Italia Ornitologica - numero 5, 2021

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Rivista mensile di Ornitologia Scientifica - Tecnica - Pratica Organo Ufficiale della F.O.I.-Onlus

ANNO XLVII numero 5 2021

Canarini di Colore

Estrildidi Fringillidi Ibridi

Ondulati ed altri Psittaciformi

Columbidi

Errori capitali e non

Quale Satiné: Bruno o Isabella?

Gli Ala Perlata

La tortora dal collare domestica



ANNO XLVII NUMERO 5 2021

sommario 3 5 11

Il diritto di allevare Gennaro Iannuccilli

Errori capitali e non Giovanni Canali

Il fuoriclasse Piercarlo Rossi

Alfonso Ademollo Roberto Basso e Martina Lando

L’Azzeruolo Pierluigi Mengacci

Photo Show Le foto scattate dagli allevatori

La tortora dal collare domestica Francesco Faggiano

Pagina aperta Argomenti a tema

Recensioni - novità editoriali Gennaro Iannuccilli

Canarini di Colore

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Canarini da Canto

Francesco Di Giorgio

Quale Satiné: Bruno o Isabella? Sergio Lucarini

Gli Ala Perlata Giovanni Fogliati

Passero del Giappone x Padda: la storia di Ringo Simone Olgiati

Il collezionismo ornitologico (6ª parte) OrniFlash News al volo dal web e non solo AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITÀ: Segreteria F.O.I.-Onlus Via Caorsana, 94 - Località Le Mose 29122 Piacenza Tel. 0523.593403 - Fax 0523.571613 Web: www.foi.it - E-mail: redazione@foi.it

Antonio Di Tillio

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Qualità canore al top

Francesco Badalamenti

Birmingham, una mostra d’altri tempi

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Estrildidi Fringillidi Ibridi

Ondulati ed altri Psittaciformi

I rapaci notturni in Sardegna Pier Franco Spada

Lettere in Redazione

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Italia Ornitologica è la rivista ufficiale della F.O.I. - Federazione Ornicoltori Italiani, pubblicata in 10 (dieci) numeri annuali a cadenza mensile, 2 (due) dei quali in versione bimestrale nel periodo estivo (Giugno/Luglio e Agosto/Settembre). Il numero 5 - 2021 è stato licenziato per la stampa il 26/5/2021



Editoriale

Il diritto di allevare di G ENNARO IANNUCCILLI, foto F.O.I.

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eriodicamente tornano alla ribalta le problematiche relative alle presunte normative che dovrebbero regolare, consentire o limitare l’allevamento di determinate specie ornitiche. Di recente, si è fatto un gran parlare di una proposta di legge che, prendendo spunto da una direttiva europea, ha generato confusione e scompiglio tra gli allevatori perché, forse artatamente, è nuovamente emerso il tentativo di contenere in qualche modo – se non contrastare direttamente – l’allevamento degli uccelli, nonostante il rispetto delle regole e degli adempimenti nei confronti delle specie protette e/o inserite nei regolamenti CITES. Non voglio in questa sede elencare leggi, norme, decreti e direttive. Vorrei solo esprimere una riflessione sorta in

merito alle reiterate azioni di alcune associazioni cosiddette “animaliste” che, con il supporto di taluni esponenti della politica forse in cerca di facili consensi, cercano in tutti i modi e in tutte le occasioni di ostacolare quella che noi, invece, definiamo e interpretiamo come una passione nobile, sincera, legittima e finanche terapeutica. Mi sono trovato spesso a discutere su varie opinioni espresse riguardo l’allevamento degli uccelli a scopo ornamentale e sportivo e ho potuto constatare che, se si parte da una posizione ideologica contraria e conflittuale, non c’è modo di far comprendere le motivazioni che regolano e alimentano la nostra fervida passione. Direi che, in questi casi, sarebbe perfino meglio lasciare cadere la

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Editoriale conversazione con il nostro interlocutore di turno, non tanto perché non si riuscirebbe a condurlo dalla nostra parte facendogli cambiare idea, ma perché non ci sarebbe modo di fare breccia in un muro di gomma costruito, nel tempo, su un substrato di errati convincimenti, indotti finanche da un’opinione pubblica distorta a causa di processi comunicativi pilotati e impropri utilizzi di social media, stampa, televisione, ecc. Eppure, la differenza tra le attività che pratichiamo noi e ciò che si tende a impedire, nel nome della tutela del patrimonio avifaunistico, è chiara e semplice da rilevare. Partiamo, infatti, dal presupposto che tutte le attenzioni – politiche e ideologiche – dovrebbero essere rivolte a contrastare la cattura e il traffico degli animali “selvatici” considerato illegale. Bene, noi siamo esattamente sulla stessa linea di pensiero, proprio perché convinti di essere allevatori di uccelli “domestici”, cioè nati, selezionati e riprodotti in ambiente controllato. Pertanto, i soggetti da noi allevati nulla hanno a che vedere con i “selvatici”, cioè gli uccelli che vivono in natura alle varie latitudini del nostro Pianeta. Basterebbe applicare questa semplice, elementare deduzione per far cadere qualsiasi equivoco. E invece si continua – da parte dei soliti “noti” – a cogliere ogni occasione per gettare nel calderone anche le attività degli allevatori, corretti, certificati, iscritti alla FOI e in possesso di tesserino e numero univoco di RNA.

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Continuano a intervalli regolari ad arrivare notizie circa controlli effettuati da personale (talvolta autorizzato, altre volte no) che accomuna specie solo apparentemente simili, esigendo che determinate limitazioni vengano praticate anche nei confronti di mutati, ibridi, perfino canarini e ondulati, facendo leva su regolamenti regionali poco chiari o male interpretati. Diverso è il discorso sul benessere e il maltrattamento; su questi argomenti, siamo completamente d’accordo a schierarci al fianco di chi vuole agire verso coloro che non prestano le attenzioni necessarie per il corretto allevamento e mantenimento delle specie aviarie, così come di tutti gli altri animali domestici. Però tali argomenti non possono essere confusi solo per sostenere o parteggiare per una determinata ideologia, discutibile sotto molte sfaccettature. Finiamola una volta per tutte di accomunare gli allevatori “certificati” che rispettano un comportamento etico, dai bracconieri che non si fanno scrupoli nel catturare e commerciare specie protette facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato. È necessario, oserei dire obbligatorio, fare queste debite distinzioni ogni qualvolta ci si riferisca all’allevamento ornitologico legittimo ed etologicamente corretto, attività completamente all’opposto e in antitesi alla detenzione di specie selvatiche “trafficate” illegalmente. Se per noi ciò è chiaro, per altri evidentemente non lo è (o non vogliono che lo sia). Premesso che costituzionalmente non si potrà impedire un’attività individuale, associazionistica e federale riconosciuta e tutelata da sempre, bisognerà comunque vigilare per intercettare i tentativi di limitazione che, ad intervalli più o meno regolari, emergono da chi non concepisce l’allevamento in generale e, di conseguenza, cerca di impedirlo anche con ingerenze in campo legale. Rispettiamo chi non la pensa come noi: coloro i quali non gradiscono l’arte di allevare uccelli con finalità unicamente ornamentali e sportive, sono liberissimi di non praticare l’ornicoltura. Ma la loro libertà di pensiero e opinione non deve tramutarsi in un’imposizione che ha poco a che fare con i principi democratici a cui tutti dobbiamo necessariamente ispirarci. La FOI è e dovrà essere sempre in prima linea nel monitorare quanto succede a livello istituzionale e governativo, agendo nella maniera più giusta ed efficace, non lanciando proclami sui vari social per generare solo sterile clamore mediatico, ma cercando di interloquire con chi è (o sarà) preposto a intervenire a livello normativo sugli argomenti e i diritti che più stanno a cuore a tutti gli allevatori federati.


CANARINI DI COLORE

Errori capitali e non testo di GIOVANNI CANALI, foto F.O.I. ed E. DEL POZZO

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crivo pensando ai novizi ma non solo e intendo segnalare gli errori maggiori o più comuni che si possono commettere allevando canarini di colore. Nella selezione dei canarini di colore ci sono linee selettive diverse e spesso divergenti, vale a dire opposte.

Nero intenso giallo (con presenza di feomelanina)

In passato si sono fatte concessioni all’incrocio fra lipocromici e melanici

Per prima cosa c’è l’aspetto dei canarini lipocromici e dei melanici. Ebbene è noto che non si devono accoppiare lipocromici e melanici; infatti da questo accoppiamento nascono pezzati non espositivi, poiché nei canarini di colore non è prevista una categoria a concorso che li preveda. Un tempo c’erano i pezzati simmetrici ma ora non sono più previsti. Diverso il caso dei canarini di forma e posizione, sia arricciati che lisci, ove spesso sono previsti anche i pezzati, fra l’altro da molti (me compreso) ritenuti utili e belli. In passato si sono fatte concessioni all’incrocio fra lipocromici e melanici, quando si è trattato di trasferire la mutazione avorio dai lipocromici ai melanici, o gli occhi rossi dai melanici ai lipocromici, fossero i melanici prima phaeo e poi satiné. Per la verità la presenza di lipocromici ad occhi rossi era già nota in passato, ma poi perduta. Si consideri che fra i lipocromici le macchie melaniche sono considerate motivo di squalifica, come pure penne o unghie lipocromiche nei melanici. Quindi due linee selettive opposte. Nella selezione si escludono i lipocromici macchiati ed i melanici con penne o unghie lipocromiche. Tuttavia, si sa di casi di soggetti con zone anomale che accoppiati con puri hanno dato ottimi risultati. È bene non fidarsi ma, di fronte ad un soggetto che se non avesse qualche penna spuria farebbe un punteggio da 92 o più, il tentativo si può fare. Personalmente ricordo un agata giallo intenso con penne lipocromiche che mi diede una femmina isabella pastello mosaico gialla strepitosa (era una delle prime mosaico melaniche a fattori gialli), con la quale vinsi a Reggio Emilia, l’ultimo successo prima del servizio militare, andiamo

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indietro di decenni. In linea di massima però è meglio non fare eccezioni, che non siano davvero eccezionali. Specialmente nei lipocromici, le macchie si trasmettono moltissimo. Per seconda cosa c’è la divisione fra fattori rossi e gialli (caratteri poligenici) da non mescolare. Nei gialli, tracce di arancio sono gravissimo difetto. I canarini a fattori gialli devono essere puri, mentre nei fattori rossi si cerca il massimo dell’apporto di fattori rossi, ereditati dal cardinalino del Venezuela. Non ho detto puri nei fattori rossi, poiché non si pretende una situazione identica al cardinalino (molto difficile da realizzare, ammesso che sia possibile), ma molto elevata vicinanza si. Uno degli errori capitali è l’incrocio fra soggetti a fattori rossi e non. Si badi che a volte si sentono strani discorsi su buoni risultati ottenuti unendo fattori rossi e non. Ebbene può anche capitare, ma in casi particolarissimi, non certo da considerare normali e tantomeno frequenti. Qualcosa può accadere quando si unisce un soggetto a fattori gialli con uno a

Nero mosaico rosso maschio, foto: E. del Pozzo

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Ricordo un’agata giallo intenso con penne lipocromiche che mi diede una femmina isabella pastello mosaico gialla strepitosa

fattori rossi a modestissimo livello; può succedere che, essendo alcuni fattori rossi (cioè geni codificanti per il rosso) posti sulla stessa coppia cromosomica (circostanza da me da tempo ipotizzata e recentemente accertata, attraverso studi di genetisti, riportati sull’importantissimo articolo “La base genetica del colore rosso negli uccelli” di Marco Baldanzi - I. O. n°2 del 2017) non essendo ricombinati dal crossingover, rimangano assieme in qualche soggetto che apparirà arancio, ma assenti in altri che quindi possono conservare un buon giallo. Un lontanissimo ricordo di questo

fatto ce l’ho risalendo ai miei primi approcci. Avendo accoppiato un nero leggermente arancio con una nera ad ottimo giallo limone, essendo portatori di opale, ottenni un nero opale pessimo come lipocromo, essendo giallo arancio, ed uno con un ottimo limone, più altri che non ricordo, ma certo non così evidenti nella diversità. Secondo me è pure probabile che anche alcuni geni che codificano per la tonalità limone (strutturale) siano posti sullo stesso cromosoma, ma ciò non è stato ancora accertato. Questo non significa certo che si possano fare anche accoppiamenti misti fidando in una ben poco probabile fortuna. Le due linee devono essere sempre separate. Attenzione ai bianchi, specialmente recessivi. Un bianco recessivo nasconde sempre una varietà inibita, la quale può essere: giallo oro, giallo limone, arancio, avorio o qualunque altra cosa. Il bianco recessivo non distrugge i carotenoidi, ma solo li inibisce, cioè non consente loro di manifestarsi ma rimangono e rimangono all’infinito. Ho sentito vari allevatori, anche qualcuno che avrebbe dovuto essere esperto, dire che i suoi bianchi recessivi melanici, spesso agata, satiné, phaeo ed altro ancora, erano puri, non potevano nascondere nulla in quanto accoppiati da diverse generazioni in purezza fra bianchi recessivi. Ebbene questo è gravemente errato: anche se fossero cento generazioni in purezza, i carotenoidi inibiti, ma non distrutti, permarrebbero. Non a caso talora ci sono sorprese che non dovrebbero essere tali, conoscendo la realtà. Ho visto qualcosa in un ceppo di phaeo gialli bellissimi dopo l’introduzione di un phaeo bianco recessivo stupendo come tipo. Purtroppo nascondeva del rosso e la varietà dei suoi figli era pessima, pur in presenza di ottimo tipo. C’è da rovinare un ceppo inserendo dei bianchi recessivi d’ignota varietà occulta. Circostanze del genere sono frequenti in vari casi come negli agata bianchi, che talora sono stati ottenuti usando agata mosaico rosso per sfruttare caratteristiche di tipo, ma anche in altri diversi tipi può accadere. Con il bianco dominante i rischi sono


minori e le soffusioni sono indicative, però possono anche ingannare; nei rossi non colorati le ali sono comunque gialle o biancastre e questo accade anche nei bianchi dominanti. Comunque, i rischi sono minori per le minori mescolanze effettuate. Nei bianchi, sia dominanti che recessivi, i coniugi dovrebbero essere giallo limone, specialmente nei bianchi dominanti ove si richiedono soffusioni giallo limone. Purtroppo questa circostanza è diventata perfino utopistica nei bianchi recessivi lipocromici, ove si guarda solo alla morfologia; del resto il bianco recessivo inibisce i lipocromi, che sono carotenoidi e la morfologia si trasmette indipendentemente. Come terza cosa ci sono le linee selettive di ossidati e di diluiti, vale a dire neri e bruni ossidati ed agata ed isabella diluiti, da non mescolare. Ricordiamo che l’isabella è l’interazione di agata + bruno e segue la linea selettiva dell’agata. È quindi la mutazione agata a creare la linea dei diluiti, l’isabella la segue come derivato dell’agata. L’accoppiamento misto è errore capitale, vediamo il perché. Nei neri e nei bruni si seleziona un disegno lungo e largo che nei neri è determinato dall’eumelanina nera, con presenze non avvertibili di eumelanina bruna, mentre nei bruni è determinato da eumelanina bruna, frutto di mutazione. Nei bruni si ricerca anche la massima espressione di feomelanina bruna in periferia della penna. Becco e zampe si ricercano il più possibile nere nei neri e brunastre nei bruni. Un tempo, molto correttamente, si voleva anche la massima espressione della feomelanina nei neri, che venivano denominati nero-bruni, in linea con il canarino selvatico e secondo logica. Poi ha prevalso la moda ed il desiderio di uniformarsi all’estero e si è deciso di considerare difetto la feomelanina nei nero-bruni, cui si è cambiato nome in neri, semplicemente. Comunque negli ossidati, almeno come disegno, si desidera la massima espressione della melanina. L’agata è una mutazione recessiva e legata al sesso che riduce le melanine dando l’impressione di una diluizione. Si esprime riducendo il disegno che di-

Ricordiamo che l’isabella è l’interazione di agata + bruno e segue la linea selettiva dell’agata

venta spezzato e sottile, in sostanza si riducono le striature che, invece, negli ossidati si cerca di accentuare creando l’impressione di continuità nel disegno, apparentemente raggiunta nei soggetti migliori. Comunque le striature sono sempre separate poiché attengono ad una singola penna; l’impressione di continuità è data anche dalla posizione delle penne, tipo tegole di un tetto. La feomelanina è fortemente ridotta, creando un alone che, in unione con il disegno ridotto, appare completo ed è detto “mandorla”. Becco e zampe nei migliori sono carnicini.

Nell’agata vi sono diverse espressioni prodotte dall’effetto additivo di geni modificatori. I vari soggetti, a seconda della tipicità, variano dall’ottimo come descritto ad un pessimo che li rende simili a pessimi neri. Nei soggetti difettosi, il disegno si allunga e si allarga, appare feomelanina poco ridotta, inoltre becco e zampe presentano tracce di eumelanina nera, più o meno elevata, specialmente su unghie e punta del becco, talora anche alla base del becco, difetto ancor più grave. La particolarità dell’agata è che non solo subisce danni se accoppiata con ossidati, ma arreca danni agli ossidati stessi. In altri termini, il danno mescolando ossidati e diluiti è reciproco: diluiti poco diluiti ed ossidati poco ossidati, cioè a minore espressione di melanine. Il fenomeno è, secondo me, molto particolare e non facile da spiegare; infatti, le altre mutazioni riduttive delle melanine non arrecano danno ai classici ossidati. La ragione è difficile da inquadrare; ho tentato di spiegarla col fatto che i geni modificatori dell’agata,

Bruno intenso rosso (con striature poco evidenti)

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Agata brinato rosso maschio, foto: E. del Pozzo

nei confronti della quale hanno effetto utile per arrivare alla massima tipicità, agirebbero in senso negativo nei confronti della forma ossidata. Un caso davvero raro, mai descritto in letteratura scientifica, di conseguenza da valutare con spirito critico. In passato mi sono permesso di parlare di “geni modificatori forti”, in grado cioè di agire anche in assenza del gene maggiore. Non ho avuto critiche, tuttavia essendo io molto autocritico mi pongo sempre dei dubbi sull’esattezza di questa valutazione, che comunque ad onor del vero spiega bene il tutto. Comunque sia, da escludere accoppiamenti fra ossidati e diluiti, quale che sia la ragione genetica, in considerazione delle evidenze lampanti degli ac-

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coppiamenti, vale a dire la cattiva o pessima qualità dei risultati. Si badi che quando parlo di agata ed isabella o di neri e bruni, non alludo solo ai tipi classici ma anche alle interazioni con i vari tipi aggiunti: pastello, opale, topazio, ecc. Anche in presenza

Si badi che quando parlo di agata ed isabella o di neri e bruni, non alludo solo ai tipi classici ma anche alle interazioni con i vari tipi aggiunti

di tipi aggiunti, la linea dei diluiti cioè a base agata e di conseguenza isabella, non è mescolabile con la linea degli ossidati neri e bruni, anche se presentano tipi aggiunti in interazione. Esemplificando: isabella x bruno è gravemente sbagliato, ma parimenti sbagliato è isabella pastello x bruno pastello. Sono possibili eccezioni? Direi di no, magari forse con l’isabella opale che, avendo oggi uno standard errato che prevede il disegnino, essendo così meno diluito, potrebbe accettare incroci con ossidati poco ossidati. Altrimenti le eccezioni possibili si possono fare quando arriva una nuova mutazione per trasferirla da ossidati a diluiti o viceversa. Questo però solo lo stretto necessario. Come quarta cosa segnalo di non accoppiare brinati e mosaico e qui la spiegazione è ovvia: il brinato si ricerca a brinatura uniforme e fine, mentre nel mosaico si cerca il contrasto fra le zone di elezione intense ed il resto, carena e scudetto a parte, bianco gessoso per accentuazione della brinatura (senza esagerare nei maschi). Attenzione semmai ad eventuali intensi di dubbia origine. Mescolanze di brinato e mosaico comportano confusioni rilevantissime, con pessimi brinati e pessimi mosaico. Come quinta cosa, anche se non è proprio un errore capitale, segnalo l’opportunità di non mescolare i vari tipi aggiunti. Pastello, opale, topazio, ecc. Quando in un ceppo si mescolano vari tipi aggiunti, prima o poi si finisce con l’avere qualche soggetto che sovrappone le varie mutazioni, come: pastello + opale, opale + topazio, pastello + onice ecc., che non sono espositive. All’estero è accettato l’onice + cobalto, detto conix, poiché interessante per la sommatoria delle diffusioni che lo rendono particolarmente scuro, una voglia di canarino nero, comunque esteticamente non disprezzabile. Quando poi i tipi aggiunti sono allelici (prodotti dallo stesso gene) si hanno degli intermedi, come: opale-onice, phaeo-topazio, opale-mogano, anche in questi casi non espositivi. Non considero errore capitale la me-


scolanza di tipi aggiunti perché, se latenti, non incidono sul fenotipo dei portatori, satiné a parte. Inoltre, non è escluso che accoppiando due soggetti di tipo aggiunto diverso si possano avere ottimi classici, quando si seguono le linee fondamentali. Ad esempio: accoppiando un ottimo bruno topazio con un ottimo bruno cobalto, si potrebbero avere ottimi classici per complementazione. Certo, poi, usando questi classici si trascinano dietro le mutazioni suddette, che rimangono latenti e prima o poi nascerebbe qualche bruno topazio + cobalto non espositivo. Bene quindi non fare mescolanze e tenere si classici portatori, ma di un solo tipo aggiunto da accoppiare con lo stesso tipo aggiunto, ad esempio: nero classico/opale x nero opale, oppure bruno classico/cobalto x bruno cobalto. Non inficia invece la latenza di un altro tipo base compatibile, ad esempio va bene nero classico/bruno e opale x bruno opale, oppure agata classico/isabella e topazio x isabella topazio. Ricordo che diversi lustri fa costituii un ceppo di melanici diluiti a fattori gialli, intensi e mosaico, che furono frutto di fondamentali esperienze; ebbene, le disponibilità all’epoca erano scarsissime e dovetti mescolare ad agata ed isabella classici anche opale e pastello, poi uscirono anche rubini diluiti, come si diceva allora (phaeo diluiti). Ebbene, ebbi qualche soggetto opale-pastello non espositivo, ma anche ottimi soggetti opale e pastello, oltre che classici e rubini diluiti. Il fatto è che, essendo molto buoni i tipi base agata ed isabella, quando non c’erano interazioni sgradite i risultati potevano essere anche ottimi; inoltre, ho avuto una certa fortuna coi pastello, che richiedono o meno geni modificatori propri del pastello. L’agata pastello non vuole geni modificatori, l’isabella pastello si, e quindi sarebbe utile non mescolare i due tipi, cosa che non sempre potevo fare, del resto privilegiavo l’opale. Ribadisco pertanto l’opportunità di non mescolare i vari tipi aggiunti, anche se farlo non è errore capitale ma veniale.

