Luce e Vita Giovani n.110

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GIOVANI

Mensile di informazione e comunicazione del mondo giovanile. Supplemento al settimanale Luce e Vita n.9 del 26/02/2017 | Piazza Giovene 4 - 70056 Molfetta - lev.giovani@gmail.com

Pellegrini scolastici Dai banchi a Santiago

La vita è bella

L’apporto di De Luca e Vecchioni

Missionarietà giovanile Due testimonianze

Rubrica film Collateral beauty

Camminerai dimenticando… …ti fermerai sognando

Anno XIV n.110 26 FEBBRAIO 2017


Non basta! Non Basta! La fragilità non è l’ultima parola della nostra vita!

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n questo mese di febbraio, mentre ancora echeggiano nella mente le note dei testi finalisti di Sanremo, siamo raggiunti da notizie poco rassicuranti sul mondo giovanile: il suicidio di due giovani, uno di Udine e l’altro di Lavagna (Ge). Il primo, a 30 anni, nel preludio al gesto folle scrive di “furto di felicità” per i sogni non realizzati e la mancanza di lavoro; il secondo, a 16 anni, si toglie la vita dopo essere stato scoperto con 10 gr di hashish. Non entro nel merito dell’analisi psicologica dei gesti, né di quella delle normative in materia di lavoro e possesso di droghe leggere. Guardo invece alla fragilità di queste due vite e le proietto nella nostra diocesi.

Incaricato diocesano del Servizio per la Pastorale Giovanile

“...armiamoci di criteri di lettura per camminare accanto ai giovani”

Circoscrivo un pò il raggio di ricerca pensando ai miei alunni di scuola superiore. Mi chiedo spesso chi siano al di là della scuola, come vivano il loro tempo libero, come si mettano in moto nelle relazioni, quali certezze e speranze abbiano, quali siano i loro modelli attuali e come vivano con la famiglia la rivoluzione adolescenziale. Mi chiedo anche quanto forti saranno quando, in un futuro non così lontano, abbandoneranno la rassicurante certezza delle mura scolastiche. Mi chiedo chi saranno a 30 o 35 anni. Non trovo risposte uguali e preconfezionate per tutti, ma so di aver paura. Paura di non sapergli stare accanto quando lo chiederanno, paura di non riuscire ad intercettare per tempo determinati segnali di fragilità, paura che loro per primi non siano in grado di leggersi deboli e quindi desiderosi di aiuto. “Non basta! Non basta”, canta la Mannoia nel commovente inno alla vita, sanremese. Nei versi precedenti mi ricorda “quante volte condanniamo questa vita, illudendoci d’averla già capita”. Non basta dunque fermarci a denunciare, ma armiamoci di criteri di lettura per camminare accanto ai giovani, imparando l’arte del “saper vivere” anche nelle pratiche pastorali, talvolta intasate di tutto, tranne che di Relazione.

Che sia Benedetta (di Fiorella Mannoia)

Dedichiamo questo numero ai giovani che vogliono camminare, perché farlo significa indagarsi, crescere, rafforzarsi, così come ci racconta chi è stato a Santiago, o in missione, o ad ascoltare R. Vecchioni ed E. De Luca al Liceo Tedone. In ultimo, ti prego Signore, donaci la tua Umanità, perché lì scopriamo “quanto siamo eterno, siamo passi, siamo storie”. (Cit. Mannoia) don Massimiliano Fasciano

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Giovani con i scarponcini Mai soli in viaggio

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abbi Bär di Radoschitz supplicò un giorno il suo maestro, il Veggente di Lublino: “Indicatemi un cammino universale al servizio di Dio!” E lo zaddik rispose: “Non si tratta di dire all’uomo quale cammino deve percorrere: perché c’è una via in cui si segue Dio con lo studio e un’altra con la preghiera, una con il digiuno e un’altra mangiando. È compito di ogni uomo conoscere bene verso quale cammino lo attrae il proprio cuore e poi scegliere quello con tutte le forze”. Questo racconto, riportato da Martin Buber nel suo libro Il cammino dell’uomo, dimostra quanto l’uomo in continua ricerca di Dio non può non mettersi in cammino, non può non abbandonare la propria casa, costruita con le proprie certezze e comodità, per seguirLo in un percorso del tutto personale, unico e irripetibile così come è la nostra vita. Non a caso la nostra fede ha come colonna Abramo, il quale è pellegrino, non solo dal Paese delle sue origini verso la Terra promessa, ma anche nell’uscire verso il futuro che, seppur incerto, diventa il banco di prova per

