati, insieme a Stefano Paleari e ad Angelo Carrara: Carlo Pesenti, premiato per la sua convinzione che la crisi sia da sconfiggere con l’innovazione l’investimento, Felice Rizzi, che ha portato a Bergamo la cattedra Unesco e tutto ciò che rappresenta in termini di diritti dell’uomo, cooperazione interna-

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zionale e condivisione del sapere, e infine la Diocesi di Bergamo – nella persona do S.E. Mons. Francesco Beschi - che, pur non essendo un operatore economico, da sempre svolge attività per sostenere il mondo del lavoro bergamasco ed in particolare coloro che più faticano ad inserirsi nel tessuto produttivo.


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Nuovi progetti per il 2013

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on l’apertura del 2013 LUBERG rafforza la sua offerta dei corsi di formazione. Dopo la prima edizione del corso “Diventare sostanziali” che si è svolta nello scorso novembre, a partire dal 15 febbraio si terrà infatti la seconda edizione, mentre a marzo prenderà avvio il corso “Banca e PMI”. Il Professor Michele Modina, responsabile dell’Area Corsi Specialistici, presenta l’offerta formativa di LUBERG. “La nostra associazione ha definito con chiarezza i suoi obiettivi in tema di formazione. LUBERG propone incontri di qualità mirati a rafforzare le competenze professionali dei laureati dell'Università di Bergamo in modo che possano acquisire strumenti e metodologie utili per operare con successo nel mondo del lavoro”. Il corso “Diventare sostanziali” ne è un chiaro esempio: “attraverso esercitazioni interattive ed esempi concreti – afferma Modina – chi partecipa al corso acquisisce le competenze necessarie per accrescere la propria efficacia nel lavoro e per meglio relazionarsi con gli altri. Ciò è utile sia per il giovante laureato sia per chi ricopre posizioni di rilievo in azienda”.

Prof. Michele Modina

Il secondo evento formativo vedrà la luce nel mese di marzo e, come spiega il responsabile dei corsi LUBERG, “il corso Banca e PMI è un’iniziativa con contenuti e metodologie didattiche innovative che permette di elevare la reciproca conoscenza tra banca e impresa e la loro capacità di interagire”. In questi ultimi anni la relazione tra il mondo delle imprese e quello bancario ha

risentito degli effetti della crisi: le imprese fanno più fatica a ottenere prestiti, mentre le banche vedono crescere il livello delle sofferenze sugli impieghi concessi. “È necessario colmare il gap informativo e le incomprensioni tra questi due importanti attori economici. Le imprese devono capire i meccanismi con cui le banche le valutano in modo da adottare le azioni più opportune. Le banche devono attivarsi al meglio per cogliere il potenziale delle imprese e i fattori alla base del loro successo”. Il corso è strutturato in otto incontri suddivisi in tre fasi in cui i partecipanti (imprenditori, manager, funzionari di banca) condivideranno esperienze e competenze in modo da rafforzare l’area di comunicazione e di conoscenza reciproca. Sono aperte le iscrizioni al corso “Diventare sostanziali”: per maggiori informazioni sul programma e sulle modalità di iscrizione è possibile consultare il sito Luberg.it oppure scrivere all'indirizzo info@luberg.it. CONCORSO LETTERARIO 2013 La prima edizione del Concorso Letterario “Racconti Aperti” organizzato da LUBERG apre al talento di tutti i laureati e di tutti gli studenti dell’università di Bergamo. "Nella nostra società, in cui la letteratura è sempre più lontana dalle giovani generazioni e l'alfabetico sta soffrendo incalzato dal mondo delle immagini", spiega il Prof. Franco Brevini, Presidente della giuria che selezionerà i finalisti, "abbiamo voluto promuovere un premio letterario per rafforzare il rapporto degli studenti e dei laureati del nostro Ateneo con la lettura e con la scrittura, convinti dell'importanza dell’esperienza della creatività individuale. Considerando che è sempre più difficile per un esordiente muovere i primi passi nel mondo dell'editoria, abbiamo deciso di intervenire anche su questo delicato snodo del sistema letterario, facendoci carico della pubblicazione dei migliori racconti". Per parteci-

pare al concorso è necessario inviare alla segreteria dell'associazione un racconto inedito in lingua italiana della lunghezza massima di dieci cartelle entro il 31 maggio 2013, unitamente alla scheda di iscrizione e al pagamento della quota d’iscrizione (consultate la sezione "CONCORSO LETTERARIO" del sito Luberg.it per maggiori informazioni). La Giuria designerà i primi tre vincitori selezionati in una rosa di dieci racconti finalisti che saranno pubblicati da Sestante Edizioni in volume cartaceo e digitale; inoltre, al primo classificato verrà corrisposto il premio di 1.000 Euro, al secondo 500 Euro mentre il terzo classificato riceverà un premio di 250 Euro. COME ASSOCIARSI A LUBERG Sei un laureato dell'Università di Bergamo e vuoi accrescere il tuo patrimonio professionale e culturale attraverso incontri, convegni o corsi di formazione? Se ti riconosci nella mission di LUBERG sostieni l’associazione. avrai l'opportunità di contribuire a valorizzare l'università di Bergamo e a rafforzarne il legame con la città. I SOCI ORDINARI: tutti coloro che abbiano conseguito presso l'Università una laurea, un diploma universitario, una laurea (D.M. 509/99), una laurea specialistica, una laurea magistrale, in qualsiasi momento questo sia avvenuto, possono diventare soci ordinari mediante il versamento della quota annua associativa di 20 Euro per i laureati fino ai 30 anni d'età e di 50 Euro per i laureati oltre i oltre i 30 anni. I SOCI SOSTENITORI: sono considerati soci sostenitori dell'associazione le persone fisiche e/o giuridiche, gli Enti e le Associazioni che si impegnano a sostenere economicamente l'Associazione mediante un contributo annuale o una tantum. Per maggiori informazioni sulle modalità di iscrizione o rinnovo della quota associativa, consulta il sito Luberg.it alla sezione "SOCI".


*Enologia di Pietro Pellegrini

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a fama che vanta il Piemonte nel mondo si deve principalmente alla sua area vitivinicola più famosa: le Langhe. Geograficamente sono localizzate sulla riva destra del fiume Tanaro, a metà strada tra Asti e Cuneo all’altezza della città di Alba e sicuramente rappresentano il territorio che da sempre ha dimostrato le migliori potenzialità per la produzione di vini di grande qualità. In Langa lavorano diversi produttori la cui fama è da considerarsi, ormai da diversi anni, internazionale. Il loro successo è dovuto soprattutto alla produzione di vini eccellenti, in particolare Barolo e Barbaresco, entrambi ottenuti dal vitigno Nebbiolo. È cosa nota, in particolare agli appassionati di grandi vini da uva Nebbiolo, che esistono da tempo due diverse scuole di pensiero riguardo la loro produzione. La prima, che possiamo definire “tradizionalista”, ha come caratteristica principale quella di procedere a lunghe macerazioni sulle bucce durante la vinificazione e che prevede il successivo affinamento del vino in grandi botti di rovere. La seconda invece può essere definita “innovatrice” e prevede macerazioni più brevi sulle bucce e affinamenti in piccole botti di rovere, non solo di origine francese ma comunque comunemente chiamate barriques. I vini dei produttori “tradizionalisti” si possono descrivere come più “acerbi” nei loro primi anni di vita per poi concedersi con l’invecchiamento, mentre quelli degli “innovatori”, arrivati sul mercato verso la fine degli anni ottanta, sono vini che fin dai primi anni sono in grado di farsi apprezzare pienamente. In entrambi i casi si tratta di vini che si possono considerare molto longevi, soprattutto nelle grandi annate. La fama del Barolo si deve ai Savoia. In particolare al fatto che la famiglia reale e l’aristocrazia sabauda, affezionate clienti dei vini di Bordeaux e di Borgogna, volendo emulare i francesi spinsero Cavour a consigliare ad un produttore locale l’enologo Outard, che rimase estremamente sorpreso

