Fatica e morte in miniera

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Centro Studi Cultura e Società con il patrocinio di

Fatica e morte in miniera Quaderni di Storia Viva

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Stampato a Torino presso la Tipografia Agat – Maggio 2016 In copertina: Dalla pirrera a Charleroi di Dino Vaccaro; olio e acrilico su tela, 50 x70

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PREFAZIONE Centro Studi Cultura e Società – Fatica e morte in miniera- pag 2 di 40


Nel sottile filo tra la vita e la morte ci sono le vicende di tante persone che hanno lasciato una traccia nella storia patria; tra queste i bambini, le donne e gli uomini che hanno lavorato in quelle bolge infernali che sono state le miniere; il loro vissuto di minatori, spesso anche emigranti, è una storia triste di miseria, di sfruttamento, di sofferenza, di abbrutimento, di negazione della dignità umana e purtroppo anche di morte. Il mondo ctonio della miniera, come ricorda Eugenio Giannone, "ha attratto scrittori, drammaturghi, poeti colti e popolari e artisti di vario genere (dalla pittura alla musica, dalla scultura alla macchina da presa, al canto), non lasciando nessuno indifferente". Per questa serata di Storia Viva, che intende ricordare due grandi tragedie minerarie avvenute nella zolfara Cozzo Disi (4 Luglio 1916) e nella miniera di carbone di Marcinelle (8 Agosto 1956), si è voluto seguire proprio questa impostazione, individuando quelle poesie, quei dipinti, quei pezzi di narrativa e quelle fotografie che servissero a squarciare quel velo di oblio che è caduto su una realtà che, almeno in Italia, è solo più il retaggio di un passato di duro lavoro, molto spesso invalidante, a volte anche mortale. Si è cercato di far nostro l'appello che i minatori rivolsero a Pablo Neruda:

… Io sentii una voce che veniva giù dal fondo stretto del pozzo, e poi di là vidi spuntare una creatura senza volto, una maschera polverosa di sudore, di sangue e polvere. E quella mi disse “Dovunque vai

parla di questi tormenti parla fratello, del tuo fratello, che vive là sotto nell'inferno” Da ”Fra i minatori” di Pablo Neruda

Pier Carlo Musso

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SOMMARIO I due anniversari

pag. 7

I principali disastri minerari in Italia

pag. 9

I siti minerari in Italia dal 1870 al 2012

pag. 10

Un po' di storia

pag. 11

Lo sviluppo delle zolfare

pag. 13

Pirrera, nfernnu veru

pag. 15

La vita in miniera

pag. 16

La dura vita dei minatori

pag. 18

I poveri carusi

pag. 20

E lo zolfo va ….

pag. 27

Donne in miniera

pag. 28

Mogli e vedove

pag. 30

Le rivendicazioni degli zolfatari

pag. 33

Emigrare per necessità …. morire per “fatalità”

pag. 35

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I due Anniversari Cozzo Disi. 4 luglio 1916: 89 zolfatari morti Marcinelle. 8 agosto 1956: 262 minatori morti, 136 sono italiani

La zolfara di Renato Guttuso e stralcio di Nun sugnu pueta di Ignazio Buttitta

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Da articolo di Igor Man su La Stampa del 31/08/1996 ..... dire, sentire "caruso" vuol dire ricordarsi, in un soprassalto di incredula pena, di quei ragazzi che, a torso nudo, lavoravano nelle miniere di zolfo, le famose solfatare. Gravati dalle cofane stracolme del minerale acre nel suo citrigno colore e trasferendosi dal profondo della vena ai carrelli del trasporto, il loro sudore si faceva giallo-sieroso ed essi, i "carusi" era come se fossero immersi in un perverso liquido amniotico che gli mangiava i polmoni e gli rubava la vita, giorno per giorno. Uno dice, o scrive, Marcinelle e per i giornalisti della mia generazione, per vecchi italiani emigrati in Belgio e rimasti laggiĂš oppure tornati in Italia col gruzzolo e la silicosi, e per tanti, molti ancora, italiani e non, Marcinelle vuol dire miniera. Vuol dire carbone. Vuol dire fatica e morte; vuol dire un punto fermo della storia della nostra emigrazione, un lungo grido disperato nella storia della (ineludibile?) sottomissione dell'uomo alla mina.

Gessolungo (CL) Cimitero dei carusi

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I principali disastri minerari in Italia Cozzo Disi (AG), 1916: Trabonella (CL), 1863: Beth Ghinivert (TO), 1904: rientro in paese) Virdilio (AG), 1886: Gessolungo (CL), 1881: Trabonella (CL), 1867: Ribolla (GR), 1954: Tumminelli Junco (CL), 1882: Trabonella (CL), 1911: Sommatino (CL), 1883:

89 morti 82 morti 81 morti (slavina travolge minatori al 68 morti 65 morti, di cui 19 carusi 50 morti 43 morti 41 morti 40 morti 39 morti da Ribolla Story di Walter Scapigliati

da La Domenica del Corriere

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I siti minerari in Italia dal 1870 al 2012 (APAT)

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Un po' di storia Da “Le parrocchie di Regalpetra” di Leonardo Sciascia L'epoca d'oro delle zolfare è certo quella dell'ottocento, quando gente nuova cominciò a tarlare le terre aride dell'altopiano, borgesi che sotto la terra stenta che coltivavano sentirono gialle vene di ricchezza improvvisamente splendere; di uno si racconta che nell'ozio di un meriggio vide lo zolfo affiorare da un formicaio, e diventò ricco; e se qualcuno sbagliava, bucava a vuoto e si impegnava fino ai capelli, non pochi erano quelli che fondavano grandi fortune, ...