chi si affida a Dio e non ne rimane deluso. Infatti ad Abramo, che abbandona la sua terra, il Signore promette grandi cose: «Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione» (Genesi 12,2). Chi si mette in cammino alla ricerca di Dio, pur non sapendo esattamente dove andare, sa che nel viaggio non è totalmente solo e, anche quando i punti di riferimento o le forze verranno a mancare o la salita sembra insormontabile, Egli saprà donargli la rotta al di là di ogni aspettativa. Il mondo quest’oggi ha quindi bisogno sempre più di giovani con gli scarponcini, così come li ha definiti papa Francesco durante la GMG di Cracovia, capaci cioè di mettersi in moto, di mettersi in cammino per lasciare un’impronta nel mondo, per farsi interpellare continuamente dalla Parola di Dio e percorrere le strade della fraternità e della pace. don Ignazio Gadaleta 3


Giovani verso Santiago Un progetto scolastico all IISS Ferraris

Cosa è il cammino di Santiago

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o scorso anno 14 studenti dell’I.I.S.S. “G. Ferraris” di Molfetta hanno percorso il Cammino di Santiago con le loro docenti di religione, Rosanna de Pinto, e di lettere, Mariella Maggialetti. “Non è solo un pellegrinaggio - spiega Claudia - è percorso di vita che insegna e ti segna dentro; non si può dimenticare facilmente. È condivisione, conoscenza, crescita, pace interiore. Parlare del Cammino non è facile, bisogna viverlo per comprenderlo appieno.” Per Mario invece: “Chiamarlo ‘cammino’ non è giusto! Lo chiamerei piuttosto riflessione. Dopo un pò camminare diveniva un’azione spontanea, come il respiro. Un respiro che lascia emozioni, la voglia di conoscere nuove persone e di migliorare se stessi.” “E una metafora, una strada, una via da percorrere nella propria vita - dice Corrado - un luogo dove crescere dal punto di vista umano, 4

e crescere grazie all’aiuto dei tuoi compagni d’avventura, delle prof e delle persone che si incrociano lungo la via. È stata una grande esperienza collettiva, che è servita a tutto il gruppo per coltivare una sincera amicizia e per crescere interiormente: un pò tutti siamo partiti senza aspettative e tornati indietro con un prezioso tesoro”. “Sono partita con aspettative minime - confessa Jacqueline - e sono tornata a casa diversa. È stato un viaggio dentro di me che mi ha fatto capire chi sono realmente, in cosa credo e cosa vorrei per il mio futuro.” “Ho affrontato il Cammino come una sfida con me stesso” - afferma invece Andrea - “per vedere quanto lontano sarei riuscito a spingermi. Sono tornato a casa con la consapevolezza di avere più energia di quanto pensassi, energia che ho tirato fuori nei tratti più difficoltosi del percorso, e che userò nei momenti difficili