dalla qualità del Nebbiolo, fin ad allora “rovinato” dalle approssimative tecniche di vinificazione in uso nella zona. Non ci volle molto per porre le basi di un grande vino e Vittorio Emanuele II° fu talmente impressionato dalla qualità del nuovo prodotto che decise di iniziarne la produzione nella sua tenuta di Serralunga. La zona di produzione del Barolo comprende oggi undici comuni ma i migliori vini provengono sicuramente da quelli di La Morra, Barolo, Monforte, Castiglion Falletto e Serralunga. Penso che uno dei panorami più spettacolari, tra tutti i territori vitivinicoli del mondo, sia quello che si può godere dalla piazza principale di La Morra: un’estensione rara di vigneti che seguono le pendenze più o meno dolci fino alla vallata sottostante. Da queste vigne si producono i Barolo più fini, eleganti e fruttati. I Barolo del comune di Barolo invece sono considerati come un ottimo compromesso tra l’eleganza dei vini di La Morra e la potenza di quelli di Serralunga. A Barolo si trova quello che penso possa essere considerato il più noto dei “Cru” di Langa: Cannubi (si dice sia stata trovata una bottiglia che riportava in etichetta “Cannubi 1752”). Più ci si allontana da La Morra e Barolo in direzione est più cambia la composizione dei terreni ed insieme lo stile dei vini. A Monforte nascono i Barolo più concentrati e probabilmente più longevi di Langa, caratterizzati sia da note fruttate e floreali che da note balsamiche e speziate, a Castiglion Falletto i vini sono densi e vigorosi, pur senza arrivare ai livelli dei Barolo di Serralunga. Il Barbaresco invece nasce ufficialmente nel 1894 quando fu fondata la Cantina Sociale di Barbaresco. Il suo fondatore, Domenico Cavazza, fu anche il fondatore della Scuola di Viticoltura ed Enologia di Alba, della quale mi onoro di essere ex-allievo. A differenza del Barolo, il Barbaresco non ha avuto grande sostegno da parte dei Savoia e ha sempre avuto, durante tutta la sua storia, una fama di secondo

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piano rispetto al più importante “cugino”. Sinceramente ritengo che questo sia uno dei tanti luoghi comuni che esistono nel mondo del vino. Che sia Barolo o Barbaresco le caratteristiche e la qualità di un vino dipendono essenzialmente dal terreno (luogo o Cru) di provenienza delle uve e dalle scelte operate in vigna e in cantina dal singolo produttore. La zona di produzione del Barbaresco è compresa nei comuni di Barbaresco, Neive e Treiso e nella frazione di Alba di San Rocco Seno d’Elvio ed è ubicata a nord rispetto a quella più estesa del Barolo. I terreni in questa zona conferiscono ai vini uno stile più morbido e una più evidente caratteristica aromatica floreale. Sicuramente le Langhe hanno tantissime affinità con la zona principale della Borgogna, denominata Côte d’Or. In entrambe le zone il vino rappresenta l’essenza stessa di queste terre, la tradizione enogastronomica è di primissimo livello, gran parte dell’economia è basata sul vino e sul turismo che ne deriva. In entrambe le zone la proprietà delle vigne è estremamente frazionata e soprattutto in entrambe le zone è normale indicare in etichetta il nome del vigneto o del “lieu dit” o del “cru”. Bene, la prossima volta parleremo di Borgogna … ma un vino di Langa che è rimasto impresso nella mia memoria lo devo citare: Barolo Cru Giachini 1996 di Giuliano Corino dell’Annunziata di La Morra: perfetto, sincero e vero come colui che l’ha prodotto.

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*Cucina di Chicco Cerea

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primi contatti risalgono ad un anno orsono, quando siamo stati invitati a partecipare al Gourmet Festival di St Moritz, una delle manifestazioni dedicate all’alta ristorazione più importanti d’Europa. Funziona così: per una settimana, ciascuno dei più prestigiosi alberghi della nota località dei Grigioni, ospita una “maison” di rango. A noi è toccato in sorte il Carlton, recentemente rilevato e completamente ristrutturato dal gruppo Tschuggen Hotel (5 alberghi di gran lusso in Svizzera). Aperto solo nella stagione invernale, è uno straordinario hotel 5 stelle lusso dotato elusivamente di suites (60 di cui l’ultima, inaugurata per questa stagione, misura le bellezza di 380 metri quadri) e di una spa da mille e una notte. Evidentemente ben impressionati da nostro stile e dalla nostra cucina, nei mesi successivi la proprietà dell’albergo ha fatto più volte visita al nostro Relais & Chateaux alla Cantalupa di Brusaporto per verificare se vi fossero le condizioni per instaurare una collaborazione continuativa. Ebbene, quei contatti sono diventati una trattativa che è sfociata in un accordo che abbiamo sottoscritto lo scorso autunno con l’impegno di aprire il 14 dicembre “Da Vittorio al Carlton di St, Moritz”. Dopo molte proposte arrivate da ogni parte del mondo è la prima volta che replichiamo il nome fuori dalle mura di casa. FEB-MAR 2013

Ci abbiamo pensato a lungo ed alla fine abbiamo deciso che questa era una buona soluzione per riuscire a mantenere inalterato il gruppo di lavoro che abbiamo costruito negli anni in un momento certamente difficile per il nostro settore che come tanti altri subisce in Italia gli effetti della crisi. Quella con il Carlton è un abbinamento di grande prestigio, e poi rimane il fatto che saremo aperti solo per la stagione invernale, quella in cui noi, dicembre escluso naturalmente, abbiamo meno pressioni di lavoro. In più, le condizioni le abbiamo posto, in primis quella di lavorare in totale autonomia per quanto riguarda la scelta del menu e relativi acquisti delle materie prime che importiamo direttamente tramite i nostro fornitori storici, nonché lo stile di servizio alla posposta dei vini, sono state sottoscritte in toto dalla proprietà. Le professionalità fondamentali, sia in cucina che in sala, appartengono al nostro staff: in totale una dozzina di collaboratori. Noi ci alterniamo per garantire la p re s e n z a c o s t a n t e d i q u a l c u n o d i famiglia. Ci teniamo molto, è un impegno importante, ne va dell’immagine che vogliamo consolidare anche fuori dai confini nazionali. A St. Moritz ed al Carlton in particolare gira tutto il bel mondo: lo sapevamo e ne abbiamo avuto la prova durante il primo mese di apertura durante il quale

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abbiamo già avuto anche la visita degli ispettori delle più importanti guide del settore: Michelin e Gault & Millau. Abbiamo studiato un menu più snello ma differenziato tra pranzo e cena: all’insegna dei prodotti bio ma golosi la pausa pranzo; da gourmet con molti dei nostri piatto storici la sera. Livello del servizio altissimo per un massimo di 60 coperti. Costo del menu degustazione 250 franchi, con scamponi, cotoletta di elefante e paccheri alla Vittorio in pole position.


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Lui & Lui... Quando la Sposa non c'è!

