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Vincolati al suo destino NOEMI PAOLINI GIACHERY di

Ilia Pedrina

Lui è Italo Svevo, lei, la conosciamo bene nei suoi lavori di critica letteraria che interpreta i testi con competenza e passione, è Noemi Paolini Giachery, così questo suo intensissimo ITALO SVEVO IL SUPERUOMO DISSIMULATO, in nuova edizione per i tipi della Aracne Editrice, pubblicato nel 2017, mostra un dinamismo esecutivo tra ricerca sui testi dello scrittore triestino - a partire da quelli che gli aprono la carriera di apprezzato giornalista e in moto verso una sempre maggiore consapevolezza dei propri talenti -, e investigazione comparata tra tutti coloro che si sono cimentati a scrivere su di lui e a capirne i risvolti più segreti, che mi ha non poco vincolato al suo destino, di ebreo, di ebreo triestino, di ebreo triestino dagli orizzonti mentali e creativi oltre ogni Mitteleuropa. A lei ho promesso uno studio altrettanto coinvolgente per rendere questo suo lavoro materiale ardente da tenere in borsette, zaini da passeggio, come pure nei tasconi di grande ampiezza che avvolgano belle persone. La prima ragione per tenerlo così a lato sta nel capirsi come al femminile, dando così a se stesse la possibilità di accedere ad una autoanalisi senza mezzi termini, da condurre in sincerità; la seconda per cogliere lo stile dell’interprete all’opera, così articolato, avventuroso, razionale e passionale ad un tempo. Allora che noi fumiamo o meno, il vincolo a seguire il testo e a capire Svevo diventa cosa ben importante. Basta l’avvio dell’introduzione per capire che là dove lei mette attenzione e misura determinata all’avventura, oltre che piena competenza dei propri mezzi intellettuali, allora arrivano i guai per tutti quelli che prima di lei si sono cimentati con questo Autore: “Il progetto di scrivere un libro su Svevo non può oggi non essere inizialmente scoraggiato dalla considerazione della immensa bibliografia sveviana, a cui si aggiungono di continuo nuovi, spesso importanti contributi. Eppure, inoltrandosi in questo grande mare, si scopre che non è facile rintracciare dei percorsi lineari segnati da approdi e da acquisizioni definitive… In realtà il nostro autore si è rivelato finora veramente proteiforme, cioè metamorficamente sfuggente a ogni tentativo di presa definitiva… Ora il Soggetto sveviano è considerato capace di acquistare, sia pure gradualmente, un’allegra medietà attraverso il compromesso e l’ironia, ora -ma il caso è più rarosi scopre amaramente e irrimediabilmente estremista e nichilista e chiuso in un universo privo di punti-luce. E la lista potrebbe continuare. E di fatto si allungherà nel seguito di questo discorso…” (Noemi Paolini Giachery, Italo Svevo il superuomo dissimulato, op. cit. pp. 7-8).

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Allora abbiamo letto bene: la metafora del

‘grande mare’ dove gli approdi non si presentano né lineari né segnati sulla mappa della scrittura sveviana è affiancata, per creare ancor più disagio di localizzazioni garantite, dalla precisa caratteristica del ‘nostro autore… metamorficamente sfuggente’. Noemi cerca di consolarci un poco rispetto all’impresa intellettuale che ci aspetta e ci accarezza con quel suo sguardo, quasi novella Atena occhiazzurina, che non ha certo bisogno della nottola sulla spalla, dato che nessuna notte possibile nella scrittura del Nostro può fermarle energia e dinamismo che visualizza ed organizza interpretazioni ben azzeccate, armonicamente indicative del suo reale talento nel costruire passo dopo passo questo lavoro dell’intelligenza, della messa in campo dei materiali, della passione nell’offrirli a tutti.