Abbiamo affrontato di tutto, dai sentieri fangosi in cui si riusciva a malapena a camminare all’asciutto alle ripidissime salite che lasciavano senza fiato, facendo i conti con l’impervietà del Cammino”. “Ho affrontato più volte salite faticose soltanto per trovarmi di fronte ad altre salite - commenta Giada - Il Cammino è qualcosa di imprevedibile, non sai mai cosa ti aspetta. Non sai mai quanto tempo ancora dovrai camminare o se ce la farai ad arrivare fino in fondo, ma quando arriverai alla fine, vorrai rivivere tutto di nuovo.” “Son partito prendendo questo Cammino con la mia solita superficialità” - ammette Antonio - “vedendolo come alternativa alla monotonia quotidiana. Il racconto di 3 Arrivato lì però ne ho viste tante, ma non giovani bresciani volevo farmi trasportare dall’autobus, non avrei retto alla ferita psicologica; ho imparato che i limiti nascono dalla pigrizia, con caparbietà e volontà tutto diventa possibile: la forza dell’animo è al di sopra di quella fisica. Tutti abbiamo potuto conoscere gli altri pellegrini, e di solito bastava scambiare una parola o due per rompere il ghiaccio e scoprire nuovi modi di pensare, che hanno permesso di vedere i fatti da una prospettiva completamente diversa”. Stessa esperienza e stesso modo di pensare, come ci lascia intendere Mariella, una delle prof. che ha affiancato i ragazzi in questa esperienza: “Il Cammino per me è stato una sfida e una scoperta, un mix di emozioni e sensazioni della mia vita, perché anch’essa è fatta di salite irripetibili. Il Cammino è procedere fianco a e discese.” “Può succedere”, come ci spiega fianco, sostenendosi e aiutandosi; è restare Valentina, “che inizi il Cammino con nessuna soli e fare i conti con se stessi; il Cammino è aspettativa, senza una meta, con tanta paura e mettersi in discussione e rinnovarsi ad ogni infinita voglia di scoprire. Poi, quando dopo 113 km arrivi a destinazione, capisci che hai raggiunto passo. È stata un’esperienza indimenticabile che spero di poter ripetere.” Ma alla fine di tutto una meta ben più lontana: la meta in te stesso. qualcuno si chiederà com’è nato questo progetto Affronti tutto il resto con determinazione, soffri, a volte pensi di mollare, ma ce l’hai fatta. e soprattutto perché. “L’idea è stata quella di una sfida da affrontare insieme” - conclude Rosanna, Capisci di avere tanta forza, e di valere più la prof. coordinatrice del progetto - “alunni e di quel che tu possa immaginare.” docenti, tutti a Santiago di Compostela, lungo Niente è scontato, secondo Simona: un cammino percorso nei secoli da milioni di “E così, un pò per scommessa con me stessa, pellegrini. È stato un percorso in cui ciascuno ha un pò per qualcosa che non so definire, sono avuto l’opportunità di sperimentare se stesso, partita. Uno zaino sulle spalle, tante paure, i propri limiti, e ha provato la gioia di essere troppi desideri. arrivato fino in fondo confidando nelle proprie Ho seguito la strada disseminata di frecce gialle forze e in quelle dei propri compagni, talvolta attraversando la mente, i pensieri, il cuore. affidandosi alla Provvidenza.” Sono partita con poco, e sono tornata con la di Andrea Pisani vittoria di aver ritrovato me stessa. Studente IISS “Ferraris” di Molfetta 5


Se mi sposi, camminiamo a… Santiago!

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urante la consegna dell’attestato nella cattedrale di Santiago de Compostela, ci hanno chiesto: “Perché avete fatto il Cammino?” Ci siamo guardati… ma non avevamo una risposta! Ormai è passato un mese dal nostro ritorno e una risposta vera ancora non c’è. Probabilmente il motore che ci ha mosso si chiama PASSIONE. Durante il Cammino abbiamo riscoperto la passione per la natura, confermato la passione del mettersi in gioco, rafforzato la passione che c’è tra una moglie e un marito. Alla fine del Cammino, abbiamo capito a cosa siamo chiamati? Probabilmente no… ma sicuramente ci abbiamo provato… con passione! Lucrezia e Francesco 6

Per riassumere il tutto, una volta Martin Luther King scrisse: “Se non potete essere un pino sulla vetta del monte, siate un cespuglio nella valle, ma siate il miglior piccolo cespuglio sulla sponda del ruscello. Siate un cespuglio se non potete essere un albero. Se non potete essere una via maestra siate un sentiero. Se non potete essere il sole siate una stella. Siate il meglio di qualunque cosa siate. Cercate ardentemente di scoprire a cosa siete chiamati e poi mettetevi a farlo APPASSIONATAMENTE.”


Non la picchiare così Il libro di Francesco Minervini

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ola contro la mafia”. Maria. Una donna con sogni nel cassetto e le migliori aspettative per il futuro. Una donna forte, bellissima. Una donna che la vita non ha voluto bene: dopo una prima violenza subita dal datore di lavoro che la distrugge interiormente, Maria incontra Vito, un uomo che le fa dimenticare l’amara esperienza, se ne innamora, convivono come una normale coppia di fidanzati. Ma la vita ha in serbo ancora dolore: Maria scopre che Vito, il suo principe azzurro, è sposato, ha quattro figli ed è un esponente in ascesa della mafia. Inizia l’incubo: minacce, turbamento, violenza. Le ferite di Maria si riaprono e il male scava più nel profondo. “Non la picchiare così” è il commento di pietà di uno sgherro di Vito alla violenza, alla barbarie che “quell’uomo animale” stava compiendo su quella donna indifesa.