Isabella brinato rosso, foto: E. del Pozzo

Si badi semmai che in certi tipi aggiunti si seguono linee selettive errate. Negli agata, sia pastello, che opale, che topazio, si gradiscono disegni piuttosto duri, per renderli più evidenti. Questo comporta che i portatori siano pure a disegno pesante, ben inteso non per-

Accoppiando un ottimo bruno topazio con un ottimo bruno cobalto, si potrebbero avere ottimi classici per complementazione

ché portatori ma perché provenienti da selezioni non corrette. Ne consegue che un’eventuale unione fra agata dei tipi aggiunti suddetti produrrebbe agata classici per complementazione ma a disegno pesante, ribadisco non perché portatori plurimi, ma per la derivazione da linee selettive non ortodosse. Lo stesso discorso vale anche per altri tipi aggiunti, come il phaeo ove si seleziona moltissimo per la feomelanina ma si trascura il disegno. Appare quindi evidente che classici derivati da phaeo ben difficilmente potrebbero avere un buon tipo a livello di disegno. Spero che queste puntualizzazioni a beneficio soprattutto degli allevatori novizi, siano sufficientemente chiare.

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ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Il fuoriclasse Codirosso dalla testa bianca (Phoenicurus leucocephalus) di PIERCARLO ROSSI, foto F. RIGAMONTI

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lcuni uccelli, grazie alla loro bellezza cromatica, alla loro leggiadria, sono in grado di conquistarci al primo sguardo; sicuramente il Phoenicurus leucocephalus, o codirosso dalla testa bianca, è uno di questi. Ascritto alla numerosissima famiglia dei Muscicapidi, che comprende passeriformi di piccole e medie dimensioni (da 10 a 35 cm di lunghezza), era conosciuto in passato con il nome di Chaimarrornis leucocephalus.

Quando atterrano effettuano un piccolo inchino con il corpo, scuotono la coda che hanno precedentemente dispiegato e lasciano cadere le ali

Questi uccelli hanno una lunghezza di circa 19 cm e, quando si muovono, adottano posture caratteristiche: ad esempio, quando atterrano effettuano un piccolo inchino con il corpo, scuotono la coda che hanno precedentemente dispiegato e lasciano cadere le ali. Questa caratteristica del codirosso dalla testa bianca è unica tra tutti i codirossi. Conducono una vita solitaria, o per lo più di coppia; soltanto nel periodo della

Codirosso dalla testa bianca

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I giovani sono simili agli adulti ma il bianco della calottina è meno lucente ed orlato da squame nerastre. Le parti inferiori sono più grigiastre e scendono più in basso sul ventre. L’addome inferiore è adornato da piccole macchioline grigie che formano una zona di transizione con il castano-arancio della zona anale. Quando è in fase di riposo, o di osservazione, su un rametto o su di un sasso, alza e abbassa spesso la coda, come fanno gli usignoli e i pettazzurro. Il canto, osservato solo durante la stagione degli amori, risulta essere discretamente melodioso. A differenza di altri codirossi, questa specie vive in simbiosi, in un territorio comprendente i fiumi di montagna a flusso rapido e nei loro affluenti.

Il nido

migrazione formano piccoli gruppetti. Può essere considerato un uccello molto territoriale, caratteristica che si accentua maggiormente nel periodo riproduttivo. La specie è monotipica. Descrizione Il codirosso dalla testa bianca è un uccello dai colori vivaci. Potremmo dire che il nero è il colore dominante, con una lucentezza metallica che, tuttavia, non è molto evidente se osservato da lontano. Il petto, il codione e la parte superiore della coda sono di colore rosso mattone brillante. Un’ampia striscia nera corre lungo il bordo della coda. Sulla testa è presente una calottina bianco candido. Non c’è un dimorfismo sessuale pronunciato ma, dopo un attento studio sulla colorazione, specialmente durante la stagione riproduttiva, si può notare una piccola differenza tra maschi e femmine; infatti, la calottina bianca risulta essere leggermente più grande nei maschi e una particolare lucentezza metallica delle piume del petto, del collo e della gola, si osserva solo nei maschi. Nel periodo riproduttivo queste piume nelle femmine sono alquanto più scure.

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Distribuzione Vive nella parte centrale dell’Asia, dall’Afghanistan all’Himalaya nordoccidentale, con un areale che raggiunge l’Indocina settentrionale. È presente nelle seguenti nazioni: Uzbekistan, Kirghizistan, Afghanistan, Tagikistan, nella Cina nord-orientale fino al Myanmar e all’Indocina fino ai piedi dell’Himalaya. In Kazakistan, il primo e unico avvistamento è avvenuto l’8 settembre 2008 nella gola di Almaarasan, nel parco nazionale di Ili-Alatau. Il codirosso dalla testa bianca, alla continua ricerca del cibo, intraprende migrazioni verticali in base alle stagioni.

Uovo di Phoenicurus leucocephalus

Soggetto molto docile in bella mostra di sé

La migrazione autunnale comincia all’inizio di ottobre, quando i codirossi lasciano i loro habitat riproduttivi a causa delle condizioni climatiche sfavorevoli. In inverno il codirosso effettua una migrazione verso il basso e si attesta ad un’altitudine di 900-1100 m sul livello del mare. Durante lo svernamento, è possibile osservarlo da solo o in coppia. Con l’inizio della primavera, lascia le zone di svernamento. La migrazione primaverile avviene tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo e dipende dalle condizioni climatiche dei singoli anni. La migrazione verticale del codirosso avviene lungo le valli dei fiumi di montagna, tra gli 800 ed i 5000 m di altitudine, e può coprire una distanza piuttosto ampia; ad esempio, in Kashmir l’ampiezza di queste migrazioni verso l’alto non è molto pronunciata. In molte regioni, del Kashmir appunto, è presente lungo i corsi d’acqua alle stesse altitudini durante tutto l’anno. Habitat Un caratteristico biotopo di nidificazione di questa specie è costituito dalle rive dei fiumi che scorrono veloci, lungo pendii rocciosi, e dei loro affluenti, con una vegetazione più o meno rigogliosa.


Di regola, evita valli fluviali molto aperte, preferendo strette fessure rocciose con vari tipi di massi. Lungo le ampie valli fluviali, questi uccelli possono essere individuati soltanto durante il periodo della migrazione invernale. Nel loro girovagare visitano scogliere umide ricoperte di muschio e pendii di montagne paludose. Sui monti dell’Himalaya svernano in mezzo a torrenti il cui fondo è ricoperto di ciottoli e nei canali che collegano le colline alle pianure. Nelle zone più alte nidificano nei prati alpini, ma sempre a breve distanza dai corsi d’acqua. Durante i freddi mesi invernali a volte entrano in costruzioni urbane, alla ricerca di cibo, anche distanti molti chilometri dal loro habitat abituale. Il periodo riproduttivo Questa specie inizia a riprodursi relativamente tardi, verso la fine di maggio. Uno dei motivi principali sono le dure condizioni climatiche e le grandi ostruzioni, causate dalla neve, nei siti di nidificazione. La scelta del luogo di nidificazione è molto oculata: discretamente protetto, sia dalle intemperie che dai predatori, vengono scelte quindi fessure tra le rocce costiere o alla base di arbusti, sempre vicino al loro habitat simbiotico, quello lacustre. Il territorio di nidificazione non è necessariamente molto esteso; infatti, sono stati rilevati nidi con una distanza variabile, tra i 100 e i 200 metri, ma si è notato che meno l’habitat è favorevole più ampia è l’area di nidificazione. Il nido è una tazza voluminosa e profonda, composta da erbe, muschi e radici, rinforzata con fango, guarnita copiosamente con radichette, felci e peli di animali. Vengono deposte, generalmente, 3-5 uova di colore verdastro o verde-bluastro con piccole macchie bruno-rossastre o graffi grigio-violacei, incubate dalla sola femmina per circa due settimane; per lo stesso periodo di tempo, i pulcini rimangono nel nido. Come avviene per molti uccelli insettivori, i piccoli escono abbastanza velocemente dal nido, ma rimangono nei pressi dello stesso per essere imbeccati dai genitori.

Il codirosso dalla testa bianca è un uccello dai colori vivaci. Potremmo dire che il nero è il colore dominante, con una lucentezza metallica che, tuttavia, non è molto evidente se osservato da lontano

Le prime nidiate nascono nella prima decade di luglio; vengono portate a termine un paio di covate annue (la regola non è ferrea, infatti possono influire le condizioni meteorologiche non adeguate e le eventuali predazioni). Quando i piccoli raggiungono l’indipendenza rimangono uniti ai genitori fino agli inizi della stagione migratoria.

Questa specie effettua una muta molto particolare (così come per altri uccelli che vivono negli altopiani) che avviene in maniera molto intensa e in breve tempo. Durante la muta, gli uccelli adulti perdono quasi completamente la capacità di volare. Studi effettuati sul campo hanno dimostrato che questa specie è monogama e le coppie risultano essere unite nel corso degli anni. Alimentazione in natura La dieta è molto legata alle stagioni; infatti, nel periodo estivo questa specie si nutre di formiche, locuste, piccoli ragni, ditteri, scarafaggi e altri insetti. In inverno, diventa parzialmente frugivora e vengono appetite bacche di biancospino, ciliegie selvatiche, rosa canina e altri frutti di alberi e arbusti (comprese le piante di Araceae e Berberis). Il loro “menu” include anche molluschi. I soggetti che effettuano migrazioni minimali possono essere considerati onnivori.

Posa particolare del Codirosso dalla testa bianca

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In base alle osservazioni in natura è stato stabilito che il cibo viene reperito con queste percentuali: 40% nelle rocce, 19% nelle uscite aeree e meno del 2% sui banchi di fango. Dopo la descrizione del comportamento di questa specie in natura, vorrei ora parlare dell’allevamento grazie a Felice Rigamonti, bravissimo allevatore che i lettori della nostra rivista hanno già avuto il piacere di conoscere con l’articolo, da me scritto, sull’allevamento del genere Niltava. “Passo” quindi la penna a Felice, per il racconto di questa interessante esperienza.

Vista dorsale del Codirosso dalla testa bianca

Catturano le loro prede sulla superficie dell’acqua, su piccoli scogli affioranti, o gli insetti che si aggirano vicino a pozze poco profonde. Due sono le tecniche di approvvigionamento: inseguimenti aerei o piccoli appostamenti su di un sasso o su un arbusto.

Allevamento in ambiente domestico Con il Phoenicurus leucocephalus è stato amore a prima vista e dopo mille peripezie sono riuscito, finalmente, a recuperare una coppia che mi ha permesso di apprezzare appieno questa fantastica specie… ed è stata la vera sfida della stagione cove 2020. Ho deciso di definirlo “Il Fuoriclasse” perché, nelle conversazioni telefoniche con l’amico Alfonso Dragani di Chieti, grandissimo appassionato di insettivori, abbiamo incominciato a chiamarlo così e secondo me rispecchia appieno questo appellativo, vista la splendida livrea e le sue particolari movenze. Alfonso era già in possesso di una coppia ed ogni volta che ci sentivamo mi spronava a cimentarmi nell’allevamento di questa specie. Con non poche difficoltà sono riuscito a recuperare la femmina in Inghilterra ed il maschio da un allevatore in Germania. Per mettere la coppia a proprio agio, ho deciso di collocare la stessa in una vo-

Due immagini di profilo del Codirosso dalla testa bianca

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liera esterna, piantumata, con una lunghezza di sei metri e un’altezza ed una larghezza di due, con una sola zona coperta, dove io pongo le mangiatoie. Dopo un periodo iniziale di ambientamento, la coppia si è adattata magnificamente al nuovo ambiente ed al nuovo regime alimentare. Grazie alle esperienze maturate con le altre specie insettivore, che comunemente allevo, ho deciso di fornire da agosto a marzo un mangime per insettivori a giorni alterni, a cui aggiungo Buffalo, Pinkies, grilli e camole del miele e della farina, tutti rigorosamente congelati, nella quantità giornaliera necessaria. Non effettuo nessun trattamento precova ma da inizio aprile aumento la percentuale di insetti; soprattutto, fornisco ai riproduttori grilli vivi 2 o 3 volte al giorno. Ho constatato che tutti i miei uccelli insettivori li trovano irresistibili e ciò li aiuta a raggiungere velocemente la fase d’estro e la successiva fase di costruzione del nido e deposizione. La stessa alimentazione viene fornita anche durante l’allevamento, e svezzamento, dei novelli. Ho deciso di collocare la cassetta nido semiaperta (visibile nella foto) nella parte coperta della voliera e, per invogliarli nella costruzione del nido, ho fornito un mix di sisal, juta e cocco con l’aggiunta di muschio ed alcune foglie. Ho notato che il compito della costruzione del nido spetta alla sola femmina e questo avviene generalmente nella prima decade di maggio. Quest’anno ho avuto ben 3 deposizioni con 4 uova ciascuna, ma per varie disavventure soltanto un piccolo è stato svezzato, il quale, dopo il sessaggio mole-


colare, è risultato essere una femmina. Nella terza covata ho perso 3 piccoli subito dopo l’involo, nonostante fossero cresciuti molto bene ed alimentati in maniera perfetta da entrambi i genitori. Il piccolo, alimentato in maniera egregia dalla coppia, si è reso indipendente in 25/30 giorni. Mi piacerebbe sapere se qualche altro allevatore, in Italia, si stia cimentando con questa specie, per poterci così scambiare consigli ed eventualmente soggetti, anche perché in questo momento io ho una bellissima femmina spaiata. Ho definito scherzosamente il 2020 come “l’anno delle femmine”, siccome gli 8 piccoli di Niltava grandis che sono riuscito a portare all’indipendenza sono risultati essere tutte femmine. La passione per le specie alate è tantissima; infatti, per la prossima stagione cove ho deciso di cimentarmi con due nuove specie, più precisamente Luscinia pectoralis, conosciuta con il nome vol-

Codirosso dalla testa bianca in tutto il suo splendore

gare di Calliope dell’Himalaya, e Niltava sundara o Niltava ventre arancio, ma con

un occhio di riguardo per i miei “fuoriclasse”.

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CANARINI DA CANTO

Qualità canore al top testo di FRANCESCO DI GIORGIO, foto G. MARSON

I

l canto del Malinois - Waterslager, ovvero una trama superba di temi e di toni. Il primo parametro per valutare il valore di una strofa di repertorio è la correttezza fonica, consonanti e vocali giuste, poi la profondità, il volume, la discendenza e ascendenza delle note e anche la loro durata. Si può dire che il campione Malinois – Waterslager nasca due volte: una ad opera dei genitori, l’altra per merito dell’allevatore nel corso della formazione del canto. Ai primi di settembre basta oscurare un po’ di più le voliere per sentirsi levare un sommesso coro promettente. L’ingabbio, poi, dentro gli scaffali parzialmente oscurati è desiderato dagli alati stessi per ricercare e connettere ad una ad una, in piena tranquillità, le perle della canzone. Lì, accanto ad essi, debbono continuare a stare maschi adulti dello stesso indirizzo canoro e del canto armonioso, privo di imperfezioni. Giornalmente l’allevatore deve dedicare molto del suo tempo a disposizione all’ascolto degli allievi, sia aprendo le tende e cercando di distinguere soggetto da soggetto nel coro che si leva dallo scaffale, sia estraendo quattro gabbie per volta per valutare in tutta calma la condotta canora degli occupanti.

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Dipende dall’abilità, dalla competenza e dallo spirito di sacrificio dell’allevatore il poter prendere tempestivamente quei provvedimenti che risultano indispensabili per favorire la formazione canora di ogni canarino. E da novembre, i concorsi. Per le gare bisogna scegliere i soggetti che si fanno notare per un’eccellente e completa prestazione canora. La formazione dello stamm (quartetto) è della massima importanza anche da un altro punto di vista: esso deve essere un complesso canoro affine e armonioso. Scelti i probabili concorrenti, ci si deve preoccupare di far loro raggiungere la migliore “forma” per la data fissata per il concorso. Altro importante fattore delle prestazioni nei concorsi consiste nell’abituare i canarini a cantare in qualsiasi ora del giorno, in qualsiasi locale e dinanzi a chicchessia. Si tratta di porre i cantori nelle stesse condizioni in cui si troveranno davanti alla giuria e di adusarli a cantare tutto quanto hanno in gola senza alcun timore e senza incertezze. Un allenamento troppo prolungato, con estrazioni dallo scaffale troppo frequenti e troppo lunghe, può far andare fuori forma lo stamm.

Invece un allenamento di breve durata, con estrazioni dallo scaffale troppo distanziate e troppo brevi, può causare la permanenza in una forma mediocre. Un’esattezza di valutazione e di giudizio non è da credere che coinvolga soltanto i giudici, bensì anche e soprattutto allevatori e amatori. Il primo giudice dei propri canarini è infatti il loro legittimo proprietario, che li conosce meglio di qualsiasi altra persona, giudici compresi, costretti a emettere i loro giudizi in non più di venti minuti di audizione. E nella misura in cui la conoscenza dei propri cantori sarà esatta e approfondita, si potrà intervenire per il loro successivo e graduale miglioramento. Non è tanto infrequente l’eventualità, specie in certe fasi dello sviluppo canoro, particolarmente ricettive, che possano essere assimilate frasi semplici come il cinguettio insistente d un passero sul davanzale o addirittura il verso di una porta che cigola. Anche i pigolii e i richiami delle femmine, insieme al tentativo di canzone abbozzato da qualcuna di esse, possono talora costruire materia d’insegnamento per i novelli in via di formazione vocale. Evitiamo tutto questo.


DIDATTICA & CULTURA

Quale Satiné: Bruno o Isabella? di SERGIO LUCARINI, foto: S. LUCARINI, B. ZAMAGNI e E. DEL POZZO

S

u quello che viene definito “Fattore Satiné” è scorso e ancora sta scorrendo molto inchiostro. Le tematiche legate alla comprensione del suo meccanismo genetico sono argomenti molto gettonati nell’ambito della canaricoltura di colore. In tale direzione, nel mio piccolo posso dire di aver fatto la mia parte con diversi scritti pubblicati nel corso dei decenni. Queste righe risalgono a trent’anni fa: … Mi sono documentato, ho rispolverato tutti i miei appunti di allevamento e sono giunto alla conclusione che l’acquisizione dei tipi ridotti del Verdone Agata, Isabella, Lutino e Satiné (ovviamente anche i corrispettivi del Canarino) sia collegabile a diverse espressioni del gene “rd” (riduzione). In pratica, il gene non mutato rd+ ha due alleli alternativi (allelomorfia multipla): rdino ed rda. Il primo è in grado di indurre una riduzione totale della eu nera e della feo, quando agisce sul tipo base Ancestrale (Nero bruno) produce il Lutino; il secondo, rda, che invece è decisamente meno drastico, sulla stessa base produce il mutato Agata. Gli altri due tipi, l’Isabella e il Satiné, nascono dall’interazione dei due alleli in oggetto rda e rdino con il tipo base Bruno (S.Lucarini “I.O.”n° 6/1991). In questo scritto, per la prima volta in Italia si fa riferimento all’allelia tra il gene “agata” e quello “lutino” (“satiné” nel Canarino). Sempre in questo articolo proposi l’inedito simbolo “rd” (riduzione) per indicare il locus coinvolto. Fino ad allora, per quello che riguarda il formulario dei geni implicati, si utilizzava la indifendibile simbologia “z” ed “rb”, che ci tramandavamo da un corso giudici all’altro.

