42 minute read

patrimonio e patrimonializzazione dei luoghi del lavoro per la rigenerazione del territorio pratese

Daniela Poli Università degli Studi di Firenze

Abstract

Il saggio che segue affronta il tema della conservazione del patrimonio urbano e territoriale inteso quale frutto dalla relazione fra natura e cultura e dunque fra elementi materiali e immateriali. Il testo prende le mosse dall’illustrazione del mito di Mnemosine, raffigurazione divina della memoria, e del suo contraltare ad essa intimamente connesso di Lete, la dea della dimenticanza sua sorella gemella. Attraverso la dialettica fra le due gemelle, memoria e oblio, si potrebbero narrare le molte fasi della civilizzazione umana, in cui prevale ora l’una ora l’altro. Il saggio descrive la nascita del patrimonio come prodotto della rottura storica particolarmente violenta e radicale avvenuta nella fase della modernizzazione, che ha prodotti uno sviluppo cieco ai caratteri locali, obliando volutamente la relazione col passato. Proprio questa percezione ha fatto nascere nella società il desiderio di dare nuovi significati al passato. Si sofferma poi sul rapporto fra gli elementi patrimoniali e l’acquisizione sociale della rilevanza che essi assumono per il futuro della collettività, approfondendo il concetto di patrimonializzazione e mettendo in luce azioni e strumenti che sostengono questo rilevante passaggio. Durante i vari passaggi argomentativi, il territorio pratese è usato al tempo stesso come esempio e come metafora.

Premessa

La forza e la velocità delle loro trasformazioni hanno progressivamente cancellato i connotati identitari di luoghi e individui. La pervasività dell’interazione coinvolge tutti in prima persona e mette in crisi i termini conosciuti di distanza, e quindi di relazione, fra soggetti, eventi e luoghi. È oggi più facile comunicare con chi sta dall’altra parte del mondo che con chi abita sotto casa. Sottrarsi all’interazione non sembra possibile: anche in luoghi dimenticati della Terra si trovano tracce. esogene e incoerenti, del mondo industrializzato.

Da un lato la globalizzazione incentiva la distruzione delle diversità ereditate dalla storia, sfruttando le potenzialità economiche del patrimonio territoriale in vista della nuova riorganizzazione mondiale del capitale. Dall’altro la dimensione locale vede nel luogo una “posta in gioco” su cui ricostruire socialità e solidarietà.

È innegabile che nella contemporaneità qualcosa si sia rotto in quel meccanismo che teneva assieme società e contesti fisici, che generava un insieme coeso e dotato di senso per chi

Baldassare Peruzzi (1481-1536), Apollo danza con le muse. (Fonte: Museo di Palazzo Pitti, Firenze) lo viveva e per chi lo osservava. Questa rottura trasforma i territori in qualcosa di irriconoscibile a prima vista, tende a produrre contesti uguali ovunque nel mondo e nasconde, o peggio ancora cancella con violenza feroce, i tratti della loro specificità. La rottura fra la società (intesa a sua volta come insieme coeso e definito) e territorio (che le fornisce il supporto materiale e simbolico) sancisce la definitiva perdita di appartenenza al luogo, che tradizionalmente aveva un ruolo centrale nel percorso di formazione dell’identità –tanto degli individui, quanto dei gruppi sociali. Come vedremo, proprio questa rottura ha giocato un ruolo decisivo nell’invenzione del patrimonio.

Memoria individuale, memoria collettiva

In questa deriva la memoria, individuale e collettiva, appare come un meccanismo di importanza fondativa nel riallacciare relazioni con i contesti di vita. Per apprezzare il connubio memoria-luogo può essere utile una discesa nel mito. Non “vi è esistenza sulla terra che sia priva del contatto sincrono con ‘il divino che ci circonda’ – termini in cui possiamo indicare, nel senso della mitologia, il mondo di natura che abbraccia l’uomo –o che sia priva del contatto genealogico nell’interno del genere umano. […] Il contatto sincrono, come pure quello genealogico, comportano una fusione (Verwobenheit) molteplice. Tale ‘fusione’ è il presupposto della mitologia” (Kerény 1979, 296). Ancora oggi, come i “meditabondi pellegrini” di Kéreny, possiamo avvertire il potere fusionale del mito, la sua forza nell’indicarci la rotta per un futuro capace di restituire l’anima al mondo che ci circonda.

Mnemosine, nella cultura greca, era la personificazione mitica e divinizzata della memoria. Figlia della coppia divina primigenia, formata da Urano e Gea (il cielo stellato e la Terra), formò assieme agli altri Titani e Titanidi i principali e più antichi elementi cosmici del mito greco. Mnemosine era considerata una delle divinità più potenti della costellazione cosmogonica. Secondo il mito fu la prima a nominare le cose create e a scoprire il potere del ricordo e della memoria. La dea aveva anche il potere di far ricordare il passato a chi lo avesse dimenticato.

Nella rappresentazione mitologica degli antichi greci, la memoria è dunque una virtù talmente importante da meritare di entrare a far parte dei miti fondativi cosmogonici, celebrando in un modo così potente la funzione fondamentale del ricordare per difendere, tutelare e trattenere viva la conoscenza collettiva e individuale. Un aspetto importante del mito della memoria è quello della sua dialettica con l’oblio: Mnemosine aveva appunto una sorella gemella, Lete, dea dell’oblio. Il mito narra che coloro che si recavano a consultare l’oracolo Trofonio a Livadia, nell’antica regione della Beozia, prima di raggiungere Mnemosine dovevamo bere l’acqua del fiume Lete (il fiume della dimenticanza) perché dovevano lasciare ogni pensiero estraneo per poter conservare il ricordo di quello che avrebbero visto e udito in quel luogo. Questa dialettica è oggi più che mai fondamentale: Lete è importante quanto Mnemosine perché non tutto si può conservare e trasferire, anzi il ricordare è un processo di selezione volto a individuare ciò che è necessario tramandare al futuro.

Il mito legato al ricordo è molto ricco e non si limita alla tutela selettiva, la memoria è anche innovazione. Secondo il mito, dopo aver giaciuto nove giorni con Zeus Mnemosine partorì le nove muse: Clio (musa della storia), Euterpe (della lirica), Talia (della commedia), Melpomene (della tragedia), Tersicore (della danza), Erato (della mimica), Polimnia (degli inni), Urania (dell’astronomia), Calliope (della poesia epica). Le nove muse hanno acquistato nel tempo uno spazio culturale molto più ampio di quello della madre Mnemosine. Esse presiedono alle diverse forme di arte e dilatano le prerogative della memoria, espandendo il sapere per declinare l’intelligenza e l’immaginazione in ogni sua forma. Attraverso le muse il portato della memoria si proietta così nel futuro, la capacità di ricordare e far ricordare genera l’arte. Le muse sono il simbolo e la rappresentazione della memoria culturale e attiva, rivolta al futuro. Tramite l’integrazione delle varie forme della conoscenza, esse declinano intelligenza, immaginazione e arte in ogni sua forma in un tempo senza fratture, che crea collante sociale.

Il mito, dunque, ci consegna la rilevanza della funzione della memoria collettiva, una memoria che si rinnova nel tempo, lasciando all’oblio ciò che si ritiene non abbia valore per il presente. Anche il ricordo comune, come quello familiare, amicale, sociale, quando istituisce ritualità diventa elemento di coesione, alimentando il senso di appartenente e generando ancora nuova memoria collettiva. In questo quadro appaiono fondamentali funzioni come quella del rammemorare, attraverso rituali, feste, sagre, che si ripetono con continuità. Per alcuni la memoria collettiva è molto potente, ancor più di quella individuale:

Pianta della città di Prato, Odoardo Warren, 1749. (Fonte: Comune di Prato, segnidelterritorio. comune.prato.it.)

In alto, a destra nella pianta, proprio sotto il fiume Bisenzio, si nota il grande slargo, morbido e sinuoso, della Piazza Mercatale.

«Halbwachs s’est efforcé de démontrer que la mémoire collective, loin de se composer d’un ensemble de mémoires individuelles, est bien plutôt au fondement de la mémoire et de la conscience personnelles. Cette analyse, comme Ricœur le souligne, revient à réduire la conscience personnelle à une source collective, aux cadres sociaux dont elle relèverait : notre milieu social agirait en nous, que nous soyons ou non conscients de son influence, et en ce sens, nos pensées et souvenirs les plus intimes recèlent un réseau de significations venant de la collectivité hors de nous» (Barash 2006, 187).

La memoria collettiva, ancor più di quella individuale, si nutre del contesto locale, si appoggia alla fisicità delle sue forme. Non casualmente è consuetudine dire che “un evento ha avuto luogo”. La memoria collettiva è dunque legata a eventi vissuti o mitizzati che sedimentano ricordi più o meno reali da parte di una collettività vivente in cui è forte il sentimento del passato (Nora 1978).