Collateral Beauty

Presentazione del libro

E la vita gioca ancora con Maria, infliggendole il colpo più crudele e il più bello di tutti: Vito le da un figlio. Un figlio che Maria proteggerà a tutti i costi perché quel figlio diventa tutta la sua vita. Lei scappa, denuncia Vito e lo Stato da una nuova identità a lei e suo figlio per poter tornare a vivere. Una storia vera. Un libro con il quale Francesco Minervini mette in luce la forza di una donna che la vita ha piegato più e più volte, ma che non è mai riuscita a spezzare. Un’eroina dei nostri giorni che ha il coraggio di denunciare gli orrori della mafia, vivendo la sua vita a testa alta, guidata dall’amore verso suo figlio. di Domenico Turturro Trailer del film

Il film

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ome si può affrontare la morte di un figlio? Alcuni scappano lontano dai ricordi, altri ricorrono alle sedute dallo psicologo. “If only we could be strangers again” è il tentativo proposto da Collateral Beauty. “Se solo potessimo essere di nuovo sconosciuti”. Un uomo e sua moglie. Fingere di non conoscersi, fingere di ricominciare da capo, non per dimenticare, ma per superare il dolore atroce della perdita. Uno sguardo ai problemi della vita quotidiana, alle tante sofferenze che ci circondano e che non riconosciamo nell’altro o che trattiamo in maniera superficiale. Una figlia che non ama suo padre. Una donna con la vocazione di essere madre senza un compagno. Un uomo che non sa come dire addio, divorato all’interno da un male che non si può combattere. Collateral Beauty insegna a fidarsi delle persone e a non avere paura di chiedere aiuto quando si è in difficoltà: che sia agli spiriti di Amore, Tempo e Morte o a persone reali non importa.

Un film emozionante che dona speranza e forza con l’intento di lasciare un preciso messaggio: non ci si deve arrendere di fronte agli ostacoli che la vita ci pone dinnanzi, ma bisogna affrontarli con coraggio e cogliere il bello nascosto anche nelle cose negative, il bello del nero, la Bellezza Collaterale. di Domenico Turturro 7


Roberto Vecchioni ed Erri de Luca al Liceo Tedone Due poeti tra i banchi di scuola

La felicità secondo Vecchioni

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oberto Vecchioni ed Erri De Luca, due poeti fra i banchi di scuola, dalla stessa parte dei ragazzi. Se Alda Merini fosse stata ancora qui si sarebbe innamorata degli occhi azzurri di Erri, avrebbe amato le sue parole, baciato le sue rughe, annusato il suo profumo di mare e di vento contrario. E la stessa Alda ha ispirato una canzone di Roberto. Sì, perché il professore ha sempre cantato di poeti e miti, un modo per far innamorare i giovani della bellezza, della vita vera. Incontrare Roberto ed Erri, a quindici anni, a scuola, in una mattina d’autunno, ascoltare le loro storie con l’invito a vivere la vita con passione è un dono prezioso. Ed Erri De Luca e Roberto Vecchioni non hanno lesinato, hanno donato a piene mani parole, vita, sorrisi, emozioni, sogni e lacrime. Hanno donato felicità. Perché, come ha raccontato De Luca ai liceali del Tedone, prendendo in prestito le parole 8

dell’amico fraterno e poeta serbo Izet Sarajlic, “I poeti sono responsabili della felicità dei lettori” ma anche “della loro infelicità” quando decidono di restare accanto agli uomini anche nei periodi neri, come quelli della guerra, e di continuare a stare dalla stessa parte del popolo. “Izet Sarajlic, testimone della grande tragedia della Bosnia, - ha raccontato De Luca - non se n’è andato, è rimasto nella città circondata fino all’ultimo sparo, all’ultima granata […] I poeti possono così salvare il dolore, il loro e l’altrui, impedirgli di aggiungersi alle macerie. Quando più aspra è la necessità, penuria, freddo, lutto, pericolo, più di un generale, serve un poeta”. Ed è questo il compito civile di uno scrittore. Testimoniare, “stare”, esserci e mischiarsi a vicende di libertà, come è accaduto ad Erri nelle sue missioni umanitarie negli anni 90 a Sarajevo o in quelle più recenti a Lampedusa o a Torino.