L’interpretazione che Noemi Paolini Giachery fornisce dei testi di Italo Svevo viene vissuta dall’interno quasi fosse una partitura vastissima da penetrare con sapiente capacità di ascolto e con disimpegnata, giovanile, ardita scioltezza, perché dà passo dopo passo il resoconto degli obiettivi individuati e messi in luce, armonicamente innestati nel tutto della propria arte: lei non fuma con lui, ma ci lascia vincolati al suo destino! Ed ecco i Movimenti o Capitoli, in tutto nove, che aspettano di coinvolgerci, con Finale ad effetto, che vuole presentarsi come un altro densissimo aggancio, di vorticose inquiete caratteristiche, quale può essere Marcel Proust:

Capitolo I Dissonanze sveviane;

Capitolo II A partire da Shylock. Ettore Samigli recensore autobiografico;

Capitolo III Orientamenti di un disorientato;

Capitolo IV “A sprazzi e ad istanti”. Puntiluce nell’oscuro universo sveviano;

Capitolo V Una rimozione contagiosa;

Capitolo VI La scrittura allo specchio;

Capitolo VII Bivalenza del “malcontento”;

Capitolo VIII Non sempre si tratta di stilemi;

Capitrolo IX Montale e Svevo: un incontro per affinità

Du coté de chez Schmitz

“… Come in un’ouverture, si affacceranno molti dei temi fondamentali che saranno sviluppati nel discorso…”: così ancora nell’Introduzione Noemi sa che dobbiamo avere conoscenza, passione, intelligenza, competenza, originalità e capacità interpretativa bastevoli ad affrontare quest’avventura nel ‘grande mare’ e ci consola, senza abbandonarci ai marosi da deriva, perché lei non fuma con lui, ma ci vuole vincolati al suo destino, rimanendo, con la sua scrittura, sempre al nostro fianco: stimare il lettore è offrire a lui il meglio di sé, in un riconoscimento che è indubbia prova di stima.

Noemi Paolini Giachery ITALO SVEVO

IL SUPERUOMO DISSIMULATO, Aracne

Editrice, 2012, pp. 168.

IO E MIO PADRE

Scrivevo a mio padre

Di un difficile inverno

La neve sul tetto

Un noce abbattuto dal vento

A mio padre donavo

I versi del disordine

Indirizzandogli parole

Che si disperdevano nel nulla

Punto interrogativo

Enigma rimane il padre

E vorrei tanto abbracciarlo

Come rinforzato argine d’acqua

Incerta piuma d’usignolo

Acquista l’urlo furioso del vento

Io e mio padre – sole nel cielo

Bocciolo di rosa a gennaio

Ilia Pedrina

Pasquale Montalto

Da: Cristalli di neve. Il senso dell’altrove, Ed.

Tabula Fati, 2022, illustrazioni di Alice Pinto.

Il Poeta Cercatore

di Manuela Mazzola

La via poetica è lunga e complessa. E chi decide di percorrerla sa che alla fine arriverà, forse, a conoscersi meglio, poiché la poiesi rappresenta uno scavarsi dentro, fin nelle ossa. Ed è esattamente questo che il poeta cercatore sta facendo. Nel suo ultimo lavoro …beáti qui non vidérunt et credidérunt si evince una grande sofferenza che lo accompagna nel percorso umano prima, artistico poi.

“E proprio qui sta il dramma di chi cerca la fede, di chi tenacemente la persegue, senza raggiungere il suo obiettivo; qui il senso di colpa, dilaniante; qui il dramma, mai urlato, che attraversa il libro e lo scuote dal profondo”. Scrive così Pasquale Balestriere nella prefazione, il quale rischiara il percorso del lettore in questo viaggio di alto profilo lirico.

Ventisei le poesie che si collegano ai versetti del Vangelo secondo Giovanni, riportati in lingua latina e poi tradotti in italiano.

Lo stile è apparentemente semplice e scarno come l’atto che il poeta compie nei confronti di se stesso per arrivare fino in fondo, nelle profondità per ritrovarsi, glielo auguriamo, davanti a se stesso per capire e comprendersi meglio, ritrovandosi nella vita di tutti i giorni.

Giannicola Ceccarossi vive un’esistenza piena, circondato dall’amore della moglie Patrizia e dei figli; parliamo, dunque, di un uomo che ha una sua professione e una sua famiglia, ma egli desidera andare oltre la fisicità del mondo per giungere a qualcosa di metafisico, ossia che trascende la realtà sperimentale, è in cerca, infatti, dell’Assoluto, dell’Universale, di Dio. Ciò di cui manca l’uomo e la donna.