Da “Non si passa” di Eugenio e Monica Giannone All'inizio del XIX secolo erano attive in Sicilia 6 miniere, ne furono aperte una novantina tra il 1820 e il 1830. Nel 1860 le zolfare superarono le 300 unità, mentre nei primi del '900 diventarono 886. La parabola discendente e irreversibile inizia nel 1905-1906 …..

Da Repertorio delle miniere del 1921, situazione al 31/12/1919 Le miniere esistenti in Sicilia ammontano a oltre 1300, di cui 1274 di zolfo; ma essendo la maggior parte di esse di assai limitata importanza, od in condizioni tali da non poter essere esercitate con profitto, si è creduto opportuno indicare nel presente elenco soltanto quelle che si presumono suscettibili di una lunga e utile coltivazione (65 miniere)

Da “Viaggio in Italia” di Guido Piovene La polemica contro i proprietari delle miniere è vivace. Ripete le accuse di ignavia mosse ai proprietari terrieri, che poi talvolta sono le stesse persone. Le miniere si trovano nelle zone dei latifondi; quasi sempre i concessionari sono anche i proprietari della superficie, gente per tradizione dedita all'agricoltura. Non industriali per carattere, lasciarono invariati i vecchi impianti e non pensarono a formarsi un mercato stabile, avvezzi a scorgere nella loro miniera solo una sorgente di lucro...

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Da “Non si passa” di Eugenio e Monica Giannone L'industria estrattiva siciliana non poteva avere prospettive per carenza di capitali da investire, di infrastrutture, strade e ferrovie, per l'allora insufficienza di porti, per mancanza di spirito associativo, per l'eccessivo sfruttamento degli zolfatari ….. Le miniere siciliane sono state chiuse e questa e la realtà .. ne resta un retaggio storico, letterario, antropologico, socio-culturale che non deve essere disperso. A cosa sono serviti cento e più anni di sofferenza, di lotte, di sangue solfataro se ora gli spalti delle miniere sono invasi dall'erba e sui pozzi si addensa un silenzio di morte?

Mario Farinella, poeta e giornalista siciliano

Miniera di Cozzo Disi (AG) Centro Studi Cultura e Società – Fatica e morte in miniera- pag 12 di 40


Lo sviluppo delle zolfare impatto sul territorio e sul sociale Da “Le parrocchie di Regalpetra” di Leonardo Sciascia Per le zolfare l'aria di Regalpetra prendeva un che di acre, bruniva l'argento che veniva ad ornare le case dei nuovi ricchi, persino negli abiti l'acre odore dello zolfo bruciato stingeva. Le colline ... assumevano un fossile tono rossastro, nei campi vicino alle zolfare le spighe non granivano più per il fiato dei calcheroni.

Miniera di zolfo di Albino Petrillo

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Da “Il fumo” di Luigi Pirandello Appena i zolfatari venivan sù dal fondo della «buca» col fiato ai denti e le ossa rotte dalla fatica, la prima cosa che cercavano con gli occhi era quel verde là della collina lontana, che chiudeva a ponente l'ampia vallata. Qua, le coste aride, livide di tufi arsicci, non avevano più da tempo un filo d‘erba, sforacchiate dalle zolfare come da tanti enormi formicaj e bruciate tutte dal fumo. Sul verde di quella collina, gli occhi infiammati, offesi dalla luce dopo tante ore di tenebra laggiù, si riposavano. …... I carusi, ... guardando a quella collina ... pensavano alla vita di campagna, vita lieta per loro, senza rischi, senza gravi stenti là all'aperto, sotto il sole, e invidiavano i contadini. "Beati loro!" Per tutti, infine, era come un paese di sogno quella collina lontana. Di là veniva l'olio alle loro lucerne che a mala pena rompevano il crudo tenebrore della zolfara; di là il pane, quel pane solido e nero che li teneva in piedi per tutta la giornata; di là il vino, l'unico loro bene, il vino che dava loro il coraggio, la forza di durare a quella vita maledetta, se pur vita si poteva chiamare: parevano, sottoterra, tanti morti affaccendati. I contadini della collina, all'incontro, perfino sputavano: — Puh! — guardando a quelle coste della vallata. Era là il loro nemico: il fumo devastatore. E quando il vento spirava di là, recando il lezzo asfissiante dello zolfo bruciato, guardavano gli alberi come a difenderli e borbottavano imprecazioni contro quei pazzi che s'ostinavano a scavar la fossa alle loro fortune e che, non contenti d'aver devastato la vallata, quasi invidiosi di quell'unico occhio di verde, avrebbero voluto invadere coi loro picconi e i loro forni anche le belle campagne. …..