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a rubrica di questo mese si apre con un binomio del tutto particolare. Da un lato perché scritta con l'aiuto di Marianna Peluso, amica e giornalista, di cui riprendo un servizio da lei realizzato per style.it, dall'altro perché di un matrimonio del tutto anticonvenzionale si tratta. Gli sposi indossano lo smoking, si tuffano in piscina e impongono un profumo come dress code: è il matrimonio gay più irriverente (e chic!) dell'autunno appena passato. Sono le nozze senz'altro più chiacchierate, che ho avuto il piacere di organizzare. Belli, giovani e innamorati. Questa è la storia di Silver e Michel, fidanzati e finalmente sposi (checchè ne dica lo Stato). Perché sposarsi, in fin dei conti, cosa vuol dire? è l'istituzionalizzazione di un sentimento, quindi una pratica burocratica e un rito religioso? Oppure è in primis un legame che intreccia due anime in un unico destino comune? L'amore è amore, che sia più o meno sfacciato, più o meno discusso, che sia tra lui e lei, tra lei e lei o tra lui e lui. Sebbene in molti Paesi dell'Unione Europea sia possibile celebrare le nozze gay, in Italia se ne discute ancora. E mentre c'è chi parla, c'è invece chi passa ai fatti. Non entro in alcun dibattito morale, non apro nessuna polemica, scelgo di raccontarvi solo una storia, come tante altre. Non potendo avvalersi di un rito civile, FEB-MAR 2013

Silver e Michel si sono rivolti a me, per organizzare un matrimonio inorganizzabile: il loro. Per i due sposi il matrimonio non è un "vincolo legato alla procreazione": per loro il senso di quella giornata doveva essere solo celebrare l'amore e nient'altro. Così sono partito dal loro desiderio, per disegnare un rito simbolico e una festa intima, gioiosa ed esplosiva. A fare da scenografia al gran giorno, il relais "I Due Roccoli", in una posizione panoramica vista Lago d'Iseo, dove si sono svolti sia la cerimonia sia il ricevimento. Il fatidico "sì" è stato pronunciato nel giardino della location, adiacente all'originaria chiesa ormai sconsacrata, davanti ad un cerimoniere, agli amici più intimi come testimoni e all'obiettivo discreto del fotografo Marco Nava. A pochi passi, il promontorio come palcoscenico di un aperitivo "en plein air". All'interno della sala principale si è svolta la cena placé, tra le suggestioni di centinaia di candele coloratissime e i profumi delle portate, che spaziavano tra quelli della terra e quelli del mare. Sotto le stelle il momento più atteso, il taglio della torta nuziale: una golosa wedding cake a più piani non sarebbe mai potuta mancare, come esige un matrimonio in piena regola, seguito da un tripudio di dessert con tanti dolci monoporzione. Il tocco in più? Il colore, grande leitmotiv della giornata: centrotavola verdi, blu, fucsia e arancioni; il tableau de mariage intitolato ai colori; i fiori di carta distri-

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buiti agli invitati come boutonnière, da spillare sugli abiti o da inserire tra i capelli; colorati anche i papillon degli sposi. Decisamente anticonformista la scelta di sfidare i manuali del galateo, scegliendo l'unico abito abolito per le nozze: lo smoking. Dolce & Gabbana per Silver e Grifoni per Michel. Eleganza alternativa, di chi ha grinta da vendere e a fine matrimonio non si nega un tuffo in piscina! Anche per gli invitati un preciso dress code da rispettare: il profumo realizzato ad hoc per la coppia ed incluso nella partecipazione. Un modo alternativo per annunciare il giorno del "sì", sovvertendo le regole della classica bomboniera, che abitualmente si riceve il giorno delle nozze. Un'unica essenza fruttata e personalizzata sulla pelle di tutti, grandi e piccoli, uomini e donne, eterosessuali ed omosessuali, per sentirsi parte di un mondo dove le differenze non esistono.


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*Golf di Mario Ugo Pasini Professionista presso il Golf Club Parco dei Colli Bergamo

La grande difficoltà del golf, ripetere lo swing

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olte volte mi viene chiesto se giocare a golf sia facile o difficile e la mia risposta a questa domanda è... Difficile! Chi è già golfista sono sicuro sia d'accordo con me, mentre per chi si deve ancora avvicinare al golf, non spaventatevi, è sicuramente tutta questa difficoltà che lo rende così interessante, intrigante, divertente, creando un confronto costante con se stessi. Ci sono molti fattori che possono condizionare il nostro gioco (le condizioni atmosferiche, i diversi tipi di taglio dell'erba, gli ostacoli, le pendenze del terreno, la distanza), io sono però convinto che la grande difficoltà fisica e mentale di ripetere il movimento e quindi di vedere la palla che va sempre verso il bersaglio siano la parte difficile del golf. Lo SWING è un gesto atletico, durante

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il quale si deve eseguire una sequenza di movimenti che devono susseguirsi uno all'altro per produrre il massimo della velocità e direzione al volo della palla. Uno swing completo è diviso in cinque fasi: TAKE-AWAY, l'inizio del movimento durante il quale la testa del bastone si allontana dalla palla; BACKSWING, la fase dello swing che porta il bastone intorno al corpo e verso l'alto; DOWNSWING, la discesa del bastone dall'apice del backswing fino all'impatto; FOLLOW-THROUGH, la fase dello swing che inizia subito dopo l'impatto con la palla; FINISH, la fase finale del movimento. Se pensiamo che nello swing queste cinque fasi vengono eseguite con un gesto continuo, in tempi cortissimi (circa due

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secondi), con una strada percorsa dalla testa del bastone intorno al corpo di qualche metro, usando circa duecentocinquanta muscoli in sequenza uno all'altro e dovendo impattare la palla al centro della faccia del bastone (che è circa la mano di un bambino), ci dà la dimensione della difficoltà dell'esecuzione e della ripetitività del gesto atletico. Il mio consiglio è quello di continuare ad allenarvi costantemente per raggiungere il massimo della ripetitività del gesto, della precisione dei colpi e il traguardo di ogni giocatore... tirare un colpo in meno del proprio risultato migliore!


Verde e arancio ecco i colori dell’ autunno i must have dell’autunno 2012/2013: gonne avvitate, miniabiti superstretch, cappottini supercolorati, giacche taglio chanel, scarpe dal tacco vertiginoso e maxipochette.

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*Moda Mina da Prato

Buon Anno!

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ari lettori ben ritrovati, comincia un nuovo anno, sicuramente non facile, come ogni volta ci si affida alla speranza che i nostri affari, i nostri affetti e i nostri desideri possano andare alla grande. Tanti buoni propositi e, da un po' di anni a questa parte, il mio primo buon proposito è regalarmi un viaggio con mio marito e quest'anno la scelta è stata un tour nel Vietnam del sud e il mare di Pucket. Partiti con il freddo, lo choc è stato il caldo umido che ci ha accolto all'aeroporto di Saigon e tutto quel via vai di persone che ti urlano "taxi-taxi", finalmente la nostra guida ci "raccoglie" al fresco del pullmino. Una breve pausa in hotel e poi ci mescoliamo all migliaia di persone e moto che

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pullulano in questa metropoli. Nel mio immaginario pensavo a Saigon come l'ho vista nel film "L'amante", molto francese, invece ti trovi catapultata in una città dove niente è fermo e dove le persone sono sempre in movimento. Il Vietnam è stato in guerra per molti decenni, prima colonia francese, poi occupata dagli americani e infine dai kmer rossi. Praticamente sono solo vent'anni che il Paese è libero e in questo breve tempo il cambiamento è stato radicale, lo si vede in centro dove sono sorte catene di hotel, i primi grandi magazzini e, cosa che non mi aspettavo, boutique delle nostre grandi firme come Hermes, Dior, Versace, Gucci ecc. Boutique che non hanno nulla da

