Paolo Zermani
Dentro la maschera E-mail tra Andrea Volpe e Susan Yelavich
Cinque anni fa, alle sei del mattino, con Susan Yelavich partimmo da Roma diretti a nord, verso Parma. Meta finale del nostro viaggio era un’architettura che Susan intendeva visitare per il suo nuovo libro, un grande atlante sul progetto di interni contemporaneo uscito poi nel 2007 col titolo di Contemporary World Interiors. Il suo interesse per Casa Zermani risiedeva non solo nell’evidente natura di manifesto degli interessi dell’architetto per temi quali identità, storia e tradizione, ma più specificatamente nell’enigma generato dalla contrapposizione fra l’icasticità del fronte ed i nascosti ambienti interni dedicati alla vita familiare. Avendo qui un’ulteriore occasione di parlare della casa, abbiamo chiesto alla critica americana docente di Teoria e Storia del Design alla Parsons Design School di New York di ricordare quella limpida giornata invernale spesa fra una passeggiata in una campagna coronata da un incredibile -e rara- visione delle Alpi e l’esplorazione di ciò che attendeva di essere rivelato dentro la maschera. AV: “Se devo pensare a Casa Zermani come ad un chiaro esempio di applicazione del concetto di maschera in architettura, non posso non pensare agli antichi greci ed all’uso che loro facevano della parola pròsopon. Con questa parola essi definivano sia il volto dell’uomo che la maschera teatrale, sfumando così ogni differenza fra realtà e sua rappresentazione. Ovviamente la maschera nascondeva il volto dell’attore ma allo stesso tempo essa diveniva il mezzo e lo strumento per esaltare il suo talento e la sua voce. La casa usa la facciata nel medesimo modo. Proteggendo la privacy della famiglia non negando l’identità dei suoi componenti. Sì, la facciata della casa è una maschera, ma non inganna, non mente. Essa dice
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la verità, in modo deciso ed allo stesso tempo quieto.” SY: “Ricordo chiaramente quel giorno, la casa e la conversazione che avemmo con Zermani, la sua squisita ospitalità. Casa Zermani sembra guardare il mondo interrogandolo, ma quel giorno essa ci diede il benvenuto con uno sguardo discreto. Nascosta dietro all’enorme oculo trovammo la porta. E come quando si ricerca un passaggio segreto, durante il tempo necessario a varcarne la soglia, avemmo la sensazione che qualcuno ci osservasse. Era la donna del ritratto ovale posta al centro del secondo cerchio della finestra. L’ulteriore e veritiera maschera degli abitanti della casa. E se per un attimo avessimo pensato alla finestra circolare come alla pupilla di un occhio aperto solamente sull’esterno, la donna del ritratto ci avrebbe ricordato che lei era là per raccontare un’altra storia. Quella di interno ricco di altri e profondi significati che finalmente comprendemmo una volta raggiunta all’interno della stanza dove lei abitava. Un intima biblioteca a doppio livello, dove due sedie fronteggiavano il camino e non la veduta. Ogni facciata è una maschera, ma questa in particolare mi ha colpito perché progettata per esaltare la sorpresa del volto nascosto dietro di essa. Come se l’austera geometria della casa dovesse proteggere la sua incarnazione più familiare. Ne abbiamo parlato a lungo quel giorno durante il pranzo. I sapori della casa di campagna si accordavano perfettamente con la semplice decorazione ad occhielli delle tende. Una sensazione di intimità che era protetta dal severo, primordiale tetto a falde. Un’ospitalità quella di Zermani e della sua casa franca e sincera, senza alcuna ostentazione o falsa retorica; e per questo preziosa nel suo smascheramento.”
Casa Zermani Varano (PR) 1997 Progetto: Paolo Zermani Collaboratori: Eva Grosso Foto: Mauro Davoli