Come scrissi già nel saggio “Enzo Andreoli e la Shock Art” : “Si avverte una tensione verso l’infinito, una ricerca spirituale non collocabile in una religione in particolare, ma piuttosto verso un’entità al di sopra degli esseri umani, a cui tendono inevitabilmente, per cercare quel quid, dall’inizio dei tempi.

Quel senso di incompletezza avvertito da tutti i popoli è stato risolto da alcuni con la filosofia e la sua meraviglia, da altri con le religioni e le sue dottrine”.

Anche se per il Ceccarossi è diverso, dal momento che ogni essere umano è unico, ritrovo in questo florilegio, quella stessa ricerca per riempire la mancanza o l’assenza. “Forse è colpa mia/ Forse non ti ho accolto/ con il cuore aperto[…]”e quando sarò dinanzi a te/ spero che tutti i miei dubbi svaniscano”; “Siamo in molti/ Una lampada ci accompagna/ nella fitta boscaglia. Il poeta prende su di sé tutta la colpa per questo suo sentire, per questo suo essere smarrito e spera che una volta di fronte a Dio, i dubbi si diradino e afferma che come lui ce ne sono molti lungo la strada della conoscenza; la via sembra essere una boscaglia in cui l’unica cosa a loro disposizione è una lampada che faccia vedere loro il passo successivo. Tutto ciò gli procura dolore e pena che gli opprime il respiro: “Malattia dell’esistere dell’ignoto/ Ho camminato senza il mio giaciglio”; “Non c’è strada né vicolo/ dove rifugiarmi”.

Non esiste alcun luogo sulla terra che gli dia un po’ di respiro e riprende a camminare da solo, sempre più solo.

Anche in “Quando il tempo verrà fragile come la Luna”, edito da Ibiskos Ulivieri Editore del 2019, era presente il mistero dell’essere, della vita, ma anche della perdita. Il poeta si poneva alcuni interrogativi che nascevano nel suo animo e che venivano, risolti in senso catartico, nel naturale divenire dei versi.

E come in quella raccolta anche in questa l’autore traspone emozioni e sentimenti che sono umani, nel senso che appartengono universalmente a tutti gli uomini e le donne. Proprio per questo i lettori facilmente possono comprendere i versi sciolti e cadenzati dalle parole scelte.

Chiude la silloge la poesia eponima:

Beati coloro che hanno avuto il dono della fede

-esseri prediletti –perché otterranno la grazia e la vita eterna

Beati coloro che credono perché i momenti saranno più lieti e il loro bene per il Padre sarà radioso e perenne

Infine a te o Padre rivolgo la mia esortazione

Lasciami la memoria

Perché potrei dimenticarti.

È una lirica con dignità di preghiera, scritta da un uomo che non si accorge o non è del tutto cosciente, del lungo cammino che ha intrapreso e che credo lo abbia composto con umiltà, sincerità e umano dolore e che dunque sia riuscito a trovare la risposta alle sue domande, ai suoi vuoti, ai suoi perché. Fino a quando la mia gola/ sarà rigogliosa di luminosità/ e la mia parola/ intonerà le rime del poeta.

Giannicola Ceccarossi

BEATI QUI NON VIDERUNT ET CREDIDERUNT, IBISKOS Ulivieri Editore, 2022, pp. 45.

Manuela Mazzola

La Stella Polare

Le persone vicine, gli avvenimenti imminenti si impongono e modellano le mie giornate, i mesi, gli anni … la mia vita. Ma nei momenti brevi di pausa, nel silenzio, corre il pensiero al tempo trascorso, e al come, al dove, al quando. E allora mi accorgo di tutto quello che avrei voluto fare e che purtroppo ho trascurato. Me ne dispiace, però penso che forse così doveva andare, perché forse voleva il buon Dio per il mio bene che così fosse. Probabilmente, quello che ho fatto è stato fatto bene, quello che avrei voluto sarebbe andato male. Ma inalterato, imperituro resta pur se irrealizzato, bello e sempre vivo, un sogno: quello di rivederti un giorno e di poterti parlare. Là dove mi conduce la mia stella polare. 4 febbraio 2023

Mariagina Bonciani Milano

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