la casa, per esempio, si trova una “vasca per prendere il sole” dotata di un lettino inclinato in pietra, di una seduta per la conversazione che si estende lungo due dei quattro lati, un tavolo “pour les cocktails” e, infine, di una zona per le sabbiature. In questo salotto all’aperto non sono previste zone d’acqua (stagni o fontane) per contenere la presenza di zanzare. “Noi abbiamo cercato, in questa casa così piccola, di esprimere congiuntamente due formule di vita: la formula ‘camping’, che risponde a un bisogno di esteriorità estemporanee, e la formula normale che tende a predisporre per l’individuo un centro indipendente e isolato dove egli possa sviluppare le sue potenzialità profonde. Si può prevedere che il bisogno di mobilità e di vita movimentata avrà una fine; che si attenuerà nella misura in cui spariranno le influenze della guerra e che sarà rimpiazzato dal bisogno di una cultura interiore e di una vita raffinata. È proprio degli artisti anticipare questo inevitabile cambiamento, di indirizzarne il senso e facilitarne lo sviluppo”, scrivono Gray e Badovici nel testo già citato. Non vi sono spazi considerati meno importanti di altri e non esiste una rigida separazione tra gli spazi della socialità e quelli dell’intimità. Il disimpegno è anche un bar; l’ingresso è anche una zona guardaroba; la camera da letto è anche uno studio. Il living room accoglie dentro di sé un angolo per la doccia e un’alcova. In questa grande stanza si può dormire o conversare, mangiare o ascoltare musica. Non esiste una sala destinata specificatamente al consumo dei pasti, al suo posto vi è un tavolo che si può spostare a piacere e che di volta in volta definisce “la zona del pranzo”. Per Gray varcare una porta significa avvicinarsi senza alcun sforzo ad una sorpresa, a qualcosa di misterioso, e non semplicemente passare da uno spazio all’altro. La sensazione che bisogna provare stando in una casa è quella di sentirsi protetti e allo stesso tempo liberi nel movimento. I controversi murales Nel 1931 si interrompe il rapporto con Jean Badovici al quale Gray lascia la casa di Roquebrune e tutto ciò che contiene. Oramai appartiene al passato. Lei stessa racconterà all’amico e biografo Peter Adam molti anni più tardi come abbia sempre desiderato separarsi dalle sue opere un istante dopo averle concluse. “Mi piace fare le cose ma odio il possesso” afferma. Lasciare Roque-
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brune vuole dire anche allontanarsi dal mondo di Badovici, dalle sue abituali frequentazioni, tra queste Le Corbusier e la moglie Yvonne Gallis. Con le Corbusier Gray ha sempre intrattenuto un rapporto amichevole e al contempo distaccato e critico. Nel 1938 Le Corbusier, dopo un soggiorno estivo trascorso a E.1027, chiede a Badovici, divenuto nel frattempo l’unico proprietario, di poter dipingere alcune pareti della casa. Poco si sa dell’accordo tra i due, ma bene si conosce l’effetto che questo intervento produce sulla casa e sui rapporti tra Le Corbusier, Badovici e Gray, quest’ultima all’oscuro di tutto. Per ospitare i suoi murales Le Corbusier modifica alcune parti: chiude la zona d’ingresso alla casa, cancella o ingloba nei murales alcune scritte. Nel 1948 afferma come i muri da lui scelti per l’intervento siano “i più piatti, i più spenti e insignificanti”. La presenza di questi murales ha fatto sì che diversi critici ritenessero (fino alla riedizione dell’Architecture Vivante avvenuta nel 1975) si trattasse di una casa sconosciuta di Le Corbusier. Jean Badovici, ma soprattutto Gray, valutano negativamente il modo in cui Le Corbusier è intervenuto sull’edificio, diversi scambi epistolari lo attestano. L’autore dei