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invidiare ai loro omonimi nel quadrilatero milanese in fatto di grandezza e allestimenti, unica differenza le proposte, abbigliamento e accessori sono molto lontani dal nostro gusto italiano. Appunto, qui siamo a Saigon. E la cliente tipo non è la signora della città con uno stipendio dai 100 ai 150 dollari al mese, ma i ricchi turisti cinesi, giapponesi e thailandesi. Il giorno dopo si esce dal centro e visitiamo un mercato all'ingrosso gestito da cinesi e qui si entra in un mondo colorato, caotico dove ti manca l'aria per la troppa gente e per i loro "odori", montagne di prodotti, ciabattine, borse, orologi, caschi, t-shirt e tutto quello che gli ambulanti comprano per poi rivendere in Saigon e nei paesi appena fuori con il loro carretto o nelle baracche che fanno da casa e bottega. Sei dall'altra parte del mondo, ma ti rendi conto che tutto fa business, che siano boutique di grandi stilisti o carretti con le t-shirt per la strada. La differenza è che sempre da questa parte del mondo è tutto in crescita, mentre da noi c'è saturazione di ogni prodotto. Il nostro business non ha avuto scosse nemmeno nel momento dei saldi, dove da sempre la caccia al capo scontato è aperta. Ma che dire, quando poi rientro in Italia, problemi o no, sono sempre felice... E si ricomincia già proiettata sulle nuove collezioni primavera/estate da proporre alle miei clienti, per me tutte molto speciali.


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*Motori Jaguar XF Sportbrake, versatile ed elegante

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na Jaguar con il portellone e un bel bagagliaio. Ora c’è e si chiama XF Sportbrake, la versione station wagon della berlina alto di gamma britannica che arriva ad arricchire una gamma e mira catturare quei clienti che finora, pensando ad una familiare premium, avevano dovuto considerare solo le solite tedesche. Lunga 4,966 metri, la Sportbrake è leggermente più lunga della berlina. La silhouette ispira quel dinamismo che una Jaguar deve avere. Grazie al gioco visivo tra la finestratura avvolta da una cornice cromata, i fianchi alti e la coda che tende a rastremarsi chiudendosi nel lunotto avvolgente, questa XF fila sotto gli occhi e riesce persino a mascherare l’aumento dell’altezza grazie al quale i passeggeri posteriori posso godere di ben 48 mm in più per la testa. Tecnicamente la Sportbrake mantiene le migliori caratteristiche della berlina. L’aerodinamica è la stessa così come la rigidezza torsionale della carrozzeria e l’aggravio di peso è contenuto in 70 kg. Un aggiunta importante sono le molle pneumatiche livellanti posteriori, utilissime perché ristabiliscono sempre l’assetto ideale quando si viaggia a pieno carico oppure con una barca o una roulotte (fino a 1.850 kg), a tutto vantaggio della sicurezza. La Sportbrake è disponibile solo con unità a gasolio, tutte accoppiate esclusivamente con un cambio automatico a 8 rapporti con convertitore idraulico di coppia. Si parte dal 4 cilindri di 2,2 litri che eroga 200 cv e 450 Nm. C’è poi il noto V6 3 litri con sovralimentazione biturbo sequenziale-parallela disponibile in due livelli di potenza. La prima ha 240 cv e

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500 Nm, la seconda ha 275 cv e permette di andare fino ai 250 km/h autolimitati con uno 0-100 km/h in 6,6 secondi. La trazione è posteriore e, per il momento, non è prevista la trazione integrale che invece arriverà all’inizio del prossimo anno. La plancia è pulita nel disegno, con pochi pulsanti che riguardano fondamentalmente la climatizzazione e poco altro, mentre il resto si trova sulla corona del volante e sullo schermo da 7 pollici a sfioramento, ricco di informazioni espresse in modo chiaro e senza problemi di leggibilità per colpa del sole. Di altissimo livello l’impianto audio, disponibile in tre livelli, con i due superiori firmati Meridian e quello più costoso forte di ben 15 canali, 17 altoparlanti e 825 Watt. Ai capitoli

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pelle e legno, fondamentali per una Jaguar, non si rimarrà delusi. La XF Sportbrake su strada è fluida, facile, sicura ma mai noiosa, anzi. La dinamica di questa Jaguar piace davvero tanto, grazie anche a uno sterzo che è l’esatta fotografia di tutta la vettura: equilibrio tra sensibilità, precisione e prontezza. Con la XF Sportbrake è bello guidare e viaggiare per tanti chilometri perché ci si sente amici della strada. Con il V6 la spinta è esuberante, con il 4 cilindri è più misurata e continua. Perfetto il cambio. Viene commercializzata a partire da 50.550 euro, ovvero 3.700 euro in più rispetto alla berlina. Identica l’articolazione della gamma che prevede quattro allestimenti (base, Luxury, Premium Luxury e Portfolio).


Centro Medico M.R. Direttore Sanitario Prof. M. Valverde

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*Sanità Dott.ssa Borgh chirurgo plastico ed estetico

Miniliposuzione e blefaroplastica: interventi dai risultati immediati

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li antiestetici accumuli adiposi hanno le ore contate grazie alla MiniLipo, una liposuzione soft per dire addio a quella tradizionale. Un giorno ti svegli e decidi, semplicemente, di dire basta. Basta ad una forma che non è più quella di una volta, a una figura esteriore nella quale non ti riconosci più. Troppe volte hai rimandato la soluzione, troppe volte hai detto... domani. Oggi ti rendi conto che devi fare di più, che meriti di più. La domanda a questo punto è cosa fare, e soprattutto, come non sbagliare. La risposta è miniliposuzione: grazie a tecniche sempre più sofisticate, la minilipo oggi permette di eliminare tessuto adiposo in aree specifiche come la parte alta delle gambe, i glutei, i fianchi, l'addome e le ginocchia. E' un intervento effettuato in ambulatorio chirurgico, in anestesia locale, che corregge e riarmonizza le forme, con risultati efficaci e duraturi: una soluzione rapida, ma anche definitiva. Una soluzione che non ha rivali, nel soddisfare il tuo desiderio di riprenderti la forma! Ne abbiamo parlato con la dott.ssa Borgh, chirurgo plastico ed estetico che oltre ad operare a Bergamo presso il Centro Medico, opera anche a Roma e Parigi. Che tipo di intervento è la miniliposuzione? La minilipo è un trattamento di liposculFEB-MAR 2013

tura laser-assistito di concezione totalmente rivoluzionaria, così minimamente traumatico da esercitare un forte appeal su un target infinitamente più ampio di quello interessato ai metodi di intervento tradizionali. Ciò permette di offrire una tecnica più “leggera”, molto apprezzata dai pazienti. L'intervento si effettua in ambulatorio chirurgico in anestesia locale o in sedazione ed è sempre presente, per garantire un elevato livello di sicurezza, un anestesista. A chi è rivolta? Una volta che il corpo è completamente sviluppato non ci sono limiti dì età per sottoporsi all'intervento di mini liposuzione. Chiunque goda di buona salute, confermata dagli esami diagnostici, può affrontare tranquillamente l'operazione volta all'eliminazione dell'adiposità localizzata e del grasso in eccesso. La mini liposuzione è una tecnica chirurgica ormai ben collaudata e sicura, a patto che venga effettuata in una struttura idonea. E per il ringiovanimento del viso? Un intervento che si effettua, sempre in ambulatorio chirurgico, per il ringiovenimento del viso è la blefaroplastica superiore finalizzato ad eliminare le “borse palpebrali” che conferiscono allo sguardo un'espressione triste e stanca: questo intervento corregge gli inestetismi dell'occhio dovuti sia a fattori congeniti che a fisiologici processi di invecchiamento. Gli occhi sono lo specchio dell’anima

