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il restauro del moderno: la sfida dei professionisti di oggi

Cecilia Arianna Gelli Ordine degli Architetti PPC di Prato

Abstract

Da anni oramai la tematica del restauro del moderno con tutte le sfide che esso comporta, è divenuta sempre più tema di dibattito nel mondo degli addetti ai lavori, siano essi professionisti che imprese.

La grande varietà di edificato che il nostro Paese vanta dal periodo intercorrente le due guerre fino ed oltre l’inevitabile densificazione costruttiva del boom economico ha fatto sì che una percentuale preponderante del nostro patrimonio immobiliare nazionale possa ricondursi ad un’epoca in cui il rapporto tra spazio, struttura ed involucro ha una svolta epocale. Lo sviluppo tecnologico dei nuovi materiali, vetro, ferro e calcestruzzo armato in primis, interrompe in modo dirompente la lunga tradizione della continuità muraria e offre spunti nuovi, a volte dissacranti, nell’uso architettonico dei vuoti e dei pieni, del portante e del portato.

La sfida ora risulta ambiziosa: garantire elementi di continuità metodologica nell’approcciarsi al restauro di questi oggetti architettonici, inserendo al contempo quegli elementi di innovazione, al più tecnologica, che l’epoca contemporanea ha di fatto portato con sé e garantendo in tutto ciò il rispetto del dedalo normativo che fa da sfondo oggi ad ogni intervento edile.

Spesso lo stretto legame tra architetto, committente e artigiano ha prodotto in epoca moderna capolavori silenziosi, capaci di tessere la nuova immagine della città industriale attraverso la precisione del dettaglio e la sperimentazione dei materiali.

Oggi quel legame, tanto anelato dal professionista, viene spesso a mancare e quella sperimentazione costruttiva moderna fondata sul lavoro di sapienti artigiani mostra la sua fragilità costringendo a una riflessione specifica attorno ai diversi modi d’intervento sui suoi materiali.

In un’epoca in cui l’industrializzazione del settore dei materiali edili ha proporzionalmente ridotto la possibilità di intervento su edifici frutto di una componente artigiana, resta inevitabilmente al progettista l’onere di intervenire con una sensibilità tecnica che garantisca di dare nuova vita all’architettura, consolidando, rigenerando, a volte realizzando anche soluzioni azzardate, accomunate però da una scelta precisa: riconoscere il valore dell’immagine dell’opera originaria.

Il problema della conservazione si sposta allora sul piano della comprensione dell’opera moderna, della decifrazione dei valori di cui questa è portavoce e della comprensione del ruolo dell’architettura nella società industriale. Fortemente sentita è allora la volontà di riappacificazione con l’architettura: quella voglia di ritrovare la fiducia nelle capacità espressive dell’architetto contemporaneo, troppo spesso restio ad indagare il recente passato, liquidato dai più come un “brutto momento” da dimenticare, fatto di speculazioni e mercificazione dell’architettura, tradita nelle aspirazioni e dilaniata da realizzazioni troppo spesso di dubbio valore architettonico. Il restauro va inteso quindi come un atto non meramente tecnico ma culturalmente orientato, indagando il dialogo che la moderna società ha istituito con la storia, le sue forme e i suoi materiali.

Spesso pare si tratti di un incontro tra immagini e impronte di civiltà diverse seppur sullo stesso suolo natale perché l’accelerarsi dello sviluppo tecnico e tecnologico, il progresso delle scienze, l’evoluzione della cultura, le trasformazioni sociali, hanno dilatato in poche decine di anni le distanze tra quella che era la funzione insediata e ciò che è o che può essere ospitato nella nuova opera restaurata. Capita spesso infatti, nell’approcciarsi al restauro di opere moderne, che l’architettura sia nata come contenitore di una funzione che non esiste più: è snaturata, affievolita, decontestualizzata ed ha bisogno di un soggetto professionale che ne affronti il restauro con una visione il più ampia possibile, che abbracci gli aspetti prettamente tecnici di verifica strutturale, consolidamento, restauro materico, efficientamento energetico e quelli, culturalmente ed eticamente più fondanti, di rivitalizzazione funzionale e di inserimento nel contesto urbanistico di nuove o variate funzioni, affrontando, alla luce delle normative nazionali e locali vigenti, quali che sono gli effetti su scala locale

Il caso Prato e la sfida della rigenerazione urbana

Emblema delle metamorfosi delle città moderne e contemporanee, Prato ha cambiato volto nel tempo, trasformando la sua vocazione tessile manufatturiera in una poliedricità di intenti, quasi a voler far rivivere in un intreccio di trama ed ordito i suoi mille volti: città d’arte contemporanea diffusa, centro d’eccellenza del riciclo e del riuso nonché alfiere della rigenerazione urbana, capitale del green empowerment col rilancio dell’”urban jungle”.

