Firenze Architettura 2007-2

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soggettivismo del gusto). Rimozione, questa, che ha innalzato tra noi e l’Architettura una barriera insormontabile. Così, lo sforzo essenziale della Theoría diventa lo sforzo di annientare questa barriera, riconvertendo lo sguardo all’estetico, all’intatta (universale) inviolabilità delle sue figure. Il che ci porterebbe a riaprire le distanze, riassestare le posizioni e riconvertire i rapporti: tra noi e l’Architettura, tra la sfera del soggettivo (dei creatori della Forma) e la sfera dell’oggettivo (dei servitori della Forma). Laddove riaprire le distanze vorrebbe dire riconoscere la vastità che ci separa dal piano degli universali, dalle potenze che lo abitano (Architettura è una di queste); riassestare le posizioni equivarrebbe a riconoscere l’inferiorità nostra, degli individuali, di fronte alla superiorità sua (di Architettura); riconvertire i rapporti significherebbe riconoscere che l’Architettura non è dominabile dalla nostra volontà ma che siamo noi, semmai, ad essere chiamati nel suo dominio, dove i nostri calcoli e i nostri arbitrii non hanno alcuna presa ma dove è la Forma a tenerci legati a sé, con la potenza della fascinazione e dell’incanto. Valentina Rossi

Riccardo Butini Giovanni Michelucci. Fotogrammi del museo, Edizioni Diabasis, Reggio Emilia, 2007 È stato detto che fu il genio del Rinascimento a liberare Firenze dall’assedio delle truppe tedesche nell’estate del ’44 quando il corridoio vasariano, tornando alla sua antica funzione di presidio della città, servì al C.T.L.N. per ristabilire i contatti con gli alleati che già si trovavano sulla riva sinistra dell’Arno. La desolazione di una Firenze semideserta, solo attraversata dai movimenti clandestini dei “resistenti”, e lo scenario sublime dei quartieri sventrati e della vita interrotta dei loro interni, suggeriscono a Giovanni Michelucci l’immagine seducente di una “città nascosta” contenuta all’interno della città nota, dove lo spazio, identificato col percorso, fluisce senza interruzione da un’architettura all’altra alimentando l’organismo urbano come linfa vitale. Il complesso museale degli Uffizi, del corridoio vasariano e di Palazzo Pitti rappresenta per il maestro pistoiese il paradigma di questa concezione architettonico-urbanistica. Insolito è il punto di vista proposto da Riccardo Butini sul pensiero e l’opera del maestro perché costituito dalla lettura di cinque filmati su Firenze (L’aerea via degli Uffizi 1 e 2, A misura d’uomo, Firenze: ipotesi per un itinerario, Corpus Magni Ingenii Viri Philippi Brunelleschi Fiorentini) che Michelucci realizza fra il 1971 e il 1978 insieme al regista di documentari Sergio Prati. Fra il raro

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materiale ancora poco noto del corpus michelucciano, in essi si delinea per frammenti il progetto del museo, da intendersi in una accezione ampia, astratta, tipologica e tuttavia non prescindibile dalla specificità architettonica fiorentina, i cui caratteri Michelucci traspone nella sua idea di museo come porzione di spazio urbano. Un “museo come strada […] che talvolta si lascia tracciare dallo stesso visitatore”, scrive l’autore, “libero di seguire l’itinerario che più interessa e che non può trovare una sintesi grafica in un segno netto, ma piuttosto nei filamenti ripetuti del disegno del maestro”. In questo senso gli Uffizi sono “il” museo e allo stesso tempo la città. Ma essi sono anche (e qui la compenetrazione è totale) il museo della città: “Per quanto ne scorgiamo attraverso i vetri, architettura e struttura urbana si aggiungono alle altre arti […], collaborando al crearsi di un’unica visione estetica” (dal testo decriptato de L’aerea via degli Uffizi 2). È scontato che tutto ciò non ha niente a che vedere con la museificazione di Firenze, sempre osteggiata da Michelucci come nemico mortale. Si tratta in realtà di una grande intuizione sulle intime connessioni che strutturano la città, ovvero di un generoso lascito teorico ricco di implicazioni progettuali. Il libro di Butini, che oltre al saggio critico sui film contiene l’analisi dei progetti per gli Uffizi e i testi decriptati dei documentari, ci consegna quella fertile immagine di Firenze, troppo spesso ignorata da architetti e politici impegnati nella sua trasformazione, che Michelucci traccia con parole appassionate cogliendo l’essenza profonda della realtà: “Chi afferra il significato di tale spazio, le misure ideali di tale paesaggio, avrà la chiave per penetrare in tutto ciò che qui è nato ed è l’espressione sensibile di questa dimensione” (dal testo decriptato de L’aerea via degli Uffizi 2). Francesca Mugnai