murales non accetta né critiche, né rimostranze. Ben convinto del valore artistico del suo gesto. Nel 1956 Jean Badovici muore e la casa passa alla sorella, una monaca rumena, sua erede. È in questa circostanza che avviene un nuovo contatto tra Le Corbusier e Gray, oramai distanti l’una dall’altro. Acquistato un piccolo terreno a pochi metri dalla Maison en bord de mer, nel 1952, Le Corbusier costruisce come si sa “le cabanon” che frequenterà sempre più assiduamente dal 1957, anno della morte della moglie. Interessato alla casa progettata da Gray (nel frattempo messa in vendita) convince l’amica svizzera Madame Schelbert ad acquistarla. Quattro sono le persone che si presentano all’asta, tra questi vi è anche l’armatore Onassis, ma è la signora svizzera a spuntarla su tutti. Gray tenta di riprendersi almeno i mobili, sapendo che la nuova proprietaria è intenzionata a disfarsene perché non interessata. Ma è sempre Le Corbusier a convincere l’amica dell’insensatezza dell’intenzione e a mantenere tutto come l’ha trovato. E così, Madame Schelbert assecondando le richieste dell’amico, avrà cura della casa fino alla propria morte, quando pas-
serà in eredità al suo medico personale che nel corso degli anni trasferirà l’arredamento portandolo, pare, nella propria residenza in Svizzera. Il 27 agosto 1965 anche Le Corbusier scompare durante una nuotata proprio nel braccio di mare che fronteggia E.1027 e le cabanon, lì accanto. Che strana storia questa casa. Una storia, ma soprattutto un destino, sui quali Gray negli ultimi anni della sua vita non intenderà ritornare.
1 E.1027: E = prima lettera di Eileen; 10 = “J” decima lettera dell’alfabeto … Jean; 2 = “B” seconda lettera dell’alfabeto … Badovici; 7 = “G” settima lettera dell’alfabeto... Gray 2 Si tratta dello scritto “De l’éclectisme au doute”. Il titolo scelto si ispira probabilmente allo scritto sull’arte di Baudelaire De l’éclectisme et du doute. Qui i due autori si interrogano vicendevolmente sui destini dell’arte e dell’architettura moderna. 3 Nella relazione descrittiva che accompagna il progetto E.1027 (pubblicata nel numero monografico di L’Architecture Vivante sempre nel 1929) vengono affermati i principi che ispirano e sostanziano questo progetto a cui Jean Badovici ha in parte collaborato. La relazione redatta dai due autori non illustra semplicemente l’opera ne enuncia i presupposti e intenti. Va detto che i due firmano questa opera nonostante la progettista principale dell’intera opera sia Gray, come i documenti attestano.
Bibliografia P. Adam, Eileen Gray, architect/designer. A biography, Pubblished by Harry N. Abrams, Inc. New York, 1987. G. Bassanini, Dialogo con Eileen Gray: la grammatica della soggettività, Tesi di Dottorato, (1995) VI ciclo, Politecnico di Milano, Politecnico di Torino, Università degli Studi di Genova, Università degli Studi di Napoli, 1991-1994. G. Bassanini, R. Gotti, a cura di, “Le architettrici”, Parametro, numero monografico 257 maggiogiugno 2005. G. Bassanini, Per amore della città. Donne, partecipazione, progetto, FnancoAngeli, Milano, 2008. C. Constant, Eileen Gray, Phaidon, London, 2000. P. Nicolin, a cura di, Entrez lentement, catalogo della mostra realizzata dalla Fondazione Cosmit Eventi,, 13 aprile-7 maggio 2005, Editoriale Lotus, Milano. E. Gray, J. Badovici, “E.1027. Maison en bord de mer” in Architecture Vivante, autunno-inverno, édition Albert Morancé, Parigi, 1929. In questo numero sono anche raccolti lo scritto “De l’écletisme au doute” e la relazione descrittiva. S. Hecker, C.F. Muller, Eileen Gray, Editorial Gustavo Gili, S.A., Barcelona, 1993. B. Loye, Eileen Gray. Architecture design, Analeph, J.P., Vignier, Paris, 1984.