La “memoria collettiva è fatta di scambi sociali, è labile, mobile perché si adatta soprattutto alla situazione della sua trasmissione. Il patrimonio è istituito per costituire un riferimento, è più stabile, funziona in un’altra temporalità. L’una e l’altro non sono antitetici, ma piuttosto si completano, si riscoprono vicendevolmente e talvolta si succedono addirittura” (Rautenberg 2003, p.19).

La dimensione fisica dei luoghi alimenta e sostiene la memoria collettiva, tanto che la possiamo interpretare come un racconto identitario fissato in strutture materiali e, per questo, facilmente identificabile e riconoscibile attraverso procedure di analisi patrimoniale del territorio.

Territorio, modernizzazione, post-modernità

Il territorio e le città sono trasformazioni umane, prodotti collettivi, frutto del lavoro, della cooperazione, della solidarietà e della co-evoluzione fra natura e cultura. A Prato questa sedimentazione è particolarmente significativa e profonda, legata a stretto filo con l’acqua. Molti segni del territorio pratese raccontano questo ininterrotto dialogo. La dialettica fra la conoide, collocata allo sbocco della valle, e il reticolo della centuriazione, che si distende nella pianura, mostra ad esempio un’organizzazione delicata ed efficace del territorio, capace di mettere in valore leggeri dislivelli e piccole portate d’acqua.

Molti filamenti insediativi collocati sulle linee della centuriazione partono proprio dal bordo della conoide da dove riemergono le risorgive. Si pensi ad esempio al toponimo di via delle Fontanelle, che si attesta sugli insediamenti lineari della via Roma nella pianura. E che dire della piazza Mercatale che, con la sua forma arrotondata, seguiva un antico paleoalveo del Bisenzio? E delle gore, del Gorone, dei mulini, i tanti opifici andanti ad acqua, che hanno caratterizzato nel tempo il territorio operoso del lavoro? Risorse, morfologie, peculiarità sociali che, nel loro intrecciarsi, hanno definito un carattere locale anche grazie alla scelta localizzativa e alla delicatezza del posizionamento.

Comune di Prato, segnidelterritorio.comune.prato.it. In alto, a destra nella pianta, proprio sotto il fiume Bisenzio, si nota il grande slargo, morbido e sinuoso, della Piazza Mercatale. Con la modernizzazione si recidono i rapporti con i luoghi, che diventano dei semplici suoli da edificare, senza più relazione profonda con le morfologie, i limiti ambientali, le specificità locali. Dalla metà del Novecento l’urbanizzazione della piana di Prato, in particolare nella valle del Bisenzio, è stata molto intensa, così come l’impulso all’industrializzazione legata al comparto del tessile in tutta l’area. L’area golenale della valle fluviale ha visto una progressiva occupazione. Nella valle storicamente i tanti opifici (mulini per i cereali, segherie, gualchiere, lanifici, ecc.) erano distribuiti e distanziati lungo il fiume, mentre gli edifici

Daniela Poli, Studio per il PTC di Prato, rapporto fra conoide, centuriazione, risorgive e insediamenti.

L’Unité d’habitation di Firminy Le Vert, disegnata da Le Corbusier residenziali lungo-strada erano collocati giudiziosamente al di fuori dall’area golenale, garantendo mobilità e deflusso minimo vitale al fiume.

Una fase certamente aggressiva dal punto di vista del rapporto col territorio, ma che lasciava ampio spazio alla memoria e alla narrazione collettiva, con una controcultura operaia, fatta di riti, stili di vita comuni, momenti di rammenorazione collettiva e di impegno comune. Già dagli anni Settanta del Novecento si profila un periodo diverso di cesura con la continuità storica e culturale.

Nel 1979

Jean-François Lyotard dava alle stampe un celebre libro da titolo La condizione postmoderna, con cui l’autore restituiva in poche pagine il senso di instabilità intellettuale e politica della seconda metà del secolo scorso. La cosiddetta condizione postmoderna è la rappresentazione della fase della perdita delle certezze. La società perde i propri punti di riferimento, vive in un costante “spaesamento”, senza radicamento nel proprio contesto di vita. La condizione postmoderna è associata al momento in cui la filosofia rinuncia alla possibilità di legittimazione del conoscere, inaugurando così col “pensiero debole” la forma più propria del sapere contemporaneo, in punto di passaggio che segna la crisi delle “grandi narrazioni” che hanno caratterizzato la fase della modernità. La postmodernità è anche rottura delle relazioni comunitarie, esaltazione dell’individualismo, della standardizzazione dei modelli urbani e dei modi di produzione. I soggetti smettono di abitare i luoghi (Heidegger 1976; Magnaghi 1998; Schultz 1992) per diventare dei semplici residenti, utilizzatori indifferenti degli spazi urbani, senza alcuna sapienza sul funzionamento complesso della fabbrica urbana e territoriale. Il processo tipico della condizione postmoderna è quello dell’anomia e della solitudine metropolitana. Siamo una società che ha perso la memoria, una società che nel tempo recente ha reciso i legami col passato: “Che genere di vita (se di vita si può parlare), di mondo, di sé, rimane in una persona che ha perduto la maggior parte della memoria e con essa il suo passato e i suoi ormeggi nel tempo?” (Sacks 1986, 65).

Però, come accade per gli individui che hanno subito dei danni cerebrali, il cervello impara a trovare nuove vie per organizzarsi, per non perdersi; così anche la memoria collettiva resiste, si insinua nella nostra vita e come fuoco sotto la cenere, piano piano, riacquista vigore. È fondamentale domandarsi, allora, come si possa restituire la memoria collettiva a una società che l’ha persa.

La rottura patrimoniale

Nella condizione postmoderna non c’è più continuità, quella che naturalmente reimmetteva il passato nel presente, che aiutava a progettare il futuro salendo come nani sulle spalle di giganti: si è prodotta una rottura psicologica e sociale. Nella postmodernità, in molti casi, la politica culturale si è affidata più a Lete che a Mnemosine, cancellando invece che ricordare, come intendeva fare Le Corbusier a Parigi con il “Plan Voisin”.

La carta del patrimonio territoriale e paesaggistico della piana

Firenze-PratoPistoia nelle schede d’Ambito del Piano Paesaggistico

Regionale della Toscana (resp. Schede d’Ambito, Daniela Poli)

A differenza di quanto è accaduto nella Ruhr, nel grande Bassin Minier di Lille, ad esempio, molti edifici industriali sono stati abbattuti, distruggendo un grande patrimonio minerario. È stata quasi una damnatio memoriæ di un passato difficile e doloroso. Il riconoscimento del patrimonio Unesco, che a “macchia di leopardo” attraversa tutto il Bassin, riesce con difficoltà a raccontare l’epopea del lavoro nelle miniere del nord della Francia, celebrata anche da Emile Zola. La tante e importanti forme di valorizzazione della memoria collettiva che si susseguono scontano la mancanza della componente materiale del territorio, dei grandi edifici, dei cunicoli nel sotterraneo che sono stati purtroppo chiusi per questioni di messa in sicurezza.

La rottura nella continuità che c’è stata ha portato però alla «scoperta» del patrimonio (Rautenberg 2003). L’anomia postmoderna ha indirizzato infatti alcuni a rivolgersi al passato, a incuriosirsi e interessarsi dei piccoli e grandi oggetti patrimoniali. Proprio il moderno, dunque, che voleva cancellare il passato, come in un contrappasso dantesco “inventa il patrimonio”. Del resto anche le prime leggi di tutela, in Italia e in Europa, nascono in conseguenza della nascente industrializzazione. Oggi la scoperta del patrimonio recupera anche il frutto del movimento moderno, recupera anche ciò a cui fino a poco tempo fa nessuno dava valore, come nel caso dell’unico piano urbanistico di Le Corbusier in Europa a Firminy le Vert, oggi iscritto nel patrimonio Unesco dopo un periodo di discussione animata in cui era stata prospettata la possibilità di abbattere la chiesa incompiuta, completata dopo la morte del grande architetto, e la sua Unité d’habitation.

Il passato assume così un nuovo ruolo: sarà una rappresentazione sociale, una costruzione collettiva fondata proprio sulla percezione della rottura rispetto a ciò che l’oggetto è stato e a ciò che è ora, alla sua significazione contemporanea.