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Pirrera, nfernnu veru Da “Morire di piombo per non morire di fame” di Eugenio Giannone L’unico modo per descrivere quel mondo senza luce, rischiarato solo dal lustro di una fioca acetilene … era ricorrere alla metafora dell’inferno

Da “Viaggio in Sicilia” di Guy de Maupassant …... dappertutto attorno a Girgenti si stende la singolare contrada delle miniere di zolfo. Qui tutto è zolfo, la terra, le pietre, la sabbia, tutto … Dopo la collina dei templi di Girgenti comincia una contrada stupefacente che sembra l’autentico reame di Satana, poiché se, come lo si credeva una volta, il diavolo abita in un vasto paese sotterraneo, pieno di zolfo in fusione, in cui fa bollire i dannati, è sicuramente in Sicilia che ha eletto il suo misterioso domicilio

Da “The Man Farthest Down” di Booker T. Washington Io non posso sapere fino a che punto esista un inferno fisico nell'altro mondo, ma una miniera di zolfo in Sicilia è la cosa più vicina al diavolo che mi aspetto di vedere in questa vita

da Visibilia di Fulvio Roiter Centro Studi Cultura e Società – Fatica e morte in miniera- pag 15 di 40


La vita in miniera “trincea di pane e di lutto” (così la definisce Salvatore Galletti ne Surfaru e surfarara)

Da “Le parrocchie di Regalpetra” di Leonardo Sciascia «Provati, provati a scendere per i dirupi di quelle scale» ...- «visita quegli immensi vuoti, quei dedalei andirivieni fangosi, esuberanti di pestifere esalazioni, illuminati tetramente dalle fuligginose fiamme delle candele ad olio: caldo afoso, opprimente, bestemmie, un rimbombare di colpi di piccone, riprodotto dagli echi; dappertutto uomini nudi, stillanti sudore, uomini che respirano affannosamente, giovani stanchi, che si trascinano a stento per le lubriche scale, giovinetti, quasi fanciulli, a cui più si converrebbero giocattoli, e baci, e tenere materne carezze, che prestano l'esile organismo all'ingrato lavoro per accrescere poi il numero dei miseri deformi». E quando dalla notte della zolfara i picconieri e i carusi ascendevano all'incredibile giorno della domenica, ... cercavano nel vino un diverso modo di sprofondare nella notte, senza pensiero, senza sentimento del mondo.

L'nfernnu veru descritto da Alessio Di Giovanni E sempre di là sotto viene un canto che sembra di quel buio il lamento, Si ferma un poco …. dopo, ad ogni tanto s'innalza più malinconico, più lento. Ogni uccellino colto da spavento fugge quel luogo scuro, quel lamento. I poggi muti ascoltano quel pianto, e smette di gridare anche il vento. Poveri solfatari sventurati come la notte il giorno Ma zittisce la voce lenta alla calura che stagna nelle grotte amareggiate e alla campagna resta di quegli afflitti l'eco e con il cielo si lamenta ….

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Da “Voci del feudo” di Alessio Di Giovanni Carnala, e no surfara t'he chiamari, carnala, no di morti ma di vivi... Lu stessu suli si scanta a calari ni la vaddata fridda comu nivi...

I picconieri di Croce Armonia E cu lu scuru vaju e cu lu scuru vegnu e cu lu scuru fazzu la jurnata. E cu lu scuru fazzu la jurnata sempri a lu lustru di 'na 'citalena

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La dura vita dei minatori Da “Il canto dei minatori” di Mario Rapisardi Tra cieche forre, tra rocce pendenti sul nostro capo, entr’oscure caverne, fra pozzi cupi e neri anditi algenti, fra rei miasmi, fra tenebre eterne, D’ogni consorzio, dal mondo noi scissi, a nutrir gli ozj d’ignoti signori, noi picconieri di monti e di abissi, sepolti vivi scaviamo tesori ….. A noi non occhio d’azzurro, non sole, non aura sana d’amore e di vita, non guardo amico, non dolci parole, ma pena eterna, ma notte infinita. Uomini forse non siamo? Qual tristo destin c’infligge sì fiera condanna? Se esiste Dio, se incarnato s’è Cristo, perché all’inferno ancor vivi ci danna? Scaviam, scaviam: chi sa? forse tra poco ci mozza il fiato quest’aria maligna, ci schiaccia il monte, divoraci il foco: vedete? In fondo la Morte sogghigna......

Lu cantu di li surfari (canzone popolare) Poveri surfarara sfurtunati, comu la notti jornu la faciti! Cu venticincu grana chi vuscati Subitu a la taverna vi nni jiti. E, si pi sorti, caditi malati pi lu 'spitali subitu partiti.... Faciti testamentu … e chi lassati?

Un strazzu di marruggiu, si l'aviti!...

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Da “Filastrocca del minatore” di Lido Marchetti (ex minatore) Quando a vent’anni arrivava la sera e ritornavo dalla miniera sudato stanco e col viso nero non ci pensavo che fosse vero che dopo poco sarei diventato anch’io come tanti per sempre malato del male tremendo che incute terrore il “Male Comune” del minatore. Un’ora di strada al mattino ed alla sera Per lavorare nella miniera E ci si andava non c’erano appigli Là dentro era il pane dei nostri figli. …... erano otto ore di duro martello e dopo poco che si minava già malamente si respirava dal polverone che si faceva a volte la lampada non si vedeva e si cantava e non si pensava a quel malanno che lì si pigliava. Con poco pane nella bisaccia E poco vino nella borraccia A metà turno si strappava un boccone E poi di nuovo nel polverone Finché stremati si arrivava alla sera Con poco guadagno e più tisi nera. Oh quanti compagni del nostro mestiere Han già lasciato parenti e miniere Le hanno lasciate di notte e di giorno Per quel lungo viaggio senza ritorno E sono partiti fra stenti ed affanni I più non avevano ancor cinquant’anni ….