quando finisce una tempesta e un uomo non sappia essere felice per il sole che gli resta”. La commozione di vederlo abbracciare gli studenti del nostro Liceo, il suo dono di cantare per loro dal vivo “Sogna ragazzo sogna” è stata la nostra più grande lezione d’amore. Preziose e vere le lacrime di Daniela nell’ascoltare che anche un dolore può essere una felicità e che “non importa quanto si vive, ma con quanta luce dentro”. E la metafora della felicità c’è sempre nella vita di ognuno di noi, in quel sogno disperato tra il silenzio e il tuono”. Sorprendono la grande umanità ed umiltà del canta-storie Erri e sorprende l’intensità emotiva delle parole dell’aedo Roberto: il dialogo Autonarrazione dei due maestri con i giovani liceali diviene una di de Luca chiacchierata fra amici che cercano insieme non risposte l’uno dall’altro, ma un vero e proprio scambio fraterno di emotività e di vita I temi che emergono sono vitali e ci fanno scoprire che i nostri ragazzi sanno bene di avere in mano il loro futuro e forse seguendo la strada della poesia, dell’umanità, della solidarietà, della condivisione, della lotta per la libertà, scorgeranno l’unico tentativo di bellezza possibile. E allora sognate, ragazzi, sognate e non scordatevi mai del giorno prima della felicità, non smettete di cantare, cantate la gioia di un amore, cantate per dimenticare un dolore. E leggete, ragazzi, leggete. Segnate con le unghie quei versi, scrivete i vostri sogni con E una lezione di vita e di amore è stata quella l’inchiostro blu su un diario, non cercate la che Vecchioni ha donato agli studenti del Liceo perfezione, neanche a scuola. L’occhio di Dio ha Tedone. La sua vera missione, più che scrivere poesie e canzoni, è stata insegnare e “la scuola – dipinto un mondo perfetto pieno di imprecisioni, è questa la bellezza della vita, restare funamboli ha confidato il prof - non deve essere un opificio senza rete. Non rincorrete miti, ma cercate di voti, ma deve coltivare le menti, gli spiriti e solo maestri che vi raccontano storie che non i cuori. E questo deve avvenire sempre, anche avete conosciuto e ai quali insegnare qualcosa lontano dai banchi su cui io stesso sono nato. per commuovervi insieme, scambiandovi La vita è un esame a cui non siamo mai abbracci fraterni di libertà e purezza. Incontrando preparati: è qui che la scuola deve essere un Vecchioni e De Luca i nostri studenti non hanno tempo sospeso, non solo successo, ma senso, senso della vita”. Vecchioni ha indicato ai nostri letto una poesia ma hanno vissuto la poesia. liceali una strada per riappropriarci della bellezza, E la poesia si nasconde sotto pelle e non ne una strada che conduce ad un tempo lontano, un esce più e dopo si guarda il mondo con occhi diversi, nulla è più come prima e la bellezza è tempo sospeso, quello del mondo di Antigone finalmente visibile in quel giardino segreto che e di Aiace, di Saffo e di Alceo, il mondo tragedia non abbiamo mai abitato e guardato solo dalla e della lirica, del sogno e del mito: lì la nostra finestra. società malata, omologata, anestetizzata può Prof.ssa Rosanna Pellegrini trovare la cura, la sua essenza e il suo umanesimo Docente di Lettere Liceo “Tedone” - Ruvo perché è impensabile che “gli uccelli cantino 9


La terra di missione che affascina Racconti dall’Albania e dalla Tanzania

La missionarietà della Comunità Papa Giovanni XXIII

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artina e Francesca viaggiano, lasciano la loro terra per una di missione. La prima si lascia affascinare dall’Albania, la seconda dalla Tanzania. Il loro non è un resoconto turistico, ma un aprirci il proprio cuore. Ho capito che la terra di missione è “un’isola che non c’è”, ci dice Martina. È una terra che va al di là di quella che calpesti, al di là della sua posizione geografica. La terra di missione è una terra che insegna, è una terra maestra, una terra che ti regala odori, colori, volti che non vivresti se fossi lì per un viaggio diverso. L’Albania mi ha insegnato quanto ci si può ancora commuovere davanti alle rughe, profonde, incise sul volto di una donna e che segnano la vita, il sole, la terra. Mi ha ricordato quanto sia bello donarsi incondizionatamente: nell’abbraccio di un bambino, donarsi con nel ritmo della musica e dei piedi, di tanti piedi che danzano. Donarsi con le mani sporche di pittura o con un naso da clown. Mi ha mostrato quanto sia facile donare per chi