In Italia il termine “patrimonio territoriale”, dopo essere comparso anche come voce nei dizionari (Encicopedia Treccani 2013), è oggi approdato anche alla legislazione urbanistica nella recente Legge Regionale toscana n. 65/2014. Nella Legge il patrimonio territoriale è definito come bene comune costitutivo dell’identità collettiva regionale. Giova ricordare che nelle precedenti leggi di governo del Territorio della Regione Toscana (L.R. 5/95 e L.R. 1/2005), così come nei piani, si usava la parola risorse territoriali, mentre la Legge oggi in vigore introduce il termine patrimonio territoriale distinguendolo dalle risorse territoriali. La definizione che viene data nella legge (art. 3) chiarisce il motivo: per “patrimonio territoriale si intende l’insieme delle strutture di lunga durata prodotte dalla coevoluzione fra ambiente naturale e insediamenti umani, di cui è riconosciuto il valore per le generazioni presenti e future. Il riconoscimento di tale valore richiede la garanzia di esistenza del patrimonio territoriale quale risorsa per la produzione di ricchezza per la comunità”. Il patrimonio è quindi “anche” una risorsa, ma la sua essenza non si esaurisce nell’essere un fattore da utilizzare nelle dinamiche socio-economiche, le quali peraltro “non devono essere ridotte in maniera irreversibile”. Il patrimonio territoriale è formato da quattro strutture: idrogeomorfologica, ecosistemica, insediativa e agroforestale. Le invarianti strutturali, altro elemento cardine della Legge, sono la “struttura nascosta” che tiene assieme il patrimonio attraverso i “caratteri specifici, i principi generativi e le regole che assicurano la tutela e la riproduzione delle componenti identitarie e qualificative del patrimonio territoriale” (art. 5). La Legge, per quanto riguarda le invarianti così definite, e cioè strettamente correlate al patrimonio territoriale, è quindi molto orientata e richiede un apparato conoscitivo di elevato dettaglio, già contenuto in parte dal Piano Paesaggistico Regionale redatto durante l’iter di approvazione legislativa, che sperimenta l’interpretazione dei patrimoni territoriali a partire dell’individuazione delle quattro invarianti strutturali (Poli 2012; Marson 2016). Al successivo articolo viene introdotto lo “Statuto del territorio”, presente a ogni livello della pianificazione, che comprende il patrimonio territoriale e le relative invarianti strutturali come cuore del meccanismo di formazione delle scelte del governo del territorio attuate “mediante la partecipazione delle comunità interessate”

(art.6). Con la Legge 65, la Regione Toscana fonda così tutte le sue azioni strategiche di governo proprio sulla conoscenza del patrimonio territoriale, il cui riconoscimento si attua anche con modalità ordinarie di partecipazione negli statuti del territorio.

«Il patrimonio territoriale è dunque un “costrutto storico coevolutivo, frutto di attività antropiche reificanti e strutturanti che hanno trasformato la natura in territorio» (Magnaghi 2020) in cui convergono sedimenti materiali, socio-economici, culturali e identitari. Il patrimonio è oggetto di trasmissione intergenerazionale e attiene al bene comune. Il patrimonio è uno stock di opportunità (Barel 1981), frutto del processo sociale e al tempo stesso base attuale di una potenziale valorizzazione territoriale.

La tutela del patrimonio in quanto tale non è però semplice protezione della memoria, poiché il concetto di patrimonio nasce proprio dalla “rottura patrimoniale” che ha reciso la continuità del fluire del tempo. La memoria collettiva va allora ricostruita, se necessario anche inventata (Hobsbawm 1983). La memoria non è infatti la storia. La memoria è quel meccanismo complesso che sa dare senso alla storia riattualizzandola nel presente.

La storia, se non è attivata dalla memoria, resta una testimonianza muta che ha valore solo come un documento d’archivio.

Mi affido ad una bella e lunga citazione di Pierre Nora per definire la differenza fra storia e memoria.

«Memoria, Storia: lungi dall’essere sinonimi, dobbiamo essere consapevoli che tutto le oppone. La memoria è la vita, portata sempre da gruppi viventi e per questo stesso motivo in evoluzione permanente, aperta alla dialettica del ricordo e dell’amnesia, inconsapevole delle sue deformazioni successive, vulnerabile a tutte le utilizzazioni e manipolazioni, suscettibile di prolungate latenze e improvvise rivitalizzazioni. La storia è la ricostruzione sempre problematica e incompleta di ciò che non è più. La memoria è un fenomeno sempre attuale, un legame vissuto nell’eterno presente; la storia, una rappresentazione del passato. Poiché è magica e affettiva, la memoria si adatta ai dettagli che la confortano; si nutre di ricordi sfumati, globali o fluttuanti, particolari o simbolici, sensibili a tutti i transfert, schermi, censure o proiezioni. La storia, come operazione intellettuale e laicizzante, si appella all’analisi e al discorso critico. La memoria insedia il discorso nel sacro, la storia lo snida e rende tutto prosaico. La memoria sgorga da un gruppo che congiunge, ciò che conduce a dire – come fa Halbwachs – che esistono tante memorie quanti gruppi sociali; e che la memoria è per natura multipla e decelerata, collettiva, plurima e individualizzata. La storia al contrario appartiene a tutti e a nessuno, ciò che le dona una vocazione all’universale. La memoria si radica nel concreto, nello spazio, nel gesto, nell’immagine e nell’oggetto. La storia si lega alle continuità temporali, alle evoluzioni e ai rapporti tra le cose [...]. L’esigenza di generalizzazione della critica porterà a conservare i musei, le medaglie e i monumenti, cioè l’arsenale necessario al suo lavoro; ma svuotandolo di quanto ne fa ai nostri occhi i luoghi della memoria» (Nora in Clementi 1990, 14-5).

Il patrimonio percorre archivi, biblioteche, musei, ma anche documenti materiali, paesaggi, alimentazione, linguaggi; è quindi solo una parte del cammino che porta alla progettazione dell’identità locale.

La Convenzione di Faro, promulgata del Consiglio d’Europa nel 2005 e sottoscritta dall’Italia nel 2013, va proprio in questa direzione. La Convenzione definisce la conoscenza e l’uso del patrimonio culturale come diritti dei cittadini. Il patrimonio culturale è definito come un «insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in “continua evoluzione”, che comprende «tutti gli aspetti dell’ambiente che sono il risultato dell’interazione nel corso del tempo fra le popolazioni e i luoghi». La Convenzione fissa anche il concetto di “comunità di patrimonio”, costituita da «un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future».

Patrimonio / patrimonializzazione

Le leggi di tutela da sole non “mantengono” il patrimonio, ne salvano talvolta l’involucro (aspetto fondante e rilevante), ma non rinnovano la memoria di cui esso è parte. La tutela è il primo passaggio imprescindibile, ma è necessario attivare un processo di riconoscimento e valorizzazione sociale del patrimonio, il “processo di patrimonializzazione”, che sana le rotture col passato e alimenta la memoria collettiva in forme sempre nuove. Quando un oggetto patrimoniale è stato rivelato socialmente, e inizia un processo di affezione e conoscenza, si ravviva la memoria collettiva e l’oggetto acquisisce valore patrimoniale per la comunità che se ne occupa.

Il patrimonio esiste socialmente solo dove viene visto, scorto, riconosciuto e vissuto dalla comunità che lo popola. Mentre nel tempo dei ritmi lenti si stabiliva come mediatore di conoscenza operato inconsapevolmente, oggi il patrimonio si afferma nel quadro della condizione contemporanea come mediatore consapevolmente ricercato di conoscenza e dunque come esito del progetto. Il processo di patrimonializzazione dialoga dialetticamente con la storia e si inserisce nelle dinamiche culturali della società attuale (Davallon 2006).

Nell’ottica della patrimonializzazione, il patrimonio è allora ciò che «si presume meriti di essere trasmesso dal passato per trovare un valore nel presente. Il territorio è in effetti esito costante di valutazioni su ciò che è da patrimonializzare e ciò che ne deve essere escluso. Il patrimonio è un insieme di attributi, di rappresentazioni e di pratiche fissate su un oggetto non contemporaneo di cui è stata decretata collettivamente l’importanza presente intrinseca (ciò per cui questo oggetto è rappresentativo di una storia legittima degli oggetti della società) ed estrinseca (ciò per cui questo oggetto cela dei valori supportanti una memoria collettiva), che esige che venga conservato e trasmesso. […] Il patrimonio non è un dato, ma un costrutto. L’identificazione di un luogo come patrimoniale, la sua ‘messa in patrimonio’ (patrimonializzazione), procede sia da un’operazione intellettuale, sia mentale, sia sociale, che implica delle selezioni, delle scelte e quindi delle dimenticanze» (Lazzarotti 2003, 692–693).

Particolare della mappa di comunità di San Vito dei Normanni; Ecomusei della Puglia, documento del Piano Paesaggistico della Regione Puglia

Sempre più politiche pubbliche mettono in campo strumenti e azioni per il rafforzamento del processo sociale di patrimonializzazione, volte a trovare forme di socializzazione che passano dalla materialità del territorio per superare la frammentazione sociale, come accade in Italia con gli Osservatori locali del paesaggio o col supporto pubblico ai processi partecipativi. Il patrimonio si alimenta di memoria e al tempo stesso produce memoria, pronta a essere utilizzata nei processi di progettazione sociale. Se nella modernità i committenti immaginari di Le Corbusier erano gli abitanti della città-macchina, ora, nella contemporaneità, i committenti sono coloro che si prendono cura dei tanti elementi che alimentano nel luogo le aspirazioni ad abitarlo. I committenti di una progettazione volta a ricostruire valore simbolico e rappresentativo nel territorio sono, quindi, quelli che potremmo definire caregivers territoriali, cioè i soggetti, residenti o meno, che agiscono secondo una logica localizzata. Si tratta di coloro che riconoscono i molteplici valori di un luogo, per questo lo amano (sono disposti a creare con il luogo stesso una relazione densa di significato), e di conseguenza se ne prendono cura, attivando processi di patrimonializzazione pro-attiva (Poli 2015).