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I poveri carusi Il “caruso” è il bambino, che per pochi soldi viene ceduto dai propri familiari “in affitto” (in gergo soccorso morto) ai picconieri della miniera. “E' il personaggio più romanticamente drammatico, il più sfruttato e sventurato di questo inferno di vivi” da “Non si passa” di Eugenio e Monica Giannone

Caruso da il Giornale di Sicilia Centro Studi Cultura e Società – Fatica e morte in miniera- pag 20 di 40


Da “Il sonaglio” di Andrea Camilleri Mi chiamo Filibertu Alagna e vengo da un paisi ricco che si chiama Alagona. E' un paisi ricco pirchì havi cinco minere che sunno i posti indove scavanno veni fora il surfaro... Nelle minere travagliano, pagati bono, òmini granni, carusi e picciotteddri. L'etati dei carusi va dai se' all'unnici anni, quella dei picciotteddri dai dudici ai diciotto. Per ogni iornata di travaglio al caruso spettano ottantacinco cintesimi, al picciotteddro ’nveci novanta. Vi spiego come funziona la facenna. Ogni caruso o picciotteddro veni pigliato in custoddia da un picconeri, …... Il picconeri, in cangio di vostro figlio, vi duna ’na cosa che si chiama soccorso morto. Soccorso significa aiuto e morto veni a diri che voi ve lo pigliate e non doviti arrestituirglielo. Il soccorso morto consisti in ducento liri, arripeto, ducento liri, che io vi dugno manu cu' manu, e per conto del picconeri, al momento nel quale mi consegnate vostro figlio .... Mi state accapennu? Questi sordi addiventano vostri e vui ne potiti fari quello che voliti e non doviti renniri cunto a nisciuno. Pinsatici bono. Un caruso sino a deci, undici anni, che vi rappresenta ’n famiglia? Un piso. Non travaglia ed è ’na vucca da sfamari. Dànnolo a mia, il caruso travaglia e guadagna, non vi pisa cchiù supra alli spalli e vui v’attrovati ad aviri ’n mano tanto dinaro che manco in sogno. Parlatene a tutte le fimmine che accanoscite e parlatene coi mariti vostri. .. Portatemi i figli vostri e io ve li pago subito. ... Non facitivi scappari la fortuna.

Da “L'agitazione in Sicilia” di Adolfo Rossi ...vedemmo in lontananza un ragazzo di nove o dieci anni, basso e rachitico, che fuggiva per la campagna brulla, inseguito a duecento metri circa di distanza da un uomo senza berretto e dalle vesti sporche di zolfo, che per correre meglio s'era levate le scarpe e con esse minacciava il fuggitivo con atti di ira feroce. - È un picconiere — ci dissero i contadini — che cerca di ripigliarsi un caruso scappato. Se lo prende, lo concia per la feste! Sono cose che succedono qui tutti i giorni..…... - È nel suo diritto … ll caruso gli appartiene. … - Quando si tratta di qualche scapaccione — ci disse un caruso che faceva parte della nostra comitiva — sono cose da nulla. Il male è quando il picconiere adopera il bastone. La settimana scorsa il caruso Angeleddu, d'anni tredici, fu ucciso dal suo picconiere con otto bastonate. Centro Studi Cultura e Società – Fatica e morte in miniera- pag 21 di 40


Da “Morire di piombo per non morire di fame” di Eugenio Giannone Rosso e Ciàula, “due reietti della società, …. , assetati di aria e di affetti, che dai picconieri e dagli altri lavoratori della miniera vengono accarezzati a calci.”

Da “Rosso Malpelo” di Giovanni Verga Era avvezzo a tutto lui, agli scapaccioni, alle pedate, ai colpi di manico di badile, o di cinghia da basto, a vedersi ingiuriato e beffato da tutti, a dormire sui sassi colle braccia e la schiena rotta da quattordici ore di lavoro; anche a digiunare era avvezzo, allorché il padrone lo puniva levandogli il pane o la minestra. Ei diceva che la razione di busse non gliel'aveva levata mai, il padrone; ma le busse non costavano nulla. Non si lamentava però, e si vendicava di soppiatto, a tradimento, con qualche tiro di quelli che sembrava ci avesse messo la coda il diavolo: perciò ei si pigliava sempre i castighi, anche quando il colpevole non era stato lui. Già se non era stato lui sarebbe stato capace di esserlo, e non si giustificava mai: per altro sarebbe stato inutile. ... Nessuno avrebbe potuto dire se quel curvare il capo e le spalle sempre fosse effetto di fiero orgoglio o di disperata rassegnazione, e non si sapeva nemmeno se la sua fosse salvatichezza o timidità. Il certo era che nemmeno sua madre aveva avuta mai una carezza da lui, e quindi non gliene faceva mai. Sua madre, la vedova di mastro Misciu, era disperata di aver per figlio quel malarnese, come dicevano tutti, ed egli era ridotto veramente come quei cani, che a furia di buscarsi dei calci e delle sassate da questo e da quello, finiscono col mettersi la coda fra le gambe e scappare alla prima anima viva che vedono, e diventano affamati, spelati e selvatici come lupi. Almeno sottoterra ... brutto, cencioso e lercio com'era, non lo beffavano più, e sembrava fatto apposta per quel mestiere persin nel colore dei capelli, e in quegli occhiacci di gatto che ammiccavano se vedevano il sole