Mille volti e mille tracce nella città che cambia. Piccoli capannoni artigianali che diventano contenitori di nuovi sogni e grandi esempi di archeologia industriale che rilanciano nuove attività convivono in un paesaggio urbano segnato da innumerevoli ciminiere, segno di una città laniera che fu e testimonianza della città che sarà.

Il cambio di passo nell’economia pratese ha imposto oramai da alcuni decenni di definire nuovi tessuti urbani. La Prato produttiva non è più disseminata nei piccoli fondi artigianali dei terzisti, dove residenza e luogo di lavoro spesso si sovrapponevano. Non si sviluppa nemmeno più lungo il percorso idrografico delle gore, che un tempo disegnava sopra la città una maglia regolare, quasi una centuriazione produttiva che ha lasciato nel tempo traccia sul tessuto urbano esistente.

Il comparto produttivo si sposta nei macrolotti, dove gli spazi lavorativi si amplificano e sono ora sconnessi dai luoghi dell’abitare; dove l’architettura si standardizza, si ripete, identica a se stessa, a volte diversa solo per la propria geolocalizzazione.

I “capisaldi della produzione” e le “aree della mixitè”, inserite già di diritto nel piano strutturale Secchi (1997-2013), costituiscono il vulnus di questa Prato che vuole cambiare. Sono esempi di archeologia industriale (pochi) e sono (tanti) piccoli elementi di edilizia industriale e artigianale isolata o aggregata generalmente ubicata lungo le strade di penetrazione e di collegamento, in un avvicendarsi di case residenziali, fondi artigianali, corti, lotti interclusi.

La rigenerazione urbana di questo specifico segmento cittadino di epoca moderna si attua oggi su due binari.

Da un lato la spinta pubblica che mira a riqualificare ampie zone e renderle fruibili alla cittadinanza: si pensi al progetto del grande parco centrale a seguito dell’abbattimento dell’ex ospedale, in prossimità delle mura antiche del centro storico o alla riqualificazione del Macrolotto Zero, vecchio cuore del distretto produttivo pratese, oggi centro pulsante di una delle più numerose ed eterogenee comunità cinesi in Italia, che aspira a divenire nuovo distretto creativo cittadino con la recente realizzazione del playground, del primo mercato coperto della città e di una medialibrary con annesso coworking.

Dall’altro lato si attiva invece il contributo dei privati, che spesso si traduce in un intervento chirurgico di ricucitura di piccoli spazi sconnessi, modificando il vuoto lasciato da attività artigianali dismesse.

Lotto Zero – ante restauro

Laddove lo strumento urbanistico vigente non consenta di fatto di sostituire nella sua interezza il corpo architettonico o qualora la committenza dimostri il proprio interesse a mantenere l’essenza di queste architetture, affidando ai tecnici un vero e proprio restauro del moderno, si svolge la sfida progettuale più impegnativa.

Non si tratta quindi di doversi confrontare solo con le grandi archeologie industriali del passato, dove un restauro quasi filologico è a volte pressochè inconscio nell’approccio progettuale, seppure coniugato e declinato con le nuove destinazioni d’uso da insediare.

La sfida reale più di frequente è invece ancora quella di sapere individuare l’iconicità di alcuni elementi architettonici nei piccoli manufatti di epoca moderna o in tutti quei fabbricati che, seppur dimensionalmente di rilievo, non presentano peculiarità tali da poterne fare un esempio archeologico e storico pregiato.

Lotto Zero, metafora della trasformazione

Situato a Nord Ovest del centro storico di Prato, il quartiere di Chiesanuova incarna perfettamente quello spirito di mixite tipicamente pratese: la foto aerea tradisce una stretta commistione tra spazi artigianali riconducibili in prevalenza alla seconda metà del Novecento ed edificato residenziale, in buona parte edifici terratetto ed in seconda istanza fabbricati in linea degli anni ‘60 e ‘70.