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e le palpebre sono la cornice di questo specchio. La blefaroplastica viene praticata in anestesia locale, in genere in abbinamento con una sedazione cosciente, in modo da non essere completamente vigili nel corso dell’intervento. L’anestesia generale per questo tipo di procedura ormai è quasi completamente abbandonata. I tempi operatori per una blefaroplastica completa bilaterale sono all’incirca di un'ora, ma chiaramente possono variare se la procedura è parte di un intervento più esteso, come il lifting del viso. Per chi è indicata la blefaroplastica? In genere a richiedere la blefaroplastica per ringiovanire lo sguardo sono persone al di sopra dei 35 anni, mentre i pazienti più giovani spesso la richiedono per fattori ereditari, quindi per ritoccare la forma e il taglio degli occhi. L’anatomia personale e la qualità dei tessuti di ciascuno sono elementi che determinano la diversità dei risultati di un intervento di chirurgia estetica


*Arte Mario Donizetti

Irrilevanti le precauzioni anti U.V. per la conservazione dei dipinti

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er la conservazione dei dipinti nei musei, irrilevanti le precauzioni anti U.V. se l’intensità della luce visibile è superiore ai massimi concessi dalla letteratura scientifica (50 lux o 150 lux a seconda della sensibilità fotochimica dell’oggetto esposto). Per una dimostrazione pratica e convincente della dannosità dei raggi visibili ho esposto alla luce del sole una tavola con tre tipi di campionatura di colori, Questi colori hanno una resistenza straordinaria in condizioni ottimali di illuminazione. ­ Prove di laboratorio sono state naturalmente già fatte da tempo per la determinazione della resistenza dei colori alla luce, ma i colori di questa mia campionatura hanno la prerogativa di essere della stessa natura dei colori usati dagli antichi pittori. Sia il pigmento che il conglutinante e la tecnica d’impiego sono stati desunti dal metodo usato per le maggiori opere del nostro Rinascimento. La tavola qui pubblicata, con le strisce di colore esposte al sole per circa 60 giorni, mette sperimentalmente in evidenza tre verità. La prima che i raggi ultravioletti vengono filtrati dal vetro speciale non incisivamente più di quanto vengano filtrati dal comune vetro dello stesso spessore. Infatti la zona A è stata protetta da un vetro speciale anti U.V. e la zona B da un vetro normale dello stesso spessore e il colore si è

alterato sulle due zone essenzialmente alla stessa maniera rispetto alla zona protetta. La seconda che il fatto che siano stati filtrati i raggi ultravioletti non ha impedito, nelle due zone A e B, ai raggi visibili di deteriorare rapidamente il colore. La terza che la luce visibile opera un deterioramento differenziato secondo i colori. Con l’appoggio di questa dimostrazione si riconferma quindi che la precauzione fondamentale per difendere le opere d’arte

Zona A protetta con vetro anti U.V.

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dal deterioramento fotochimico deve essere quella di una illuminazione moderata, come raccomanda e stabilisce tutta la letteratura scientifica. Ricordo il “Documento” sottoscritto da venticinque scienziati fra i quali Edoardo Amaldi, Margherita Hach, Gianluigi Sottocasa e il premio Nobel Abdus Salam nel quale si stabilisce l’obbligo per i musei a non superare il valore di 50 lux per l’illuminazione di opere d’arte di particolare sensibilità fotochimica.

Zona B protetta con vetro comune

Zona C totalmente protetta dalla luce

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*Spiritualità don Pietro Biaggi Dir. Ufficio Catechistico di Bergamo

Il catechismo a Bergamo. Ieri ed oggi. Le domande con asterisco

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l catechismo? No, per carità. E’ cosa da bambini, per fare la Prima Comunione e la Cresima… Se c’è un argomento fuori moda sembra proprio aver scelto la rubrica giusta. Qualcuno semmai ha tentato di render più accattivante l’argomento, modernizzando il vocabolo e sostituendolo con “catechesi”, con “primo o secondo annuncio”… senza sapere che proprio catechesi è il termine più corretto, antico, vocabolo che contiene già nel greco l’etimo di “eco”, un far risuonare, una parola che raggiunge l’altro e lo interpella, da una valle all’altra. Catechismo è invece proprio il libro, che dall’invenzione della stampa per ben cinque secoli è stato così determinante nella storia da aver monopolizzato il campo del linguaggio (“Andare a catechismo, hai fatto il catechismo?”). Nell’Anno della Fede indetto dal Papa la sfida è aperta e di grande attualità: ha ancora senso far risuonare un annuncio, una parola in vallate che sembrano distantissime, quella della Chiesa e quella della società, quella delle nostre comunità ed il mondo del lavoro, degli affetti, della politica, dell’educazione? Direi una sfida affascinante, quanto più impervia. E se la catechesi fosse innanzitutto una questione di adulti e per adulti? Se il compito più urgente della Chiesa oggi fosse proprio quello di dialogare con il loro mondo, con i suoi problemi senza banalizzare né decurtare il Mistero della Fede che le

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è stato affidato? Da anni lo stiamo dicendo, si propongono itinerari, iniziative … ma è ancora troppo poco. Basta pensare che oltre l’ottanta per cento dei catechisti italiani sono ancora impegnati nella fascia 6-12 anni: non è un male in sé, ma è come se l’ottanta per cento dei medici italiani fossero tutti pediatri. Resta un mondo quasi sconosciuto, abbandonato, irraggiungibile. Sicuramente è un’illusione pensare che educare alla fede i ragazzi di oggi sia sufficiente per avere degli adulti “cristiani” domani; è molto più realistico verificare quanto i comportamenti e le scelte dei genitori incidano nell’educazione e quindi anche nella fede dei figli. Resta alta a Bergamo la presenza dei ragazzi al “catechismo”, da altre regioni un poco ci invidiano, ma dobbiamo essere accorti, non ingenui: si tratta di una scelta che per molte famiglie è frutto di tradizione, di fiducia nei confronti delle parrocchie ma che senza una seria evangelizzazione degli adulti rischia di diventare a breve sempre più una delega sterile e frustrante per i catechisti generosamente impegnati negli Oratori bergamaschi. La Chiesa Italiana da oltre quarant’anni ha deciso di avere un catechismo nazionale, anche per gli adulti, la sua ultima edizione ha per titolo “La Verità vi farà liberi” (1995). Non è stato sempre così: nel passato ogni Vescovo sceglieva per la propria Diocesi il testo che riteneva più adatto, in alcuni casi lo faceva scrivere, in rarissimi casi era

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lui stesso a mettervi mano. A Bergamo dal Cinquecento sono stati adottati vari catechismi, soprattutto destinati ai ragazzi; uno dei classici, riedito ancora nell’Ottocento, fu il Bellarmino, uno dei più antichi, eppure ancora valido dopo tre secoli. Pietro Luigi Speranza, originario di Piario nell’alta Val Seriana, fu Vescovo di Bergamo dal 1854 al 1879: un grande pastore, fin dall’inizio del suo Episcopato seriamente impegnato nella catechesi, in un contesto sociale e politico particolarmente segnato da tensioni e contrasti. “La Dichiarazione della Dottrina Cristiana” venne stampata a Bergamo per la prima volta nel 1855, a un anno dalla sua elezione, e rimase nella nostra Diocesi il catechismo degli adulti per quasi un secolo. Un’opera, con domande e risposte, progettata ed in parte scritta da Speranza prima di diventare Vescovo, con una suggestiva novità: le domande con asterisco. Si tratta di domande di attualità, particolarmente significative nel pensare della gente, importanti quindi da affrontare con cura ma anche con semplicità. L’idea che ci proponiamo quest’anno è di scegliere alcune di queste domande “di attualità”, di riprendere alcuni passaggi di un catechismo bergamasco ottocentesco per vedere come allora vi si rispondeva, e tentare, anche noi oggi, di rispondervi. Ci riusciremo? www.catechesibg.it Facebook: Ufficio Catechistico Bergamo