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Rosso Malpelo, disegni di Mirco Greselin, colorazione di Carlo Sandri

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Da “Ciaula scopre la luna” di Luigi Pirandello Zi‘ Scarda piegò la testa da un lato, stiracchiò verso il lato opposto il labbro inferiore, e rimase così per un pezzo, come in attesa ….. Quello era il versaccio solito, con cui, non senza stento, si conduceva pian piano in bocca la grossa lagrima, che di tratto in tratto gli colava dall'altro occhio, da quello buono. Aveva preso gusto a quel saporino di sale, e non se ne lasciava scappar via neppur una. Poco: una goccia, di tanto in tanto; ma buttato dalla mattina alla sera laggiù, duecento e più metri sottoterra, col piccone in mano, che a ogni colpo gli strappava come un ruglio di rabbia dal petto, zi' Scarda aveva sempre la bocca arsa: e quella lagrima, per la sua bocca, era quel che per il naso sarebbe stato un pizzico di rapè. Un gusto e un riposo. Quando si sentiva l‘occhio pieno, posava per un poco il piccone e, ... stava ad aspettar che la lagrima gli colasse giù, lenta, per il solco scavato dalle precedenti. Gli altri, chi il vizio del fumo, chi quello del vino; lui aveva il vizio della sua lagrima. Era del sacco lacrimale malato e non di pianto, quella lagrima; ma si era bevute anche quelle del pianto, zi' Scarda, quando, quattr'anni addietro, gli era morto l'unico figliuolo, per lo scoppio d'una mina, lasciandogli sette orfanelli e la nuora da mantenere. Tuttora gliene veniva giù qualcuna più salata delle altre; ed egli la riconosceva subito: scoteva il capo, allora, e mormorava un nome: - Calicchio. .. In considerazione di Calicchio morto, e anche dell'occhio perduto per lo scoppio della stessa mina, lo tenevano ancora lì a lavorare. Lavorava più e meglio di un giovane; ogni sabato sera, la paga gli era data, e per dir la verità lui stesso se la prendeva, come una carità che gli facessero: tanto che, intascandola, diceva sottovoce, quasi con vergogna: - Dio gliene renda merito.

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Zi Scarda, disegni di Gisella Leone

Da “La poesia dei minatori” di Giovanni Bartolomeo Lu suli dormi ancora lagnusu, mi susu e partu: sugnu carusu, ... Ogni mattina la stessa guerra aspra m'aspetta sutta la terra... Acchianu e scinnu milli scaluna surfaru e tufu pi li patruna …

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“A li matri di li carusi” di Ignazio Buttitta Matri / chi mannati li figghi a la surfara / iu vi dumannu / pirchì a li vostri figghi / ci faciti l’occhi / si nun ponnu vidiri lu jornu? / Pirchì ci faciti li pedi / si camminunu a grancicuni? / Nun li mannati a la surfara / Si pani un nn’aviti / scippativi na minna / un pezzu di mascidda / pi sazialli disiddiraticci la morti chiuttostu / megghiu un mortu / mmennzu la casa / stinnicchiatu supra un linzolu arripizzatu / ca lu putiti chianciri / e staricci vicinu. Megghiu un mortu cunzatu / supra lu lettu puvireddu / di la vostra casa / cu la genti ca veni a vidillu / e si leva la coppula / mentri trasi. Megghiu un mortu dintra / ca vrudicatu sutta la surfara / cu vuatri supra dda terra / a chianciri / a raspari cu l’ugna / a manciarivi li petri / a sintiri lu lamentu / e nun putiricci livari / di ncoddu li petri / chi lu scafazzanu Facitili di surfaru li figghi!

Generazioni in miniera Centro Studi Cultura e Società – Fatica e morte in miniera- pag 26 di 40


E lo zolfo va …. Da “Cercavano la luce” di Renato Malta .. in Sicilia, nell'ultimo ventennio dell'Ottocento e prima decade del Novecento, circa 40.000 solfatari fornivano il 98% della produzione mondiale di zolfo ….

da “Non si passa” di Eugenio e Monica Giannone Molti forestieri e pochissimi siciliani si sono arricchiti con il nostro zolfo e quasi mai i proventi sono stati reinvestiti nella nostra Terra.

da una poesia di Filippo Passeo ..... le piramidi di zolfo allineate sulla spiaggia / come lingotti scintillanti; / steso sulla rena, c'era / tutto il cuore d'oro estirpato alla Sicilia. / Quanti corsari a sbudellare l'Eldorado! E lo zolfo se ne andava via lontano / scricchiolando in tartane come un pianto / prima che piroscafi fischiando / lo rapinassero per sempre. / Restava sulla rena, / la polvere d'una Sicilia sventrata. ... ..

