DutyGorn - Hieroglyphic/Action

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MOSTRA PERSONALE DI DUTYGORN

A CURA DI MAURO DI VITO

IFD GALLERY RESEARCH MILANO


C U R ATO R E D E L L A M O S T R A M AU R O D I V I T O MAIN SPONSOR

CO O R D I N A M E N TO E A DV E R T I S I N G L U C I A N O AT T O L I N I S T R AT E G I A D I CO M U N I C A Z I O N E ARTGR AFLIX ROBERTO ROSSI

S P O N S O R T E C N I CO

U F F I C I O S TA M PA ASSOCIAZIONE ART GALLERY E L A B O R A Z I O N E I M M AG I N I R A CO M M U N I C AT I O N

M E D I A PA R T N E R S

Un grande ringraziamento a Sergio e Alda Pea IFD GALLERY RESEARCH via Marco Polo, 4 - Milano www.ifdgalleryresearch.it

Pubblicato nel mese di Aprile 2016


Exhibition 2016 2015 2015 2014 2013 2012 2012 2012 2011 2011 2010 2009 2009 2008 2008 2007 2007 2006 2005 2005 2003

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Collaboration 2016 2015 2015 2013 2012 2012 2012 2012 2011 2011 2011 2010 2005 2005 2003

Trussardi, personalizzazione Tram Milano e Fiat 500 Dirk Bikkembergs windows e live painting Kazam Mobile Italy cover makers Limited edition Patrizia Pepe, live painting, Firenze Banca Sistema, Mostra personale, Milano Veuve Clicquot – DRepubblica, Adv reinterpretation Korff Italia – DRepubblica, Adv reinterpretation Original Marines - DRepubblica, Adv reinterpretation Limited edition Casio G-shock world tour Milano Vasco Rossi - live painting, Concerto San Siro, Milano Red Bull – redbull cooler event + mostra personale Mini BMW – Milano - Mostra personale + live painting 2011 Solo exhibition, Spazio Pontaccio, Milano WuTangClan-Ghostface Killah concerto, Milano Campari Mixx for Art -Triennale

Questa mostra invita lo spettatore a ripercorrere l’intero cammino della ricerca artistica di Guido DutyGorn, caratterizzato da una profonda e intelligente rielaborazione dei classici del passato prossimo. I suoi dipinti combinano diverse suggestioni stilistiche: dalla Pop Art al linguaggio urbano, dall’Action Painting alla calligrafia, dal linearismo razionalista al movimento spazialista, creando un linguaggio originale e accattivante, di grande semplicità e facile comprensione. Tale linguaggio si sviluppa su grandi superfici scomposte, creando un effetto di perdita di controllo del supporto pittorico, fino a sconfinare nel terreno spaziale della scultura. L’artista manipola, con inusitato empito innovativo, la sintassi di un vastissimo repertorio di opere, da Warhol a Mondrian, da Pollock a Fontana, riappropriandosi così dell’ipertesto dell’arte contemporanea nell’ultimo mezzo secolo e riattivandone le energie vitali e innovative, che il tempo ha lentamente sedimentato. photo: Kalia Genova