Successivamente coinvolsi i colleghi della C.T.N.-I.E.I. (allora si chiamava così) per stilare una lista di denominazioni ufficiali,

nonché uno standard descrittivo delle cromie ottimali riferito ai sei fenotipi allora conosciuti dell’indigeno europeo:

Foto 1 - Esempio di un ennesimo test di complementazione: ibridi mutati di Passero del Giappone Ino x Padda Agata, foto e all. S. Lucarini

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Serie dei neri: 1) Ancestrale (br+ rd+) 2) Agata (br+ rda) 3) Lutino (br+ rdino) Serie dei bruni: 1) Bruno (br rd+) 2) Isabella (Bruno + Agata) (br rda) 3) Satinè (Bruno + Lutino) (br rdino) In ambito I.E.I. (oggi E.F.I.) tale schema ha aperto la strada a quella che poi è stata definita la “serie allelica per il locus riduzione”, sequenza che attualmente per il Verdone annovera ben cinque geni alternativi. Altrettanti ne sono stati fissati e catalogati nel Diamante mandarino ed anche nel Cardellino. Considerando che non tutte queste forme apparse nelle tre specie citate sono tra loro sovrapponibili, possiamo al momento dire che gli alleli(1) potenziali individuati per il locus “riduzione”, compreso “rd+”, il non mutato, sono ad oggi almeno sette. Sempre in ambito “Estrildidi & Fringillidi”, oltre alle tre specie citate, moltissime altre presentano mutazioni ascrivibili al locus in esame. In maggioranza si tratta soprattutto di mutati di tipo “Ino”, i più vistosi e riconoscibili, ma anche gli “Agata” sono abbastanza numerosi. Tutte queste presenze, nel tempo,

hanno consentito di acquisire, tramite centinaia di test di complementazione (vedi foto 1) basati su accoppiamenti sia extra specifici che in purezza, la sicurezza assoluta circa l’allelia tra i geni coinvolti. Oggi, stanti queste risultanze, non esiste membro del nostro “Collegio di specializzazione” che non abbia ben chiara la realtà genetica che ruota attorno al locus “riduzione”. Per noi sentire che viene messa in dubbio tale granitica realtà, cioè che le mutazioni agata e lutino possano non essere tra loro alleliche, è come se ci dicessero che la Terra non è tonda ma piatta ed inoltre che non gira attorno al sole. Sul fattore “ino SL” Il primo verdone Lutino è stato descritto nel 1916. Si trattava di una femmina catturata in Inghilterra. Successivamente, Verdoni affetti da tale mutazione, non so se eredi di quella prima femmina o meno, si sono diffusi in Francia e in Belgio per poi arrivare anche da noi. Con il passare dei decenni, anche in altre specie sono stati fissati fenotipi analoghi. Per quello che riguarda le denominazioni, ci si è di norma basati sul suffisso “ino” abbinato alla indicazione del colore di

Foto 2 - Femmina di Verdone Ambra, quinto allele nel locus riduzione riconosciuto nell’indigeno, foto e all. B. Zamagni

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fondo, quindi il termine Lutino è rimasto per quelle specie che, al minimo o quasi nullo residuo melanico tipico della mutazione, sovrappongono una vistosa colorazione gialla di origine lipocromica, come ad esempio nel Cardellino, ma anche in Estrildidi come il Diamante di Gould o il Diamante Pappagallo. Quando invece il lipocromo è assente, come nel caso del Passero del Giappone o del Diamante codalunga, in riferimento al tipico residuo di eumelanina bruna si è per diverso tempo preferita la denominazione “Crema-ino”. Quando nel 1997 descrissi per la prima volta questa mutazione nel Diamante mandarino, proposi il termine neutro Ino, svincolando la denominazione della mutazione dal colore percepibile. La cosa in ambito E.F.I. è stata accolta con favore e da allora tale termine è stato utilizzato sia per indicare tali mutati in diverse specie (Codalunga, Passero del Giappone, Mandarino, etc.) sia per nominare dal punto di vista tecnico/genetico il fattore mutato in oggetto. Cioè, oggi diciamo che il Verdone Lutino è un mutato di tipo InoSL. Segnalo che in letteratura scientifica i mutati di tipo Ino vengono divisi in due gruppi principali: albinismo tirosinasi negativo (Ty-neg) e albinismo tirosinasi positivo (Ty-pos). Tra i primi, possiamo inserire tutti i mutati ad occhi rossi che trasmettono questa caratteristica con un meccanismo recessivo autosomico. Sono quindi degli InoNSL (non sessolegato), ad esempio, il Golatagliata Albino, il Verdone Citrino, Il Cardellino Albino, etc.; tra i secondi, cioè tra gli InoSL (sessolegato), tutti quelli sopra già citati. Tra questi ovviamente anche il Canarino Satiné. Ed eccoci al dunque, per comprendere il meccanismo di quello che in canaricoltura viene definito “fattore satiné” e per dare una risposta all’interrogativo di cui al titolo di questo scritto: “Quale Satiné: Bruno o Isabella?” basta studiarsi bene la sequenza sopra riportata a proposito di quelli che una volta provocatoriamente proposi come i “sei tipi base” del Verdone, e questo perché una cosa è certa: il meccanismo, sia nel Verdone che nel Canarino, è perfettamente identico, solo che nel Silvano, per una serie di circostanze favorevoli, si è dipanato davanti ai nostri occhi in modo lineare, quindi facilmente interpretabile, mentre nel Ca-


narino, stante una sequenza di eventi meno favorevole, la lettura risulta più complessa. Il peccato originale infatti è che nel Canarino il fattore oggi universalmente chiamato “InoSL” è apparso in un ceppo di Isabella. Quell’Isabella di cui bisogna sempre sforzarsi di ricordarne la natura, cioè quella di un doppio mutato per agata e per bruno. In uno di questi uccelli, ripeto a base bruna, durante la meiosi, per una duplicazione errata, invece di riprodurre un gene “rda”, ne ha prodotto uno diverso, un “rdino”; questo, abbinato a “br” già presente nei genitori Isabella, ha generato il primo soggetto Satiné (br rdino). In questo alveo, l’errore è stato poi quello di dare la denominazione alla mutazione riferendosi ai suoi effetti correlati non al tipo base non mutato, il Nero bruno (come era definito all’epoca), ma ad una base già mutata, quella bruna. A questo punto non penso si debba aggiungere altro, tutti i Satiné (con disegno) sono soggetti geneticamente a base Bruno. Il cosiddetto Isabella Satiné non è altro che un Bruno Satiné (base genetica sempre br rdino) che sconta la analoga forzatura selettiva sui cosiddetti geni “modificatori” già in essere sui tipi Agata ed Isabella. L’esperienza di Peppino Vitti Naturalmente, tutto quello che fino a qui ho scritto è valido se si dà credito (come spero ed auspico) al fatto che le due mutazioni “agata” ed “ino” siano tra loro alleliche. Se invece, cosa di cui è convinto il mio amico Peppino Vitti (“I.O.” n° 2/21), le due mutazioni non fossero alleliche, allora sì che diventa possibile la coesistenza di due fenotipi Satiné (con disegno), uno a base Isabella ed uno a base Bruno. In ambito ornitologico, Peppino Vitti è una delle persone che stimo di più. L’analisi tecnico-genetica che troviamo nel suo articolo è secondo me ineccepibile. Sia l’ipotesi dell’allelia che quella delle due mutazioni indipendenti sono ben sviluppate ed esplicitate con un preciso formulario. Poi Peppino, tra le sue argomentazioni, cala un asso importante: racconta infatti che utilizzando in allevamento un ibrido nato dall’accoppiamento tra un Verzellino con una Canarina Satiné, quindi un soggetto Nero bruno portatore di Satiné, oltre ai canonici e

prevedibili soggetti Nero bruno, Bruno, Lutino (Satiné Nero) e Satiné, ha generato anche una femmina Isabella (Bruno + Agata), cosa assolutamente non in linea con l’ipotesi dell’allelia tra “agata” ed “ino”. Chi vuole approfondire può andare a rileggere la nota di Vitti che, sui risvolti connessi a tale risultato, come ho già detto, ha sviluppato un formulario molto chiaro ed esplicativo. Da questo suo lavoro, per far capire di cosa stiamo parlando, riprendo solo la formula genetica dell’ibrido di Verzellino vista nell’ottica della allelia: br+ rd+/br rdino (Nero bruno/Satiné). Un soggetto che in meiosi è in grado di produrre due gameti “parentali” br+ rd+ e br rdino e per crossing-over i due gameti “ricombinanti” br+ rdino e br rd+ . Quattro gameti che corrispondono nell’ordine a: Nero bruno, Satiné, Lutino (Satiné Nero) e Bruno. Come si vede, non c’è possibilità che possa esserci un gamete in grado di generare un soggetto Isabella (br rda). Stanti così le cose, da dove è uscito questo animale? Secondo Peppino Vitti tale soggetto nasce grazie al fatto che, oltre al Bruno Satiné, possa esistere anche un Isabella Satiné, un triplo combinato come si usa dire

oggi, soggetto cioè mutato per bruno, per agata e per ino (satiné), cosa che implica, appunto, che agata ed ino non siano fattori tra loro allelici. Essendo personalmente certo che invece lo siano (come detto, in ambito E.F.I. sono centinaia i test di complementazione che provano il legame allelico tra agata ed ino), deve per forza esserci una diversa interpretazione di quanto accaduto nell’allevamento del mio amico Peppino. Sembrerebbe una situazione senza via di uscita, invece una possibile spiegazione in fondo penso di averla e si basa su una caratteristica dell’“rd-locus” e soprattutto dell’allele Ino in particolare: la relativa instabilità della replicazione in fase di meiosi. Loci complessi Ci sono dei testi nella mia libreria che ho consumato a forza di sfogliarli: uno di questi è “Il gene” di Benjamin Lewin, un “mattone” di seicento pagine per la maggior parte per me assolutamente indecifrabili. Nel paragrafo dedicato ai “loci complessi”, tra gli altri cita il caso del locus “w” coinvolto nella sintesi cromatica degli occhi del Moscerino della frutta (Drosophila melanogaster). Il colore degli

Foto 3 - Femmina di Verdone Mascherato, quarto allele nel locus riduzione, foto e all. B. Zamagni

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Foto 4 - Bruno satinè mosaico rosso maschio, foto. E. del Pozzo

occhi della Drosophila è dato da una mescolanza di pigmenti, uno di colore marrone ed uno di colore rosso, sintetizzati attraverso vie metaboliche separate. Il primo mutante isolato è stato white (w1), recessivo legato al sesso, che causa un blocco totale di entrambi i pigmenti. A questo primo mutante, nello stesso locus si sono aggiunte nel tempo decine di forme alleliche, molte con un effetto più o meno parziale su uno, l’altro o entrambi i pigmenti citati. La maggior parte di queste varianti, così come il primo isolato w1, sono costituite da inserzioni di tratti genici di varia lunghezza nei pressi di una regione regolatrice. In pratica queste inserzioni causano un ritardo di lettura, con conseguente perdita più o meno parziale di funzione. Spesso questa variazione è associata ad un cambiamento che avviene nel segmento stesso. Per esempio, la delezione di una piccola parte dell’inserzione w1 dà l’allele we (eosina), che ha recuperato un minimo di espressione. Gli alleli usualmente sono identificati dai soprascritti i cui nomi riflettono il fenotipo. Per esempio, wa è l’allele albicocca, wi è l’allele avorio (ivory) e così via. I numerosi esempi di questo tipo di effetto implicano che la perdita più o meno marcata della funzione non sia dovuta semplicemente all’inserzione in sé, ma possa essere influenzata sia dalla natura che dalla lunghezza del segmento inserito. Altra caratteristica è l’in-

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stabilità: molti di questi alleli derivano da duplicazioni errate con delezioni o inserzioni che modificano la lunghezza del tratto inserito. Il mutante wc, che ha l’occhio cremisi, reverte con una frequenza di circa 10-3 verso forme con occhi più colorati. Fenomeni analoghi sono ipotizzabili a livello della genetica dei nostri uccelli? Personalmente sono convinto di sì: “è noto che l’”ino-locus” legato al sesso ha un tasso di mutazione piuttosto elevato...“ (Albinism in the Canary), Inte Onsman, Research & Advice Group, MUTAVI. A questo proposito posso portare un esempio molto ben documentato che riguarda la nascita della mutazione “ambra” nel Verdone, verificatasi nell’allevamento del Sig. Federico Boccarusso di Fano, uno dei più blasonati allevatori di Verdoni che abbiamo in Italia. Nel suo allevamento, nel 1994, da una coppia formata da maschio Agata/Lutino per femmina Lutino, che prevedibilmente poteva generare solo prole Agata e Lutino, nel primo nido, oltre a due maschi Lutino è nata una femmina di uno strano colore, decisamente più chiara rispetto ad una Agata ma, altrettanto decisamente, più colorata rispetto ad una Lutino. Dopo diverse interpretazioni errate, una volta accertata l’allelia di questa nuova espressione con le precedenti agata e ino, sul fenomeno si è fissato il punto: a causa di una duplicazione errata,

il maschio ha trasmesso un inedito gamete, che rispetto all’originale ino ha recuperato un minimo di funzionalità. A questo nuovo fenotipo è stato assegnato il nome di Ambra (vedi foto 2). Un caso analogo è certamente successo anche quando, in un ceppo di Isabella, è apparsa la prima Canarina Satiné; anche lì, certamente, si è trattato di una duplicazione errata. Un gene già mutato che nel momento della replicazione è mutato ulteriormente. Detto tutto questo, non penso sia troppo azzardato pensare che un analogo caso di duplicazione errata potrebbe essere quello che è successo nell’allevamento di Peppino Vitti, dove l’ibrido di Verzellino portatore di bruno e di ino ha trasmesso un gamete dove era presente un gene rda al posto del normale rdino,cosa che ha portato alla nascita di una Isabella (br rda). È andata così? Personalmente penso proprio di sì; d’altra parte, ipotesi alternative, almeno dal punto di vista di uno come me che conosce bene la serietà e la preparazione dell’amico Peppino, non ci sono. Conclusioni Non sono uno specialista in Canarini di colore, quindi con questo mio intervento non ho alcuna intenzione di entrare nel merito se sia giusto o meno affiancare all’attuale Satiné dal fenotipo “diluito” anche una versione “ossidata”. Al riguardo non ho, infatti, né il ruolo né la competenza per esprimere pareri. Quello che mi ha spinto ad assemblare queste righe era la puntualizzazione sulla realtà genetica che lega i fattori “agata” e “inoSL”. Secondo me, non si può mettere assolutamente in dubbio il dato certo circa la loro allelicità allo scopo di giustificare dal punto di vista tecnico-genetico uno sdoppiamento a livello espositivo del “tipo” Satiné. Al più, una decisione favorevole in tal senso si potrebbe trovare dando il giusto peso alla presenza e alla funzione dei geni, poco studiati e poco valutati, che nell’ambiente vengono indicati come “modificatori”. Qui siamo nell’ambito della genetica di popolazione riferita a geni ancestrali che codificano per la disposizione della eumelanina sulla singola penna, o anche per il suo dosaggio in incremento o in riduzione. Geni che, in numero indeterminato, caratterizzati certamente da un


alto grado di divergenza allelica, costituiscono il substrato su cui opera il lavoro del selezionatore. Lavoro portato avanti, una generazione dietro l’altra, con l’eliminazione progressiva degli alleli indesiderati. Negli anni Ottanta, scrissi con la collaborazione di Bruno Zamagni una serie di articoli sulla genetica e la selezione dei sei tipi allora conosciuti del Verdone. Zamagni era, ed ancora è, il più preparato tecnico in materia. I suoi soggetti in mostra erano imbattibili. A proposito del Satiné, scrivemmo che la sua selezione andava portata avanti con il supporto di soggetti Bruni ben ossidati. Quando poi, nei primissimi anni ’90, assieme ad Umberto Caimi in C.T.N. predisponemmo uno standard per questo indigeno, coerentemente tracciammo per il Satiné (Bruno + Lutino) un percorso verso la massima espressione della eumelanina bruna. In ambito I.E.I., la ricerca della massima presenza cromatica nell’ambito

della specifica mutazione è una costante in tutti i settori, sia tra i Fringillidi che tra gli Estrildidi. In canaricoltura si è fatta una scelta diversa, altrettanto lecita, anche se a mio vedere meno coerente, ovvero quella della separazione dei tipi “diluiti” da quelli “ossidati”. Da quel momento è iniziata una deriva genetica che ha creato due popolazioni nettamente divergenti, ognuna caratterizzata da un specifico e peculiare pool genetico. I Neri e gli Agata ne sono gli opposti punti di riferimento. Da una parte la forzatura verso disegni larghi e continui; dall’altra l’analoga forzatura verso la massima contrazione tesa ad esaltare la classica sequenza spezzettata, il “chicco di riso”. Il tipo Isabella, essendo l’equivalente a base Bruno dell’Agata, ne ha seguito la sorte nel medesimo percorso selettivo, privilegiando tra i “modificatori” gli stessi alleli codificanti per il disegno spezzettato. Quando è arrivato il Satiné, “ciccandone”

la natura genetica, lo si è inserito “di ufficio” tra i diluiti, facendogli seguire la sorte dei suoi presunti tipi di riferimento. Peppino Vitti, andando controcorrente, ha fatto invece una scelta differente: ha inserito i suoi Satiné nell’alveo degli “ossidati”, accumulando nel genoma dei suoi soggetti tutti gli alleli conseguenti. Questa scelta, per le argomentazioni esplicitate fino a qui, è secondo me perfettamente razionale e, se mi è consentito dirla tutta, dato che la differenza sia a livello genetico che fenotipico tra i suoi soggetti e i classici Satiné c’è ed è ben marcata, pur non avendo assolutamente voce in capitolo, “faccio il tifo” lo stesso a che la sua tenacia ed il suo oramai quarantennale lavoro di selezione trovino il giusto riconoscimento. Nota (1) Alleli (termine che deriva dal greco allelon, “alternativo”), ad indicare geni alternativi per lo stesso locus cromosomico.

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ONDULATI ED ALTRI PSITTACIFORMI

FORMA & POSIZIONE PARTIAMO DALLE BASI

Gli Ala Perlata

Nel Nuovo Galles del Sud, in Australia, furono notati alcuni Ala chiara che esibivano delle piume bordate di bruno; furono chiamati “bronze wings”

testo, disegni e foto di GIOVANNI FOGLIATI

L’

origine della mutazione Ala Perlata è ancora oggi intrisa di mistero e leggende nonostante circolino molte versioni della storia. Nel 1948 presso la F Keston Foreign Bird Farm in Inghilterra fu allevato un uccello che presentava tutte le copritrici delle ali con il disegno posto in prossimità delle piume stesse. Negli anni ‘60, nel Nuovo Galles del Sud, in Australia, furono notati alcuni Ala chiara che esibivano delle piume bordate di bruno; furono chiamati “bronze wings”.

Maschio Doppio fattore Ala Perlata Bianco

Disegno che mostra due tipi di copritrici: una Normale, una Ala Perlata

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Christen esportò alcuni perlati dall’Australia in Svizzera e questi uccelli formarono il nucleo della varietà fuori dall’Australia.

Maschio Ala Perlata Singolo fattore Grigio

Questi uccelli possedevano alcune caratteristiche visive degli Ala Perlata, ma erano indubbiamente una varietà diversa dai perlati di oggi. Un Ala Perlata fu notato nel 1971 nella voliera di un commerciante di uccelli, tale Sergio Casagrande in Reservoir, Victoria, Australia. Certamente il patrimonio degli attuali “Spangle” (denominazione degli Ala perlata in inglese) discende da quelli allevati da Albert Ritchie di Traralgon, Victoria, Australia nel 1973. Nel 1980 Rolf

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Nei soggetti a singolo fattore le marcature alari delle copritrici presentano il nucleo decolorato mentre il disegno si accentua presso il bordo della piuma formando una sorta di tratteggio a falce

Descrizione Il colore di fondo della livrea nel singolo fattore (Sf) è simile alle varietà corrispondenti, mentre nel doppio fattore (Df) la colorazione del corpo è Gialla o Bianca. Possono essere presenti leggere sfumature verdastre o bluastre a seconda della colorazione di base che si intensificano appena sotto la maschera formando una sorta di colletto. Ai fini espositivi dette sfumature devono essere eliminate con la giusta selezione e l’introduzione delle mutazioni Cannella e Ala grigia aiuteranno moltissimo ad eliminare le soffusioni. La maschera nel singolo fattore è Gialla o Bianca ornata da sei perle decolorate al centro o in molti casi vistosamente spezzate; nel doppio fattore non è presente nessuna perla. I marchi guanciali sono generalmente Violetto/Bianco, nei soggetti a fondo Verde o Blu, mentre in quelli a fondo Grigio o Grigioverde i marchi guanciali saranno Grigio/Bianco. Nel doppio fattore i marchi guanciali sono di colore bianco, a volte leggermente grigio perlaceo. Nei soggetti a singolo fattore le marcature alari delle copritrici presentano il nucleo decolorato mentre il disegno si accentua presso il bordo della piuma formando una sorta di tratteggio a falce. Dette tracce spesso tendono a perdere d’intensità dopo la prima muta e possono continuare a farlo anche con le mute successive; anche se ad un ritmo più blando. Nei soggetti a doppio fattore non sono presenti marcature o barrature o ondulazioni. Le Timoniere centrali del singolo fattore sono Gialle o Bianche orlate di nero più o meno evidente. Nel doppio fattore le Timoniere sono Gialle o Bianche. La Cera è blu nei maschi e marrone nelle femmine.