Cult

Bergamo Jazz compie 35 anni

Tra le stelle del programma John Scofield, Uri Caine-Han Bennink, Gregory Porter, Hermeto Pascoal, Dino & Franco Piana Septet, Giovanni Guidi , Marc Ribot, Mary Halvorson, Peter Evans

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ergamo Jazz”, XXXV edizione, la seconda con la direzione artistica di Enrico Rava. Anche nel 2013 uno dei festival più longevi e prestigiosi del vecchio vontinente si preannuncia dai contenuti ricchi e variegati, nel segno di un significativo spaccato di quanto si muove all’interno del composito panorama jazzistico internazionale e del rapporto dialogico fra tradizione e innovazione. Organizzato dal Teatro Donizetti e dall’Assessorato alla Cultura e allo Spettacolo del Comune di Bergamo, “Bergamo Jazz 2013” si articolerà in vari momenti spettacolari e di approfondimento, primi fra tutti i concerti ospitati dal 22 al 24 marzo al Donizetti, sede storica del festival. Numerosi gli eventi dislocati in altri luoghi che nell’insieme contribuiranno a diffondere i suoni del

jazz per la città, grazie al coinvolgimento di importanti realtà associative e istituzionali attive nel campo della musica ma anche del cinema e delle arti figurative. Venerdì 22 marzo, la prima delle tre serate al Teatro Donizetti verrà aperta da una nutrita formazione capitanata dal trombonista Dino Piana, veterano di mille battaglie musicali, e dal figlio Franco, trombettista e flicornista di vaglia. Il trombettista Fabrizio Bosso e il sassofonista Max Ionata completeranno la notevole front line, alle cui spalle agirà un’affidabile sezione ritmica formata dal pianista Luca Mannutza, dal contrabbassista Giuseppe Bassi e dal batterista Roberto Gatto, altro nome di punta del jazz made in Italy. Protagonista del successivo concerto sarà invece la nuova stella del canto jazz, e non solo: Gregory Porter. Già insignito di una

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A cura della redazione

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Grammy Nomination, il possente vocalist californiano fa infatti anche propri in maniera personale e altamente comunicativa gli stilemi del soul e del blues, traendo così linfa vitale dal più autentico humus culturale afroamericano. Sabato 23 sarà ancora un gruppo diretto da un musicista italiano a salire per primo sul palcoscenico del Donizetti: il quintetto, a “stelle e strisce”, di Giovanni Guidi. Noto anche la per la proficua collaborazione con lo stesso Rava, il pianista umbro avrà al suo fianco nella speciale occasione il sassofonista Dan Kinzelman, il trombettista Shane Endsley, il bassista Thomas Morgan e il batterista Gerald Cleaver, tutti ben sintonizzati sulla medesima lunghezza d’onda del giovane ma già autorevole leader. Dal Brasile arriverà quindi la seconda proposta della serata: Hermeto Pascoal. L’ultrasettantenne compositore e polistrumentista (suona tromba, sax, tastiere, flauto e numerosi altri strumenti) e la sua spettacolare band sapranno sicuramente coinvolgere il pubblico con una originalissima miscela sonora dalle infinite inflessioni e sfumature, che si nutre di jazz ma anche di tante altre musiche. Domenica 24 il testimone passerà a due beniamini del pubblico bergamasco: Uri Caine e John Scofield. Il pianista di Filadelfia, già Direttore Artistico di “Bergamo Jazz” dal 2006 al 2008, si esibirà in duo con il formidabile batterista olandese Han Bennink, mentre il chitarrista di Dayton porrà il sigillo finale al festival insieme al suo Organic Trio, comprendente il pianista e specialista dell’organo Hammond Larry Goldings e il batterista Greg Hutchinson. Nelle stesse giornate delle tre serate al Teatro Donizetti avranno luogo altri eventi di rilievo, ad iniziare dall’esibizione solitaria alla GAMeC (venerdì 22, ore 17) del chitarrista Marc Ribot, uno dei più innovativi esponenti odierni del mondo della sei corde. Sempre alla GAMeC sarà in mostra un’opera video dell’artista Mariella Guzzoni, basata sulla performance tenuta lo scorso anno dall’inglese Oren Marshall. All’Auditorium di Piazza della Libertà si potranno invece ascoltare i gruppi di due

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esponenti delle più avanzate tendenze del jazz contemporaneo: il trombettista Peter Evans (sabato 23, ore 17) e la chitarrista Mary Halvorson (domenica 24, ore 17), fresca vincitrice come “miglior nuovo talento internazionale” del referendum “Top Jazz 2012” del mensile Musica Jazz. Significativo si prefigura pure il rinnovato sodalizio fra “Bergamo Jazz” e Jazz Club Bergamo: nella mattinata di domenica 24 (ore 11) è previsto, sempre all’Auditorium di Piazza della Libertà, un doppio concerto di cui saranno ospiti prima il trio Urban Fabula (con Seby Burgio al pianoforte) e poi il gruppo Acrobats del sassofonista Tino Tracanna, forte di altri valenti solisti come il trombonista Mauro Ottolini (musicista italiano dell’anno nel “Top Jazz 2012”), il chitarrista Roberto Cecchetto, il bassista Paolino Dalla Porta e il batterista Antonio Fusco. Ma il programma della XXXV edizione di “Bergamo Jazz” non si esaurisce qui. Anche nel 2013 ci sarà spazio per affrontare i legami fra musica e cinema e avvicinare i più giovani all’affascinante universo espressivo del jazz. In collaborazione con LAB 80 e “Bergamo Film Meeting” sono previste all’Auditorium di Piazza della Libertà una performance del Pylon Trio di Dan Kinzelman, sullo sfondo di immagini di uno dei

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pionieri del cinema di animazione, Ladislas Starevich (domenica 17 marzo, ore 17; a seguire il film Sweet Smell of Success di Alexander MacKendrick), e la proiezione di pellicole dedicate a grandi, indimenticabili uomini del jazz come Chet Baker e Tony Scott (mercoledì 20 e giovedì 21). Non ultima per importanza, la tradizionale iniziativa didattica curata dal CDpMCentro Didattico Produzione Musica. Nelle mattinate del 21, 22 e 23 si svolgerà infatti “Incontriamo il jazz”, ciclo di lezioni-concerto riservato agli alunni della scuola primaria e secondaria: un modo per diffondere e far conoscere il jazz tra il pubblico di domani. Prezzi Abbonamenti tre serate al Teatro Donizetti: da 20 a 74 Euro. Biglietti per le singole serate al Teatro Donizetti: da 9 a 34 Euro; giovani al di sotto dei 27 anni da 7 a 25 Euro. Concerti all’Auditorium di Piazza della Libertà: 10 Euro; giovani al di sotto dei 27 anni e abbonati al festival 7,50 Euro. In vendita dall’11 febbraio. Performance di Dan Kinzelman nell’ambito di “Bergamo Film Meeting”: Euro 7. Film del 20 e 21 marzo: 5 Euro, ridotto 4 Euro (soci LAB 80 e abbonati “Bergamo Film Meeting”). Informazioni e prevendite: Teatro Donizetti: 035 4160601/02/03.