Frattanto tale ricerca, attraverso il passato recente, si trova riflessa nel gesto calligrafico dell’ideogramma, il tratto sintetico e immediato che nella furtiva brevità e nella codificata leggibilità esprime il simbolo dell’eleganza e della modernità. L’azione del gesto pittorico di astrazione in forme sintetiche, riconducibili al tratto virtuoso dell’artista, fissa, incide e circoscrive la bellezza delle forme femminili e astratte in un rapido danzare del pennello sulla tela. Sabotando i codici della pittura contemporanea e sovrapponendo le conglutinazioni e le coalescenze tra le tele, in un palinsesto, DutyGorn realizza un dispositivo di grande impatto e di sicura permanenza visiva nella nostra memoria. L’inedito corpo di lavori realizzato in occasione di questa personale documenta un vivifico rapporto di continua innovazione e rielaborazione di sé, che accompagna lo spettatore in un itinerario iniziatico di meditazione e libertà di crescita. Geroglificare è una parola che signìfica rappresentare per mezzo di geroglifici, e, in senso generico, di simboli ed emblemi. Com’è noto i geroglifici sono segni incisi, scolpiti o pittorici che compongono i sistemi di scrittura di antiche popolazioni, che combinano elementi ideografici, sillabici e alfabetici. Non solo gli Egizi, ma anche i Maya, i Cretesi e gli Anatolici facevano uso di questo sistema. Il mio intervento si propone di indagare il sistema di ​geroglific­azione di Guido DutyGorn, attraverso il sistema linguistico che gli è proprio, nel tentativo di dare voce a una struttura stilistica complessa, caratterizzata da ripetizioni minimali di cellule iconiche e corsiva icasticità. Hieroglyphic/Action è la trasformazione dell’immagine in glifo sacro, in icona, in tratto calligrafico, ideogrammatico, minimale e significante. Normalmente a causa della durevolezza del supporto sono giunti fino a noi i geroglifici che si incidevano sulla pietra, purtuttavia l’atto della scrittura nasce con strumenti molto semplici, e su supporti fragili ed effimeri, di cui sarebbe pleonastico tracciare qui una storia. L’arte della calligrafia richiede da sempre una maestria, un virtuosismo, una rapidità del tratto e una capacità di sintesi, che la rende molto più versatile e comunicativa del disegno, anche se meno immediata, in quanto necessita di una capacità di lettura che rimanda a un codice alfabetico. La radice sacerdotale della pratica calligrafica è dovuta al fatto che le cariche religiose avevano il tempo per indulgere in questa forma di trasmissione del sapere. L’esercizio della scrittura è tradizionalmente un privilegio che porta alla consapevolezza spirituale. L’uso di strumenti come il calamo o la penna d’oca, il pennino tagliato o il pennello piatto hanno da sempre accompagnato il mestiere del calligrafo, che nei secoli ha espresso esigenze estetiche tra le più alte mai concepite dall’umanità. I supporti della calligrafia sono stati storicamente legati alla preziosità dei materiali, dettata dall’esigenza della loro conservabilità. Raramente (se non in casi eccezionali di epigrafi su pietra, di alto valore) la scrittura ha acquisito formati monumentali, per converso Guido DutyGorn rovescia questo rapporto spaziale sviluppando i propri lavori su grandi spazi. La scrittura ha il compito magico di trasmettere il pensiero, oltre la morte dell’autore­scrivente. Come tutti sappiamo quello che è successo nella tradizione occidentale con il distacco delle arti dal figurativo è stato imputato a una serie di concause. Tra queste la più importante è stata l’avvento della fotografia, che ha