In Francia, ad esempio, nel campo delle scienze sociali si registra un forte investimento culturale sulla “patrimonializzazione” piuttosto che sul “patrimonio”, insistendo molto sul ruolo delle associazioni (Glévarec, Saez 2002), sulla diversità degli attori, sul valore delle emozioni o sulle tensioni tra istituzioni pubbliche e attori sociali (Rautenberg 2003). Vi è dunque la volontà di puntare l’accento non tanto sulla dimensione tipologica degli elementi patrimoniali o sulla selezione di oggetti materiali, fatta secondo standard amministrativi e accademici, quanto sull’impegno sociale che ha reso il patrimonio il risultato di mobilitazioni collettive e di richieste culturali.

Da questo veloce excursus emerge come il patrimonio territoriale possa divenire la base e al tempo stesso il volano per il rafforzamento identitario ed economico di un contesto locale. La consistenza patrimoniale di un territorio è oggi più ricca laddove c’è stata meno distruzione portata dalla modernizzazione e dallo sviluppo globalizzato, come accade spesso nelle cosiddette aree interne. Lo stock di ricchezza durevole accumulata nel patrimonio, disponibile per una messa in valore, diventa la base potenziale per un nuovo patto co-evolutivo fra società e territorio. Molti progetti a base patrimoniale trovano vantaggio in uno sviluppo complessivo del territorio che, talvolta, può anche scaturire da un’iniziale valorizzazione turistica. La presenza di un turismo diffuso integrato con la residenza, ad esempio, in molti territori interni della Toscana ha rafforzato l’economia locale e consentito agli abitanti di apprezzare maggiormente il proprio patrimonio, di imparare a conoscerlo e a riconoscerlo, evidenziando le tracce del passato, gli elementi strutturali e le pratiche in relazione con le reti locali e in vista di azioni condivise. Talvolta è proprio una categoria particolare di outsider (Cosgrove 1990) che riconosce il paesaggio, se ne innamora, attiva o riattiva economie di prossimità embedded (Polany 1974) nel valore di esistenza del patrimonio. Dall’osservazione empirica delle azioni di sviluppo locale emerge con chiarezza una forte mobilitazione degli oggetti patrimoniali nei progetti di territorio, alimentata spesso dall’emergere di modelli produttivi innovativi. Questa constatazione è evidente nei contesti francesi, dove esistono strutture create proprio a questo scopo come i Parchi Naturali Regionali, o nelle reti dei Parchi regionali italiani, come quelli della Val di Cornia nella Toscana meridionale; ma sono evidenti anche nelle azioni delle altre strutture intercomunali, come i Pays, o nei piani territoriali come gli scot (Schémas de cohérence territoriale), in cui il ricorso al patrimonio è crescente (Landel, Senil 2009). La stessa riflessione è esportabile ai programmi d’iniziativa comunitaria come i leader (Landel, Teillet 2003) o nei tanti progetti di carattere contrattuale come i Contratti di fiume, di foce, di costa, di montagna, i parchi agricoli, i progetto agrourbani, o nella forte mobilitazione dal basso che produce progetti territoriali sulla base dell’empowerment delle società locali. Nell’Osservatorio delle buone pratiche di autosviluppo locale della Società dei territorialisti/e è raccolto un primo elenco di progetti che gettano le basi di un’economia che valorizza i patrimoni locali.

Manifesto per un’assemblea pubblica per la costruzione dell’Ecomuseo del Casilino a Roma, gennaio 2016

Ilpatrimonio passa quindi da strumento di conservazione (Choay 1995; Poulot 2006) a fattore determinante per lo sviluppo dei territori (Landel, Senil 2009). Il tramite di questo processo è la territorialità attiva, i soggetti che agiscono in un contesto secondo una logica territorializzata e mettono in valore le risorse (Dematteis, Governa 2005).

«Di fatto, il patrimonio non è una semplice risorsa per lo sviluppo, esso è anche per definizione un modo di interrogare la natura stessa delle risorse e i loro processi di rivelazione attraverso la patrimonializzazione. Questo nuovo statuto si iscrive in una lunga maturazione: dopo l’invenzione della nozione, lo slittamento verso la risorsa si è così fatto gradualmente» (François, Hirczak, Senil 2006, 30). Non è tanto dunque la competizione economica, ma le diverse economie, le tipologie di lavoro, l’autonomia di gestione del proprio tempo che, integrate nella sfera sociale, aumentano la qualità della vita, creano benessere e inducono a una riflessione sul tema generale del lavoro salariato (Gorz 2007).

Anche in Italia fioriscono iniziative e strumenti istituzionali spinti dal basso (Osservatori del paesaggio, Contratti di fiume, Ecomusei) che tutelano, recuperano e rimettono in gioco il patrimonio con processi di patrimonializzazione allargata, che coinvolgono diversi soggetti economici e sociali. Le esperienze sono diverse e coinvolgono molteplici attori: esse vanno dalla ricoperta dei prodotti locali, alle forme di recupero degli spazi urbani, al recupero dei paesaggi, alla messa in dialogo di tanti saperi esperti e contestuali.

L’azione della valorizzazione del patrimonio a base locale e comunitaria è dunque il vettore che ricostruisce legame fra soggetti di diversa estrazione sociale, culturale ed economica, con la finalità di rigenerare la complessità dell’abitare, di riconquistare i tempi e gli spazi di vita. Il patrimonio nell’ottica della patrimonializzazione acquista il valore di un “bene appropriato collettivamente” (Linck 2012, 55). Per l’efficacia delle iniziative gioca però un ruolo non secondario – e rinnovato – l’attività di coinvolgimento sociale che l’azione pubblica può svolgere (Brunori, Marangon, Reho 2007; Meloni, Farinella 2013) per favorire il riconoscimento e l’attivazione patrimoniale, per continuare collettivamente la narrazione corale (Becattini 2012) che anima e rende vivi i territori.

A Prato, ad esempio, si stanno sperimentando percorsi turistici industriali (Tipo) con attività di conoscenza nelle fabbriche dismesse e in quelle ancora in attività, per scoprire nel territorio del lavoro una nuova possibilità di contaminazione col quotidiano, che si arricchisce di nuovi significati tramite spettacoli musicali, di teatro, di danza e una miriade di attività laboratoriali.

Conclusioni

In un’ottica bioregionale, che si approccia al territorio come essere vivente con una sua propria identità e una sua propria biografia, appare fondamentale:

• riconoscere e selezionare gli elementi patrimoniali che hanno valore per la collettività nel tramandare la memoria nel futuro;

• ricollocare gli elementi patrimoniali all’interno della complessità della struttura urbana (la grande mappa del lavoro di Prato con gore, gorone, sifoni, mulini, gualchiere, ecc.) e territoriale (la sua prosecuzione nella valle del Bisenzio);

• attivare processi che mettano in gioco la componente emozionale legata al patrimonio (Tardy, Rautenberg 2013), come nel progetto Tipo a Prato;

• costruire una struttura conoscitiva densa e articolata che connetta in maniera chiara ed evidente i diversi elementi patrimoniali collegando passato e presente: elementi museali, oggetti patrimoniali, percorsi fisici, percorsi narrativi, eventi culturali;

• attivare un processo integrato di tutela e valorizzazione culturale, simbolica, cognitiva, economica, capace di mettere in gioco i saperi contestuali e riattivare la memoria vivente collettiva;

• utilizzare strumenti pattizi e contrattuali che coinvolgano le diverse componenti della società locale;

• creare valore aggiunto territoriale, che non si esaurisce nell’utilizzo e nella valorizzazione economica della risorsa territoriale, ma che sedimenta costantemente nuove opportunità per la società locale.

«Ogni patrimonializzazione è, in fin dei conti, sociale e politica. Poco importa la natura dell’oggetto patrimonializzato, ciò che conta è la capacità degli attori di mobilitare le procedure, far riconoscere le loro scelte e, in ultima analisi, far legittimare i loro modelli culturali e la loro storia. Alla fine, qualsiasi patrimonializzazione, e non solo la politica della memoria, costruisce una relazione tra un territorio, un gruppo sociale e il suo passato messo a distanza, una relazione spesso mitica che è tuttavia creatrice di legame sociale, che impregna le atmosfere urbane» (Rautenberg 2003).