Cult

La Madonna del Mantegna è tornata a Bergamo

Dopo quattro anni di assenza, il capolavoro è tornato ad essere esposto al pubblico – nel Palazzo della Ragione, in Piazza Vecchia - a conclusione di un delicato e innovativo intervento di restauro progettato

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el 2008 l’Accademia Carrara ha affidato all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze una delle opere più preziose delle sue collezioni: la Madonna con il Bambino di Andrea Mantegna (tempera su tela, 43x31 cm.), tra i maestri del Rinascimento italiano. E’ finalmente giunto a conclusione il delicato e innovativo intervento di restauro del dipinto, presentato in anteprima alla Galleria dell’Accademia di Firenze, per poi fare ritorno, attesissimo, a Bergamo. È ora esposto nella Sala delle Capriate di Palazzo della Ragione, Piazza Vecchia, sede temporanea dell’Accademia Carrara. Il dipinto, entrato nelle collezioni della Carrara nel 1851 per dono del raffinato collezionista Carlo Marenzi, è noto non solo per il senso di mistero che induce

ma anche per la particolare tecnica artistica con cui è realizzato – tempera su tela - utilizzata da Mantegna per conferire alla superficie pittorica un effetto chiaro e poroso, vicino agli esiti della pittura murale. Ci troviamo quindi di fronte a un caso eccezionale di “tempera magra” non verniciata, che ha sostanzialmente mantenuto l’effetto artistico ricercato da Mantegna. Proprio la natura fragile del manufatto ha portato qualche anno fa il dipinto anche al centro del dibattito quando, non senza innescare polemiche, la valutazione del suo delicato stato di conservazione ha consigliato di astenersi dal concederne il prestito per l’importante occasione di studio offerta dalle mostre di Londra nel 1992, dalle esposizioni italiane nel 5° centenario della morte di Mantegna del

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2006 e della mostra del Louvre, svoltasi tra il 2008 e il 2009. Lo stato di conservazione del dipinto era infatti monitorato dall’Opificio delle Pietre Dure sin dagli anni Novanta, soprattutto per la situazione critica dell’ancoraggio della tela al telaio. Di qui la necessità di definire un progetto di restauro affidato all’istituto fiorentino. Per trovare il migliore rimedio a questi problemi conservativi, al fine di non rischiare di alterare le caratteristiche così particolari dell’opera, si è impostato un vero e proprio progetto di ricerca, con la collaborazione di numerosi esperti interni ed esterni all’Opificio, finalizzato alla messa a punto delle procedure del restauro e a quelle connesse con la futura conservazione preventiva, con una serie di soluzioni assolutamente innovative. Il danno principale era stato causato dal cedimento della tensione della tela sul telaio e da numerose lacerazioni del supporto. Attraverso un lavoro certosino sono state risarcite tutte le lacune con l’inserimento di frammenti di tela dello stesso filato della tela originale. L’operazione nel suo complesso ha messo in sicurezza la tela restituendole planarità. Sono stati a questo punto rimossi i restauri

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alterati – dei quali uno particolarmente vistoso al centro della tela, sul manto della Madonna - per procedere alla fase del restauro pittorico. Ultimo intervento è stato quello dell’allestimento del dipinto, nuovo nella concezione e innovativo nella realizzazione, con la tela non più ancorata al telaio, ma sospesa e costantemente controllata nel suo tensionamento attraverso un sistema a molle, regolate da dinamometri. Il progetto è dell’Opd, così come quello della teca che contiene il dipinto per preservarlo nelle migliori condizioni, realizzata da Klaus Faller di Bressanone. Il progetto e la realizzazione dell’intervento sono a cura di Marco Ciatti, Cecilia Frosinini, Roberto Bellucci, dell’Opificio delle pietre dure di Firenze con la collaborazione di Lucia Bresci. La splendida piccola tela della Carrara, che dato il soggetto e le dimensioni contenute era con tutta probabilità un’opera destinata alla devozione privata, è stata collocata dalla critica in periodi molto diversi dell’attività di Mantegna: chi la pone addirittura nel cuore del periodo di Padova (1455 ca), chi all’inizio del periodo mantovano al servizio dei Gonzaga (dal 1460), chi a conclusione della Camera degli Sposi

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(1465 - 1474), chi a fine carriera dopo il ciclo del Trionfo di Cesare (1480- 1495). Le opere non datate di Mantegna costituiscono infatti per la critica un vero rompicapo dato che, come ben evidenziato dal critico inglese Roger Fry nei suoi studi su Mantegna dei primi del ‘900, il pittore raggiunse uno stile definito e sicuro a un’età straordinariamente precoce e dal punto di vista tecnico affinò i suoi metodi, perfezionandoli all’estremo, senza tuttavia mai cambiarli materialmente. Negli ultimi anni ha raccolto un significativo consenso l'invito a collocare cronologicamente il dipinto tra il 1475 e il 1480, all'apice della stagione mantovana dell'artista. ORARI DI APERTURA Invernale: da ottobre a maggio - martedì - venerdì: 9,30-17,30; sabato e domenica: 10-18. BIGLIETTI Intero: 5,00 euro; Ridotto e gruppi: 3,00 euro; Scuole, giovani card e family card: 1,50 euro. Agevolazione: Bergamo Card; Convenzione famiglie: Genitori biglietto intero, figli omaggio (fino a 18 anni compiuti). PRENOTAZIONI GRUPPI E VISITE GUIDATE tel. +39 035 21 80 41, negli orari lunedì - venerdì ore 9-18.


Cult

Società del Quartetto, stagione numero 109

Quattordici i concerti in programma, due in più della scorsa stagione. Doppio appuntamento con il Trio di Parma. E poi contaminazioni tra jazz e classica. Spazio anche ai giovani

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arte lunedì 4 febbraio la stagione concertistica numero 109 della Società del Quartetto di Bergamo. Il considerevole traguardo della più antica associazione concertistica di Bergamo reso possibile anche quest’anno dal contributo dei più fedeli e tradizionali sponsor - si articola in ben 14 appuntamenti (i primi quattro all’Auditorium della Libertà nella città bassa; e gli altri dieci nella Sala Alfredo Piatti nella città alta), due in più rispetto a quelli della scorsa stagione. Il quadro dei concerti si mantiene, secondo la tradizione, di alto livello qualitativo e - secondo una più recente sensibilità ormai consolidatasi - si espande oltre i confini del genere classico proseguendo, tra l’altro, la collaborazione con il Jazz Club Bergamo, già attuata lo scorso anno, e alla quale si aggiunge anche quella con

Gioventù Musicale Bergamo. Per il concerto inaugurale del 4 febbraio all’Auditorium della Libertà ritornerà alla Società del Quartetto, dopo dieci anni dalla precedente partecipazione, il prestigioso Trio di Parma, formazione di fama internazionale e cara al pubblico bergamasco, che si esibirà anche una seconda volta, ma in Sala Alfredo Piatti, il 22 aprile. Il secondo concerto (11 febbraio) rappresenta una di quelle inclusioni discrete nel repertorio jazzistico che hanno caratterizzato i più recenti cartelloni della Società del Quartetto di Bergamo. Con il titolo di “Un francese a New York – Omaggio a Maurice André”, Alessandro Stella, trombettista, accompagnato al pianoforte da Mattia Mistrangelo, ripercorrerà alcuni brani cari al grande André a quasi un anno dalla scomparsa. Con Enrico Pieranunzi