Porto Empedocle Fotografia di Agatocle Politi, da "Girgenti. Da Segesta a Selinunte"

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Donne in miniera “Nei lavori sotterranei delle cave, delle miniere e delle gallerie non possono essere impiegati i fanciulli di età inferiore ai 13 anni compiuti e le donne di qualsiasi eta...” Art. 1, Legge 19 giugno 1902 È vietato adibire … i minori di anni 16 nei lavori sotterranei delle cave, miniere e gallerie ove non esiste trazione meccanica, nonché le donne di qualsiasi età nei lavori sotterranei delle cave, miniere e gallerie anche se esista trazione meccanica.. Art. 6. Legge 653 del26 aprile 1934

da “La miniera di Masua” di Gabriele D'Annunzio Sotto le tettoie ferve l'opera . .. Qualche donna, col capo coperto d'uno straccio, sta seduta al sole, picchiando senza riposo il martello su pezzi di calamina; pare che la stanchezza non le vinca il polso; ha gli occhi socchiusi, le labbra serrate, e picchia, picchia, picchia, stordita di quei colpi, quasi dimenticando di vivere Il lavoro in miniera ha preteso un contributo di sangue, oltre a quello di zolfatari e carusi, anche dalle donne e bambine. Era il 4 maggio 1871. Trenta tra donne e bambine a Montevecchio, nel Medio Campidano, rimasero nel cantiere a riposare. Sopra il dormitorio c’era una grossa vasca d’acqua che serviva per lavare i minerali, si ruppe e fece crollare il tetto. Morirono in 11. La più anziana aveva cinquant'anni e la più giovane era una bambina di undici.

La miseria di Iride Peis La miseria ha il volto di quella donna / che spinge i vagoni carichi di minerale / che ha la pelle grinzita / le unghie orlate di nero / calcagni spaccati e duri / gli occhi febbricitanti / il corpo magro e secco / dalla fatica e dai patimenti. La miseria, in miniera / è il denominatore comune di tutte le donne in miniera.

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“Cernitrici” di Iride Peis Non dimenticateci / Anche noi abbiamo fatto la storia. / Il nostro contributo / di fatica e sofferenza / di sacrificio e / di coraggio, / di solidarietà e di amore, / ha dato al duro lavoro di miniera / un volto di dignità e umanità / che solo noi donne / sappiamo portare ovunque.

Cernitrici al lavoro

Da “Madre nostra Maria minerale” di Bruno Tognonini “Madre nostra che sei nella terra. Dura madre che sei nella pietra, dimmi tu in che buio è chiuso il mio adorato. Minatore che scassi le vene del monte, manovale che sgombri la roccia sfasciata, arganista che sollevi i vagoncini, tiramelo fuori da laggiù. Che un giorno le mie mani, queste pietre che spaccano pietre, sentano con una fitta spaccacuore … la conchiglia della sua adorata fronte”..... Centro Studi Cultura e Società – Fatica e morte in miniera- pag 29 di 40


Mogli e vedove Surfararu lo voglio e no viddanu, ca di sita mi fa lu fallarino Cu surfararu m'haj a fari zita, ca iddu lu sciallu mi lu fa di sita Da “Ribolla, la tragedia” di Erino Pippi ..Chi lega la propria esistenza alla miniera impara a convivere anche con la morte.

Le mogli dei minatori di Renato Guttuso

Dal film “La Rabbia, sequenza della disgrazia in miniera” di Pier Paolo Pasolini E' la classe degli scialli neri di lana, / dei grembiuli neri da poche lire, / dei fazzoletti che avvolgono / le facce bianche delle sorelle, / la classe degli urli antichi, / delle attese cristiane, / dei silenzi fratelli del fango / e del grigiore dei giorni del pianto, / la classe che dà supremo valore / alle sue povere mille lire, / e, su questo, fonda una vita / appena capace di illuminare / la fatalità del morire Centro Studi Cultura e Società – Fatica e morte in miniera- pag 30 di 40


Da “Lutto alla zolfara” di Pino Vicari È crollata la miniera, sono morti tutti. Questa la voce che si propagò come un fulmine in mezzo ai quartieri popolari della cittadina di Enna. Donne che si affacciavano alla porta, le finestre e i balconi pieni di donne e di bambini. Cosa è successo? Com'è stato? Quanti sono i morti? Queste frasi volavano da porta in porta da finestra a finestra. Sono morti tutti, è crollata la miniera, diceva qualcuno. ….. Le donne incominciavano a riversarsi nelle vie, i bambini uscivano da casa, con il berretto di lana sulla testa gridando, non si capiva ancora cosa era accaduto e cosa si doveva fare. Mille proposte, mille decisioni, ma nessuno si muoveva. Alle lacrime di molte madri fecero seguito quello dei bambini che incominciavano a gridare, Papà! Tutto il paese era in movimento, ... Chi piangeva, chi gridava. Ad un tratto una donna gridò: Partiamo tutti, andiamo alla Miniera. Fu un attimo, da tutti i quartieri partirono colonne di donne con i loro bambini in braccio, i capelli sciolti bagnati dalla nebbia umida ennese, era un popolo che si muoveva verso la miniera..... Quelle povere mogli di zolfatari, quelle povere madri che si vedevano con il figlio, con lo sposo solo un giorno la settimana e quando il lunedì partivano era come se partissero per la guerra, non si sapeva se sarebbero ritornati

Da il cammino della speranza di Pietro Germi Centro Studi Cultura e Società – Fatica e morte in miniera- pag 31 di 40