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ha poco da offrire e, ciò nonostante, è capace di privarsi di quel poco che possiede, di regalarlo e di riuscire a gioire di quella privazione. L’Albania mi ha insegnato la durezza e la fermezza di una gente che crede nella giustizia e la difende a denti stretti, che crede nella propria bandiera, nelle proprie radici. Mi ha regalato lacrime di commozione lacrime disperse nell’ abbraccio con chi è inconsapevole di quanto ha lasciato il segno in te, con chi, forse, un giorno rivedrai. O forse no. L’Albania mi ha insegnato quanto è bella la diversità, quanto è possibile e quanto è stimolante viverla, che si abbia al collo un crocifisso, uno zaino in spalla o un kamilavkion sul capo. “È davvero troppo difficile riassumere in poche righe un mese di esperienza in Tanzania, dove mi sono ritrovata catapultata in tutt’altro mondo”, ci confida Francesca. Un altro mondo, perché noi abbiamo una concezione così limitatamente eurocentrica del mondo, che tutto ciò che è oltre i nostri paesi,


Pagina FB di Ora è tempo di missione

ci sembra così lontano da non poterci interessare. Eppure non è stato per niente così, lì mi sono resa conto di come tutto ciò che noi facciamo qui, si ripercuota continuamente lì. Camminando per le strade di Mwanza, e vedendo le case fatte di mattoni e i tetti in lamiera con la scritta “Vodacom” o “Coca-cola”, mi sono resa conto di quanto quel popolo sia così sfruttato dalle stesse multinazionali che noi contribuiamo ad arricchire. È una cultura diversa dalla nostra, é un modo di pensare e concepire il mondo così del tutto differente, che sono stata guardata in maniera strana per aver abbracciato una mia compagna di viaggio per strada. Eppure ho scoperto l’amore per la stessa musica cantando insieme agli amici tanzaniani quella bellissima canzone di Jeff Buckley che mi piace tanto. Sono andata lì con l’intenzione di prestare servizio nel centro di ragazzi di strada, nel centro diurno per disabili, nel villaggio degli ex lebbrosi e dei malati mentali, magari anche un pò

con la presunzione di poter fare la differenza, per poi sapere che quegli amici tanzaniani ci vanno spesso per fare volontariato. Gli stessi ragazzi che vivono in quelle case di terra rossa e lamiera, che magari non riescono ad andare a scuola perché devono lavorare, proprio loro che sono molto meno fortunati di noi, in realtà si sentono molto fortunati rispetto alle persone per cui prestano servizio. Ho passato un intero mese in Tanzania ed è stato pieno di emozioni: potrei scrivere un libro, ma ho solo poche battute. Ho incontrato un altro popolo, un’altra cultura e ho capito l’importanza dell’incontro; mi sono resa conto di quanto sia importante non avere pregiudizi di alcun tipo, buoni o brutti che siano, e soprattutto di quanto sia importante non avere paura di conoscersi. Siamo davvero tutti fratelli e per quanto le nostre culture possano essere differenti, nel profondo, ognuno di noi soffre e ama nella stessa maniera. Martina Mastroviti e Francesca Lisi 11


“Non come Pilato” Un libro di don Rocco D’Ambrosio

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on l’elezione di Francesco a vescovo di Roma tanto è iniziato a cambiare e tanto ci auguriamo- cambierà ancora. Penso che sia importante partire da un dato ovvio: ogni papa è se stesso. Le indicazioni che papa Francesco offre quotidianamente alla sua Chiesa, per spronarla a crescere in ogni cosa, sono tantissime: a noi resta lo sforzo di comprendere per partecipare pienamente alla stagione ecclesiale che stiamo vivendo.” Sono queste alcune delle parole che aprono il libro “Non come Pilato, cattolici e politica nell’era di Francesco”. Autore del libro in questione è don Rocco D’Ambrosio, nato a Cassano delle Murge (Ba), nel 1963: non solo è sacerdote della diocesi di