Il becco è color corno chiaro. Gli occhi sono scuri con iride chiara; è possibile che in alcuni soggetti a doppio fattore l’iride sia più scura. Zampe e dita sono Grigio rosato con sfumature bluastre. L’ereditarietà Il gene Ala Perlata è autosomico dominante incompleto sul gene selvaggio. Almeno uno dei genitori deve essere perlato per poter ottenere una parte della prole con questa mutazione; naturalmente, entrambi i genitori devono essere Ala Perlata per generare soggetti a doppio fattore. Per mantenere un buon disegno è opportuno evitare accoppiamenti con mutazioni che comportano diluizione dell’eumelanina come Ala grigia, Ala chiara e Diluito; anche la mutazione Cannella, pur non diluendo l’eumelanina ma producendo solo quella bruna, non sempre consente di conservare un disegno ben delineato e pulito. Inoltre, a partire dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso si è notato un deterioramento visivo nel disegno dei perlati; è possibile che il problema sia dovuto al fatto di selezionare la mutazione con l’utilizzo di soggetti di tipo Normale. Esperienze effettuate sul campo sembrano dimostrare che la perdita di definizione nel disegno alare e nella profondità del colore del corpo sia la conseguenza delle diverse generazioni allevate in questo modo. Dalla attuale sperimentazione si è scoperto che utilizzando prevalentemente un accoppiamento di Perlato a singolo fattore x Perlato a singolo fattore non solo manterrà un buon disegno ma porterà miglioramenti anche in quelle linee in cui il disegno sia quasi scomparso. Di seguito la tabella riassuntiva dei risultati ottenibili dai vari accoppiamenti; come si può notare, sono del tutto indipendenti dal sesso dei riproduttori, trattandosi di una mutazione autosomica, cioè non legata al sesso:

Maschio Doppio fattore Ala Perlata Giallo

Genitori

Progenie

Ala Perlata (Df) X Ala Perlata (Df)

100% Ala Perlata (Df)

Ala Perlata (Df) X Ala Perlata (Sf)

50% Ala Perlata (Df) 50% Ala Perlata (Sf) 25% Ala Perlata (Df)

Ala Perlata (Sf) X Ala Perlata (Sf)

50% Ala Perlata (Sf) 25% Non Ala Perlata

Ala Perlata (Sf) X Non Ala Perlata Non Ala Perlata X Non Ala Perlata

50% Ala Perlata (Sf) 50% Non Ala Perlata 100% Non Ala Perlata

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ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Passero del Giappone x Padda: la storia di Ringo testo e foto di SIMONE OLGIATI

L’

idea di realizzare questo Ibrido risale ormai a otto anni fa. Essendo ancora alle prime armi, non volevo tentare un incrocio troppo difficile però nemmeno “banale”, anche se in ibridazione non si può dare nulla per scontato. Vagliando diverse ipotesi, ritenni stimolante l’incrocio tra il Passero del Giappone e il Padda usando soggetti mutati. Questo accoppiamento è stato proposto in diverse varianti cromatiche grazie alle mutazioni in comune tra le due specie: sono stati visti ibridi nero bruni, rosso bruni (phaeo), moka bruni (topazio), agata, ino, bianchi e pezzati. Le prime tre combinazioni, all’epoca dei fatti, si erano già viste alle esposizioni in più occasioni. La scelta della coppia ibrida da assortire ricadde su Passero del Giappone bianco x Padda bianca o pezzata, nella speranza di ottenere

Ringo e suo fratello in fase di impiumo

Ringo in tutto il suo splendore

un Ibrido completamente lipocromico, candido come la neve. La femmina prescelta fu una Padda leggermente pezzata portatrice di bianco, d’un anno d’età, acquistata presso un amico allevatore della mia zona nel gennaio del 2014. Il maschio era un Passero del Giappone completamente bianco, di ottimo livello, comprato da un altro amico nel varesotto. Dopo il necessario periodo di quarantena, la coppia ibrida venne unita in una gabbia a pagoda abbastanza grande (a quel periodo avevo, purtroppo, anche quelle!) in modo tale

La scelta della coppia ibrida da assortire ricadde su Passero del Giappone bianco x Padda bianca o pezzata

da favorire l’affiatamento tra i due. Nei primi tempi il P.d.G. era intimorito dalla grossa compagna e le sfuggiva

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Coppia balia inusuale, mamma Padda, figlio F1 e P.d.G. moka bruno giovane

ogni volta che lei gli si avvicinava, ma col passare dei mesi le paure si affievolirono e la coppia si consolidò. Una deposizione avvenne nei primi d’agosto con la nascita di un solo pullo, che purtroppo non venne alimentato e morì nei primi giorni di vita.

Uno degli Ibridi della prima covata appena ingabbiato a Zebra's

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Nei mesi successivi dovetti ridurre drasticamente la mole dei soggetti in allevamento e cambiare il locale dove detenevo gli animali, passando da un porticato chiuso da pannelli in plexiglass ad una stanza di casa, una volta deputata a sgabuzzino, dotata di finestra per garantire il giusto ricambio d’aria. Fortunatamente gli uccellini si adattarono repentinamente al nuovo ambiente e alla stabulazione in una batteria di gabbie “all’inglese” di cm 60 x 40 x 40. Dopo un certo periodo di assestamento, ricomposi la coppia per consentirne ancora la riproduzione. La cassetta-nido fornita era la stessa della cova precedente, orizzontale, per pappagallini, con foro tondo. Allo scopo di favorire la costruzione del nido, misi un cestino in vimini per accogliere meglio le uova; il materiale fornito era composto da fibre di juta e di sisal. La deposizione della prima covata iniziò il 20 ottobre del 2014 e fu di ben sette uova tutte feconde. Se ne schiusero solo quattro e i due primi nati morirono quasi subito. Da segnalare la durata dell’incubazione, che fu di ben 20 giorni, ben di più dei canonici 14 tipici degli Estrildidi. Avendo in contemporanea una coppia di Passeri

La terza covata seguì il decorso delle due precedenti e iniziò negli ultimi giorni di febbraio; la femmina depose nove uova, di cui però solo quattro feconde

del Giappone con cinque pulli nati negli stessi giorni, ne scambiai due con gli Ibridi superstiti. La strategia funzionò: i due P. del G. x Padda vennero anellati verso i nove giorni d’età e si involarono dopo circa due settimane, poco dopo i fratellastri. Lo svezzamento avvenne verso il 50° giorno di vita. L’alimentazione riservata alle due coppie era la stessa: parti uguali di miscela di semi per esotici e ondulati; pastoncino semi-morbido arricchito con proteine animali ed integratori vitaminico-minerali naturali e di sintesi, con un valore medio proteico del 20% e lipidico dell’8%. La seconda deposizione, sempre di sette uova e tutte feconde, avvenne negli ultimi giorni dell’anno, con la nascita di quattro pulli intorno alla metà di gennaio 2015. Purtroppo sopravvissero solo due piccoli, i quali vennero brillantemente allevati dai genitori naturali. La terza covata seguì il decorso delle due precedenti e iniziò negli ultimi giorni di febbraio; la femmina depose nove uova, di cui però solo quattro feconde. Sempre due furono i piccoli portati allo svezzamento. La muta dei novelli iniziò a circa tre mesi d’età, quando il colore del becco passò da un grigio scuro ad un rosa pelle simile a quello delle zampe; il cambio delle piume si concluse in tarda primavera. In tutto questo periodo i soggetti mantennero un piumaggio sericeo e brillante, sempre composto e in ordine. Cinque dei sei ibridi erano praticamente identici tra loro: petto, dorso e schiena di color marrone cioccolato


L’unico diverso dagli altri, invece, aveva le pezzature molto più estese dei fratelli: ventre, ali, petto e cervice erano completamente bianchi

molto intenso; ventre e groppone caffelatte caldo; timoniere nere. Per quanto riguarda i disegni, era evidente la maschera nera ereditata dalla mamma Padda, con le guance di una tinta appena più chiara di quella del petto; ben visibile una linea nera leggermente frastagliata che divide il petto dal ventre. Un leggero disegno era presente anche sul codione, tratto ereditato dal Passero del Giappone. Assente, purtroppo, la “lisca di pesce” sul ventre, la quale avrebbe donato un tocco in più agli Ibridi. L’unico diverso dagli altri, invece, aveva le pezzature molto più estese dei fratelli: ventre, ali, petto e cervice erano completamente bianchi; le parti melanizzate erano la barra pettorale, gli “occhiali”, le redini, il groppone e lo scudo sul dorso (quest’ultimo tratto sicuramente ereditato dal padre, essendo questo proveniente da un ceppo di bianchi e di scudati); becco e zampe erano interamente carnicini. Dato l’aspetto unico ed il contrasto tra le parti superiori più scure e quelle inferiori più chiare, gli venne affibbiato il soprannome di “Ringo”, per analogia coi colori di un famoso biscotto. Alla fine dello sviluppo, gli ibridi si rivelarono quattro maschi e due femmine. La distinzione tra i due sessi è stata resa possibile non solo dal canto dei maschietti, ma anche perché le sorelle erano evidentemente più piccole rispetto ai fratelli; infatti, queste avevano la taglia del padre, mentre i maschi avevano una taglia intermedia rispetto a quella dei due genitori.

Terminata la muta, venne il momento di decidere a quali mostre presentare i giovani Ibridi. La scelta per la loro prima “uscita in pubblico” ricadde sulla mostra internazionale di Zebra’s, esposizione che si svolge a settembre, dedicata al Diamante mandarino e, più in generale, a tutti gli Estrildidi. Scelsi di esporre solamente i maschi, presentandoli come elementi singoli, e decisi di portare solo loro perché avevano una taglia maggiore e più accattivante.

nate. Tornato a casa la sera tardi, passai la notte e la giornata del sabato in trepidante attesa dei risultati della classifica, che avrei scoperto la domenica. Il 20 settembre eravamo in mostra già alle sette del mattino, dopo aver scaricato i trasportini sotto un forte temporale che copriva esattamente l’area della fiera. Una volta entrati nel padiglione e sistemata l’attrezzatura sui tavoli, corsi ad accertami della buona

In questo scatto viene messa in mostra l'imponenza di questi Ibridi

Gentilmente “scarrozzato” da un amico (avevo 16 anni all’epoca, la patente era ancora un miraggio), nel tardo pomeriggio del 18 settembre 2015 giungemmo ai rinomati padiglioni della fiera di Reggio Emilia. Lì, una confusione di suoni, canti e di voci mi avvolse: un clima festoso invadeva ogni angolo del locale espositivo. Presentata la scheda di ingabbio a chi di dovere, andai a porre i soggetti nelle gabbie a loro desti-

condizione dei miei beniamini. Con mia somma gioia, scoprii di essermi aggiudicato il primo premio nella categoria “Ibridi pezzati tra Estrildidi” con 90 punti! La felicità e l’entusiasmo erano a mille e passai tutta la giornata col sorriso stampato sulle labbra. Quell’edizione di Zebra’s fu la prima di una lunga serie di esposizioni alle quali partecipai. Ringo, l’ibrido maggiormente pezzato, si affermò primo in classifica alla M.I.O.S. di Lonate Poz-

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zolo con 91 punti, mentre nel 2016 non lo portai a nessuna mostra, concentrandomi maggiormente sugli ibridi di Donacola petto castano x Passero del Giappone. Nel 2017 partecipai ancora a Zebra’s, dove Ringo ottenne ben 92 punti e concorse per essere eletto il Miglior Ibrido della manifestazione, ma venne battuto da un superbo ibrido rosso bruno sempre di Passero del Giappone x Padda. All’esposizione organizzata dalla Società Ornitologica Genovese, purtroppo, Ringo non venne apprezzato e tornò a casa con 89 punti. Stesso punteggio al Campionato Mondiale di Cesena, a causa del piumaggio non ottimale, e quindi si piazzò fuori podio, al quarto posto. Purtroppo, nei mesi successivi la sua salute peggiorò a causa di una malattia intestinale che lo condusse alla morte nel mese di maggio 2018.

Nel 2017 partecipai ancora a Zebra’s, dove Ringo ottenne ben 92 punti

Vista la sua natura di “animale da palcoscenico”, di Ringo non venne mai testata la fertilità, però accoppiai il fratello di nido con la madre, al puro scopo di vedere cosa sarebbe accaduto. Anche a causa dell'età avanzata, la Padda fece due covate di due e cinque uova rispettivamente e, come nelle previsioni, tutte infeconde. In ogni caso la coppia si rivelò un’ottima balia per una nidiata di Passeri del Giappone moka bruni. In buona sostanza, l’ibridazione tra il Passero del Giappone ed il Padda non presenta eccessive difficoltà: l’affiatamento, dopo i primi timori iniziali da parte del maschio, procede speditamente senza intoppi; l’accoppiamento, se viene scelto un P. del G. di buona taglia, non presenta eccessive difficoltà. Curioso il fatto che, nonostante l’elevatissimo numero di uova

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I genitori coi pulli della terza covata

feconde (17 su 23, col calo fisiologico comprensibile nell’ultima covata), i nati furono solo una decina e gli svezzati sei: ciò indica che, tra le due specie, sussiste un certo grado di disgenia; lo svezzamento e la muta procedono tranquillamente, sebbene questa non sia tra le più rapide. Il mio

più grande rammarico è quello di non essere riuscito a realizzare un Ibrido completamente lipocromico, candido come la neve, col becco e le zampe carnicine, di taglia imponente e fiera. Chissà se in futuro, con una coppia composta da entrambi i partner bianchi, riuscirò a coronare il mio sogno.

I NOSTRI LUTTI

Ciao Attilio

U

n grave lutto ha colpito l’Associazione Ornitologica Siracusana: il 6 maggio scorso, a soli 36 anni ci ha lasciati il giovane allevatore Attilio Bruno. Un ragazzo che nonostante i suoi problemi di salute ha sempre manifestato una smisurata passione per i canarini, e un grande attaccamento alla nostra Associazione. Era sempre il primo ad arrivare alle riunioni e ad augurare il buongiorno nel gruppo WhatsApp dei soci. Tutta l’Associazione Ornitologica Siracusana si stringe intorno alla famiglia di Attilio. Ciao ragazzo dagli occhi azzurri, ci mancherai. I Soci dell’A.O.S.


DIDATTICA & CULTURA Gagliardetti della Federazione Ornicoltori Italiani, sotto: versione vintage

Il collezionismo ornitologico I gagliardetti testo e foto di FRANCESCO BADALAMENTI

P

Modello realizzato nel 2019

1999 50° anniversario della F.O.I.

roseguiamo la serie di brevi articoli sul Collezionismo Ornitologico (siamo per adesso giunti alla parte sesta) con questa nota riguardante i “Gagliardetti” (internazionalmente conosciuti come pennant, banderin, winpel, ecc.). Considerato che sull’argomento non vi è poi così tanto da scrivere, sarà più una rassegna fotografica che un vero e proprio articolo. Si tratta delle foto dei gagliardetti della mia personale collezione, di quelli che ho fotografato a Piacenza presso la sede Federale, qualche immagine scaricata dal web, alcune foto inviate dagli amici del Direttivo del Raggruppamento Ornicoltori Siciliani; alcune foto sono, infine, della collezione del mio carissimo amico e Presidente della Commissione Tecnica Nazionale C.F.P.L. Salvatore Alaimo. Il gagliardetto è soltanto un piccolo lembo di stoffa a cui viene attribuito un particolare significato, valore storico, sportivo, sociale, collezionistico e perfino un notevole interesse per l’araldica e per i colori ad esso associati.

Sesta parte

Di seguito alcuni esempi di utilizzo nel sociale, nelle usanze cavalleresche e nei combattimenti, nello sport e infine in ornitofilia. Le Associazioni Internazionali di “Service Club” Una delle tradizioni più diffuse e colorate delle Associazioni Internazionali di Service Club (quali i Lions, il Rotary, il Kiwanis ed altri) è lo scambio dei gagliardetti dei club da parte dei soci. I club sono soliti esporre i propri gagliardetti e stendardi decorativi durante le riunioni, in occasione degli eventi distrettuali, presso le rispettive sedi. I gagliardetti spesso includono simboli o immagini della Città, della Regione o del Paese del club. Alcuni rappresentano le tradizioni

Gagliardetti dei Club di Specializzazione

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Gagliardetto del 2005 del Raggruppamento Ornicoltori Siciliani

Palermo 1991 - XXI Campionato Interregionale Calabro-Siculo

culturali o arti e mestieri locali, con disegni in pelle, ricami, tessiture, disegni dipinti a mano. La tradizione continua ancora come un modo per i club di esprimere condivisione e la loro reciproca amicizia. Combattimenti Per comprendere il significato del gesto della consegna della bandiera si deve andare a scavare nelle tradizioni di guerra. Già nell’opera storiografica “Le Historiae” di Publio Cornelio Tacito vi sono alcuni riferimenti ai soldati romani che si arresero al nemico utilizzando la propria bandiera, issandola come segnale di resa. L’utilizzo degli stendardi (che in fondo sono antichi progenitori dei gagliardetti) fa parte dei combattimenti e delle usanze cavalleresche. Con l’introduzione in battaglia delle armi da fuoco, si iniziarono a usare con frequenza dei vessilli per identificare un determinato reparto di un esercito, per evitare di cadere sul campo, a causa del cosiddetto “fuoco amico”. In un contesto bellico, alzare bandiera bianca assume il significato di resa incondizionata, il cessate il fuoco o la fine delle ostilità. Sport Consegnare la propria bandiera – nel caso delle squadre di calcio, il gagliardetto – prima

Gagliardetti della S.O.R.

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Gagliardetti di Associazioni e di Esposizioni Ornitologiche

della partita stravolge il significato: non più una resa come nei combattimenti, ma un omaggio, una sorta di invito a una sfida leale, che sia vinta dal migliore. In particolare, lo scambio dei gagliardetti che accompagna per tradizione l’inizio di una partita di calcio è uno dei rituali che oramai appartengono alla storia del football mondiale. Proprio nel mondo del calcio, sotto il profilo collezionistico, vi è un grandissimo numero di appassionati che da ogni parte del mondo cercano di raccogliere il maggior numero di gagliardetti. Uno tra i più conosciuti collezionisti al mondo è un italiano: Marco Cianfanelli, calciofilo di Ariccia, che possiede circa 10.000 gagliardetti di squadre di club e di nazionali di calcio di tutte le epoche. “Pezzi di stoffa” dal grande fascino che tutti possono vedere, sfogliare, o meglio cliccare, perché in attesa di avere uno spazio fisico per esporli, Cianfanelli ha creato il sito: www.pennantsmuseum.com Ornitofilia Nel nostro ambito, i gagliardetti (raramente utilizzati come premiazione in mostre ornitologiche) sono prevalentemente simbolo di appartenenza, ad esempio alla nostra Federazione, alla C.O.M., oppure a un’Associazione territoriale o a un Club di Specializzazione. Come tali fanno bella mostra affissi


2018 Cervia Congresso O.M.J. - C.O.M.

Norwich City Football Club

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alle pareti delle rispettive sedi delle Associazioni o per abbellire stand espositivi/divulgativi. Vengono talvolta realizzati per celebrare ricorrenze significative (vedi ad esempio quello per il 50° Anniversario della Federazione Ornicoltori Italiani), oppure per fare onore a un particolare evento o per solennizzare una esposizione ornitologica, un Campionato Italiano, una Mostra Internazionale C.O.M. Tra i gagliardetti presenti in questa rassegna fotografica e a corredo di questa breve nota, sono particolarmente legato a quello del 1991 che io stesso avevo fatto realizzare per consegnarlo a tutti gli espositori partecipanti al XXI Campionato Interregionale Calabro-Siculo a Palermo. Sono letteralmente “volati” trent’anni, e nel 1991 mi apprestavo ad iniziare una lunga collaborazione all’interno del Raggruppamento Calabro-Siculo (che mi avrebbe portato a ricoprire davvero tutte le cariche: dapprima segretario, per un breve periodo vicepresidente e per lungo tempo presidente, negli ultimi anni infine anche presidente della Commissione Contabile).

l Norwich City Football Club è una società calcistica con sede nella città di Norwich che milita nella seconda divisione del Campionato inglese di calcio. Il soprannome dei calciatori e dei tifosi del Norwich City è The Canaries (i canarini), nomignolo che ha influenzato lo stemma della squadra e i colori sociali (giallo-verde). Il collegamento tra la città di Norwich e i canarini affonda le proprie radici tra il XV e il XVI secolo, quando i tessitori fiamminghi, che avevano importato questi uccelli nei Paesi Bassi dalle colonie caraibiche, li introdussero in Inghilterra. Nel febbraio 1907 il soprannome “canarini” era già invalso nell’uso, tanto che la partita di FA Cup giocata contro il West Bromwich Albion, il cui soprannome è The Throstles (i tordi), era stata etichettata come “the birds match”. L’attuale emblema recante un canarino posto su un pallone da calcio, fu introdotto nel 1922 con una versione stilizzata del gonfalone cittadino di Norwich nell’angolo in alto a sinistra. Sono in realtà molti i club inglesi che hanno raffigurato nel loro stemma un uccello, poiché simboleggia agilità e destrezza sul campo da gioco. Ma questo avviene ovviamente anche in altre nazioni e in altri sport; basti pensare a squadre conosciute in tutto il mondo come gli Arizona Cardinals, che sono la più longeva squadra di football americano, o alle numerose squadre di basket che hanno nel loro logo uccelli rapaci che simboleggiano potenza e capacità di volare alto come Milwaukee Hawks, Eagles Basket, ecc. Nel campionato italiano di calcio, quando si parla di canarini si pensa comunemente alla squadra del Modena Football Club, i cui tradizionali colori sociali sono maglia color giallo canarino e calzoncini blu; tuttavia nello stemma del Modena non si trova alcun riferimento ai canarini. I canarini sono anche i tifosi e i giocatori dell’U.S. Mazara, oggi trasformatasi in Associazione Sportiva Dilettantistica Mazara Calcio 2018, della città siciliana di Mazara del Vallo (TP), i cui colori sociali sono il giallo e il blu. Il canarino giallo campeggia sullo stemma della squadra di calcio e ovviamente è presente anche nel gagliardetto.