“Ballata delle vedove di Osseg“di Bertold Brecht Le vedove di Osseg tutte vestite a lutto sono venute a Praga a domandare: che cosa farete per i nostri figlioli, cara gente? Oggi non hanno ancora mangiato nulla! E i loro padri son giù, nelle vostre miniere, ammazzati. Che cosa, hanno chiesto i signori di Praga, che cosa dobbiamo fare delle vedove di Osseg? Le vedove di Osseg tutte vestite a lutto si sono trovate davanti i soldati di polizia. Che cosa farete per i nostri figliuoli, cara gente? Oggi non hanno ancora mangiato nulla! Ecco, i signori agenti hanno allora caricato i fucili. Questo, hanno detto i signori agenti, questo vogliamo fare per le vedove di Osseg. Le vedove di Osseg tutte vestite a lutto Sono arrivate fino al Parlamento. Che cosa farete per i nostri figliuoli, cara gente? Oggi hanno fame e devono mangiare! Ecco, i signori deputati hanno allora declamato un discorso: Questo, hanno detto i signori deputati, questo possiamo fare per le vedove di Osseg. Le vedove di Osseg tutte vestite a lutto restarono, la notte, rannicchiate sulla via. Qualcuno dovrà pur far qualcosa per noi, qui a Praga! Ecco, era una giornata di novembre e allora la neve è caduta, grandi, molli fiocchi. Questo, ha detto la neve, questo possiamo fare per le vedove di Osseg. Osseg è un paese della Boemia in cui, negli anni trenta, avvenne una grave sciagura nella miniera che dava lavoro alla quasi totalità degli abitanti. La disgrazia costò la vita a molti minatori. Le vedove, rimaste senza risorse e con i figli da sfamare, si recarono a Praga a chiedere aiuto alle autorità e ai potenti proprietari delle miniere. Centro Studi Cultura e Società – Fatica e morte in miniera- pag 32 di 40


Le rivendicazioni degli zolfatari Verso la fine del XIX secolo nacquero le prime organizzazioni sindacali iniziarono i primi scioperi per ottenere migliori condizioni di lavoro; gli zolfatari parteciparono alla costituzione dei Fasci dei Lavoratori, sciolti d'autorità dal Governo Crispi dopo che negli scontri con l'esercito erano morti, in un solo anno, un centinaio di dimostranti

Da “I vecchi e i giovani” di Luigi Pirandello dialogo tra Flaminio Salvo: proprietario di miniera e Leonardo Costa: suo dipendente - Guaj! guaj grossi alle zolfare! ... - Ad Aragona, a Comitini, tutti i solfaraj, sciopero! - annunziò il Costa. Flaminio Salvo lo guardò con freddo cipiglio, lisciandosi le lunghe basette grige che, insieme con le lenti d'oro, gli davano una certa aria diplomatica, e disse, sprezzante: - Questo lo sapevo. - Sissignore. Ma jersera, sul tardi, - riprese il Costa,- è arrivata a Porto Empedocle gente da Aragona e ha raccontato che tutto jeri hanno fatto l'ira di Dio nel paese... - I solfaraj? - Sissignore: picconieri, carusi, calcheronaj, carrettieri, pesatori: tutti! Hanno finanche rotto il filo telegrafico. … Del resto, il guajo è un altro, fuori del paese, … quelli hanno catturato per lo stradone gli otto carri di carbone che andavano alle zolfare... -Ah, si? - fece il Salvo, sghignando. - Vossignoria sa - seguitò il Costa - che il carbone lassù per le pompe dei cantieri è come il pane pei poverelli, e anche più necessario. ... Vada subito dal prefetto perché mandi soldati alla stazione d'Aragona, quanti più può, per fare scorta al carbone fino alle zolfare... almeno si potrà scongiurare il pericolo che la zolfara grande ... s'allaghi. ..

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- E s'allaghi! s‘allaghi! s'allaghi! - scattò, furente, Flaminio Salvo, levando le braccia. - Vada tutto alla malora! Non m'importa più di niente! Io chiudo, sai! e mando tutti a spasso, te, tuo figlio, tutti, dal primo all'ultimo, tutti!

Zolfataro in pausa, scultura di Vincenzo Chiazza Particolare del Monumento agli zolfatari, Cianciana

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Emigrare per necessità …. morire per “fatalità” Da “Storie di un minatore siciliano” di Salvatore Agrillo Vengo dal mare, dalla terra dei vulcani, da una terra secca e calcarea. …. Avendo sentito parlare di lavoro all’estero, mi ci sono interessato. Mi decisi di andare a vedere questi paesi lontani dei quali sognavo. Presi la decisione di partire per il Belgio e le sue miniere. Con le carte in regola, annunciai la mia decisione ai miei genitori. Si opposero ma alla fine accettarono la mia decisione. Ho rassicurato tutti, i miei genitori, i miei fratelli e le mie sorelle. Dicevo loro che avrei fatto fortuna e che li avrei aiutati a vivere meglio perché la vita era molto dura a quell'epoca, nel dopoguerra. Presi il treno ad Augusta, la mia città natale, in uno degli ultimi convogli di lavoratori emigranti del 1946. Partii per il Belgio. Il convoglio attraversava lentamente l’Italia. Dopo alcuni giorni di viaggio e numerose peripezie il treno arrivò a destinazione. In quel posto, all'inizio rimasi deluso, tutto era nero; io che venivo dal paese del sole e dell'acqua colore azzurro. Ma mi rassegnai. Ero venuto lì per lavorare.

