POMEZIA-NOTIZIE
Luglio 2021
Il Racconto
IMPRINTING NECESSARIO di Wilma Minotti Cerini
U
NA nube bassa sopra Stresa ha oscurato un tratto del lago accessibile al mio occhio, ma nel suo lato destro uno squarcio fa intravedere un cielo cilestrino chiaro e queste differenza di luce e ombre crea sul lago una strana fantasmagoria di colori: torvi e leggiadri nel contempo. E’ presto, solo qualche rara voce umana tra gli ultimi turisti che s’incamminano veloci nei loro impermeabili trasparenti sulla mia riva, per sparire oltre la casa vicina che chiude il mio orizzonte. Poi un battere d’ali di anatre selvatiche sciama verso l’onda nel rituale lavaggio delle piume. Ma più alto si palesa una freccia perfetta che buca l’aria, allineati a distanza matematica le anatre selvatiche vanno altrove, e allora penso a quel piccolo paleo encefalo che sa orientarsi con le stelle e con le distanze come solo un matematico sa fare e mi torna la malinconia per la presuntuosità umana del credersi chissà che cosa. Chi avrebbe mai detto che avrei lasciato la città di Milano per vivere quel che resta del mio futuro a Pallanza, città nella quale sono nata e cresciuta, per una scelta di vita che avrei una volta accettato solo per una vacanza e non per sempre! Bastava andare all’indietro di tre anni per ritrovare tutta la mia angoscia per non riuscire a trovare un appartamento un po’ decente e adeguato alla cifra possibile. Ogni anno dovevo decentrare un po’, e poi sempre più lontano verso quelle periferie anonime, senza alcun riferimento alla tua storia, per trovare un’abitazione che avesse la cucina abitabile a parte e non a vista all’americana come ormai si usa e che ti propongono come una ricercatezza moderna. Voglio vedere se il soffritto di cipolla non si deposita su un divano! e hai un bel spruzzare deodorante.
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La casa nella quale ancora vivremo per gli ultimi due anni, e saranno quarantasette dall’inizio, la vivo come se un ladro fosse già penetrato per rubare. Non un furto qualsiasi, un furto della memoria, dei momenti di gioia e di dolore, di lacrime e risate, momenti di innamoramento e amore, il tempo degli amici, delle persone care. Non potrò più dire: casa mia. Eppure era lei la mia casa, quella nella quale avrei voluto vivere e morire. E poi la via, un po’ proletaria una volta ed ora un corso con negozi di moda e di gioielli. Ieri l’ortolano, la pescheria, il macellaio, il panettiere, il droghiere. Oggi devi andare sempre più lontano a meno che tu non voglia mangiare un gioiello. E’ come se mi preparassi a un funerale, essendo il malato assai grave, e dovrò dire addio ai muri, a quel corridoio così strano che noi abbiamo trasformato in una galleria arredata. Ho già dato un addio ai merli e al pettirosso che ogni anno veniva nel terrazzo pensile sotto la siepe di lauro cerasus. Forse è da quel giorno che ho deciso che piuttosto che in periferia me ne sarei andata altrove. Quel giorno sono venuti in forza del diritto di fare ciò che vogliono coloro che sono padroni di tutto lo stabile, e senza alcun preavviso hanno strappato ogni cosa. Mi si è stretto il cuore quando hanno strappato le tue povere radici, ancora avevi i tuoi racemi fioriti mio povero lauro cerasus! Mi sono ritrovata all’improvviso un terrazzo che tanto somigliava ad un retro di una casa del Bronxs, una distesa di cemento con un comignolo grigio per lo sfiatatoio dell’aria condizionata della banca sottostante, una desolazione assoluta, salvo vedere ancor meglio le finestre ormai logore dal tempo della casa antistante. Perché il luccichio delle vetrine è sotto, all’altezza dell’occhio ma basta alzare gli occhi per vedere scemare questo prodigio, quando la casa diventata vetusta tanto assomiglia ad una persona curva sugli anni. Eppure quella era la casa che avevo pensato di vivere, invecchiando insieme, forse morendo insieme. Milano, mia affascinante Milano di un tempo, così viva di idee realizzate, così cantata