Lotus international 131 – 2007 Milano Boom Editoriale Lotus, Milano, 2007 All’inizio un saggio di Pierluigi Nicolin dedicato a interrogarsi su cosa stia succedendo a Milano nel passaggio dall’etica della produzione all’estetica del consumo. In chiusura una corposa nota per la cura di Pietro Valle incentrata sull’analisi di quegli interni a scala urbana che definiscono la milanese ossessione dell’enclave con nostalgia del futuro. Così si apre e si chiude il recente numero monografico di Lotus international dedicato alla metropoli lombarda: senza alcun commento (se non brevi schede con piglio propagandistico quasi

fossero state redatte dagli operatori immobiliari anziché dai progettisti) la rivista presenta la serie di casi tipo che fotografano il fenomeno in atto. Identificando il modello della Bicocca governato dallo studio Gregotti come ultimo segno della città compatta e disciplinata, memore ancora dei tracciati razionali della fabbrica di cui ne eterna l’impronta a frenare la dispersione e il caos della speculazione edilizia volgare, l’introduzione di Nicolin registra l’attuale passaggio a un’idea di enclave di matrice anglosassone la quale, contro ogni unità linguistica, esalta il valore iconico dei singoli oggetti dominati dal voler offrire a tutti i costi un (improbabile) idillio verdolatrico. Parrebbe abbandonato il Piano come strumento atto a conferire valore ai luoghi, inteso come criterio tipo-morfologico capace di indicare un’idea di città e in grado di mostrare un tutto cui ogni singola parte era subordinata. Negli Anni Settanta era la città dei bisogni basata su una pretesa di equilibrio, mai peraltro raggiunto. Ma erano gli anni in cui Pirelli e Alfa Romeo assumevano chi si fosse presentato ai cancelli della fabbrica con un buon diploma. Oggi - al contrario - siamo nella città dei consumi, ansiosa di voler fare a meno di un principio d’ordine capace di tutto contenere. Esclusi i nobili casi di Bicocca e delle aree ex-Falck di Sesto San Giovanni (Renzo Piano) su Lotus si susseguono le enclave, isole di microcosmi autosufficienti, che costruiscono un’altra città fatta di luoghi che a ciascun consumatore di riferimento si fan credere esclusivi, ma non al punto da diventare totalmente intransitabili. È la città della cattura dei valori. Cioè a dire di quei luoghi ambìti da tutti coloro che ne sono appunto esclusi, ma che comunque devono avere come orizzonte la possibilità di accedervi. A Milano oggi nessuno è considerato se non costruisce almeno 140 metri in altezza. Città improvvisamente dedita al grattacielo come panacea rispetto alla mancanza di piano e di un progetto per lo sviluppo. Ed è come credere di poter curare il corpo della città per agopuntura. E allora – necessariamente - la città delle enclave puntuali deve essere accessibile, o per lo meno, lasciarsi immaginare come accessibile nell’arco di una vita. Non è il mondo nuovo, ma assomiglia molto alla messa in vetrina di un rinnovato scenario. Tutto ciò, compresa la vicenda delle illustri firme necessarie a vendere un prodotto, ha sicuramente a che vedere con la città dell’offerta. Sul piano della forma, questo passaggio segna il prevalere di oggetti a forte contenuto iconico in buona misura indifferenti alla planimetria della città e delle sue reliquate parti compiute, oggetti che ambiscono a essere indipendenti dalla pianta e considerati per il loro essere dunque puro involucro. Il tutto solo in funzione della comunicazione e volto al bucare l’immaginario schermo per il quale tali oggetti sarebbero stati simulati. Non più per parti compiute, ma per grappoli, cluster


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