LINGUA SICILIANA

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Influenza della varie dominazioni nella lingua Siciliana La Sicilia, per la sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, è stata da sempre terra ambita e di conquiste da parte delle civiltà antiche che la colonizzarono. Di conseguenza l’idioma siciliano si è via via trasformato, prendendo e inserendo nella parlata dialettale varie parole usate con frequenza dalle popolazioni, che di volta in volta, conquistavano l’isola e ne facevano una propria colonia. Gli abitatori dell’isola, nell’era paleolitica furono i Sicani e i Siculi. I primi a conquistare la Sicilia furono i Greci e i Cartaginesi nel secolo VIII A.C. (735 – 254 A.C.) I Greci fecero presa nel linguaggio parlato siciliano tanto che molti vocaboli ed espressioni di origine greca vengono ancora usati nel dialetto attuale senza rendersene conto. Dopo i Greci fu la volta dei Romani a conquistare la Sicilia che la tolsero ai Cartaginesi e dopo la I guerra punica (241 A.C.) la unificarono e ne fecero il loro granaio. Ai siciliani del tempo non piaceva la lingua latina, la consideravano volgare e preferivano continuare a parlare il greco che era più fine, ma poichè i romani tennero sotto il proprio dominio l’isola per più di 600 anni, per forza di cose, il latino, prima facendo capolino, poi prendendo piede entrò di fatto nella parlata siciliana. Alla caduta dell’Impero Romano la Sicilia passò sotto il dominio ostrogoto (450 – 535 D.C.) ma si continuò a parlare e a scrivere in greco e latino. Nel 535 arrivano i bizantini in Sicilia, con l’imperatore Giustiniano I, e si riparlò il greco perché la Grecia faceva parte dell’Impero Romano d’Oriente. Ragion per cui ritornò la lingua greca riemerse più che mai per più di tre secoli, insieme alla letteratura e all’arte bizantina del I periodo (con pitture e mosaici di lusso). Nell’827 D.C. gli Arabi Saraceni spodestarono atrocemente in Sicilia l’Impero Bizantino e se ne impossessarono. I Saraceni fecero conoscere alla popolazione Siciliana piante fino allora sconosciute come: limoni, arance, pistacchi, melone, papiro, oltre ad un nuovo modo di irrigare e di coltivare. Tant’è che molte parole riguardanti prodotti dell’agricoltura sono di derivazione araba. Tre secoli sono tanti, per cui l dialetto siciliano sentì molto l’influsso arabo. Ma dopo 3 secoli gl Arabi, per debolezza interna, furono sopraffatti in Sicilia da Ruggero II d’Altavilla che la legò all’Italia meridionale, anche quando nel 1190 alla dinastia degli Altavilla successe quella degli Svevi. La vittoria di Carlo D’Angiò su Manfredi nel 1266 gli permise di occupare l’isola. I normanni influenzarono parecchio la parlata dialettale siciliana con le loro espressioni franco- provenzali. L’ultimo re normanno fu Guglielmo II e quando questi morì la corona di Sicilia passò alla zia Costanza e moglie del re Enrico VI di Hohenstaufen che la affidò a diversi baroni tedeschi per circa un ventennio. Anche se l’arco di tempo fu breve, la lingua tedesca lascò il suo segno nel dialetto siciliano. Nel 1208 divenne re di Napoli e di Sicilia Federico II di Hohenstaufen, figlio di Costanza di Altavilla, fino al 1250. Con i Vespri Siciliani del 1282 i siciliani si scrollarono di dosso il dominio di Carlo D’Angiò. Alla morte dell’imperatore Federico II, dopo varie lotte, la corona fu affidata al fratello del re di Francia, Carlo D’Angiò che la tenne dal 1266 al 1282. Durante questo periodo angioino la parlata francese prese piede in Sicilia con tante espressioni che ancora oggi vengono usate. Angioini e Aragonesi litigarono per tanto tempo e dopo la Pace di Caltabellotta nel 1302 la Sicilia fu assegnata agli Aragonesi. Solo nel 1479 la Sicilia diventò vicereame spagnolo e rimase alla Spagna fino al 1712 quando fu attribuita ai Savoia, che fecero il cambio con la Sardegna (1720). Gl Spagnoli Borboni per 500 anni occuparono la Sicilia e le loro espressioni si amalgamarono armoniosamente. Il dialetto siciliano risente di tutti questi influssi: non va dimenticato però, che dietro la “Lingua siciliana” ci sono state tante sofferenze e tanto lavoro del popolo siciliano. Per questo non può essere abbandonato completamente, anzi è bene che i nostri figli e nipoti si ricordino sempre delle nostri origini e delle nostre parole. Una poesia del poeta siciliano Ignazio Buttitta esprime in pieno questo concetto. “A lingua di patri


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