Schema preliminare per la creazione di un’area parco antistante tra il Fabbricone e la ex Fabbrica Calamai su viale Galilei. (elab. Comune di Prato, 2022) le politiche urbane di prato: pianificazione, urbanistica e progetto. il caso

Di Prato

della “porta nord”

Assessore all’Urbanistica e all’Ambiente del Comune di Prato

Abstract

La relazione descrive le politiche urbane adottate dal Comune di Prato a partire dal 2014, proseguite con l’adozione nel 2018 del Piano Operativo Comunale (POC) e, nel 2021, dopo la definitiva istituzione dell’Urban Center, con un’articolata presentazione alla “17ma Biennale di Venezia” con un allestimento multimediale nell’ambito della mostra “Comunità Resilienti” delle strategie messe in atto con i progetti avviati con le serie di Agende Urbane. In particolare, l’oggetto della comunicazione riguarda l’attivazione della proposta di rigenerazione urbana dedicata all’area, individuata come la “Porta Nord” della città per la sua posizione a ridosso della Stazione di Prato - Porta al Serraglio, Si tratta di una zona caratterizzata dalla presenza di importanti testimonianze del patrimonio industriale della città, quali la fabbrica Calamai e parte del complesso del Fabbricone con la “Spina dei teatri”, da porre in stretta connessione con gli spazi pubblici e di servizio culturale già presenti nell’area , quali la Piazza del Mercato Nuovo e la sede del Polo Universitario della città di Prato, a significare un’azione concreta di restauro urbano della Prato del ‘900.

Le politiche urbane del Comune di Prato

Le politiche urbane della città di Prato a partire dal 2014 sono state delineate da una serie di Agende Urbane: Agenda Urbana per Prato1 (2015), Agenda Urbana Prato 20502 (2020) e Next Generation Prato3 (2021).

Si tratta di documenti programmatici che definiscono una vision complessiva della città ed il suo posizionamento strategico nell’ambito della competizione globale tra aree urbane. Una vision che si muove all’interno dei modelli di sviluppo sostenibile e dei valori promossi a livello internazionale dall’Agenda ONU 20304, che ingloba i Sustainable Development

Goals - SDGs5 e, a livello continentale, dal programma Agenda Urbana EU6 ed i successi-

1 http://allegatiurbanistica.comune.prato.it/dl/20151118124227452/atto_di_indirizzo_PS_PO_1.pdf

2 https://pubblicazioneatti.comune.prato.it/doc/prato/CC_2020_0000080_2.pdf

3 https://www.pratocircularcity.it/it/next-generation-prato/pagina1942.html

4 https://unric.org/it/agenda-2030/

5 https://sdgs.un.org/goals

6 https://futurium.ec.europa.eu/en/urban-agenda vi Next Generation EU7 ed European Geen Deal8, con l’iniziativa connessa New European Bauhaus9.

Le Agende Urbane di Prato, quindi, si collocano in un contesto in cui la definizione delle politiche pubbliche per lo sviluppo sostenibile della città stanno all’interno di un quadro globale e continentale e, allo stesso tempo, forniscono il contributo del territorio pratese alle strategie della Regione Toscana e dell’area vasta Firenze-Prato-Pistoia.

Le Agende Urbane per Prato partono dagli asset strategici esistenti sociali, economici e culturali della città e li inseriscono in un’articolazione organica di azioni e progetti che definiscono le strategie di sviluppo locale sostenibile attraverso il coordinamento della programmazione dell’Amministrazione Comunale e degli stakeholders.

Prato è promossa come città della contemporaneità della Toscana.

Le Agende Urbane costruiscono una strategia generale che si basa su una serie di azioni immateriali a sostegno degli asset sociali, culturali ed economici esistenti, a cui affiancare interventi di rigenerazione urbana e sociale nelle cosiddette Aree Urbane Strategiche, ovvero comparti urbani funzionali ad accelerare e sostenere gli asset della città.

La scelta di definire dei documenti generali sulle politiche urbane e le relative strategie per conseguirli, è stata dettata dalla precisa volontà di promuovere l’integrazione delle policy pubbliche e delineare uno scenario generale al medio lungo periodo da condividere con la città in tutte le sue componenti. In questo senso la definizione della vision complessiva è stata affiancata da un’azione costante di condivisione con la città, promossa attraverso una programmazione generale di percorsi partecipativi e di coprogettazione, nei quali la città in tutte le sue componenti è stata coinvolta, sia per condividere la vision generale proposta dall’Amministrazione del Comune, che per aprirla al dibattito pubblico.

In questo quadro generale ci sono stati diversi eventi di grande rilievo in cui le politiche urbane della città di Prato sono state poste al centro dell’attenzione e che sono divenuti l’occasione per sviluppare un pensiero critico su quanto fatto a partire dal 2014. Nel 2018 è avvenuta l’adozione del Piano Operativo Comunale di Prato , lo strumento di pianificazione urbanistica generale che ha riassunto in un unico progetto di città la vision dell’Agenda Urbana Prato. L’adozione del POC è stata affiancata dalla mostra Verde Prato. Sperimentazioni urbane tra ecologia e riuso10, curata da Elisa Cristiana Cattaneo

7 https://ec.europa.eu/info/strategy/recovery-plan-europe_en

8 https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_it

9 https://new-european-bauhaus.europa.eu/index_en

10 https://centropecci.it/it/mostre/verde-prato-sperimentazioni-urbane-tra-ecologia-e-riuso https://www.domusweb.it/it/architettura/gallery/2019/03/22/nuovi-scenari-tecno-naturali-per-la-citt-di-prato. html

ed Emilia Giorgi al Centro Pecci, e dalla pubblicazione, Prato Fabbrica Natura11

, curata da Valerio Barberis ed

Elisa

Cristiana Cattaneo, in cui è stata analizzata l’innovazione portata dalle politiche urbane di Prato che hanno introdotto una strategia basata sulla strettissima interdipendenza tra la pianificazione urbanistica, quella ambientale ed il microcosmo di progetti che ha spaziato dalla scala della rigenerazione urbana a quella del tactical urbanism, dalla scala del quartiere a quella del singolo intervento architettonico. Il 2021 è stato l’anno della partecipazione della città alla 17° Biennale di Architettura di Venezia, all’interno del Padiglione Italia, nell’ambito della mostra Comunità Resilienti12, curata da Alessandro Melis. Il Comune di Prato ha partecipato con un allestimento multimediale curato da Studio ARX - Paolo di Nardo e Compagnia TPO dal titolo Città natura – Cittàfabbrica – Città paesi13 in cui si è posto l’accento sulle dinamiche lente di Prato: il distretto tessile improntato da sempre all’economia circolare, le azioni di rigenerazione urbana e sociale e quelle relative ad un approccio che ha messo la natura al centro, che hanno caratterizzato le strategie poste in essere dal 2014, sono state collocate nell’ambito della rilettura complessiva di un territorio complessivamente resiliente. Un territorio capace di resistere all’urbanizzazione feroce del secolo breve e che ha mantenuto al suo interno dinamiche sociali, culturali, socioeconomiche e soprattutto una presenza latente, nascosta ma pervasiva della natura: tutti aspetti profondi e lenti del territorio su cui impostare le strategie di resilienza urbana, sociale e ambientale della città14.

Il 2021 è stato anche l’anno dell’istituzione dell’Urban Center15 al Centro Pecci, su progetto del collettivo Fosbury Architecture, che è rientrato nella logica di condivisione con la città delle scelte strategiche più generali e di allargarle al dibattito internazionale che il centro promuove. La mostra di apertura, Osservatorio Prato 205016, anch’essa curata da Fosbury Architecture, è stata l’occasione per sistematizzare e concettualizzare l’insieme delle politiche, azioni, progetti e network su cui la città sta costruendo il suo futuro in una serie di missioni generali: la transizione ecologica, il metabolismo urbano circolare, la transizione digitale e l’inclusione sociale.

11 A cura di V. Barberis, Elisa C. Cattaneo, Prato Fabbrica Natura, Skira, Milano 2019

12 https://www.cittadiprato.it/it/Web/699/Prato-citta-del-futuro-e-modello-di-resilienza-alla-Biennale-di-Venezia/

13 https://www.tpo.it/htm/archive/biennale_architettura.htm

14 V. Barberis, Gli abitanti di Prato, in AND n° 39: Media Cities > Resilience, Firenze 2021 https://www.and-architettura.it/index.php/and/article/view/329/323

15 https://centropecci.it/it/visita/urban-center

16 https://www.abitare.it/it/architettura/progetti/2022/02/08/fosbury-architectureurban-centre-di-prato/

La “Porta Nord”: pianificazione urbanistica e progetti

Le politiche urbane di Prato, in estrema sintesi, hanno promosso, a partire dalla vision di medio lungo periodo contenuta nelle Agende Urbane, la connessione tra gli strumenti di pianificazione generale – Documento Unico di Programmazione (DUP), Piano Operativo Comunale (POC), Piano Smart City, Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile (PUMS), Piano di Azione per l’Energia Sostenibile (PAES) – ed i progetti e le azioni del Comune – Piano Triennale delle Opere Pubbliche, Piano Esecutivo di Gestione (PEG).