sottratto al disegno e alla pittura il loro campo d’azione. Per questo motivo, l’arte occidentale si è lentamente distanziata dalla figurazione, per meglio esplorare l’astratto. Tuttavia l’astratto e l’informe spesso hanno coinciso, conformandosi all’insignificante, e per questo motivo le tensioni lineari e razionaliste sono state recepite con difficoltà, facendo sì che l’arte perdesse il suo carattere di comunicatività universale, orbandola del suo codice espressivo e della sua immediatezza. Si è ottenuto quindi un effetto opposto a quello teorizzato da Piet Mondrian, e cioè l’abbandono della figura in favore della forma: un equilibrio geometrico che superi l’estetica dell’apparenza naturale, del descrittivo, delle coordinate di spazio e di tempo, e che si disponga in favore di un’armonia plastica in grado di travalicare le istanze “tragiche e femminili dell’arte” e di affermare con oggettività l’espressione dei rapporti astratti tra piani e colori. Le cose che trovano il loro fondamento nella virtù, benché molte volte sembrino iniziare in terreni bassi e vili, come il graffitismo (fenomeno antico e discusso, ai limiti della legalità​), vanno sempre in alto di mano in mano, finché non giungano al sommo della gloria, ovvero al virtuosismo. Esse non si arrestano, né mai trovano riposo, come dice Leonardo da Vinci: “​non si volge chi a stella è fisso​”, come chiaramente si può vedere nel debile e basso principio di Guido DutyGorn, la cui carriera artistica trova inizio sulle strade, come ​writer​, e risulta manifesto nel grado che tocca oggi, mediante la pittura. Guido DutyGorn, inclinatissimo all’arte, di bello e buono ingegno, è riuscito in questi anni a trasformare il graffito, tecnica calligrafica da cui è partito, e a filtrarlo attraverso l’azione della pittura in un movimento di astrazione, proprio della scrittura ideogrammatica. Egli arriva in un secondo momento alla rappresentazione dei volti grazie alla tensione verso la bellezza femminile, che sa distillare con brevi tratti d’incisiva purezza. Con Guido DutyGorn si verifica la decostruzione del rifiuto di ascrivere la pittura a linguaggio (Cesare Segre), finora incontestato. Grazie infatti alla tracciabilità strutturale dei moduli che compongono la pittura geroglifica di DutyGorn, le sue opere sono anche testi leggibili ­oltre che più semplicemente fruibili­attraverso uno sguardo gestaltico, che si appropri delle forme e dei colori in forma ideogrammatica. In questo modo il percorso dello sguardo dello spettatore è continuamente riflesso e riconosciuto tra i differenti supporti, conglomerati nei suoi polittici, che sono definiti con il termine di ​poli[ecle]ttici,​in ragione del palinsesto di figurazioni che attraversano piani diatopici e diastratici. A Milano è assai diffuso il costume di dipingere in tela, sia perché questa non si crepa e non intarla, sia perché si possono fare pitture della grandezza che si vuole, sia pure per la comodità di spedirle facilmente dove si voglia, con pochissima spesa e fatica. Dopo il supporto murale, con il quale Guido DutyGorn inizia la sua carriera, egli passa alla tela, rappresentando le stazioni di fermata dei mezzi di trasporto ipogei, una forma di (ri)scoperta anacronistica della prospettiva. Allo stesso modo Filippo Brunelleschi, per teorizzare le regole della prospettiva, disegna su una tavoletta la facciata del Battistero di Firenze visto dalla porta centrale della Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Nel caso di Guido, tuttavia, le


linee prospettiche sono il preludio ad uno spazio già decostruito, alla fondazione di una poetica della linea, che sarà in futuro il segno distintivo del suo idioma stilistico. Come in un dinamogramma, l’energia della linea è un affilato passaggio di pennello, che pialla le lamine stratigrafiche in una tachigrafia e trasforma la realtà nella visualizzazione bidimensionale dell’irraggiamento. L’immagine percepita si trasforma così in un quadro all’infrarosso, in cui la meticolosa scomposizione di ombre e luci che si compie dell’immagine non passa più soltanto attraverso i sensi umani, ma si trasforma grazie ai nuovi strumenti forniti dalla tecnologia. Dal punto di vista simbolico e psicologico la scelta dello spazio cavernoso in questa prima prova giustifica da una parte l’assenza di luce diurna e gli effetti alienanti dello sguardo nel mondo sotterraneo, dell’ombra warholiana, dall’altra instrada verso la superficie urbana e il mondo iperuranico dei volti femminili. In seguito all’esperienza delle prime tele, che come abbiamo veduto rappresentavano stazioni della Metropolitana, Guido DutyGorn, lavorando nel settore del design, giunge a contatto con il mondo della moda, in questa occasione l’osservazione dei volti delle modelle genera in lui una nuova tipologia di dipinto, prosopografico, che consiste nel far ritratti di naturale, introducendo l’usanza in città, che chi era in qualche grado di bellezza si faceva da lui ritrarre in tale guisa che il volto fosse appunto trasformato in un glifo, riconoscibile per i suoi lineamenti e al tempo stesso spersonalizzato in una grammatica formale rarefatta e ondeggiante in tratti di pennello sicuri e ben tracciati. Laonde in molte case di Milano sono i suoi ritratti et in molte de’ gentiluomini si veggiono queste maschere geroglificate, affini a quelle del culto degl’avi padri . E chi non sente infinito piacere e contento, oltre l’orrevolezza et ornamento che fanno, in vedere queste immagini? Tali immagini ci guardano da un mondo di sublimazione in cui il volto, la caratteristica che ci permette più d’ogni altra di essere riconosciuti, e ci permette altresì di essere unici, è trasformato in un geroglifico, una forma ideogrammatica semplice che conserva la riconoscibilità dei tratti, ma si spersonalizza fino a trasformarsi in un segno leggibile. I volti sono altresì rielaborati attraverso una composizione di colori primari che si sovrappongono in diversi strati e creano una stratificazione di piani. Tale effetto ci permette una lettura profonda dei diversi livelli cromatici e della profondità prospettica dei volti stessi, ed è anche il concetto grazie al quale in successivi periodi Guido DutyGorn procede a una scomposizione non solo dei piani cromatici, ma anche di quelli del supporto, scomponendoli in un polittico che attraversa lo spazio della visione e fa in modo. che l’occhio si perda in riflessi e ombre dello stesso volto raffigurato. Il mondo dell’arte si oppone alla tangibilità del mondo e al suo livello ontologico, in quanto virtuale riaffiorare di minimi dettagli: ciglia, labbra, palpebre, curve del naso e mento, chiome, dita... Tutto concorre a richiamare il mondo fuggevole della memoria, l’impossibilità di riprodurre un volto senza averlo davanti, e il continuo riverberare delle sue forme nel nostro cervello, in una tensione erotica, quasi feticistica. Sia per le grandi dimensioni, sia per il processo di trasformazione al quale sono sottoposti i volti