L’edificio che ospita a partire dall’ottobre 2016 la realtà di Lottozero nasce in via Arno in un agglomerato tipico del tessuto urbano di mixité pratese della fine degli anni ‘50: sulla strada si colloca l’edificio residenziale, palazzina in linea su tre piani fuori terra ed abitazione dei gestori dell’attività economica dislocata un tempo nell’edificio in seconda schiera, un capannone artigianale di circa 500 mq con accesso carrabile su strada ed intercluso nell’isolato edificato, tra corti interne, resedi e giardini dei circostanti fabbricati su strada.

Un tempo sede di un’attività di grossista alimentare, con i locali di stoccaggio e deposito collocati tra gli ambienti al piano terra dell’edificio residenziale, fronte strada, ed il capannone artigianale retrostante, alla fine del secolo scorso il complesso edificato risultava dismesso in tutte quelle porzioni un tempo destinate alle attività lavorative, permanendo la vocazione abitativa dei piani soprastanti.

Il cambio generazionale e la spinta trasformativa del mondo del tessile nella città pratese, ha indotto la terza generazione degli allora proprietari, le due giovani sorelle Tessa ed

Arianna Moroder, economista la prima, designer ed artista di talento la seconda, a voler investire nel cambiamento di questo spazio, destinandolo a nuovo hub/laboratorio tessile dove incoraggiare lo sviluppo dei talenti emergenti attraverso residenze creative e collaborazioni con realtà consolidate, rivitalizzando uno dei distretti tessili leader in Europa, Prato.

Il progetto di restauro è stato finalizzato a ricreare all’interno degli spazi esistenti un laboratorio a cielo aperto di produzione, sperimentazione e ricerca tessile, uno spazio studio/ coworking condiviso, un’area espositiva e uno spazio refettorio per eventi, il tutto garantendo un’ottimale connessione con gli ambienti al piano terra fronte strada: a tale scopo è stata creata infatti un’ampia vetrata nella parete confinante con la corte interna del fabbricato, in modo tale da mettere in connessione i locali della palazzina su via Arno con il capannone in seconda schiera.

La richiesta della committenza di attualizzare il fabbricato in termini di efficienza e funzionalità senza snaturarne la natura storica e conservando alcuni elementi tipici dell’antica attività insediata ha trovato piena rispondenza nella fase progettuale.

Intervenire su questa tipologia di fabbricato di epoca moderna, che seppur nella sua modesta connotazione dimensionale e tipologica portava con sé un forte bagaglio emotivo per le committenti, ha significato cercare il giusto connubio tra tradizione ed innovazione, inserendo da un lato componenti tecnologiche contemporanee e coinvolgendo dall’altro artigiani locali per il restauro di elementi di arredo fortemente connotanti a cui si è scelto di non rinunciare.

L’idea cardine dell’intervento è stata quella di operare sul capannone le scelte progettuali più innovative, al fine di massimizzarne la funzionalità anche alla luce della nuova destinazione da insediarvi, mentre si è voluto garantire ai locali di ingresso al piano terra del fabbricato residenziale (nuovo foyer, ufficio, ex cella frigorifera) un restauro più conservativo e rispettoso delle preesistenze e degli arredi.

Dettaglio foyer di ingresso ante restauro: la vecchia cella frigorifera e l’ufficio del titolare (foto di D. Burberi)

• Interno capannone, cantiere in corso Interno capannone –posa pavimento radiante e pavimento in cls

La struttura portante dei fabbricati risulta in cls portante; il capannone ha pareti perimetrali in muratura di laterizi pieni e copertura a volta. Il pavimento, in semplice getto di cls, risultava fondante su semplice piano in terra battuta..

L’intervento sul capannone si è articolato nella verifica delle strutture portanti con interventi puntuali di consolidamento, nella realizzazione della nuova grande apertura di 13 mq di collegamento con la corte interna del fabbricato residenziale, nella realizzazione di un nuovo solaio areato controterra, nell’introduzione di nuovi ed avanzati sistemi di climatizzazione ed illuminazione, nel risanamento delle murature e delle finiture con risoluzione dei problemi di umidità di risalita esistenti.

Il massivo intervento sul solaio controterra si è perfezionato con la posa di pavimento radiante e soprastante pavimentazione monolitica in calcestruzzo a basso modulo di ritiro, di spessore 12 cm, armata con rete elettrosaldata.

La componente impiantistica, nella scelta consapevole di adottare soluzioni tecnologicamente all’avanguardia, ha guidato il restauro verso la scelta più funzionale: l’impianto idronico a pavimento radiante alimentato da pompa di calore ad espansione diretta a refrigerante variabile di tipo inverter offre una corretta climatizzazione sia invernale che estiva ed il sistema domotico installato consente un perfetto controllo da remoto delle prestazioni dell’impianto stesso.