L’Agenda Urbana per Prato (2015), curata dall’Assessore Valerio Barberis, nasce come strumento di guida per la redazione del Piano Operativo Comunale con il titolo: Atto di indirizzo - Indirizzi programmatici per la formazione della variante al Piano Strutturale e del nuovo Piano Operativo del Comune di Prato17. Promuove una vision chiara per la città per il medio lungo periodo, il coordinamento delle politiche interne all’Amministrazione comunale, una strategia complessiva di coinvolgimento dei cittadini e la necessità di sviluppare progetti nel breve periodo, come esemplificazione immediata delle politiche di lungo periodo.

L’Agenda Urbana Prato (2015) ha introdotto il concetto della territorilializzazione delle politiche di sostegno agli asset sociali, culturali ed economici della città, promuovendo una sinergia tra azioni immateriali di governance e aree urbane strategiche nelle quali sviluppare progetti funzionali al conseguimento degli obiettivi.

I Grandi Progetti e le Aree Strategiche sono: La Declassata; il Centro Antico; il “Progetto Mura”; l’area del Vecchio Ospedale Misericordia e Dolce ed il “compound” urbano: una nuova porta del Centro Storico a sud; dal Fabbricone alla stazione del Serraglio: l’espansione del centro storico verso Nord e la connessione con il Parco Fluviale del Bisenzio; il Macrolotto Zero: un distretto creativo di area vasta; il Parco Fluviale del Bisenzio: un asse ambientale, che tesse nuove relazioni urbane e collega la città all’area vasta; le Cascine di Tavola.

L’Agenda Urbana per Prato (2015) introduce quindi una strategia complessiva che investe il Centro Storico, le mura ed i comparti urbani immediatamente a ridosso: a sud, il Quartiere del Soccorso, a Ovest il Macrolotto Zero e, a nord, il fuso urbano che si estende tra il tracciato della ferrovia, lungo le mura trecentesche il fiume Bisenzio ed il complesso del Fabbricone.

Il documento nella sezione Dal Fabbricone alla stazione del Serraglio: l’espansione del centro storico verso nord e la connessione con il Parco Fluviale del Bisenzio, delinea una strategia urbana di rigenerazione e valorizzazione delle presenze naturali e di archeologia industriale complessiva, dando gli indirizzi per la pianificazione urbanistica e per la definizione di un network di singoli progetti.

«L’area posta tra la stazione del Serraglio, Via Bologna ed il Complesso del Fabbricone, rappresenta, anche storicamente e per le modalità con le quali si è formata, una naturale espansione del Centro Storico a nord. Un comparto urbano, direttamente collegato ad est al Parco Fluviale del Bisenzio, che risulta caratterizzato da un tessuto edilizio eterogeneo che comprende grandi ed importanti complessi di archeologia industriale – il Fabbricone e Calamai - , edilizia industriale novecentesca , edilizia residenziale - sia di impianto, che complessi di appartamenti di sostituzione costruiti a cavallo tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo -, oltre ad importanti funzioni e spazi per la collettività a livello cittadino e di area vasta – la stazione ferroviaria del Serraglio, la sede universitaria del PIN, a Piazza del Mercato Nuovo, i teatri Fabbricone e Fabbrichino. [...] Il ridisegno dell’area dovrà perseguire primariamente un nuovo assetto organico degli spazi pubblici, che dovrà generare un continuum di percorsi pedonali, ciclabili e aree pubbliche pavimentate ed a parco dal Centro Storico all’area del Fabbricone, collegati a quelli naturali del parco Fluviale del Bisenzio. Un insieme di spazi che, partendo dal PIN e da Piazza Ciardi [...], generi percorsi efficacemente progettati verso Piazza del Mercato Nuovo, nella logica di esplicitare il ruolo di questo grande spazio come vero e proprio parcheggio a servizio del Centro Storico. A nord di questo una serie di spazi pavimentati ed a verde dovranno estendersi fino all’area del Fabbricone, nella logica di stabilire una forte connessione pedonale ed un vero e proprio nuovo percorso di accesso all’area teatrale che comprende il Fabbricone ed il Fabbrichino. Nel disegno degli spazi pubblici particolare attenzione dovrà essere posta alla valorizzazione della potenziale presenza strutturante dello spazio pubblico e del disegno urbano dell’ultimo tratto del Gorone, che risulta in alcune porzioni all’aperto, che dovrà essere oggetto di interventi di riqualificazione e rigenerazione ambientale. La presenza dei teatri Fabbricone e Fabbrichino, accanto a quella del Polo Universitario del PIN, dovrà essere uno dei cardini di sviluppo strategico dell’area, che potrà prevedere funzioni legate alla ricerca, lo sviluppo tecnologico, la produzione e l’innovazione nell’ambito delle arti dello spettacolo. I complessi industriali del Fabbricone e della Calamai dovranno essere oggetto di interventi di restauro tesi a garantire la lettura delle diverse fasi di costruzione degli stessi, che potranno prevedere anche l’inserimento di calibrati segni contemporanei, nella logica di enfatizzare il ruolo di questi importanti testimoni del passato produttivo pratese. Potranno prevedere l’inserimento di una molteplicità di funzioni – a servizio, commerciali, piccole quantità residenziali, ecc., oltre che il mantenimento di settori con destinazione artigianale – finalizzate a fare di questi dei luoghi a servizio del

•Interventi per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate DPCM

15-10-2015 (Servizio Governo del Territorio, Comune di Prato)

“Riversibility. Parco Fluviale del Bisenzio nella città di Prato” (area Prato CentroNord), masterplan comparto urbano in cui si inseriscono e strettamente interconnessi con il Centro Storico. La porzione Est del comparto si dovrà interconnettere al Parco Fluviale del Bisenzio attraverso collegamenti pedonali puntuali lungo Viale Galilei e con un nuovo tratto della pista ciclabile, che dovrà collegarsi alla Piazza dell’Università tramite un nuovo percorso posto al di sopra del Bastione delle Vedove (già dei Giudei)».18

La strategia urbana nell’insieme configura un nuovo asse N – S, tra Piazza Duomo ed il Fabbricone che si articola attraverso spazi e funzioni pubbliche da riqualificare e che propone la creazione di un nuovo ingresso al complesso teatrale Fabbricone e Fabbrichino da sud.

Questa strategia vede una sua prima definizione progettuale nella proposta presentata dal Comune di Prato nel 2015 al bando Piano Aree Degradate PAD, curato dal Servizio Governo del Territorio, che avvia la definizione di un masterplan complessivo dell’area e che propone la riqualificazione di Piazza Ciardi, i Giardini della Passerella e la realizzazione di un nuovo edificio a destinazione pubblica nella Piazza dell’Università.

Nel 2016 la candidatura del Comune di Prato al Piano Periferie P.R.I.U.S19, curato sempre dal Servizio Governo del Territorio, conferma questa strategia urbana complessiva e sviluppa un progetto che coordina interventi nel Centro Storico nel quadrante Nord – Est – il completamento del restauro del Bastione delle Forche ed il restauro del complesso di Palazzo Pacchiani – con interventi che coinvolgono il comparto urbano a nord del Centro Storico, fino al Fabbricone - la rigenerazione delle sponde del Fiume Bisenzio con interventi di attivazione sociale, il progetto “Riversibility”20, la riqualificazione di Piazza Ciardi e della copertura del Parcheggio del Serraglio.

Questa strategia complessiva è accolta all’interno del Piano Operativo Comunale21, curato dal Servizio Urbanistica del Comune di Prato, adottato a Settembre 2018 ed approvato in via definitiva a Novembre 2019, nell’Ambito Porta Nord, che traduce il masterplan in un progetto urbano organico che coordina i programmi pubblici e le Aree di Trasformazione private.

«A nord del centro storico, come prolungamento del tracciato storico che collega piazza Duomo con la stazione del Serraglio attraverso via Magnolfi, si sviluppa l’ambito di Porta Nord lungo un asse ideale sul quale gravitano tre importanti polarità in cui il Piano Operativo opera con locali interventi di trasformazione ed interventi di ricucitura delle potenzialità dell’esistente.