Gagliardetto del West Bromwich

Gagliardetti del Norwich City

Gagliardetto del Mazara Calcio

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O rniFlash Ascoltare gli uccelli può aumentare la felicità

News al volo dal web e non solo

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n recente studio tedesco che ha coinvolto oltre 26.000 europei ha riscontrato che le persone allegre vivono vicino ad aree naturali caratterizzate da una maggiore diversità di specie volatili. E non c’è bisogno di sapere la differenza tra i fischi del tordo e quelli del passero golabianca. Si è scoperto che per ottenere i benefici è sufficiente vedere e ascoltare una grande varietà di amici piumati (anche se, in realtà, imparare a identificare le melodie e i richiami degli uccelli è un ottimo modo per sintonizzarsi con la natura insieme ai bambini). Gli scienziati stanno ancora studiando, afferma Clint Francis, professore di Biologia presso la Cal Poly, che ha supervisionato un recente studio che mostra che ascoltare melodie di uccelli mentre si fa escursionismo fa crescere il senso di benessere. Gli autori suggeriscono che questo succede sia grazie ai suoni stessi sia grazie al fatto che più uccelli significano una maggiore biodiversità. Ascoltare gli uccelli potrebbe anche produrre effetti positivi perché ci ricorda le precedenti esperienze felici a contatto con la natura. Questo perché la parte del cervello il lobo temporale - che elabora i ricordi, elabora anche le informazioni sensoriali, il che significa che uno specifico scorcio, un suono, un odore, un sapore o ricordo tattile può entrare a far parte della memoria. “Il canto degli uccelli, in particolare, potrebbe segnalare l’arrivo del bel tempo e che ci stiamo lasciando alle spalle le rigide condizioni invernali”, aggiunge Francis. Anche se ascoltare molti suoni di uccelli fa bene alle persone, Francis afferma che il rumore prodotto dall’uomo è, invece, nocivo per loro. Sulla base della sua ricerca e di altri studi, i suoni non desiderati – come il traffico o i soffiatori di foglie a gas - tendono a tenere gli uccelli a distanza. Inoltre un maggiore rumore di sottofondo rende difficile sentire gli uccelli che si trovano già lì. Fonte: https://www.nationalgeographic.it/famiglia/2021/05/ecco-perche-un-giardino-per-uccelli-e-ottimo-anche-per-i-bambini Foto: Barbara Rich / Getty Images

Quindici rari condor si posano su un balcone

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EHACHAPI - I condor della California sono molto rari da avvistare. C’è chi ci prova per anni senza riuscirci. E poi c’è Cinda Mickols, che si è ritrovata una quindicina di esemplari appollaiati sul suo balcone. L’uccello è in via di estinzione. Attualmente sono circa 160 gli esemplari nello stato della California, e circa 500 in tutti gli Stati Uniti. Le avventure della donna sono state raccontate su Twitter dalla figlia Seanna. In poche parole la madre non è stata molto contenta di aver ricevuto la recente visita degli uccelli, soprattutto perché hanno lasciato diversi ricordini sul balcone e hanno combinato qualche disastro. E i condor non accennano a lasciare la zona. La donna, seguendo il suggerimento degli esperti, ha cercato di bagnare i condor con dell’acqua, ma gli uccelli si sono solo spostati sul tetto dell’abitazione. Qualcuno ogni tanto si posa su un albero, sempre della proprietà, ma poi la sera ritorna sul balcone. Una volta il condor della California occupava gran parte del Nord America, lungo la costa pacifica dal Canada al Messico. Poi nel XIX secolo è stato oggetto di bracconaggio e avvelenamenti, e il suo habitat è stato fortemente ridotto. Oggi l’animale in via di estinzione è protetto. L’apertura alare del Condor della California può raggiungere i tre metri, tra le più grandi del Nord America. Può vivere fino a 50 anni e il colore della sua testa varia in base allo stato emotivo, dal giallo al rosso acceso. Fonte: https://www.tio.ch/dal-mondo/attualita/1510031/condor-california-balcone-estinzione-via


O rniFlash L’uccello più “instagrammabile” del mondo per la scienza i sono davvero tante creature su questo mondo, molte delle quali sono volatili. Mentre alcuni sono famosi per il loro aspetto incredibile e maestoso, altri no… come la Podargidae Bonaparte, etichettata come “l’uccello dall’aspetto più sfortunato del mondo”. Adesso, però, gli scienziati della rivista i-Perception, hanno dato alla Podargidae Bonaparte un nuovo titolo: L’uccello più “instagrammabile” sulla Terra. Sicuramente non si tratta di una creatura famosa, poiché dopo aver osservato più di 27.000 foto di uccelli su Instagram, i ricercatori hanno scoperto che il volatile è apparso in solo in 65 immagini. Tuttavia, la Podargidae Bonaparte ha raccolto molti più “Mi piace” di qualsiasi altra specie di uccelli, in base al numero di utenti che probabilmente hanno visto quelle foto. Nel dettaglio, i ricercatori hanno esaminato le foto pubblicate da nove degli account di uccelli più seguiti su Instagram che in tutto hanno un pubblico di 3,5 milioni di utenti. I ricercatori hanno calcolato il numero previsto di “Mi piace” che ciascuna foto dovrebbe ottenere in base all’ora in cui la foto è stata pubblicata e alle dimensioni del pubblico dell’account. Gli uccelli con piumaggio blu e giallo hanno ottenuto punteggi sempre più alti rispetto agli uccelli con piume gialle e verdi, lo stesso vale per le creature con un aspetto insolito e unico. In cima a queste classifiche si trovava quasi sempre la Podargidae Bonaparte; sicuramente una “questione di giustizia poetica”, scrivono gli autori, considerando la sua reputazione di “uccello dall’aspetto più sfortunato”. Fonte: https://tech.everyeye.it/notizie/uccello-instagrammabile-mondo-scienza-516009.html - ScienceAlert

Lo Shuvuuia, dinosauro-uccello che cacciava nel buio della notte

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dinosauri hanno dato origine agli uccelli con il gruppo dei teropodi. Per capire l’adattamento delle capacità visive e visive avvenuto dal dinosauro all’uccello, un team di ricercatori dell’Università del Witwatersrand, guidato dal professore Jonah Choiniere, ha eseguito uno studio analizzando l’apparato visivo e quello uditivo di più di 100 specie di uccelli attualmente viventi ed i dinosauri estinti. Hanno misurato, per esempio, la lunghezza della lagena, un organo che sta alla base dell’elaborazione delle informazioni sonore percepite e che nei mammiferi si chiama coclea, e l’anello sclerare, un set di ossa intorno alla pupilla che hanno lo stesso ruolo dell’obiettivo di una fotocamera: più grande è la loro apertura, più luce entra e più è facile la visione con scarsa visibilità o durante la notte. Alla fine, i ricercatori hanno scoperto che mentre i dinosauri, come lo stesso tirannosauro, avevano una vista ottimizzata durante il giorno ed un livello di udito superiore alla media, caratteristiche utili per il loro tipo di caccia, c’era un minuscolo teropode, denominato Shuvuuia, che possedeva sia un udito straordinario che la possibilità di visione notturna. Questa specie di teropode mostrava una lagena molto grande, quasi identica, per quanto riguarda le dimensioni, a quella del barbagianni di oggi, uno degli animali meglio adattatisi alla vista notturna. Questa stessa specie mostrava inoltre un sistema visivo particolare con pupille molto grandi, le più grandi mai misurate sia negli uccelli che ne dinosauri. Ciò indica che, molto probabilmente, erano molto abili a vedere bene di notte. Lo Shuvuuia era un piccolo dinosauro teropode con le dimensioni di un gallo odierno e che viveva nei territori dell’odierna Mongolia. Con un singolo artiglio su ogni zampa e con zampe molto lunghe, andava a caccia di piccoli mammiferi e di insetti. Con le zampe abbatteva rapidamente la preda mentre con i suoi artigli poteva strappare via le stesse prede quando riuscivano a rintanarsi nelle tane. Si tratta di caratteristiche di animali che oggi vivono nei deserti, spiega Choiniere. Fonte: https://notiziescientifiche.it/scienziati-studiano-lo-shuvuuia-dinosauro-uccello-che-cacciava-nelbuio-della-notte/ Immagine: Viktor Radermaker

News al volo dal web e non solo

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DIDATTICA & CULTURA

I Padri dell’Ornitologia italiana

Alfonso Ademollo (Impruneta, Firenze 1829 - Grosseto 1895) di ROBERTO BASSO e MARTINA LANDO, foto ARCHIVIO CIVICO MUSEO DI STORIA NATURALE DI JESOLO

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lfonso Ademollo nacque a Impruneta (Firenze) nel 1829, primogenito di sette figli di Stefano Ademollo, medico chirurgo, e della nobildonna Giuseppa Del Riccio Papi. A pochi mesi dalla sua nascita, per il lavoro del padre, la famiglia si trasferisce a Montepulciano (Siena) dove Ademollo studierà presso il collegio locale. La famiglia si trasferì poi nel 1845 a Orbetello (Grosseto) e nello stesso anno Alfonso si iscrisse alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Siena. Da giovane, spinto dall’ideologie liberali della fa-

miglia, partecipò attivamente ai moti popolari che diedero inizio alla guerra d’indipendenza e nel 1848 decise di

Foto-ritratto di Alfonso Ademollo cinquantenne

Esempio di antiche collezioni di studio di esemplari montati

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Divenne un eccellente medico, tanto che già nel 1861 fu insignito della carica di Direttore del Regio Spedale di Grosseto

lasciare temporaneamente gli studi per arruolarsi. Prese parte a diverse battaglie e, un anno dopo, nel 1849, riprese gli studi per poi laurearsi nel 1852. Divenne un eccellente medico, tanto che già nel 1861 fu insignito della carica di Direttore del Regio Spedale di Grosseto, incarico che mantenne sino alla pensione. Nel 1856 sposò Isabella Beltramini dalla quale ebbe due figli, Lodovico ed Alaide, entrambi prematuramente scomparsi a pochi anni dalla nascita. Purtroppo anche la moglie, dopo una lunga malattia, morì molto giovane


all’età di 38 anni nel 1872 e così Ademollo si ritrovò sfortunatamente da solo. Questa solitudine lo portò a immergersi a pieno nel suo lavoro ma anche a dedicarsi ai suoi innumerevoli interessi scientifici e storici. La storia dell’arte, come l’archeologia, divenne uno dei suoi principali ambiti di studio e nel 1879 ottenne la nomina di Ispettore di scavi e monumenti della provincia di Grosseto. Questo ruolo gli permise di maturare un’ampia conoscenza in materia, tanto che pubblicò negli anni diverse opere non solo in ambito artistico ma anche storico. Tra queste si ricordano “I monumenti medioevali e moderni della provincia di Grosseto” (1894), opera complessa che ancor oggi rimane unica e insuperata per il tema trattato, e il libro storico “L’Assedio di Orbetello dell’anno 1646” (1883). L’arte e la storia erano passioni comuni tra i suoi familiari: suo cugino Carlo Ademollo (1824-1911) fu un celebre pittore risorgimentale che venne nominato Pittore d’armata dal Re d’Italia nel 1866, mentre suo cugino Alessandro Felice Ademollo fu, oltre che giornalista, un valido storico d’arte e di tradizioni popolari toscane. Una buona parte dei suoi studi, interessi e ricerche vennero rivolti anche all’ambito naturalistico, in particolare all’ornitologia. Egli, infatti, amava molto osservare e cercare di comprendere la complessità della biodiversità; si legò molto alla Maremma, dove visse gran parte della sua vita. Nel 1871 ottenne il suo primo incarico in materia: il Comune di Grosseto lo nominò Direttore della sezione di Scienze Naturali del Museo cittadino. A seguito di quella nomina, Ademollo approfondì gli studi ornitologici e scrisse la sua più grande opera, la prima monografia come elenco sistema-

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Esempio di antiche collezioni di esemplari in pelle

tico sull’avifauna maremmana, che pubblicò nel 1877, di pag. 91 e dal titolo “L’ornitologia maremmana”. Opera, oggi, estremamente rara nella sua prima edizione e che vide nel 1980 una prima ristampa da parte dell’Arnaldo Forni Editore. In quel contesto storico ebbe modo di conoscere, confrontarsi e collaborare con i grandi ornitologi dell’epoca: Enrico H. Giglioli, Apelle Dei, Orazio Antinoli,

Copertina della ristampa del 1980 dell’opera “L’ornitologia maremmana” di pag. 91

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La solitudine lo portò a immergersi a pieno nel suo lavoro ma anche a dedicarsi ai suoi innumerevoli interessi scientifici e storici

Giacinto Martorelli, Luigi Paolucci, Salvatore Tommasi e altri. Parte dei dati da lui raccolti proprio nell’ambito territoriale e ambientale della Maremma costituirono un importante contributo per l’opera “Inchiesta ornitologica” di Enrico H. Giglioli, pubblicata nel 1889. Negli anni, come tutti i naturalisti dell’epoca, costituì un’importante biblioteca e archivio tematico ornitologico, come pure una collezione di uccelli montati e in pelle di studio, ma purtroppo ad oggi non è conosciuta quale sia stata la sua destinazione dopo la sua dipartita. Alfonso Ademollo è stato inoltre giornalista per il periodico settimanale “L’Ombrone”, di cui era anche uno dei co-fondatori. La rivista d’indirizzo liberale-moderato, nata nel 1870, trattava argomenti inerenti la provincia di Grosseto e Ademollo ne fu direttore tra il 1876 e il 1877.

Alfonso Ademollo morì, dopo una breve malattia, nella sua casa di Grosseto il 20 novembre 1895. I funerali, tenutisi il giorno successivo, videro la partecipazione di una nutrita folla di personalità illustri ma anche di gente del popolo che lo ammirava per la sua umanità. Fu poi sepolto nel Cimitero monumentale della Misericordia di Grosseto e nell’epigrafe, scritta da un suo caro amico e incisa sulla lapide, si legge: “…Cittadino egregio, medico valentissimo, patriotta benemerito che combatté le prime battaglie della nazionale indipendenza, erudito ed archeologo di merito non comune, egli lascia dietro di sé larga eredità di affetti e di compianto… La morte di Alfonso Ademollo è una perdita dolorosa per quanti ebbero occasione di apprezzare il sapere, la bontà, l’ingegno di lui ed è penosissima per noi, cui manca un amico carissimo, un valoroso compagno di aspirazioni e di lotte”. Il Gruppo Ornitologico Maremmano, gruppo di appassionati che da alcuni anni è molto attivo nella ricerca ornitologica, è stato dedicato ad Alfonso Ademollo per ricordare il suo prezioso operato che l’ha reso uno dei padri dell’ornitologia italiana.

Copertina dell’opera storica “L’assedio di Orbetello dell’anno 1646” di pag. 223


ALIMENTAZIONE

L’Azzeruolo Pianta ornamentale, da frutto e medicinale di PIERLUIGI MENGACCI, FOTO P. MENGACCI E RIVISTANATURA.COM

Premessa: la gazza “sentinella” e le “mombrielle” È la prima domenica di ottobre del 2019: una bella giornata di sole. Visto il bel tempo, abbiamo invitato figlie, generi e nipoti a pranzo dai nonni. La bella giornata autunnale li ha sicuramente spinti a fare una passeggiata in campagna, prima di sedersi a tavola e gustare le squisitezze dell’Angela. Con il cestino nelle mani, ero pronto per andare a raccogliere un po’ di “mombrielle” (azzeruole), quando mi raggiungono di corsa Sahumi e Niccolò: - Ciao, nonno, dove vai? - Vado a raccogliere un po’ di “mombrielle”.

Gazza (Pica pica),fonte: rivistanatura.com, autore: A.Curi

«Ciò che non si conosce è sempre visto con diffidenza»

- Oh, carino, possiamo venire con te? Sono per i canarini? - Prima date un bacione al nonno… adesso possiamo andare. Sono dei frutti per dopo pranzo e, sì, anche per i canarini. Arrivati vicino all’azzeruolo, un paio di tortore volano via dall’albero ed una giovane gazza, intenta a beccare sotto la pianta, si allontana saltellando. I bambini, appena la vedono,

Azzeruolo in fiore nel giardino-frutteto dell’autore

si mettono a rincorrerla, ma questa, dopo qualche saltello, prende il volo e Sahumi e Niccolò, ai quali si è aggiunto anche Federico, seguitano a rincorrersi fra le piante. Dai rami più bassi raccolgo alcune azzeruole più mature. Le assaggio: vanno bene. Chiamo i bambini e quando mi raggiungono sotto l’azzeruolo: - Nonno, come è bello quell’uccello bianco-nero! Come si chiama? mi chiede Sahumi - “È una gazza - le rispondo - è un uccello molto furbo, goloso e “ladro”: quando vede oggetti luccicanti, li “ruba” e li nasconde nel suo nido - indico un rametto pieno di frutti rosati - Bimbi, queste sono le “mombrielle” che dobbiamo raccogliere; in italiano si chiamano azzeruole e l’albero si

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chiama azzeruolo. Questi piccoli frutti, oltre alla gazza, piacciono anche a merli, tortore e altri uccelli, e… - Niccolò mi interrompe: - Ma nonno, mi sembrano piccole meline, anche i tuoi canarini le beccano? - Bravo Nico, hai notato che hanno la forma di una piccola mela ma il sapore è un po’ diverso, assaggiane una, attento ai semini! Ti è piaciuta? Ai miei canarini le do prive dei semini mescolate al pastoncino e le gradiscono molto. Dovete sapere che questa è una pianta molto antica e molto rara, con frutti poco conosciuti ma che una volta erano molto ricercati perché gustosi e ricchi di molte proprietà che fanno bene alla salute di tutti quelli che li mangiano. Mentre parlo, Sahumi e Niccolò saltando raggiungono un rametto che si spezza: - Nico e Sahumi, state attenti, vi potete graffiare, ci sono delle spine ed i rametti si rompono. Ecco, tenetemi il cestino; ve le dà il nonno le “mombrielle”. Se fate i bravi vi racconto la storiella della “gazza sentinella” e della pianta di azzeruolo che una volta esisteva nella Villa Costantini, quella casa diroccata che si trova all’inizio della nostra Via Montecipollino. - Nonno, nonno, dai racconta, facciamo i bravi. Ci piacciono le tue storie. Do loro alcune azzeruole, così si trastullano e non tentano più di raggiungere i rami; prendo vicino a me il più piccino, Federico, ed inizio: - Allora… la villa, molto antica, dove abitava il “Sor Lello”, aveva una dependance, dove c’era il custode-contadino con la sua famiglia, ed una stanza adibita ad asilo Parrocchiale che ho frequentato fino al 1950. Vicino al “nostro” asilo sorgeva l’azzeruolo, alto, contorto e spinoso, e quando i frutti iniziavano a prendere un colore rossiccio era oggetto di continue “sassate” da parte di noi piccoli “ladruncoli”, per atterrare e mangiarne i frutti. Un “uccellaccio bianco-nero”, una gazza molto grossa ai nostri occhi, compariva sempre alla prima sassata, seminascosta fra le foglie, e rimaneva lì, immobile, con un’azzeruola nel becco, a guardarci. Al primo sasso che la sfiorava, volava via verso di noi “sghignazzando” come volesse aggredirci. In un

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Bacca di Azzeruolo

certo qual senso ci faceva un po’ paura. Dopo un paio di volteggi andava a posarsi, gracchiando, sul davanzale di una finestra del custode. Si diceva, in paese, che quella gazza fosse stata ammaestrata dal Sor Lello e che fungesse da “sentinella” della villa e soprattutto delle “mombrielle”, dato che avvisava con il suo ripetuto e stridulo “cra-cra-cra” quando qualcuno si avvicinava. Anticamente le “mombrielle” erano un frutto rarissimo ed esistevano solo nelle ville dei signorotti, che ne degustavano la prelibatezza a fine pranzo. Ed anche il Sor Lello, non da meno, le offriva in segno di omaggio, assieme ai rinomati fichi di Monteciccardo, alla contessa Perticari che abitava nel paese di S. Angelo in Lizzola, dove anche il Monti veniva a declamare le sue poesie.