di DutyGorn sono un’eco delle “immagini immense e impersonali” di James Rosenquist, e sono costantemente dirette verso una purezza idealistica che travalica il compito della decorazione e si incide nella memoria col forte impatto emotivo, ma nel gesto libero della pittura e della pennellata sicura, come il ​ductus di una lettera sul foglio, è la liberta espressiva e immediata delle sue donne. Questa mostra, in particolare, richiama anche l’istallazione del 1978 di Andy Warhol alla Dia Art Foundation di New York, dove l’artista approfittò della possibilità di creare uno spazio chiamato ​disco décor in cui grandi tele potevano essere appese lungo il perimetro della stanza. Si trattava di ombre d’immagini, allo stesso modo in cui, nella loro astratta natura proiettiva, le opere di DutyGorn, allineate lungo il perimetro dello spazio in cui sono esposte, creano un immenso polittico, un d ​ isco décor umbratile che ci aiuta meglio a comprendere l’altra faccia della luna, quella sempre in ombra. Solo restando di fronte alle ultime opere del percorso, che raffigurano le strisce segnaletiche segnate sulle strade o le pezze araldiche delle divise colorate, nelle decorazioni per le carrozzerie dei Tram della città di Milano, compiute in concomitanza della campagna di comunicazione di Trussardi (2016) si comprende infine come le grandi dimensioni siano una caratteristica sempre più importante nelle opere di DutyGorn: le cosiddette strade sono infatti l’ultima declinazione della sfaccettata libertà espressiva del nostro artista. Il marchio di fabbrica, come spiega bene Michel Serres, è una forma di marcatura territoriale con la quale le grandi case di moda si appropriano dei loro acquirenti, uniformandoli a sé, con il proprio logo. Guido DutyGorn gioca con questo aspetto (come anche Wim Delvoye) e riesce a trasformare il marchio in qualcosa di arcaico, riportandolo alle divise medievali dei cavalieri, nei tornei, e riappropriandosi di un linguaggio araldico, che restituisce anima al logo; diversamente esso sarebbe solo “malpropre”: una forma di marcatura territoriale impura. Se non vivessimo in un periodo di profonda crisi economica, queste opere sarebbero già universalmente apprezzate. Nel loro bilanciamento delle istanze fisiche e spirituali esse sono il preludio a una nuova e più matura fase, in cui il minimalismo geometrico e il neoplasticismo prevalgono sulle tensioni verso il figurativo, e restando ambiguamente all’interno di un linguaggio, ancora una volta geroglifico e signifi- cante. Queste ultime opere possono essere lette sia come segnaletica stradale sia come forme geometriche pure, il loro taglio obliquo e la spaziosità permette inoltre di creare, attraverso il rovesciamento del piano stradale, una squisita allegoria urbana, in cui il terreno viene rovesciato di fronte allo spettatore generando un alienante effetto di sovvertimento, quello che Dante esprime con il versetto biblico: “Adhaesit pavimento anima mea; vivifica me secundum verbum tuum”), che gli avari pronunciano con voce sopraffatta dal pianto e dai sospiri, un abbassamento dell’animo dell’artista al livello del camminamento, e un invito alla meditazione: la nostra società è infatti troppo avara nei confronti dell’arte che, invece, è un segnavia. Mauro Di Vito