18 Ibidem, p. 24

19 https://www.cittadiprato.it/IT/Sezioni/334/PROGETTO-PRIUS-/

20 https://www.cittadiprato.it/IT/Sezioni/518/Riversibility---Parco-Fluviale/

21 https://www.comune.prato.it/it/lavoro/urbanistica/piano-operativo/pagina1057.html

Il primo polo è costituito da Piazza Ciardi, oggetto di recente riqualificazione, intorno alla quale gravitano la stazione del Serraglio ed il Polo universitario collocato negli edifici dell’Ex istituto T. Buzzi. L’asse prosegue sulla Piazza del Mercato per la quale il Piano Operativo conferma il ruolo di centralità urbana come elemento ordinatore dello spazio pubblico e del sistema connettivo. Agli interventi sul patrimonio esistente è chiesto di interagire con gli spazi pubblici esistenti per potenziarne il sistema connettivo. Nella AT4a_01, per la quale si prevede la rifunzionalizzazione del fabbricato produttivo situato tra viale Galilei e Piazza del Mercato Nuovo, trovandosi in una posizione baricentrica rispetto all’asse ideale, è prevista la realizzazione di un percorso pedonale di uso pubblico per rendere accessibile l’immobile anche dall’esterno, e le cessioni per l’ampliamento del marciapiede su viale Galilei e ai parcheggi prospicienti la piazza. Il “capolinea” di questo asse ideale è rappresentato dal complesso del Fabbricone per il quale viene confermato il ruolo di caposaldo della cultura teatrale pratese del teatro Fabbricone e del teatro Fabbrichino, e ne viene rafforzato il loro rapporto con la città attraverso la riconfigurazione di nuovi spazi pubblici che li mettano fisicamente in contatto con la Piazza del Mercato Nuovo e dunque con il centro storico».22

A partire da questi programmi il Comune di Prato ha sviluppato una sequenza organica di progetti di recupero e riqualificazione degli spazi pubblici che stanno costruendo quella strategia urbana complessiva: il restauro dei Giardini della Passerella23 e della Passerella pedociclabile, la riqualificazione della Piazza Ciardi24, Via Protche e di Piazza del Mercato Nuovo

– curati dal Servizio Mobilità del Comune -, la realizzazione del Playground “Yoghi Giuntoni”25 e la riqualificazione delle sponde del Bisenzio del progetto “Riversibility” (curati dal Servizio Governo del Territorio del Comune), la realizzazione della nuova sede della polizia Municipale nella Piazza dell’Università (curata dal Servizio Opere Pubbliche del Comune).

Nel 2021 il Comune di Prato ha presentato Next Generation Prato26, il documento che definisce il posizionamento strategico della città all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza PNRR, che è stato coordinato dagli assessori Benedetta Squittieri e Valerio Barberis e sviluppato nella forma di una coprogettazione con gli stakeholders, le istituzioni e i centri di ricerca della città. Il documento fa proprie le strategie generali dell’Agenda Urbana per

22 Norme Tecniche di Attuazione - Aree di Trasformazione: disciplina urbanistica, pag. IV https://www.comune.prato. it/sito-comunale/lavoro-e-impresa/urbanistica-territorio/piano-operativo/documenti-po/piano-approvato/media5974. php

23 https://www.cittadiprato.it/IT/Sezioni/108/La-passerella/

24 https://www.cittadiprato.it/IT/Sezioni/57/Piazza-Giovanni-Ciardi-/ 25https://www.facebook.com/profile.php?id=100063597729138&paipv=0&eav=AfZD7w1C3GOJtYezdL2vH7luv7kqVPunfcH3TA1acN_f5sFa2PXDlGgMG4TJQVuHaHU&_rdr

26 file:///C:/Users/a024/Downloads/Next%20Gen%20Prato%20(1).pdf

Areali di studio per le connessioni urbane, progetto Porta Nord

Prato (2015) e dell’Agenda Urbana Prato 2050 (2020) ed ha tra gli obiettivi, quello di delineare i progetti ritenuti prioritari da candidare ai futuri programmi di finanziamento dei POR FESR regionali, del PNRR nazionale e del Green Deal europeo.

Il documento contiene 24 Schede Progetto che si inseriscono nelle 6 missioni del PNRR27 nazionale e la scheda 6 è dedicata a Fabbricone - Polo teatrale della drammaturgia: “il progetto persegue l’obiettivo di salvaguardare, attraverso l’acquisizione e il recupero funzionale, la parte degli edifici appartenenti alla prima fase di realizzazione (fine ottocento) del complesso manifatturiero noto come fabbricone, lasciando inalterati i principali cambiamenti d’uso avvenuti nel corso degli anni (attività commerciali e teatrali). L’acquisizione e la ristrutturazione degli spazi consentirà di attuare, da un lato, un intervento di riqualificazione urbana che si colloca in una parte densamente popolata della città, e dall’altro di sostenere la strutturazione di un polo culturale con una solida capacità di gestione delle attività culturali grazie alla presenza della Fondazione Teatro Metastasio”28.

In questo quadro complessivo si inserisce il recente progetto candidato dal Comune di Prato nel 2022 al Programma regionale FESR 2021-2027, che rappresenta un fondamentale passo in avanti per la costruzione della strategia generale sul network degli spazi pubblici della “Porta Nord” e per il consolidamento della rete dei poli teatrali e delle istituzioni dedicate all’audiovisivo della città di Prato, enfatizzandone la rilevanza da un punto di vista culturale e la capacità di divenire veri e propri strumenti di rigenerazione urbana e animazione sociale.

Il progetto promuove una strategia complessiva di sviluppo locale sostenibile su una molteplicità di aspetti che, a dimostrazione della complessità dell’elaborazione, è stata curata da un gruppo di lavoro intersettoriale del Comune di Prato - Assessorato all’Urbanistica, Ambiente ed Economia Circolare, Assessorato Cultura e Cittadinanza, Servizio Progettazioni ed Economia Circolare, Servizio Statistica, Servizio Edilizia Monumentale e Storica, Servizio Edilizia scolastica e sportiva, Servizio Mobilità e Infrastrutture, Servizio Gare, Provveditorato e Contratti, MET - Teatro Metastasio di Prato.

Di seguito si riportano estratti della relazione di progetto.

Introduzione al contesto di progetto

L’area della proposta di intervento è situata a nord della città, immediatamente fuori la cerchia muraria, e posta lungo la riva destra del fiume Bisenzio; contigua al mercato generale

27 Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo; Rivoluzione verde e transizione ecologica; Infrastrutture per una mobilità sostenibile; Istruzione e ricerca; Inclusione e coesione; Salute.

28 Next Generation Prato, p. 90 file:///C:/Users/a024/Downloads/Next%20Gen%20Prato%20(1).pdf

Piazzale intercluso: a sinistra, area tergale alla fabbrica Calamai; a destra, porzione prospiciente al complesso del Fabbricone (lato S-E). (Foto di G.A. Centauro)

Il Lanificio “Figli di Michelangelo Calamai” con le cortine prospicienti il trafficatissimo viale Galilei, come si presentano allo stato attuale: a sinistra, i capannoni a shed con murales e, a destra, la monumentale facciata ricostruita nel 1925 dopo il rovinoso incendio del 1893. (Foto di G.A. Centauro) comunale all’aperto, si estende fino al complesso industriale Il Fabbricone. È attraversata da via E. Abati e costeggia il fronte tergale degli stabilimenti industriali del Lanificio Calamai; tutta l’area è disposta parallela all’asse di penetrazione di viale Galilei. La zona interessata dal progetto comprende porzioni di una più ampia area industriale (caratterizzata da importanti complessi di archeologia industriale tra cui il Fabbricone e la fabbrica Calamai tutelati dallo strumento urbanistico), un vasto spazio asfaltato e una grande area a verde che progressivamente declinano da nord verso il centro cittadino, sfociando naturalmente nell’area destinata a mercato comunale settimanale.

Le funzioni di respiro collettivo e culturale già presenti sono rappresentate dal Teatro Fabbricone, che prende il nome dall’omonimo centro industriale Il Fabbricone, uno dei primi stabilimenti industriali pratesi nato alla fine dell’800 e fin da subito diventato la più grande fabbrica di tessuti, dove al suo interno si realizzavano tutte le fasi di lavorazione. Da una porzione del complesso industriale nasce il Teatro Fabbricone (nel 1974, la prima rappresentazione dell’Orestea, a cura di Luca Ronconi), un’esperienza teatrale alternativa al tradizionale teatro all’italiana, una realtà che è riuscita ad affermarsi nel panorama nazionale come luogo di sperimentazione e ricerca. Attività e luoghi che, a partire dagli anni ‘50 del secolo scorso, hanno formato un palinsesto in continuo divenire che, nel tempo, ha costruito le basi per una nuova identità, quella di Prato come città della contemporaneità. Tra i tanti luoghi ed eventi che appartengono a questo panorama eterogeneo, si possono citare la fondazione e la programmazione culturale del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, il Laboratorio Prato di Luca Ronconi e le produzioni del teatro Metastasio, la costituzione e l’attività svolta al Fabbricone ed al Fabbrichino (TPO), la rete delle compagnie teatrali, di danza e gli eventi delle arti performative, la fondazione e le attività connesse a Officina Giovani agli ex Macelli, il ruolo di centro propulsore di attività culturali alla scala sovralocale del Polo Culturale “Campolmi” con la Biblioteca Lazzerini ed il Museo del Tessuto, la compagnia KLM/ Kinkaleri in Via Santa Chiara, che ha trasformato l’idea di residenza artistica in una proposta culturale articolata sul piano dei contenuti e della relazione con il territorio.