Vincent Van Gogh: miniera di carbone nel Borinage Centro Studi Cultura e Società – Fatica e morte in miniera- pag 35 di 40


Da “Lu Trenu di lu suli” di Ignazio Buttitta 1.Turi Scordu, surfararu, / abitanti a Mazzarinu; / cu lu Trenu di lu suli / s'avvintura a lu distinu. / 2. Chi faceva a Mazzarinu / si travagghiu nun ci nn'era? / fici sciopiru na vota / e lu misiru ngalera. / 3. Una tana la sò casa, / quattru ossa la mugghieri; / e la fami lu circava / cu li carti di l'usceri./ 4. Sette figghi e la mugghieri, / ottu vucchi ed ottu panzi, / e lu cori un camiuni / carricatu di dugghianzi. / 5. Nni lu Belgiu, nveci, ora / travagghiava jornu e notti; / a la mogghi ci scriveva: … 6. Cu li sordi chi ricivi / compra roba e li linzola, / e li scarpi pi li figghi / pi putiri jri a scola. / 7. Li mineri di lu Belgiu, / li mineri di carbuni: / sunnu niri niri niri / comu sangu di draguni. /...... 14. Doppu un annu di patiri / finalmenti si dicisi: / «Mogghi mia, pigghia la roba, / venitinni a stu paisi». / 15. E parteru matri e figghi, / salutaru Mazzarinu; / li parenti pi d'appressu / ci facevanu fistinu. / 16. Na valiggia di cartuni / cu la corda pi traversu; ….. quannu fu supra lu trenu, / nun sapeva s'era ncelu... / si tuccavà lu tirrenu. / 19. Lu paisi di luntanu / ora acchiana e ora scinni; / e lu trenu ca vulava / senza ali e senza pinni. / 20. Ogni tantu si firmava / pi nfurnari passaggeri: / emigranti surfarara, / figghi, patri e li muggheri. / 21. Patri e matri si prisentanu, / li fa amici la svintura: / l'emigranti na famigghia / fannu dintra la vittura. / 22. «Lu me nomu? Rosa Scordu»./ «Lu paisi? Mazzarinu». / «Unni jiti ?». «Unni jiamu? / Unni voli lu distinu!». / … 24. Quannu vinni la nuttata / doppu Villa San Giuvanni / una radiu tascabili / addiverti nichi e granni. / 25. Tutti sentinu la radiu, / l'havi nmanu n'emigranti; / i carusi un hannu sonnu, / fannu l'occhi granni tanti. / 26. Rosa Scordu ascuta e penza, / cu lusapi chi va a trova.../ n'àtra genti e nazioni, / una storia tutta nova..... 28. E la radiu tascabili / sona musica di ballu; / un discursu di ministru; / un minutu d'intervallu. / 29. Poi detti li nutizii, / era quasi menzannotti: / sunnu l'ultimi nutizii / li nutizii di la notti. / La radio trasmette: / «Ultime notizie della notte. / Una grave sciagura si è verificata / in Belgio nel distretto minerario / di Charleroi. /. Per cause non ancora note / una esplosione ha sconvolto / uno dei livelli della / miniera di Marcinelle. / Il numero delle vittime è / assai elevato ». / 30. Ci fu un lampu di spaventu / chi siccò lu ciatu a tutti; / Rosa Scordu sbarra l'occhi, / focu e lacrimi s'agghiutti. / La radio continua a trasmettere: / «I primi cadaveri riportati / alla superficie dalle squadre di soccorso / appartengono a nostri Centro Studi Cultura e Società – Fatica e morte in miniera- pag 36 di 40


connazionali / emigrati dalla Sicilia. / Ecco il primo elenco / delle vittime. / Natale Fatta, di Riesi provincia di Caltanissetta / Francesco Tilotta, di Villarosa provincia di Enna / Alfio Calabrò, di Agrigento / Salvatore Scordu... ». /31. Un trimotu: «Me maritu! / me maritu!» grida e chianci, / e li vuci sangu e focu / dintra l'occhi comu lanci. / 32. Cu na mani e centu vucchi, / addumata comu torcia, / si lamenta e l'ugna affunna / ntra li carni e si li scorcia. …....

Partenza per Marcinelle. Ministero Affari Esteri

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Da “Marcinelle” dei Terra e Anima Partimmo dal paese / con la valigia e la paura / in cerca, in cerca di fortuna... / Il viaggio fu assai duro, / ma più dura è la fame, / la fame di futuro... Così mentre il gas / ci bruciava i polmoni / pensammo ai sogni, alle speranze, / alle illusioni, a quella nostalgia / di chi lascia il suo paese, / per un piatto di futuro senza pretese.. .

Scena da “il Cammino della speranza”, film di Pietro Germi

Da articolo su La Repubblica 07/08/2014 di Claudio Giua Errori umani, misure di sicurezza ridotte al minimo. Nelle viscere della terra si moriva cercando di estrarre carbone, zolfo e altri minerali. Un lavoro da emigranti (spesso italiani). Le cronache del tempo, raccontano sempre il dolore delle mogli e delle madri, la forza della natura che si abbatte sull'uomo. Mai le cause vere ….

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Le principali tragedie in miniera che hanno coinvolto emigranti italiani Monongah (USA), 1907: 171 italiani morti, Dawson (USA), 1913: 146 italiani morti, Marcinelle (B), 1956: 136 italiani morti

Tra le urla ed il buio l'aria densa e pesante ci sembrò un bel posto anche l'inferno di Dante... (da Marcinelle dei Terra e Anima) Centro Studi Cultura e Società – Fatica e morte in miniera- pag 39 di 40


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