Gli infissi del capannone sono stati interamente sostituiti da nuovi infissi in acciaio MOGS con apertura motorizzata, una scelta stilistica dettata dall’esigenza di mantenere un chiaro richiamo alle specchiature industriali preesistenti, pur garantendo delle performance qualitative e di trasmittanza in linea con le vigenti normative in materia. L’impianto di illuminazione è realizzato interamente con elementi lineari a led EWO, un chiaro richiamo ai neon industriali preesistenti.

Il restauro degli ambienti di ingresso di Lottozero si è svolto invece con una attenzione ancor più crescente ai dettagli esistenti.

La scelta stilistica è stata infatti quella di non intervenire in maniera distruttiva sull’esistente ma garantirne un recupero minuzioso: il pavimento in calcestruzzo non è stato sostituito ma è stato evidenziato nelle sue irregolarità mediante la posa di resine che potessero cristallizzarlo allo stato attuale, mantenendo inalterate le crepe del tempo. La stanza anticamente adibita a cella frigorifera è stata recuperata come camera oscura per laboratori fotografici: la suggestiva porta lignea esistente è stata sapientemente restaurata da artigiani locali, così come la struttura in legno e vetro delimitante l’originario ufficio del titolare che è stata restaurata ed il locale destinato ora a piccola biblioteca specializzata nei settori della moda, dell’arte tessile e del design, aperta alla cittadinanza su appuntamento ed inserita di fatto nei circuiti provinciali dei sistemi bibliotecari pratesi.

Anche gli elementi di illuminazione sono stati recuperati, restaurati e ricollocati nei locali esistenti, a segnare una preesistenza con forte connotazioni stilistiche.

La scelta di non intervenire sul solaio controterra ha imposto nei locali foyer, biblioteca e refettorio di studiare soluzioni alternative per la climatizzazione estiva ed invernale, che andasse ad integrare il sistema a pavimento scelto per il capannone.

Si è quindi optato per un sistema ad aria, scegliendo di fare dell’elemento impiantistico a vista un elemento caratterizzante degli spazi e ben integrato agli stessi.

Antico e moderno in simbiosi: un connubio a servizio della città

Il restauro di questi ambienti ha quindi fatto rivivere un manufatto oramai dismesso da decenni, divenendo nuovo polo attrattivo per l’intero quartiere.

La missione che Lotto Zero si è prefissa è quella di creare un ambiente fertile per la ricerca tessile e la sperimentazione nel design e nell’arte e una base internazionale per il networking nel settore tessile, incoraggiando e sostenendo lo sviluppo dei talenti emergenti dell’arte tessile e del disegno industriale.

Il progetto culturale delle due committenti si è completato con la possibilità per gli artisti interessati a partecipare alle attività di Lottozero, di soggiornare in uno degli appartamenti soprastanti il fabbricato, creando di fatto delle residenza artistiche permanenti.

In questo caso, il progetto architettonico di restauro è stato solo uno dei preliminari tasselli di un progetto di più ampio respiro e ben più ambizioso: portare a Prato giovani artisti europei talentuosi, avviando uno scambio tra aziende di produzione tessile locali e creativi di tutto il mondo, in uno spazio aperto e accessibile a tutti.

La missione progettuale portata a compimento ha preso quindi avvio dal riconoscimento dell’identità del luogo, identità di cui ne è stata fatto tesoro nell’iter progettuale di superamento delle eventuali fragilità costruttive e di inefficienze impiantistiche.

Il confronto costante con la committenza e con la loro tramandata memoria storica dei luoghi ha fatto il resto, garantendo una fruttuosa collaborazione che ha reso alla città un pezzetto della propria storia, proiettandola verso un nuovo futuro.

Questa può essere forse la strada più proficua per affrontare la sfida dei progettisti al restauro del moderno: creare una proficua simbiosi tra forma e funzione, tecnica e stile, in un approccio al progetto che ne valorizzi l’anima culturale perfezionandone gli aspetti tecnologici.

Crediti:

Progetto architettonico: Arch. Cecilia Arianna Gelli

Progetto strutturale: Ing. Alberto Magistrali

Progetto impianti meccanici: Ing. Silvia D’Agostino

Progetto impianti elettrici: Ing. Giannetto Fanelli

Dettagli foyer e locale refettorio (foto di A. Morganti) pagine successive ll laboratorio, aspetti diversi (foto di A. Morganti)

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