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MONTALE, CARMELO BENE E LE PARALIMPIADI 2016 DI RIO di Giuseppe Leone
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O seguito in TV, alcune settimane fa, le Paralimpiadi di Rio, con uno stupore e una curiosità che mai avrei immaginato di provare. Avevo visto in precedenza alcuni momenti delle Olimpiadi d'agosto, ma lì neppure un'emozione, solo una vaga ammirazione verso chi eccelleva nelle varie specialità. Non è stata la stessa cosa, assistendo a queste gare di fine estate. Ho visto atleti in carne e ossa e in spirito piangere, ridere, arrabbiarsi, gioire, con tanto di belle interviste e di parole sincere. Uno spettacolo di uomini e donne tenuti per molto tempo lontano dai riflettori della notorietà. Ne ha tratto vantaggio la RAI che una volta tanto ha potuto rinunciare a programmi-spazzatura, per farci vedere una realtà, questa volta, non condizionata dai direttori di rete o da ragioni di audience. Uno spettacolo autentico, insomma, che gli atleti hanno fornito con la loro spontaneità e semplicità, coi loro gesti elementari, coi loro corpi come sono “qui e ora”, dopo che una cattiva sorte li ha fatti diventare altro da quelli che erano al momento della nascita. Nati due volte, li aveva definiti Giuseppe Pontiggia, parlando dei disabili e, più in particolare, di suo figlio affetto da tetraparesi spastica. Nati una prima volta alla vita, una seconda all'amore di tutti coloro che li attorniano, “apparentemente” normali, e con i quali devono pur sempre rapportarsi. Perciò, hanno vinto tutti: quelli che si son portati a casa una medaglia e quelli