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Bari, ma è anche docente ordinario di filosofia politica, direttore della didattica nella Facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università Gregoriana di Roma, docente di Etica della Pubblica Amministrazione presso la Scuola Superiore dell’Amministrazione del Ministero dell’Interno di Roma e direttore del periodico “Cercasi Un Fine” e delle scuole politiche dello stesso circuito. La Dottrina sociale della Chiesa sostiene che la politica sia una delle forme più alte di carità, perché politica è servire il bene comune. Ecco che comprendiamo il messaggio di don Rocco: i cittadini non possono disinteressarsi della politica (e quindi del bene comune) e lavarsene le mani, “come Pilato”. Attraverso questo libro, don Rocco D’Ambrosio invita a riflettere sulle difficoltà che incontrano i cattolici nel realizzare giustizia e pace nel mondo sociale e politico. “Nessuno di noi può dire: ma io non c’entro, loro governano. No, io sono responsabile del loro governo e devo fare del mio meglio perché loro governino bene, partecipando alla politica come posso…” In questo libro vengono toccate anche le tematiche della corruzione e della mafia: don Rocco D’Ambrosio esorta al valore della fatica e a quello della partecipazione come capisaldi della lotta a queste piaghe della nostra società. Dunque, il buon cristiano deve avere in sé “l’amare Dio e gli altri, prima di tutto e soprattutto; il desiderare di andare e ritornare a Lui, con tutto il cuore, in ogni ambito e momento della sua vita personale, comunitaria e politica.” di Sara de Bartolo


Prossimi appuntamenti

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n Quaresima, la Pastorale Giovanile diocesana propone l’esperienza delle Giornate di Spiritualità per giovani a livello diocesano. Il tema richiama uno dei discorsi di Papa Francesco alla GMG di Cracovia quando invitava i giovani a “lasciare un’impronta” nel mondo. Pensiamo che, quest’ultima, per essere forte e incisiva, vada anche pregata, per questo le giornate di Spiritualità saranno un’occasione di stacco dalla corsa quotidiana, per immergersi in un clima più disteso e sereno, utile non solo per rivedere amici, ma per rafforzare la propria spiritualità. A guidarci nelle riflessioni sarà don Gianni Caliandro, rettore del Seminario Regionale Pugliese, nel 2° weekend di Marzo, sabato 11 e domenica 12. Qui di seguito il programma

• Sabato 11: Ore 8,00: ritrovo e partenza Ore 9,30: arrivo e sistemazione presso Casa Mamre in Santeramo Ore 10,30: preghiera introduttiva e 1^ riflessione Ore 11,30: spazio per il silenzio personale Ore 12,00: ora media Ore 13,00: pranzo e tempo libero Ore 16,30: 2^ riflessione e liturgia penitenziale Ore 17,30: spazio per il silenzio e tempo per le confessioni Ore 19,30: vespri Ore 20,00: cena In serata breve adorazione notturna facoltativa • Domenica 12: Ore 8,00: lodi Ore 8,30: colazione Ore 9,30: 3^ riflessione Ore 10,30: tempo di silenzio meditativo Ore 11,30: messa e chiusura Ore 13,00: pranzo Pomeriggio: visita alla città di Altamura o Matera e rientro in diocesi 13


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GIOVANI

Direttore responsabile Luigi Sparapano

Grafica Antonella la Forgia

Stampa “La Nuova Mezzina” Molfetta

Reg. Tribunale di Trani n.230 del 29/10/88

la REDAZIONE

Don Massimiliano Fasciano (Responsabile inserto LeV Giovani), Nicoletta Minervini, Andrea Teofrasto, Simona Boccanegra, Marianna Camporeale, Sara de Bartolo, Teresa De Sario, Miky Altamura, Dario Prudente, Michele Martinelli, Vito Scarongella, Dario di Domenico, Angelica de Nicolo, Antonella la Forgia (grafico pubblicitario), Beppe Modugno (fotografo).

AVVICENDAMENTI IN REDAZIONE: Ringraziamo Angelica I., Miriam M., Maurizia M., Teresa G., Margherita S. ed Emanuela M. per il prezioso contributo dato al Luce e Vita Giovani in questi ultimi 2 anni e accogliamo i nuovi arrivati:

GIANMARCO LABOMBARDA Anni 19 Studente universitario di Professioni sanitarie

VINCENZO CAPPELLUTI Anni 22 Studente universitario di Ingegneria Edile

DOMENICO TURTURRO Anni 20 Studente universitario alla Facoltà di Lettere

GIANNI CARELLI Anni 20 Studente universitario di Beni culturali

MARIA CHIARA AIELLO Anni 17 Studentessa scuola superiore IISS Mons. Bello

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GIOVANI

Agisci! Vivi! E davanti alla tua vita, alla tua testimonianza, qual cuno ti chiederà: perchè vivi così ? (la parola twitter di Papa Francesco)

Ci vediamo il 26 marzo

Pastorale Giovanile Diocesi Molfetta

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