Fiore di azzeruolo

Mentre noi bambini, incuranti del gracchiare della gazza ricomparsa sulla pianta, eravamo intenti alla raccolta delle “mombrielle” atterrate, ecco comparire il custode con una frusta in mano che grida: - Brutti lazzaroni, se vi prendo… - Non vi dico le fughe, a gambe levate, per sfuggire non alla “gazza sentinella” ma alla frusta del custode che, attirato dai nostri schiamazzi e dalle sassate alle “mombrielle”, appariva all’improvviso e ci rincorreva minaccioso. Quando un giorno il custode arrivò in paese con il conto del vetraio ed un ceffone di mio padre mi fece arrossire un orecchio, capii che i nostri “sassi” non finivano solo sulle “mombrielle” ma anche sulle finestre della villa e che la “gazza sentinella” non era altro che un uccello molto ghiotto di “mombrielle” e non era affatto una “pericolosa sentinella”, mentre il contadino, se ti prendeva… - “Nonno, ma è una storia vera? – mi interrompe Sahumi – “Come no?! L’azzeruolo è una pianta molto antica, i suoi frutti erano molto ricercati e così i signorotti dell’epoca, in qualche modo, lo proteggevano dai ladroni che imperversavano nella zona. Noi, da piccoli discoletti, per gustarci qualche frutto, con le nostre “sassate” facevamo danni, non solo all’albero. - Nuovamente Sahumi mi interrompe: - Nonno, però le “mombrielle” hanno troppi semini, mi piace più la giuggiola… e poi sono stanca di stare qui e anche Nico e Fede sono stanchi. Andiamo su dalla nonna! Lasciato il cestino, si allontanano di corsa ed io rimango solo con i miei ricordi a raccogliere questi gustosi frutti, sì pieni di semini, ma ricchi di grandi proprietà. Dopo questa storiella semiseria, eccomi a descrivere questo “piccolo” frutto antico. Note botaniche e colturali L’azzeruolo (Crataegus azarolus) è forse, tra le piante antiche, la più dimenticata. Il suo nome difficile, botanico, deriva dal greco “krataigos” e dall’arabo “az-Zou’rour”. Fa parte, come le mele, della famiglia delle Rosaceae, e allo stesso genere del


biancospino (Crataegus oxyacantha). Altri nomi comuni della pianta, più o meno simili, sono azarolo, lazzeruolo, razzerolo e altri simili. L’azzeruolo vanta origini antichissime e molto probabilmente è originario dell’Asia orientale, da cui giunse nei paesi del Mediterraneo. In Italia venne portato dai soldati di Ottaviano Augusto, dopo che ne ebbero gustato i frutti molto succosi. L’azzeruolo può essere coltivato ad albero o ad arbusto; è di lenta crescita e può raggiungere un’altezza di circa 8 metri. Riesce a vegetare su tutti i terreni, ma sono ideali quelli asciutti, di medio impasto e leggermente calcarei a reazione neutra. Sopporta il caldo elevato e la siccità e resiste alle temperature invernali fino a meno 20°C. La chioma ha forma arrotondata o piramidale con rami più o meno contorti e spinosi, ma con poche spine nelle varietà coltivate. Il porta innesto ideale è il biancospino, in quanto dello stesso genere e con ottima affinità che favoriscono una precoce entrata in produzione. Le foglie sono caduche ed alterne e la forma del lembo fogliare e della stipola varia a seconda che sia inserita su un ramo da frutto o da legno. I fiori sono bianchi, riuniti in corimbi di numero variabile. La fioritura avviene generalmente da fine aprile alla prima quindicina di maggio e fiori e frutti si formano all’apice del germoglio dell’anno. Il frutto è un pomo sferico-appiattito assimilabile ad una piccola “mela rosa”, del diametro di circa 3 cm al cui interno troviamo fino a 5 semini. Il colore della buccia va dal giallo pallido al giallo intenso, talora soffuso di rosso, all’arancio-rosso, al rosso. La polpa è dolce, più o meno acidula, succosa, saporita ed aromatica a seconda della varietà. La maturazione si verifica dai primi di settembre a tutto il mese di ottobre; i frutti si possono conservare in ambiente asciutto per qualche mese senza essere troppo manipolati, in quanto si ammaccano facilmente e si deteriorano. L’azzeruolo possiamo trovarlo in tre gruppi di varietà: azzeruolo bianco

Azzeruole gialle nel frutteto-giardino dell’autore

(molto raro), giallo e rosso. Queste ultime due varietà sono presenti nel mio giardino. Nasce anche spontaneo nei boschi ed ha rami molto spinosi. Da alcuni anni c’è la riscoperta di queste piante antiche e vivaisti, paesaggisti, agronomi, ecc. le propongono anche in parchi e giardini pubblici, alternandole ad altre essenze, in modo tale da costituire una sequenza di forme mutevoli e colori diversi a seconda dello stadio fenologico (germogliazione delle gemme, fioritura, maturazione dei frutti, caduta e colorazione delle foglie ecc), tali da impreziosire il paesaggio e come alimento per l’avifauna stanziale come merli, tortore ed altri uccelli selvatici. Proprietà, benefici e utilizzi vari I contenuti principali delle azzeruole sono glucosio, fruttosio, vitamine (in particolar modo Vit. A e soprattutto Vit. C), acidi organici (acido malico e acido citrico), fibre, minerali (in prevalenza ferro e fosforo), tannini. Ciò fa sì che foglie, fiori e frutti abbiano ottime proprietà medicinali. Le foglie hanno funzione astringente e si possono utilizzare in tisane e decotti. I fiori sono molto utili per la salute e

vengono consigliati per vari disturbi a partire da quelli cardiaci (pressione sanguigna, ritmo delle pulsazioni, tachicardia, nevrosi cardiache) fino a quelli dovuti a stati d’ansia ed eccessiva debolezza causata da stress, insonnie nervose, arteriosclerosi e ronzii alle orecchie. Va ricordato che i fiori da essiccare si devono cogliere al mattino presto appena schiusi o in bocciolo. I frutti contengono acqua, zuccheri, proteine, acido malico, polifenoli, vitamina C e provitamina A e sono ottimi come ricostituenti, tonici, astringenti e rinfrescanti per l’intero organismo. In fitoterapia vengono prescritti in casi di carenza di vitamine, esaurimenti, stati di debilitazione generale e come disinfiammanti dell’apparato digerente. Per l’alto contenuto di vitamina A, hanno anche proprietà antianemiche e sono pure utilizzati, in cosmesi, per rivitalizzare le pelli sciupate. Nella ristorazione vengono talvolta riproposti come ingredienti di ricette antiche e nuove, per insalate e macedonie di frutta, confetture, marmellate e gelatine. Si conservano in frigorifero appena raccolte per non più di 10 /15 giorni. Assieme a mia mo-

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Ramo di azzeruole gialle mature

glie, oltre a confezionare delle ottime confetture, prepariamo un paio di vasi di vetro anche sotto spirito e grappa: sono molto gradevoli a fine pasto o servite a metà pomeriggio; quasi quasi come i “duroni di Vignola” che l’amico Sergio Scaglioni mi procura! Quand’ero piccolo, mia madre, per merenda, assieme ad una mela o alle “mombrielle” mi dava sempre una fetta di pane e più il pane era ancora fresco e croccante più ne gustavo il sapore. Le stesse sensazioni le ho volute far provare, quel giorno, ai miei nipotini per merenda: ad una fetta di pane fresco riscaldata nel forno della stufa ho abbinato alcune azzeruole: un dolce connubio che a me fa ritornare alla memoria sapori, ahimè, perduti. E i bimbi? Sputando i semini delle “mombrielle” son corsi dalla nonna con il vaso di una nota crema di nocciole per farsela spalmare sulla fetta di pane! Utilizzo nell’alimentazione dei volatili Le azzeruole, come le giuggiole, non hanno riscontri nella letteratura dell’alimentazione ornitologica ama-

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toriale; ho letto di alcuni casi in cui vengono usate come leccornia per pappagalli, frosoni, ciuffolotti ed altri silvani. A mio avviso, chi ha la possibilità di reperirle in qualche mercatino (tipo “Campagna amica”) non solo per gustarne la squisitezza, le faccia assaggiare anche ai propri volatili sminuzzate o frullate e mescolate al pastoncino secco per alcuni giorni ed anche loro potranno beneficiare di tutte le proprietà che questi frutti contengono; sono un ottimo ricostituente, dopo la stagione espositiva ed in previsione della rigidità invernale. Qualora fossimo nell’impossibilità di reperire i frutti dell’azzeruolo e volessimo beneficiare delle sue proprietà, nelle erboristerie o farmacie fitoterapiche possiamo trovare sia la tintura madre di azzeruolo (racchiude tutti i principi attivi) ed anche confezioni di fiori essiccati con cui fare delle tisane. Di un amico erborista propongo: - un’ottima tisana: in una tazza di acqua bollente, versare un cucchiaio di fiori essiccati sminuzzati, lasciare in infusione per 10 minuti e filtrare; si consiglia di berla 2-3 volte al giorno per circa un mese, eventualmente aggiungere del miele, se poco gradevole. - Ed anche un decotto di frutti: in un litro di acqua bollire 150 grammi di azzeruole essiccate, a fuoco lento, per un quarto d’ora circa; lasciar raffreddare a pentola coperta a temperatura ambiente, poi colare in una bottiglia di vetro. Si consiglia di berne 2-3 bicchieri al giorno. Sia con la tisana che con il decotto, possiamo tranquillamente inumidire il pastoncino secco che usiamo nell’allevamento dei nostri volatili, senza che si abbiano controindicazioni. Ah! Dimenticavo: suggerisco anche il mio cocktail di frutti (giuggiole, sorbe e azzeruole privati dei semini e frullate) con cui ho inumidito il pastoncino secco per alcuni giorni (vedi I.O. pag.27/31-n.8/9-2020). Conclusioni Si conosce molto poco o forse nulla di queste importanti specie frutti-

fere; anzi, spesso e volentieri vengono guardate con sospetto e cautela: ciò che non si conosce è sempre visto con diffidenza! Quando riesco a riconoscere qualche pianta o frutto, mi ritornano in mente sapori e profumi particolari, col tempo dimenticati, o qualche tisana elaborata da mia nonna Marietta (r.i.p.) che con tanta pazienza faceva sì che il sottoscritto, pur riluttante, riuscisse a “deglutirne” qualche sorso! A mio avviso, tornare alla coltivazione di queste specie antiche è molto importante, non solo per le rilevanti proprietà salutari, ma anche perché rappresentano una ricca fonte di biodiversità. Oggigiorno il concetto di biodiversità è sempre più importante e va tenuto in considerazione da tutti, non solo da agronomi, paesaggisti, ecologisti e vivaisti, ma anche da noi “ornitofili” (allevare è proteggere), in quanto specie diverse presenti in una determinata area rappresentano non solo il patrimonio biologico attuale ma anche quello futuro, e arricchiscono il territorio in termini di varietà di colori, forme, frutti, adattabilità ambientale e cibo, non solo per l’avifauna. Coloro che hanno la fortuna di possedere un piccolo appezzamento di terreno o giardino, come il sottoscritto, dovrebbero coltivare queste varietà per gustarne la squisitezza dei frutti ed usufruire delle loro proprietà fitoterapiche, nonché per goderne l’impatto paesaggistico durante tutto il processo di sviluppo primaverile, estivo e autunnale, senza dimenticare che possono giovarne sia l’avifauna presente in loco e, perché no, anche i volatili del proprio allevamento. Con i miei “esperimenti”, se così vogliamo chiamarli, porto queste informazioni a conoscenza di chi mi legge ed ha la possibilità di reperire ciò che la natura ci offre in ogni stagione (erbe selvatiche, frutti, fiori officinali ecc.), da colture biologiche o in siti lontani da diserbanti e inquinanti vari, per idee e ricette con le quali è possibile integrare l’alimentazione dei


nostri volatili. Senza ricorrere a costosi prodotti chimici, si possono ottenere risultati più che soddisfacenti sotto ogni punto di vista ed avere anche un buon riscontro economico, il che assolutamente non guasta mai. Logicamente, i miei “esperimenti” non sono una panacea generale, per cui ognuno di noi non deve mai dimenticare che l’alimentazione è un lato del famoso “Triangolo della vita” (Walther) e che il patrimonio ereditario ed un ambiente idoneo sono gli altri due lati di questo ipotetico triangolo equilatero, dove tutti e tre i lati delimitano la superficie del triangolo identificata come individuo ed è acclarato che concorrano in parti uguali alla corretta nascita, sviluppo e mantenimento del nostro volatile. Pertanto, un’alimentazione non equilibrata o sbagliata determina una sproporzione in questo “Triangolo della vita” e, di conseguenza, i nostri

Composta di Azzeruolo

volatili avranno una minor vitalità, saranno soggetti a malattie, fino ad un decesso precoce. Anche la sovralimentazione con pastoni molto grassi, con semi molto oleosi, i trattamenti medicinali pre-cova “per sentito dire”, creano situazioni irreparabili per la gestione dell’allevamento, riconducibili a malattie varie dell’apparato gastrointestinale, infecondità, mortalità embrionale dei pulli ecc. Io, quando si parla di alimentazione, consiglio sempre un’alimentazione il più possibile spartana e ricca di alimenti di stagione e, a conferma delle mie argomentazioni, rimando all’attenta lettura o all’acquisto del libro Canaricoltura del prof. U. Zingoni, edito dalla F.O.I. (piccola enciclopedia dell’allevatore) dove il capitolo sull’alimentazione è trattato in maniera più che esaustiva per tutti i periodi della vita del canarino. Ad maiora semper!

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Questo mese, il protagonista di Photo Show è: GORRERI LUCA RNA BV38 con la fotografia che ritrae il soggetto “Lo Storno… in amore” Complimenti dalla Redazione!

(*) Tutte le foto inviate, anche quelle non pubblicate, rimarranno a disposizione della FOI a titolo gratuito e potranno essere utilizzate, senza alcun limite o vincolo temporale, per pubblicazioni, iniziative e scopi promozionali della Federazione

• Invitiamo tutti gli allevatori a inviare foto di soggetti provenienti dai propri allevamenti, con descrizione della specie, razza e mutazione, all’indirizzo: redazione@foi.it

• All’autore della foto mensilmente prescelta da un comitato interno, verrà offerto in omaggio un libro edito dalla FOI in base alla preferenza e alla disponibilità.



COLUMBIDI

La Tortora dal collare domestica (Streptopelia roseogrisea - risoria) di FRANCESCO FAGGIANO, foto GRÈGORY EVRARD (Belgio)

Piccolo di pochi giorni della varietà ino

Q

uanti di noi, da bambini, non hanno ricevuto in regalo una coppia di tortore dal collare come uccelli da compagnia per la propria voliera in giardino? Specie mansueta, confidente e discretamente prolifica, ci riporta a ricordi di un passato non tanto lontano, dove il piacere dell’allevamento generalmente si sovrapponeva con disinvoltura all’auto-sostentamento garantito da poche o pochissime risorse. Oggi un tale pensiero è considerato dalla maggior parte di noi occidentali abominevole, quando non criminoso, pur rimanendo noi tra le società a più alto consumo di carne al mondo; però nella nostra società dei controsensi mangiare del petto di pollo o una bistecca pare essere meno criminoso… Era quello, di contro, un sistema

Piccolo di Tortora dal collare domestica

tanto semplice ed efficace quanto realmente ecocompatibile, strutturato nelle semplici regole dell’allevamento famigliare per l’autoconsumo, che po-

Per un “equivoco”, nella prima classificazione Linneo sostenne essere la tortora occupante i territori indiani, pur descrivendo esattamente un fenotipo e un’etologia riferibili alla tortora africana

trebbe essere oggi forse la vera soluzione a molti grossi problemi che in modo trasversale interessano tanto le società tecnologiche, afflitte da malattie legate alla cattiva qualità dei cibi industriali, quanto le società del terzo mondo sono afflitte dalla fame. Ma tornando alla tortora dal collare domestica, oggi non possiamo che evidenziare che questa specie purtroppo è sempre più dimenticata anche da un’ornicoltura ultramoderna che ha da tempo abbandonato le ragioni zootecniche dell’allevamento, per orientarsi verso la selezione esclusiva delle “bellezza fenotipica”, spesso dimenticando anche i presupposti generali del benessere animale legati alla morfologia stessa delle razze domestiche. Ma questo è un altro argomento.

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Identità e denominazione scientifica All’inizio del secolo scorso ci furono diverse diatribe sulla giusta identificazione del progenitore selvatico dell’ancora attuale razza di Tortora dal collare domestica che, per un “equivoco”, nella prima classificazione Linneo sostenne essere la tortora occupante i territori indiani, pur descrivendo esattamente un fenotipo e un’etologia riferibili alla tortora africana, che lui classificò inizialmente come Columba risoria, proprio in virtù di uno dei segni più caratteristici della specie selvatica e ancora della razza domestica: la “risata”, verso unico della specie in questione. La discussione, durata decadi, si è conclusa chiarendo l’equivoco tra la presunta attribuzione delle origini della razza domestica, evidentemente diversa sia fenotipicamente che etologicamente dalla Streptopelia decaocto, ovvero dalla tortora dal collare orientale, che inizialmente aveva descritto, sbagliando, Linneo, riconoscendo di contro nella Streptopelia roseogrisea-risoria, ovvero la tortora dal collare africana, il vero progenitore della razza domestica, la quale presenta tutt’oggi un fenotipo sovrapponibile al progenitore selvatico africano e so-

Tortora dal collare domestica nella varietà “mascherato”

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La prima e più appariscente differenza tra la tortora dal collare africana, alias tortora dal collare domestica, e la tortora dal collare orientale è la struttura che in quest’ultima è notevolmente maggiore

prattutto la caratteristica “risata” da cui Linneo si ispirò per la prima denominazione di risoria. Differenze tra decaocto e risoria La prima e più appariscente differenza tra la tortora dal collare africana, alias tortora dal collare domestica, e la tortora dal collare orientale è la struttura che in quest’ultima è notevolmente maggiore, pesante e squadrata, accompagnata da una postura più orizzontale al posatoio. Mentre la risoria, leggi tortora domestica, presenta testa tondeggiante, collo stretto e petto arrotondato, la

decaocto presenta testa squadrata, con vertice piatto, collo largo e petto trapezoidale. Anche la colorazione è differente, con tono beige nocciola delicati e sfumanti nella risoria, dove sul petto si apprezza una delicata tonalità feomelanica rosata, da cui il nome, che come vedremo caratterizza poi l’espressione di alcuni fenotipi mutanti. Nella decaocto, di contro, apprezziamo un fondo bruno grigiastro cupo, con petto violaceo, come violacee sono le zampe, che nella risoria sono invece rosso corallo. Struttura e colorazione abbinate a pattern comportamentali e soprattutto emissioni vocali distinte differenziano le due specie simili, ma in realtà molto differenti tra loro e chiaramente distinguibili. La Tortora dal collare domestica in ornicoltura Specie resistente e frugale, si adatta a vivere anche in aviari di limitata dimensione, anche se è ideale predisporre voliere ornamentali nei giardini dove sarebbe possibile rivalorizzare la specie, potendone ammirare la delicata bellezza e il comportamento docile e confidente. Le coppie sono abbastanza fedeli; per questo, una volta formate, è possibile farle convivere in colonia, senza correre seri rischi che vi siano infedeltà, a garanzia della purezza della figliolanza. La specie in ambiente controllato si riproduce tutto l’anno, con picchi primaverili ed autunnali; per questo è opportuno predisporre il nido tutto l’anno, per non rischiare di perdere covate. Come portanido possono essere usati cesti in vimini o meglio contenitori in plastica che possono essere lavati e disinfettati regolarmente. Gli scolapasta di media dimensione sono ideali perché evitano drammatiche cadute dei piccoli dai nidi stretti o con bordi bassi. Nel portanido si predisporrà del fieno morbido, o del faggino, che serviranno a tenere le uova vicine, a isolare le stesse dal freddo e ad assorbire i liquami durante la crescita dei piccoli. Un buon misto di semi piccoli è l’ideale per questi colombiformi, che apprez-


zano scagliola, miglio, panico, poca canapa, niger e ravizzone, ma hanno bisogno di mangiare anche soya azuki, pisello proteico, riso, frumento e mais spezzato. Necessario il grit per garantire una buona digestione dei semi più duri. Gli allevatori più attenti possono somministrare un mix di grani composto da una parte di miscela per canarini, una parte di misto per esotici e una parte di misto colombi piccolo. Questo garantisce il mantenimento dei soggetti in perfetta salute e una buona crescita dei piccoli. Nell’acqua da bere si può aggiungere regolarmente aceto, lievito di birra, vitamine e calcio, come si è solito fare per l’allevamento di altri uccelli domestici. Utile l’uso di grit anticoccidi. Mutazioni e selezione La tortora dal collare domestica è una razza che, come il canarino e l’ondu-

La tortora dal collare domestica è una razza che, come il canarino e l’ondulato, ha una lontanissima storia di addomesticamento, che ne ha determinato un gradevole ingentilimento morfologico

lato, ha una lontanissima storia di addomesticamento, che ne ha determinato, grazie a pochi ma attenti appassionati, un gradevole ingentilimento morfologico, ma che soprattutto ha permesso di fissare numerose varietà di colore che hanno impreziosito la livrea classica, semplice ed essenziale

della specie. A queste mutazioni del pigmento, come vedremo, vanno oggi associate anche curiose e simpatiche mutazioni della struttura del piumaggio. Ad oggi possiamo in primis ricordare la serie allelica dell’agata, recessivo sessolegato, dove in ordine di diluizione del pigmento ritroviamo per l’appunto l’“agata”, che si presenta rispetto ai toni classici molto schiarita con fondo di tonalità beige chiarissimo, perdita delle sfumature rosee del petto e collare nero. Abbiamo poi la “mascherato”, con fondo biancastro, ali e coda leggermente pigmentate di beige chiaro e collare eumelanico di colore bruno testa di moro, ed infine la “ino”, di un colore bianco avorio su cui si ammira il collarino bianco puro. Sono varietà che vanno selezionate tra di loro, o meglio con il tipo classico, per evitare schiarimenti eccessivi. Abbiamo poi la topa-

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dalle pezzate. A queste varietà di colore si associano tre mutazioni della struttura del piumaggio che vanno a caratterizzare ulteriormente questa tortora domestica: piumaggio arricciato, piumaggio serico e ciuffata. La varietà a piumaggio arricciato si determina per effetto di una mutazione autosomica dominante che deforma il follicolo e determina una crescita asimmetrica del calamo che “ritorce” la piuma, soprattutto nella porzione apicale. Questa mutazione va selezionata regolarmente con soggetti a piuma normale per evitare che la deformazione del rachide sia troppo marcata e determini la rottura della stessa. La varietà serica è data da una mutazione autosomica recessiva che determina un’anomalia nella formazione degli uncini che tengono assembrate le barbe della piuma, la Tortora dal collare tipo classico

zio, con testa e petto violacea, dorso castano e ali e coda grigio, allelica alla feomelanica con testa e petto viola chiaro, dorso orlato di ruggine e ali e coda bianche leggermente orlate di

ruggine. Infine, tra le varietà stabilizzate abbiamo l’opale, che realizza un bellissimo fondo grigio perla su cui spicca deciso il collare nero, e il bianco ad occhio nero proveniente

La varietà serica è data da una mutazione autosomica recessiva

Tortora dal collare domestica nella varietà "opale".

quale assume un aspetto sfibrato, molto particolare; anche questa mutazione, pur essendo recessiva, va sempre selezionata passando per i classici portatori. Da ultimo abbiamo il ciuffo, che a differenza dei ciuffi più diffusi è più un’arricciatura alla base della nuca che ricorda molto il ciuffo del picchio americano. Conclusioni Nelle mostre ornitologiche, oggi questa specie è davvero scarsa e quasi occasionale; pochi gli allevatori ad essa dedicati perché specie “povera” e pochi i giudici che la apprezzano, anche se negli ultimi anni un piccolo gruppo di tecnici FOI si è specializzato in merito, nella speranza che ottimi giudizi possano stimolare ottimi allevatori a riprendere questa tranquilla selezione d’altri tempi...