Questa area del territorio non ha mai costituito un vero e proprio accesso alla città, inteso come avvicinamento progressivo, lento, di ampio respiro non necessariamente caratterizzato da un attraversamento carrabile di tipo strumentale o di servizio da Nord a Sud. L’area e i poli urbani connessi (Piazza del Mercato Nuovo, Piazza Ciardi, PIN - Polo Universitario Città di Prato, di seguito PIN, Stazione di Porta al Serraglio), costituiscono invece una naturale espansione del Centro Storico a Nord, un comparto urbano, direttamente collegato ad est al Parco Fluviale del Bisenzio, rappresentano importanti funzioni e spazi per la collettività a livello urbano e di area vasta e allo stesso tempo nuclei di devianza, criminalità, degrado diffuso che da anni il Comune sta affrontando con politiche ed investimenti a vari livelli.

Obiettivi e risultati attesi

Il ridisegno dell’area persegue l’obiettivo a lungo termine di generare un nuovo assetto organico degli spazi pubblici, anche attraverso una rete di percorsi pedonali, ciclabili e aree pubbliche pavimentate e a parco dal centro storico all’area del Fabbricone, collegati a quelli naturali del parco fluviale del Bisenzio. La presenza dei teatri Fabbricone e Fabbrichino, accanto a quella del PIN, rappresenta uno dei cardini di sviluppo strategico dell’area, come previsto dal progetto presentato dal Comune di Prato sulla Manifestazione di Interesse per la Definizione di un Parco Progettuale in Materia di Rigenerazione Urbana e dell’Abitare della Regione Toscana: “Area del Fabbricone – Il Polo Teatrale e la Nuova Porta di Accesso alla Città”. Il cardine della strategia è il parcheggio di Piazza del Mercato Nuovo, inteso come parcheggio a servizio del Centro Storico: in questa visione si è mossa la riqualificazione già realizzata della Piazza e del tracciato verso il centro, comprendente la riqualificazione complessiva di Piazza Ciardi e del piazzale soprastante il parcheggio del Serraglio, trasformato in un nuovo spazio polifunzionale a servizio della città, il Playground “Yoghi Giuntoni”. In questo quadro una programmazione specifica si sta sviluppando rispetto al ruolo del PIN, che dovrà rinnovare e potenziare la sua funzione di polo di servizi alla scala metropolitana e divenire il cardine di una permeabilità urbana e centro propulsore di nuove attività che, in via preliminare, dovrà passare dal potenziamento dei servizi universitari e la loro relazione con la città.

In queste strategie urbane si inseriscono anche i temi dei servizi al cittadino e della sicurezza urbana; infatti, verrà realizzata la nuova palazzina dell’URP della Polizia Municipale nella piazza dell’Università, in corrispondenza della Stazione del Serraglio e di fronte al PIN.

Il presente progetto è quindi propedeutico all’obiettivo generale di lungo periodo, in quanto costituisce un primo nucleo del polo culturale attraverso interventi sugli spazi pubblici e sugli immobili che ospitano i teatri. L’area oggetto della strategia di rigenerazione urbana proposta è il comparto nord del futuro sistema urbano, una serie di spazi pavimentati ed a verde che dovranno estendersi fino all’area del Fabbricone, nella logica di stabilire una forte connessione pedonale. La strategia della proposta intende pertanto non solo valorizzare e potenziare l’offerta culturale del polo teatrale del Fabbricone, ma anche migliorare la qualità dell’abitare e realizzare residenze a canone calmierato per studenti fuori sede e volontari del Servizio Volontario Europeo data anche la vicinanza al polo universitario.

Il rinnovato polo teatrale, un ambito urbano totalmente riqualificato, sarà connesso alla stazione ferroviaria del Serraglio, al centro storico ed al parco fluviale attraverso un sistema integrato di nuove aree verdi e piazze, percorsi pedonali e ciclabili, nuove connessioni tra spazi pubblici e servizi.

L’intervento di recupero del complesso del Fabbricone si inserisce in una strategia che ha l’obiettivo più generale di delineare un sistema urbano basato sui poli teatrali della città (pubblici e privati) e i poli dell’audiovisivo, costruendo una vera e propria “Spina dei teatri”. Questo quadro complessivo si pone alla scala dell’intero centro storico e delle aree limitrofe e identifica due assi principali che hanno come cardine, chiaramente, il Teatro Metastasio: l’asse N-S che collega l’area del Teatro Fabbricone e Teatro

Fabbrichino a nord, con il complesso di Santa Caterina, il futuro Parco Centrale a sud, dedicati a Manifatture Digitali Cinema e Officina Giovani agli ex Macelli (di cui sarà completato il recupero grazie a finanziamenti PNRR); l’Asse E-W che collega il Teatro Politeama Pratese e l’ex Arena Garibaldi (oggetto di un intervento di recupero da parte di un operatore privato) con il complesso del Teatro Magnolfi (oggetto di un importante intervento di restauro grazie a finanziamenti CIPE). Una strategia complessiva che identifica le funzioni teatrali e dedicate all’audio visivo come un vero e proprio sistema territoriale, integrato con le altre istituzioni culturali del centro storico, a partire dal Museo di Palazzo Pretorio e il Polo Culturale “Campolmi”, che ha l’obiettivo di generare strategie di sviluppo locale sostenibile che partano dalla diffusione della cultura, sia in relazione ai cittadini che al settore turistico. Un sistema, inoltre, che promuove una forte collaborazione pubblico-privato, in linea con la Convenzione di Faro sul valore del patrimonio culturale per la società e con il Quadro d’azione europeo per il patrimonio culturale, che invita a promuovere approcci integrati e partecipativi al fine di generare benefici nei quattro pilastri dello sviluppo sostenibile: economia, diversità culturale, società e ambiente.

Azioni progettuali

La cessione di una grande area a verde a seguito della costruzione di un edificio residenziale crea l’occasione di un ripensamento dell’intera area consolidando la vocazione fino ad oggi maturata e che inizia quindi dal recupero del teatro, passando poi al recupero del grande lotto asfaltato e dell’area a verde recentemente ceduta.

L’amministrazione intende così ottenere una nuova porta di accesso alla città da nord, e attraverso questa, creare una cerniera che connetta direttamente il centro urbano a questo luogo culturalmente importante e vitale.

L’intervento complessivo di tutta l’area è di fatto il masterplan già inviato con la precedente manifestazione di interesse indetta da Regione Toscana per la definizione di un parco progettuale in materia di rigenerazione urbana e dell’abitare; in tale occasione veniva delineato uno scenario importante per la definizione dell’assetto dell’intero comparto coerentemente con le strategie urbanistiche della città, dell’Agenda Urbana Prato e del Piano Operativo (Porta Nord). L’intervento proposto in questa occasione, nella sua complessità si divide in due macro-temi: la rigenerazione del polo teatrale e la realizzazione di nuove connessioni con la città storica.

La rigenerazione del Polo Teatrale

I singoli interventi, quindi, prevedono il restauro e l’adeguamento del Teatro Fabbricone, la destinazione del Fabbrichino a depositi e laboratori scenici. Sul fronte del Fabbrichino, lato via Targetti, troverà posto lo studentato.

Le nuove connessioni: tra il mercato generale comunale all’aperto e il complesso teatrale è prevista una grande area verde dove si alternano percorsi e spazi di relazione. Più nello specifico viene demineralizzata parte dell’area attraverso l’eliminazione delle superfici asfaltate, viene realizzato un nuovo parcheggio a ovest (lato residenze); il parco sarà costituito da settori verdi delimitati da percorsi pedonali incrocianti che tagliano e connettono l’intera area, e da uno spazio pavimentato in corrispondenza dell’ingresso alla piazza posta tra il Teatro Fabbricone e il Fabbrichino, con la duplice valenza di spazio di relazione e di spettacoli all’aperto.

Coerenza

L’Agenda Urbana per Prato ha individuato negli strumenti urbanistici e nei piani delle opere pubbliche i “Grandi Progetti” le Aree Urbane Strategiche su cui, a partire dal 2014, sono stati sviluppati programmi di rigenerazione urbana a sostegno della visione generale della città (cfr. c.1). Sono stati sviluppati programmi urbani, progetti e promosse ricerche universitarie, corsi e workshop, che hanno affiancato e stimolato la pianificazione urbanistica e la programmazione delle opere pubbliche. Nell’insieme si è generata una vera e propria strategia urbana che ha portato al centro il tema del progetto urbano, architettonico, ambientale e di paesaggio, strategia che non può che prendere spunto dalle numerose identità del territorio pratese e delle sue peculiarità sia sotto il profilo del patrimonio edilizio e naturale esistente, sia sotto il profilo della valorizzazione delle identità culturali e materiali, legate a luoghi ed eventi, che si sono sviluppate negli ultimi decenni.”29

29 Estratto dalla relazione di progetto presentata dal Comune di Prato al Programma Regionale FESR 2021-2027

Obiettivo Specifico OS 5.1 - Richiesta di Manifestazione di interesse per l’individuazione delle aree urbane e delle strategie territoriali (DGR n. 204 del 28 febbraio 2022)