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al pianoforte, sempre in Auditorium il 18 febbraio, si arricchisce ulteriormente il panorama dei grandi protagonisti italiani del pianoforte anche nella accezione jazzistica. Il Trio Raffaello, formazione nata su solide basi nel 2007, chiuderà il mese di febbraio e la parte della stagione che si svolge presso l’Auditorium. Il passaggio in Sala Alfredo Piatti vedrà come protagonista uno dei pianisti più apprezzati del momento a livello mondiale, oltre che particolarmente caro al pubblico della Società del Quartetto (memorabile il suo concerto del primo marzo 2010): Giuseppe Albanese. Appuntamento da non perdere anche quello di venerdì 8 marzo, realizzato in collaborazione con Gioventù Musicale Bergamo, con il pianista russo Nicolay Khozyainov. Nel cuore della rassegna, lunedì 11 marzo, un altro concerto evento del quale sarà protagonista il Quatuor Hermès, formazione d’archi francese costituita da giovani, ma che in brevissimo tempo dalla nascita ha raggiunto nel 2011 l’ambìto riconoscimento del Primo Premio al Concorso Internazionale di Ginevra. Giovedì 14 marzo due esponenti di primo piano del panorama jazzistico internazionale: il pianista inglese Gwilym Simcock e il contrabbassista russo Yuru Golubev, proposti dal Jazz Club Bergamo, apriranno una parentesi di grande interesse con le loro interpretazioni di standard jazzistici e rivisitazioni del repertorio musicale colto europeo. Il Trio Diaghilev è una delle formazioni nel suo genere più note e affermate. La letteratura musicale per due pianoforti e percussioni - a parte il celeberrimo lavoro di Bartók che non mancherà nel programma - è assai limitata: ma l’infaticabile trio ha saputo creare proprie riuscitissime versioni di composizioni come quella de “La Sagra della Primavera” di Stravinskij, che ascolteremo nel concerto del 18 marzo.Sarà, quindi, la volta della giovane pianista Irene Veneziano. Già esibitasi con grande successo al Teatro alla Scala di Milano nel 2011, il 25 marzo proporrà al pubblico del Quartetto un

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percorso molto personale con brani di Chopin, Clementi, Respighi, Puccini e Liszt. L’Opera Ensemble di Roma, nel concerto dell’8 aprile, arricchirà il “monumentale” repertorio dei brani eseguiti nelle centonove stagioni concertistiche della Società del Quartetto con un capolavoro brahmsiano incredibilmente mai prima eseguito: il Quintetto con clarinetto Op.115. Il 15 aprile si potrà ascoltare la violinista italosvizzera Maristella Patuzzi, accompagnata dal padre Mario Patuzzi. Enfante

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prodige, la giovane artista di Lugano proporrà una serie di composizioni di primissimo piano della letteratura violinistica. Ancora un appuntamento (22 aprile) con il Trio di Parma prima di terminare il 29 aprile con la prestigiosa Accademia Bizantina, diretta da Stefano Montanari, che sarà impegnato anche come violino solista in un repertorio di “Antiche arie e danze” del Sei e Settecento per lo più italiano. La singolare serata vedrà sul palco anche Gianluigi Trovesi.


Cult

Donizetti, rinnovare nella tradizione

Proseguono la stagione «maggiore» di prosa e le proposte di «Altri Percorsi». In arrivo grandi nomi, e non solo del teatro: Silvio Orlando, Luca Barbareschi, Franco Branciaroli, Amanda Sandrelli

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rosegue la stagione di prosa del Teatro Donizetti. Una stagione all’insegna del motto “Rinnovare nella tradizione” perché, come spiega il direttore artistico Luigi Ceccarelli «a fronte di grandi classici, pur messi in scena con regie a volte innovative e originali, si accompagnano momenti di umorismo, divertissement, intrattenimento più leggero, sempre nel segno dell’intelligenza e della godibilità». Il prossimo appuntamento, dal 12 al 17 febbraio, è con «Il nipote di Rameau» di Denis Diderot: regia e recitazione siglata Silvio Orlando. A seguire il ritorno a Bergamo di Luca Barbareschi con «Il discorso del Re» di David Seidler, dal 26 febbraio al 3 marzo. Dal 12 al 17 marzo è la volta di Franco Branciaroli con «Servo di scena» di Ronald Harwood. Andiamo ad aprile: dal 2 al 7 ecco «Gin Game» di D.I. Coburn, regia di Francesco Macedonio, con

Valeria Valeri e Paolo Ferrari. Chiusura dal 16 al 21 aprile con «L’Affarista (mercadet)» di Honoré de Balzac. Regia Antonio Calenda, con Geppy Gleijeses e Marianella Bargilli. Altri Percorsi è partito alla grande con due spettacoli di primo piano, ospitati non al caso Teatro Donizetti. Lunedì 14 gennaio il sipario si è aperto con «Nel nome del padre», reading-spettacolo di Luigi Lunari. Lunedì 4 febbraio è andato in scena «Acqua dolce», regia Michele Riondino (anche protagonista) e Marco Andreoli (autore della drammaturgia). Da marzo si vola al Sociale. Il 7 ecco «Anima Errante» di Roberto Cavosi. Con Maddalena Crippa e Sergio Romano. Il 27 è la volta di «Oscar e la dama in rosa» di Eric-Emmanuel Schmidt. Con Amanda Sandrelli. Il 23 aprile ultimo atto con «La paura. Ovvero essere pronti è tutto - Variazioni sul tema in concerto», di e con Elena Bucci.

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A cura di: Fabio Cuminetti

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Le tre fanfare incantano il Donizetti

Raccolti 12 mila euro per la “Nuova Casa del Sole”, struttura di ospitalità per i malati e i loro familiari. Padrino d’eccezione il vicesindaco di Bergamo, Gianfranco Ceci, ideatore dell’iniziativa

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on hanno deluso le aspettative i musicisti che la sera di venerdì 18 gennaio si sono esibiti al Teatro Donizetti nello spettacolo «Concerto delle tre fanfare per il dono della vita». Hanno saputo dare alla serata la giusta armonia, filo conduttore di un’esibizione unica e spumeggiante, all’insegna del dono e della solidarietà. Prima ad esibirsi la Fanfara Alpina Orobica, la formazione più numerosa, che raccoglie musicisti da tutta Lombardia e che ha “aperto le danze” allietando il pubblico con le più famose musiche della tradizione alpina. A seguire la Fanfara Città dei Mille, che ha reso omaggio all’associazione organizzatrice del concerto, l’Avis Provinciale Bergamo, eseguendo in apertura l’inno “I volontari del sangue”. Infine, la Fanfara dei Bersaglieri “Arturo

Scattini” che ha chiuso il concerto con grande carica e forza, eseguendo, tra le tante melodie, un “Inno di Mameli” ricco di energia. Presentatore della serata Francesco Brighenti. Scopo della manifestazione la raccolta fondi in favore della “Nuova Casa del Sole”, struttura di ospitalità per i malati e i familiari dei malati in cura presso la Divisione Ematologica del Papa Giovanni XXIII, destinata a diventare un modello e un punto di riferimento per l’accoglienza ospedaliera in Italia. Una serata benefica, attraverso cui sono stati raccolti 12.000 euro, che ha unito due associazioni fortemente radicate e presenti sul territorio di Bergamo come Avis Provinciale Bergamo e associazione Paolo Belli, che hanno collaborato con il Comune di Bergamo alla realizzazione della serata.

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A cura della redazione

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