FU T U R E / FU T U R ISM

A c r i l i c o, t e m p e r a e m a r ke r s r e to u c h é s u t e l a 318 x12 8 c m 2 016


ELUSI V E

D U T YGO R N & FLYC AT R IFL E SSI ONI

su tela 60x80 cm

s u t e l a 70 x10 0 c m

2005

2 016

Acrilico

A c r i l i c o, t e m p e r a e m a r ke r s


SENSUA L LOV E

LOV E IN LO N D O N

s u t e l a 16 6 x 2 5 0 c m

s u t e l a 76 x10 2 c m

2 014

2 013

Acrilico e tempera

Acrilico e tempera


LO OK OV ER

MY

Acrilico e tempera

Acrilico e tempera

s u t e l a 8 0 x12 0 c m

s u t e l a 17 3 x17 3 c m

2 011

2 014


L I GHT LOV E

L A DY

Acrilico e tempera

Acrilico e tempera

s u t e l a 16 6 x 2 5 0 c m

s u t e l a 8 0 x10 0 c m

2 014

2 016


L A DY G.

SENSUA L / LOV E /#2

Acrilico e tempera

A c r i l i c o, t e m p e r a e m a r ke r s

s u t e l a 8 0 x10 0 c m

s u t e l a 10 0 x10 0 c m

2 016

2 011


S TR IPE S

D U T YGO R N & O N CE 213/ THE FU T UR E IS BACK

d i t t i c o s u t e l a 2 0 0 x10 0 c m

s u t e l a 15 0 x10 0 c m

2 011

2 011

A c r i l i c o, t e m p e r a e m a r ke r s

A c r i l i c o, t e m p e r a e m a r ke r s


TR I CE M A R ILY N

P OP/OP TIK A L / R E / V IE W

s u t e l a 4 6 x 72 c m

s u t e l a 67x 9 7 c m

2 011- 2 014

2 014

A c r i l i c o, t e m p e r a e m a r ke r s

A c r i l i c o, t e m p e r a e m a r ke r s


R EL IE V E S

S TRO K E BLUE S

A c r i l i c o, t e m p e r a e m a r ke r s

A c r i l i c o, t e m p e r a e m a r ke r s

s u t e l a 8 5 x110 c m

s u t e l a 76 x 8 0 c m

2 014

2 014


EYE

S TROK E /2

s u t e l a 72 x 8 4 c m

s u t e l a 10 0 x113 c m

2 014

2 014

A c r i l i c o, s p r a y e m a r ke r s

Acrilico


LOV ELY/ R E V IE W

CL AU DIE

Acrilico

Acrilico e tempera

s u t e l a 14 3 x15 3 c m

s u t e l a 15 8 x112 c m

2 016

2 016


D U T Y/A BS TR AC T

A c r i l i c o, t e m p e r a , s m a l to e m a r ke r s s u t e l a 4 5 5 x15 5 c m 2 014 - 2 015


CIT Y L I GHTS Acrilico

d i t t i c o s u t e l a 5 4 0 x19 5 c m 2 016


W H AT IS THE O PP OSITE O F L IFE? Acrilico

su tela 30 0x 20 0 cm 2 016



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