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Se desideri proporre un argomento scrivi a: redazione@foi.it

P agina aperta

In questo numero, ospitiamo nella rubrica riservata agli argomenti proposti dai lettori il quesito posto via email dall’allevatore Maurizio Silva e la risposta fornita dal nostro esperto Giovanni Canali, che può essere utile per comprendere meglio gli esiti di alcuni accoppiamenti, il cui risultato talvolta viene considerato con approssimazione.

B

uongiorno, sono un vecchio associato (NC84) e vorrei fare una domanda: ho composto una coppia di canarini con un maschio rosso intenso e una femmina rosso mosaico. Posso sapere cosa ne verrà fuori? Grazie anticipate, MAURIZIO SILVA

ortese sig. Maurizio Silva, le rispondo volentieri, anche se per una risposta il più possibile precisa dovrei sapere se l’intenso proviene da brinato o da mosaico e se la mosaico è o meno omozigote. Le ricordo che l’intenso è carattere dominante e sub letale rispetto al brinato e che il mosaico è dominante sul brinato. I rapporti fra intenso e mosaico non sono certi, vi potrebbe essere una dominanza dell’intenso sul mosaico in una serie allelica oppure, mancando allelicità, l’epistasi (copertura) dell’intenso sul mosaico. Concetti non facili che ho spiegato in altre mie pubblicazioni (Domande sul mosaico I. O. n° 2 – 2021 e Un dubbio sul mosaico I. O. n° 4-2017 ed altre). Cerco di prospettare comunque vari casi. Segnalo però preventivamente che le linee selettive di brinato e di mosaico sono opposte; infatti, nel brinato è richiesta una brinatura fine ed uniforme, mentre nel mosaico si richiede effetto molto gessato (forte brinatura) che metta in evidenza le zone di elezione, creando un contrasto. Quindi non sono da fare mescolanze fra brinato e mosaico, linee opposte. Ora prendo in considerazione l’ipotesi più probabile, cioè che l’intenso provenga da brinato e che la femmina mosaico sia omozigote. Ebbene, in questo caso nascerebbero metà intensi e metà mosaico. I mosaico sarebbero portatori di brinato (cosa non bella) e gli intensi nasconderebbero il mosaico, o come latente in caso di allelicità o mascherato in caso di non allelicità. I mosaico sarebbero molto scadenti, poiché molo diffusi, tuttavia dovrebbero avere un buon piumaggio e zone di elezione molto intense. Se la femmina mosaico fosse portatrice di brinato, nascerebbero anche degli scadenti brinati. Qualora il maschio intenso provenisse da mosaico, la situazione sarebbe migliore: i mosaico sarebbero certo molto diffusi, ma un po’ meno che nel caso precedente. Nei melanici, alcuni allevatori accoppiano intenso x mosaico per avere piumaggio migliore, inoltre si hanno zone di elezione molto intense ed anche la varietà ne giova. Certo, nei melanici la categoria incide meno e le diffusioni eccessive vengono in parte mascherate dalle melanine. Nei lipocromici l’accoppiamento fra intenso e mosaico non si pratica, anche se in un certo senso dovrebbe essere il migliore, ma gli attuali standard impongono accoppiamenti in purezza fra mosaico e perfino due linee: quella maschile e quella femminile. Questo in ragione del fatto che si pretendono zone di elezione molto diverse fra maschi e femmine, oltre a molto bianco gessoso. Come chiosa finale, dico che avrei potuto rispondere semplicemente che avrebbe ottenuto intensi e mosaico e forse anche brinati, aggiungendo magari che mosaico e brinati non sarebbero stati “espositivi”. Penso però che sarebbe stata sì una risposta giusta, ma priva di spiegazioni necessarie. Per veri approfondimenti, c’è il mio testo “I colori nel Canarino” edito dalla F. O. I. ed anche altre pubblicazioni su Italia Ornitologica, due delle quali citate. Gradisca cordiali saluti, GIOVANNI CANALI

Argomenti a tema

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R ecensioni “Lipocromici” - Canarini di colore nel secolo XXI Autore: Antonio Javier Sanz di GENNARO IANNUCCILLI

Novità editoriali

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on la pubblicazione della sua nuova opera “LIPOCROMICI” – Canarini di colore nel secolo XXI, Antonio Javier Sanz torna a incantarci. Dopo averci affascinato con il suo primo libro “Mi mirada”, dopo essersi confermato eccellente fotografo con la stesura del testo dedicato agli Estrildidi e dopo aver realizzato una splendida raccolta fotografica su uno dei più belli e apprezzati uccelli, il Cardellino, l’autore spagnolo ha da poco dato alle stampe il primo testo di una nuova e straordinaria opera. Si tratta di un progetto ambizioso che abbraccerà tutti i canarini di colore presenti nell’attuale panorama mondiale. A fare da apripista è il libro dedicato ai lipocromici. Siamo abituati alle splendide foto di Antonio Javier Sanz, un vero e proprio artista in grado di cogliere con estrema perizia sfumature, pose, colori, luci, pregi e qualità dei soggetti che fotografa. Siamo abituati, ma non assuefatti. Di certo non pecchiamo di esagerazione se affermiamo che l’autore ha superato sé stesso, compiendo una vera e propria narrazione fotografica. Infatti, gli eccellenti esemplari riprodotti fotograficamente, provenienti da tutto il mondo e che rappresentano l’apice della selezione rispetto agli attuali standard, sono accompagnati da testi scorrevoli, connotati da una stesura narrativa, che rendono agevole la lettura di contenuti frutto di profonda esperienza, esposti con una modalità simile a quella che è possibile si sviluppi nel corso di un colloquio tra appassionati. In sintesi, è possibile affermare che arte, passione pura ed esperienza si sono fuse per dare origine ad un vero capolavoro. Originariamente il libro in rassegna era stato scritto in spagnolo ed inglese, ma, in considerazione del successo che lo stesso ha riscosso in tutto il mondo, l’autore ha deciso di realizzare una versione in lingua italiana e francese avvalendosi, rispettivamente, dei traduttori Diego Crovace e Jean-Paul Glemet. È possibile richiedere il testo su: www.libros-engonari.com


CRONACA

Birmingham, una mostra d’altri tempi Appunti di viaggio dall’album dei ricordi di ANTONIO DI TILLIO, foto AUTORI VARI

Una volta diventato giudice regionale per i CFPL, allevando soltanto Lizard, si poneva la necessità di introdurre in allevamento anche razze diverse

Walter Lumsden, creatore del Fife Fancy, foto per gentile concessione di W. Lumsden

Assembramento all’ingresso della mostra, prima dell’apertura, foto dell’autore

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fogliando l’album dei ricordi, mi capita spesso di rievocare le variopinte immagini di una delle più grandi ed importanti mostre ornitologiche del passato, la National Cage and Aviary Birds Exhibition di Birmingham, che visitai molti anni fa spinto da vari motivi. Negli anni Novanta vivevo a Roma ed ero segretario dell’A.R.O. (Associazione Romana Ornicoltori). Una volta diventato giudice regionale FOI del Raggruppamento LazialeSardo per i CFPL, allevando soltanto Lizard, si poneva per me la necessità

di introdurre in allevamento anche razze diverse, che sarei stato inevitabilmente chiamato a giudicare (non capitava quasi mai di dover giudicare solo Lizard, il cui numero alle mostre di livello regionale era sempre piuttosto esiguo), al fine di allenare l’occhio e non commettere grossolani errori nel giudizio. Considerati anche i prezzi e le difficoltà nel reperire soggetti di buon livello in Italia, decisi che era venuto il momento di ampliare i miei orizzonti e attingere direttamente alla fonte, recandomi in quella che era ed è la

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Norwich maschio brinato Best alla National del 1996, foto Dennis Avon, all. Chris e Sam Goodall

patria di molte delle razze lisce di forma e posizione: l’Inghilterra.

Standard di Border disegnato dal prof. de Baseggio nel 1995

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All’epoca veniva appunto organizzata, annualmente, la “National Cage and Aviary Birds Exhibition” a Birmingham e fu così che, nel 1995, mi aggregai ad un viaggio ben organizzato dall’allevatore genovese Bruno Doré. All’arrivo sull’isola, dopo un breve giro turistico, cenammo a Londra per poi ritrovarci sul treno per Birmingham, in compagnia di una coppia di Napoli e del professor De Baseggio, che si rivelò un gradevole compagno di viaggio, intrattenendoci con i suoi discorsi sulle razze ed i relativi standard, come quello del Border, che in quel momento tendeva verso forme più tonde e zampe più lunghe (conservo ancora un suo schizzo fatto durante il viaggio in treno). Avevamo ricevuto in anticipo il biglietto di ingresso alla grande mostra inglese, che attirava allevatori ed appassionati da tutto il mondo ed era organizzata in modo tale da favorire anche l’acquisto di esemplari esposti in una apposita sezione riservata alla vendita ed ugualmente giudicati, dal

primo al settimo, al pari di quelli in gara. In tal modo, gli allevatori che riuscivano a conquistare le prime posizioni all’ingresso, avevano la possibilità di acquistare i primi classificati di ogni razza. Così mi appostai di buon mattino dinanzi all’entrata, prima che si formasse l’interminabile fila umana (sembra incredibile oggi, in tempo di pandemia, pensare all’assembramento di appassionati di tutte le nazionalità, che veniva a crearsi in quel frangente), riuscendo nell’intento di accaparrarmi alcuni discreti esemplari di Border, Fife e Norwich. Tutto era ben organizzato, a vantaggio sia dei venditori che dei compratori. Bastava annotare il numero di gabbia dei soggetti scelti, recarsi alla cassa e pagare. L’organizzazione pensava a tutto il resto. Sulla gabbia dei soggetti venduti era apposta una etichetta con su scritto “sold” (venduto). Qualora il compratore straniero avesse avuto l’esigenza di ripartire, il personale addetto provvedeva a sgabbiare i soggetti acquistati e a trasferirli nel trasportino (da aereo) che

A Birmingham ebbi modo di conoscere diversi personaggi, tra cui Walter Lumsden, creatore del Fife Fancy, un signore anziano, alto, distinto e cortese

ognuno aveva portato con sé, non prima che un veterinario ne avesse certificato l’assenza di patologie evidenti. Personalmente, ho sempre ammirato il sistema espositivo inglese, sia per quanto concerne il giudizio, notoriamente “a confronto”, che considero più semplice ed efficace, sia per quanto riguarda l’alloggiamento dei soggetti, che vengono esposti nelle gabbie del proprio allevatore (ingabbiati quindi già in allevamento), senza subire lo stress dell’ingab-


bio/sgabbio durante la mostra. Tale sistema, tra l’altro, presenta l’ulteriore duplice vantaggio di evitare alle associazioni organizzatrici l’oneroso approvvigionamento di una enorme quantità di gabbie e, per l’allevatore, di offrire maggiori garanzie a livello igienico-sanitario. L’esperienza della National fu nel complesso positiva, al punto da indurmi a tornare in Inghilterra nei tre anni successivi; ormai conoscevo la strada ed ero in grado di giungere anche da solo a destinazione. Da Roma era molto semplice arrivare a Londra con voli Alitalia o British Airways e trasportare canarini in aereo non rappresentava un problema. Non ricordo di aver mai dovuto esibire all’aeroporto di Fiumicino il certificato del veterinario. A Birmingham ebbi modo di conoscere diversi personaggi, tra cui Walter Lumsden, creatore del Fife Fancy, un signore anziano, alto, distinto e cortese, sempre vestito con il tradizionale abito scozzese. I Lizard in vendita alla National erano pochi e di qualità non eccelsa. Fu così che Knighton, anche lui conosciuto alla National, mi fece avere alcuni buoni soggetti privatamente, da un suo amico allevatore di nome Draycott. Davanti alle gabbie dei Lizard conobbi anche Huw Evans, che si presentava agli allevatori stranieri con i suoi modi garbati e affabili, consegnando il proprio biglietto da visita. Svolgeva il suo ruolo di Chairman della LCA (Lizard Canary Association) in modo impeccabile. In quel periodo facevo parte, tra l’altro, del consiglio direttivo del LCCI (Lizard Canary Club Italiano) e penso che Evans fosse contento di conoscere sostenitori della razza di altre nazionalità. Fu sempre lui ad introdurmi, nel corso della mostra, nella stanza in cui Dennis Avon era intento a fotografare i soggetti risultati vincitori, nell’apposito box illuminato, con lo sfondo colorato. Visitai quindi la National di Birmingham per tre anni consecutivi, ovvero nel 1995, 96 e 97, rimpatriando sempre con trasportini pieni di canarini inglesi, soprattutto Border, Fife, Norwich e Gloster, mentre

Scotch Fancy esposti alla National del 1996, foto dell’autore

L’esperienza della National fu positiva, al punto da indurmi a tornare in Inghilterra nei tre anni successivi

il 1998 lo dedicai prevalentemente ai Lizard. Ormai ero diventato quasi di casa ed Evans il quarto anno mi ospitò per un week end nella propria abitazione (una tipica “house” inglese) a Nottingham, per farmi assistere alla mostra specialistica più importante, ma questa è un’altra storia…

Trasportino inglese con gabbie da esposizione per Border, foto dell’autore

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CRONACA

I rapaci notturni in Sardegna Tra leggende e presagi

L’Oasi è caratterizzata da un rimboschimento a pino situata a circa 600 metri d’altitudine sul versante orientale del monte Arci, con zone di Leccio e Sughere

testo e foto di PIER FRANCO SPADA

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au è un paesino di 290 abitanti, nella provincia di Oristano situato nell’area geografica denominata Alta Marmilla, sul versante occidentale del massiccio vulcanico del Monte Arci, dove i boschi di lecci e sughero primeggiano tra le essenze dell’intero territorio. Qui la mano dell’uomo non è intervenuta a modificare il terreno impiantando vigneti e frutteti, anche perché questo splendido territorio montano fa parte del Parco Naturale del Monte Arci, dove sono presenti numerosi sentieri utilizzati un tempo da cacciatori e pastori che permettono

Uno dei tanti cartelli in legno di indicazione presenti nell'Oasi di S’Ennixeddu

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oggi di visitare il monte nei suoi aspetti più nascosti, scoprendo ad ogni passo le meraviglie naturali. Questo paese è infatti anche il paese dell’ossidiana, l’oro nero della preistoria, un prezioso vetro vulcanico ben conosciuto sin dal VI millennio a.C. da tutti i popoli del Mediterraneo per la sua utilità, prima che l’uomo maturasse la perizia di lavorare i metalli. Per questo motivo, tutti i popoli del Mediterraneo giungevano via mare in questa parte dell’isola per approvvigionarsene. Proprio in questo paesino dell’isola si trovano il Museo dell’ossidiana e la famosa “Oasi naturale di S’Ennixeddu”. Questa Oasi è caratterizzata da un rimboschimento a pino situata a circa 600 metri d’altitudine sul versante orientale del monte Arci, con zone di Leccio e Sughere confinanti con zone agricole, condizioni ideali per i rapaci notturni in quanto consentono di trovare riparo e cibo. Nell’oasi la specie maggiormente presente è l’Assiolo (Otus scops) che rimane stanziale tutto l’anno. Secondo alcuni censimenti eseguiti dal “Progetto O.TU.S.” si segnala anche la presenza del Barbagianni (Tyto alba) mentre scarseggiano le Civette (Athene noctua) e non è stato segnalato il Gufo comune (Asio otus). Il Progetto O.TU.S. nasce nel 2017 con l’obiettivo di studiare le principali specie di rapaci notturni presenti in Sardegna; tra le azioni più importanti vi è la realizzazione di zone di tutela chiamate

“Oasi” dove vengono posizionate delle cassette-nido artificiali per la nidificazione degli Assioli, cassette che diventano oggetto di monitoraggio costante durante tutto l’anno e in particolare nel periodo riproduttivo. Per le altre specie si stanno attualmente raccogliendo dati sulla presenza, con particolare attenzione al Gufo di Palude (Asio flammeus) e al Gufo Reale (Bubo bubo), quest’ultimo segnalato raramente in Sardegna. Le cassette-nido possono ospitare microcamere o foto trappole utili per cogliere e documentare ogni momento della loro vita. Questo progetto, oltre

San Sisinio protettore della città di Villacidro dalle streghe, icona di Fabio Mocci


alla ricerca puramente scientifica, propone attività di divulgazione e laboratori didattici che hanno come tematica la conoscenza dei rapaci notturni, perché questi animali hanno una grande importanza ecologica: sono infatti fondamentali per il controllo di molti animali infestanti e potenzialmente nocivi per l’uomo. Alcune specie come quelle presenti in quest’angolo della Sardegna, e mi riferisco all’Assiolo e alla Civetta, sono dei voraci predatori di insetti, mentre il Gufo e i Barbagianni, essendo di maggiori dimensioni, preferiscono predare roditori e uccelli. In campo agricolo, il controllo delle specie invasive è fondamentale e, in questo periodo storico, la problematica è purtroppo risolta con l’utilizzo di fitofarmaci e topicidi. Una soluzione alternativa può invece venire proprio dai rapaci notturni; in Israele, negli anni ’80, si è studiato un metodo che diminuisce dell’80% l’utilizzo di pesticidi chimici semplicemente ospitando i Barbagianni nelle zone agricole. Attraverso uno studio dell’Università di zoologia di Tel Aviv si è scoperto che i rapaci notturni riescono a tenere sotto controllo le popolazioni di roditori e, posizionando delle cassette-nido, gli animali si stabiliscono e proliferano nell’area riuscendo a limitare i danni nel tempo. La Sardegna, fin da epoche remote, ha avuto nella sua cultura popolare un insieme di miti e leggende relativi agli uccelli notturni che hanno caratterizzato le fantasie e le tradizioni. Fantasmi, esseri fantastici, figure che hanno influenzato l’immaginario collettivo, un insieme di elementi fantastici e di tradizioni che hanno fomentato negli anni la nascita delle più comuni leggende popolari. Dalla tradizione orale a quella scritta, molti miti sono sopravvissuti negli anni e vivono ancora oggi nei paesi e nelle città sarde, caratterizzando in alcuni casi le festività locali. I rapaci notturni abitano i boschi, i giardini, gli alberi della Sardegna, talvolta i tetti delle case di campagna e i vecchi edifici nelle città più grandi. Dormono di giorno e vivono la notte, sfrecciando nel cielo grazie al loro volare silenzioso che richiama mistero. Hanno fatto dell’isola la loro casa da sempre, abitan-

done non solo la terra, ma anche gli incubi, simboleggiando ruoli tipici del trascendente. In Sardegna sono presenti diverse specie di rapaci notturni, le quali hanno fatto dell’isola il loro habitat stanziale anche se si trattava in origine di uccelli migratori. A vivacizzare il cielo dell’isola illuminato dalla luna ci pensano i Barbagianni (Tyto alba), uccelli dai simpatici ma ambigui occhi a mandorla. Nella zona settentrionale dell’isola, in Gallura e nel Sassarese la Strega è conosciuta con il nome di Stria. È interessante notare che nella medesima maniera viene chiamato anche il Barbagianni, l’animale notturno che la tradizione latina, prima, e sarda, poi, ha rivestito di significati profondi e inquietanti, forse per via del verso misterioso, del piumaggio bianco che li rende presenze “spettrali” nei loro silenziosi voli notturni o, ancora, per l’abitudine di frequentare posti abbandonati a caccia di topi. I Barbagianni godono fin dai tempi più antichi, in Sardegna, di una fama negativa: considerati portatori di sventure, incarnazioni di streghe o veri e propri fantasmi. Spesso individuati con dei nomignoli come “gufo del demonio” o “civetta fantasma”, hanno nei vari secoli corso il rischio di essere sterminati per via di queste superstizioni e leggende. Questa cattiva abitudine, purtroppo, è continuata fino ai giorni nostri: ancora negli ultimi decenni del ventesimo secolo, persino in luoghi cari e carichi di emozioni a tutti noi allevatori di canarini come le isole Canarie, l’uccisione dei Barbagianni ha portato alla riduzione drastica della popolazione locale, fino a ridurla ad una dozzina di esemplari. Fortunatamente, in condizioni favorevoli, questa specie riesce a riprodursi con grande velocità e molte leggi oggi la proteggono. Anche nell’Italiano di uso comune, i Barbagianni hanno un significato metaforico poco lusinghiero: la Treccani, ad esempio, attesta il significato di “uomo sciocco e brontolone”, sinonimo di “vecchio barbògio”. Rapace notturno, portatore di malaugurio e tristi novelle, il Barbagianni nella credenza popolare sarda può, semplicemente sorvolando i tetti, far ammalare le persone di un male tremendo: “sa Istriadura”, meglio nota come itterizia. Plinio il Vecchio,

Pannello riassuntivo dei sensi dei rapaci notturni

il famoso scrittore vissuto a Roma nel 35 d.C. era certo che se il cuore di un Barbagianni fosse posto su quello di una donna, questa non si sarebbe potuta esentare dal raccontare i propri segreti, e che se un guerriero avesse portato la piccola reliquia in battaglia, si sarebbe dimostrato ancor più valoroso. Ma quello che maggiormente incuriosisce è che, secondo la tradizione latina, gli strigidi erano soliti posarsi sulle culle

Luogo religioso per la protezione dell'Oasi

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dei neonati e succhiarne il sangue, così come in Sardegna si dice facessero le streghe. La tradizione sarda vuole che la Strega, “sa stria”, per assumere sembianze animali, si spalmasse su specifiche parti del corpo, (talloni e ascelle) un misterioso unguento, della cui miscela, tanto segreta, si sapeva poco o niente. Si dice che fra le erbe con probabilità usate dalle streghe sarde per la creazione del potente olio, tornassero ricorrenti le bacche di ginepro e la peonia, nota appunto come “orrosa e cogas”, la rosa delle streghe. Sembra che l’unguento custodito gelosamente dalle sue proprietarie avesse la capacità di confinare in uno stato di trance la strega, aiutandola nel volo e nella trasformazione in un rapace notturno. Sotto queste false spoglie, le leggende sarde raccontano che le streghe s’insinuassero nelle dimore delle giovani malcapitate attraverso il camino, magari scivolando da una finestra lasciata sbadatamente aperta, o attraverso la serratura. Oltre ai Barbagianni, un’altra abitante stabile e discreta delle notti sarde è la Civetta (Athene noctua), la più diffusa probabilmente tra gli uccelli del calar del sole. È un animale astuto, capace di sopportare la convivenza con l’uomo e

Capanna utilizzata in passato come rifugio per i pastori

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Oltre ai Barbagianni, un’altra abitante stabile e discreta delle notti sarde è la Civetta, la più diffusa probabilmente tra gli uccelli del calar del sole

particolarmente adattabile nella scelta dei siti riproduttivi. In Sardegna nidifica a terra e la sua immagine è profondamente legata al mondo della pastorizia. Infatti le civette, per riprodursi e nidificare, sfruttano gli accumuli di pietre dei muri a secco, che spesso segnavano, e talvolta segnano ancora, i confini dei terreni di pascolo degli ovini. È così, manutenendo queste recinzioni, che i pastori si fanno protettori inconsapevoli dei rapaci notturni dai grandi occhi gialli, salvaguardando insieme alle recinzioni indirettamente l’habitat ideale che gli uccelli hanno trovato nei terreni dell’isola. Le Civette volano maestose tra gli alberi, ma passano anche molto

tempo al suolo, così come fa il più piccolo dei rapaci notturni: l’Assiolo. Si tratta di una specie lunga appena 19 cm, che si nutre di insetti cacciando all’agguato e sfruttando i suoi piccoli artigli per condurre la preda al nido. I canti delle Civette, dei Barbagianni e dell’Assiolo, sembrano provenire dall’oltretomba. Ed è per questo che la tradizione sarda, con i suoi risvolti talvolta lugubri, ha assegnato ai rapaci notturni un ruolo mitologico negativo. Secondo le leggende della terra dei nuraghi, gli animali della notte e la morte avrebbero una relazione privilegiata. È nota fin dai tempi antichi la capacità degli animali di percepire prima dell’uomo il verificarsi di alcune calamità naturali. Partendo da questo presupposto, le fantasie degli antichi antenati sardi hanno interpretato i versi dei rapaci notturni come canti dell’aldilà, veri e propri presagi di morte inaspettata. Ma Civette, Assioli e Barbagianni, non risiedono solo negli incubi di uomini e donne legati alla tradizione magica, ma dimorano felicemente nel vocabolario della lingua sarda. Ogni rapace notturno ha un suo nome peculiare, talvolta anche più di uno. Famosissimo in tutta l’isola il nome dato alla Civetta, “su cuccumiau”; il Barbagianni è invece “istria”, mentre il piccolo Assiolo è chiamato “assaggi o più”. A quanto pare il Gufo sembra essere l’unico nottambulo senza nome e la ragione è molto semplice: il Gufo, al contrario delle Civette, dei Barbagianni e degli Assioli, non è un incontro comune da fare sull’isola. La specie non risulta essere nemmeno annoverata tra gli inquilini del mondo animale della terra sarda. Eppure, qualche anno fa, nei territori quasi inesplorati della Barbagia nella provincia di Nuoro, si dice siano stati avvistati dei Gufi comuni. Il principe dei principi della notte è forse planato sull’isola e questa è senz’altro una grande novità. I vecchi abitanti della Sardegna, infatti, erano acuti osservatori della natura, tanto che attribuirono un nome diverso per ogni specie di rapace individuato, cogliendone quindi le differenze fisiche e comportamentali. Nonostante l’estrema riservatezza del Gufo, l’animale non sarebbe mai potuto sfuggire all’occhio attento dei nostri nonni.


Lettera sul mosaico

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o letto l’articolo dell’amico Sergio Lucarini sul mosaico (Origine e genetica del canarino mosaico I. O. N°4 2021), in certi punti in garbata discussione con me. Scrivo solo una lettera poiché ritengo di aver detto a sufficienza nelle mie precedenti pubblicazioni, peraltro citate. Desidero solo evitare interpretazioni non esatte. Non ho una visione canarino-centrica, amo e pratico troppo gli studi comparati per pensarlo, semmai uso il canarino come riferimento. Preciso che in passato ho detto che “per ora” le mutazioni intenso e mosaico fossero esclusive del canarino, ma adesso non lo dico più, visto che l’intenso è comparso (pericolosamente) in lucherino e verdone; ne parlo in diverse pubblicazioni ove segnalo i rischi. Quanto al mosaico non posso escludere che possa verificarsi in altre specie. C’è chi sospetta ci possa essere nel verdone. Sarà necessario valutare bene i maschi, visto che la femmina già di suo somiglia alla mosaico (il maschio al brinato) essendo il verdone più dicromatico del canarino. Se poi il mosaico fosse presente anche nel verdone, che non mi risulta avere avuto ibridazioni, si potrebbe pensare solo alla mutazione mosaico. Ritengo che non si debba confondere il mosaico con il dimorfismo sessuale. Se in alcune specie la femmina somiglia alla mosaico ed il maschio ad un brinato o addirittura ad un intenso, non si deve

pensare alla presenza del mosaico, ma semplicemente a dicromismo sessuale. Il mosaico mutazione è solo un super brinato, agisce parimenti su maschi e femmine accentuando la brinatura e sottolineando di conseguenza il dicromismo preesistente nella categoria (brinato nei selvatici). Confermo che il mosaico è dominante pieno sul brinato. Il fatto è che il carattere mosaico è di modesto rilievo; le differenze importanti sono selettive. Il carattere brinato è dato da diversi geni, alcuni maggiori ed altri modificatori o complementari che agiscono anche sul mosaico. Inoltre, c’è l’aspetto degenerativo dell’accoppiamento in purezza del brinato domestico che si ripercuote parimenti sul mosaico, senza contare le due linee selettive maschile e femminile. Ritengo si possa fare un confronto con l’agata; infatti, pessimi agata possono somigliare a pessimi neri e viceversa. Anche qui c’è e c’è in misura anche molto maggiore la presenza di tanti geni coinvolti nel carattere tipo (melanine), sia maggiori che modificatori. Non si può però negare che la mutazione agata sia recessiva piena e sesso legata (anche se qualcuno lo ha fatto parlando solo di selezione). Quello che mi piace sottolineare è che dopo le osservazioni nate da questo dibattito, sarà difficile trovare qualcuno che possa ancora dire che il cardinalino ha trasmesso il suo dimorfismo o le sue distribuzioni cromatiche.

Lettere in Redazione

di G IOVANNI CANALI

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Le Categorie a Concorso: un vincolo o un’opportunità per l’allevatore ? di LUCA GORRERI

Lettere in Redazione

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e categorie rappresentano per l’allevatore che compete nelle esposizioni ornitologiche una suddivisione fondamentale affinché i propri soggetti con razionalità ed equità possono essere giudicati nelle esposizioni stesse. Quindi, se le categorie sono ben preposte con requisiti tecnico-scientifici razionali permettendo all’allevatore il giusto inserimento del proprio soggetto in un gruppo di soggetti con simili caratteristiche, dimensione, provenienza, tipologia etc., anche il lavoro del giudice è facilitato, il lavoro dell’allevatore è compensato (qualunque sia il giudizio, l’allevatore riesce a comprendere) cosi come l’osservazione dei soggetti da parte dei fruitori è ben comprensibile e c’è quindi soddisfazione per tutti. Nell’accogliere sull’argomento “categorie” molte osservazioni da diversi allevatori, soprattutto di EFI, ho voluto evidenziare alcune riflessioni in merito, esponendo alcuni esempi ma soprattutto proponendo alcuni miglioramenti finalizzati alla valorizzazione degli stessi allevatori e delle esposizioni ornitologiche.

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Per fare un esempio, di categorie esistenti in modo irrazionale cito quella dei fringuelli mutati, dove le mutazioni allevate dai nostri soci FOI sono ben 6, mentre le categorie sono solo 2 divise in maschi e femmine. Soprattutto nelle regioni del nord come il Trentino, il Veneto, la Lombardia ed anche regioni centrali come la Toscana, i fringuelli ancestrali e le numerose loro mutazioni vengono allevate da molti appassionati con professionalità. Questi allevatori, però, non partecipano alle esposizioni (come il campionato Italiano ed i Regionali) in quanto non hanno le categorie giuste. Infatti, è assurdo esporre un fringuello che presenta una mutazione completamente diversa da un’altra dove un confronto è impossibile. Il Presidente EFI ha evidenziato in vari articoli che le categorie vengono effettuate sulla base di dati statistici relativi al numero di soggetti presentati nelle stesse; ad esempio, pare che siano pochi i soggetti che vengono esposti in certe categorie del comparto degli EFI (Esotici - Fringillidi). Questa rigidità è illogica e non omogenea per le altre categorie degli EFI; infatti, all’ultimo Campionato Italiano tenutosi a Bari, tra le categorie EFI ben 48 non presentavano uccelli esposti. Allora, con tali concetti, cosa facciamo per il prossimo Campionato Italiano, le togliamo? Sempre a Bari, ben 40 categorie EFI (19 cat. comparto Fringillidi e 21 cat. comparto Estrildidi) presentavano un solo soggetto esposto e ben 46 categorie (23 nei fringillidi e 23 negli Estrildidi) presentavano due soggetti esposti. Quindi, visto che la Commissione EFI cita (articolo rivista I.O. n. 5/20 e n. 2/21): “evitare di formulare categorie che al loro interno contemplano soltanto uno o al massimo due soggetti”, che facciamo, togliamo le 86 categorie con uno-due soggetti e, tanto più, togliamo le 48 categorie che non rappresentavano soggetti? Quindi, se la Commissione si attiene a queste affermazioni, dovrà togliere ben 134 categorie EFI per i prossimi anni. E poi, cosa si fa, si tolgono anche le centinaia di categorie dove è esposto uno o due o nessun canarino o pappagallo? Oppure non si premiano tali categorie? È chiaro che sarebbe un errore ed un vincolo illogico che porterebbe solo all’allontanamento di tanti soci


pionato Italiano e i Campionati Regionali, debba essere quello di tener conto che la presenza di certi uccelli rari o particolari valorizza la mostra stessa, permettendo ai fruitori di osservare uccelli allevati con colori, dimensione e forma particolari, non visibili facilmente ma, semmai, esclusivamente in documentari televisivi, in quanto originari di paesi lontani. Quindi, disporre di categorie particolari per tali soggetti, cioè categorie che dovrebbero contenere specie molto simili e non come quelle attuali dove sono contenute specie molto distanti tra loro nella forma, nella provenienza, nelle dimensioni e nelle classi scientifiche, permetterebbe agli allevatori una maggiore valorizzazione dei propri soggetti esposti, la cui presenza darebbe un valore aggiunto alla mostra. Con le giuste e razionali categorie, anche i giudici sarebbero facilitati nel giudizio di tali soggetti. È logico che un fruitore della mostra, magari non espertissimo, dopo aver ammirato centinaia di canarini rossi o di pappagalli Agapornis, si concentrerebbe con maggiore interesse e attenzione su soggetti particolari che lo appagherebbero ulteriormente dal punto di vista della conoscenza anche scientifica.

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che allevano tali soggetti e al deperimento delle esposizioni. A Parma, ad esempio (penultimo Campionato Italiano), ben 197 categorie di canarini presentavano uno (150 cat.) o due soggetti (97 cat.); prendendo in esame il criterio EFI, dovrebbero essere tutte cancellate? Oppure si fanno due pesi e due misure, canarini e papagalli e gli EFI? In questo periodo la rigidità non paga e l’allevatore deve essere considerato in quanto grazie a lui esistono le mostre e grazie a lui l’intero comparto economico ornitologico regge. Questi nostri allevatori, invece, partecipano con assiduità ai Campionati Mondiali o ad altre mostre (vedi Reggio Emilia, dove le categorie sono ben presenti) e si aggiudicano i titoli proprio con i loro fringuelli, in quanto in tali mostre ci sono categorie giuste per le varie mutazioni o, perlomeno, per gruppi omogenei delle stesse. Spesso, infatti, i nostri allevatori, ad esempio di fringuelli, che non espongono agli Italiani perché non ci sono le categorie giuste, vincono i Mondiali dove le categorie sono razionali. Altro esempio, le mutazioni dei turdidi come la bruna e la satiné, racchiuse in un’unica categoria; è assurdo che si mettano a confronto soggetti con colorazione del piumaggio bianca ed occhio rosso con soggetti totalmente bruni. Anche i giudici si trovano in difficoltà e maggiormente l’allevatore che legge i punteggi della scheda e che in questo modo non potrà mai comprendere le differenze e, quindi, crescere per capire i difetti ed i pregi dei soggetti esposti, in quanto il confronto viene anche eseguito su mutazioni completamente diverse con differenti standard. Sui diamanti mandarini o sui verdoni o sui cardellini, ci sono le giuste categorie per le varie mutazioni, anche divise nei sessi, mentre sulle specie sopracitate no. È possibile che ci siano 60 categorie sui mandarini mutati o 36 sui verdoni e non almeno 4 categorie in più sui fringuelli o sui tordi mutati o su altre specie, come ad esempio nella categoria dei frosoni che, attualmente, prevede che i frosoni esotici di provenienza americana (quindi blu, gialli e neri) siano insieme ai frosoni ancestrali che presentano piumaggio con colori tenui? Tutto questo è errato sia se si valuta dal punto di vista scientifico che logistico, nel senso di mostra ornitologica e nel senso di competizione. Un altro ed ultimo esempio, ma ne potei fare altri, riguarda le categorie sulle grosse taglie; è previsto che un Turaco, che ha la taglia di un colombo ed è tutto colorato e bellissimo, venga confrontato ad esempio con l’Uccello del Paradiso, oppure che un Cardinale gareggi con una Tangara. Assurde queste categorie, su tutti i fronti per mille motivi ben comprensibili. Sono convinto che l’aspetto fondamentale nel predisporre le categorie, per le mostre come il Cam-

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È logico evidenziare che sarebbe impossibile fare centinaia di categorie, visto il numero di uccelli esistenti in natura (anche se poi gli allevatori ne allevano una piccolissima parte, ben conosciuta dalle Commissioni); infatti, nessun allevatore chiede questa assurdità ma si richiede di fare qualche categoria in più sui soggetti di grande taglia, onde evitare, appunto, giudizi basati solo sul gradimento di una specie da parte del giudice, con categorie come quelle attuali e non su un confronto logico e razionale. Non occorrono matematici per dirci che non si faranno altre categorie per certi comparti di uccelli, perché poco presenti; occorre, invece, una politica che metta all’attenzione in primis l’allevatore, i suoi soggetti, il suo duro impegno nell’allevare e, poi, nel poter esporre, poiché se non si è compreso questo, sono convinto che il nostro movimento vedrà sempre più i numeri degli iscritti diminuire. Occorre anche precisare che le esposizioni vengono considerate dall’allevatore non esclusivamente come gare ma come momenti di crescita tecnica, cioè per l’allevatore si tratta di avere pareri sui soggetti da esperti giudici che gli danno la possibilità di crescere leggendo con cura i voti riportati sulle schede, sui singoli parametri; quindi, se nelle categorie ci sono esposti anche pochi soggetti, l’allevatore cresce ugualmente. Non cresce se non espone, non cresce se le categorie sono irrazionali, dove il giudice è costretto a valutare anche soggetti molto diversi tra loro, tipo mutazioni diverse come

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citato in precedenza inserite nella stessa categoria, o uccelli nella stessa categoria completamente diversi tra loro nelle taglie o tipologia. Sarebbe opportuno che nel comparto EFI si tenesse maggiormente conto di queste osservazioni e si rivedessero le categorie ad oggi esistenti con una più ampia veduta, valutando tutta una serie di parametri che ritengo siano fondamentali affinché i nostri allevatori siano invogliati a partecipare, ad esporre i loro soggetti. Quindi, dovendo concludere e dare una risposta al quesito iniziale che rappresenta anche una proposta costruttiva, cioè se le categorie rappresentano un vincolo o un’opportunità per gli allevatori, possiamo affermare con logica che rappresentano un vincolo laddove non sono razionali, cioè in quei comparti dove le categorie prevedono un grande numero di specie e dove i soggetti sono difficilmente confrontabili per moltissimi aspetti come quelli sopra evidenziati. In tali casi, poi, l’allevatore che valuta le categorie come un vincolo alla esposizione dei propri soggetti, spesso decide di non partecipare o, se partecipa la prima volta trovandosi quindi in difficoltà (insoddisfazione), poi non parteciperà più nelle manifestazioni a titoli (Italiano e Regionale) che seguiranno. I campionati Italiani rappresentano per gli allevatori un’opportunità di esposizione e, quindi, di giudizio dei propri soggetti affinché possano poi partecipare al Campionato del Mondo, rappresentando la Nazione per i titoli (e quindi valore per la FOI); come può un loro soggetto essere giudicato in categorie ristrette all’Italiano, molto diverse dalle categorie del Mondiale? È come se un atleta che si prepara per le Olimpiadi, partecipando ai Campionati Italiani, avesse ad esempio gare di corsa diverse: avrebbe grossi e gravi problemi. Le categorie dell’Italiano dovranno essere molto vicine a quelle dei mondiali, soprattutto nei comparti che ho sopracitato. Le categorie invece rappresentano un’opportunità laddove sono razionali e, quindi, valorizzano la Federazione stessa che ci auguriamo, e questa è la proposta costruttiva, possa nel breve periodo sanare le lacune presenti in alcuni comparti sopracitati, trasmettendo un indirizzo volto alla razionalizzazione di quelle categorie “sofferenti” alla Commissione tecnica competente, affinché, aumentando o migliorando alcune di esse, si possa valorizzare al meglio il lavoro e la passione di diversi allevatori di uccelli esotici e mutati, valorizzare le esposizioni a titoli (Italiano e Regionale) con una maggiore presenza di avifauna particolare, agevolare il compito dei giudici e, soprattutto, far fruire al meglio a livello didattico e scientifico tali mostre dai visitatori per una migliore immagine del nostro movimento.




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