raria” a Firenze, attraverso modelli tipologici fino ad allora sconosciuti localmente, veniva al Guidotti dalla sua conoscenza delle realizzazioni straniere, belghe e francesi, e il primo “vasto fabbricato divisibile in sezioni, case, piani e quartieri di modiche pigioni” costruito nel quartiere di Barbano e destinato agli artigiani tessitori, introduce in città il tipo aggregativo in linea a blocco chiuso con cortili interni che viene a qualificarsi come un prototipo nel settore dell’edilizia popolare locale. Il fabbricato, situato tra viale Filippo Strozzi, via Dolfi, via di Barbano e via XXVII Aprile “contenente vari magazzini e n. 101 abitazioni per la classe bisognosa” è realizzato fra il 1849 e il ’51; originariamente di tre piani verrà sopraelevato di un piano nel 1868 per un totale di 132 alloggi. Il primo complesso viene seguito ben presto da un intervento localizzato nel nuovo quartiere delle Cascine posto fra via Montebello via Garibaldi e via Magenta: completato nel 1862, questo ripete la tipologia del precedente e al piano terra è in parte adibito ad uso scolastico. Negli anni successivi l’attività della Società si accelera: non va dimenticato che il trasferimento della capitale a Firenze aveva mosso una necessità di case improvvisamente assai più elevata. Il numero degli abitanti era passato dai 114.363 del 1861 ai 174.774 del 1866; la contrazione seguita con lo spostamento della capitale a Roma non aveva tuttavia ridimensionato il fabbisogno di alloggi reso più drammatico dalle demolizioni intraprese nel 1870 per la costruzione del mercato centrale delle vettovaglie. Ai primi due complessi realizzati nel quartiere di Barbano e in quello delle Cascine fa seguito un terzo blocco posto fra via Pier Capponi, viale Don Minzoni, via fra’ Bartolomeo e via Leonardo da Vinci, realizzato fra il 1865-66 e il 1867-68 comprendente 596 vani e anch’esso in parte adibito ad uso scolastico. Negli stessi anni –1865-66 –viene realizzato un altro complesso nel nuovo quartiere della Mattonaia, all’angolo tra via Niccolini e via della Mattonaia di 524 vani; mentre l’Oltrarno viene interessato da un edificio in via del Campuccio costruito fra il 1867 e il ’68 e da uno in via G. Paolo Orsini e via Baldovini che sarà demolito quasi un secolo più tardi a causa dei danni subiti nell’alluvione del 1966. Un altro blocco interessa l’Oltrarno, realizzato fra via Cavallotti e via Pisana nel 1869. Altri interventi saranno ubicati alla Piagentina, tra via Arnolfo, via Giovanni Angelico e via Cimabue, nel quartiere Savonarola e a Porta Pinti, tra Piazza
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Donatello, via La Farina e via dei Della Robbia: gli edifici “popolari” si mescolano con le nuove residenze della borghesia in fregio ai viali e nelle zone di espansione previste dal piano Poggi.2 I due edifici a San Jacopino e via del Ponte all’Asse costruiti nel 1869-70 saranno distrutti nel 1944 a causa degli eventi bellici. In totale gli edifici costruiti dalla Società Anonima Edificatrice alloggeranno 773 famiglie e oltre 3000 persone.3 L’attività della Società Anonima Edificatrice presenta due aspetti degni di interesse: quello urbanistico, in quanto va ad investire i nuovi quartieri programmati (Barbano, Cascine e in seguito Mattonaia) e le zone di espansione immediatamente esterne al centro che col piano Poggi diverranno preferenziali per la residenza borghese, e quello tipologico, nell’introduzione, come si è detto, di un modello assolutamente nuovo a Firenze: il blocco multipiano a cortile chiuso con corti interne, ripetuto nelle diverse situazioni e adattato ai differenti contesti. L’abbandono traumatico del ruolo di capitale, che, com’è noto, lascia nella città oltre all’amarezza della perdita, uno strascico considerevole di debiti, e una crisi politica che travalica i confini locali, allargandosi al governo del giovane stato unitario, non ha comunque ridimensionato il fabbisogno abitativo, improvvisamente aumentato dalla sconvolgente operazione di demolizione del Mercato Vecchio, che colpisce senza alternativa i quartieri più antichi e le fasce più povere della popolazione insediate nell’area. Intorno al 1880 prende consistenza la ridda di proposte riguardanti la zona del Mercato Vecchio e del Ghetto. Nonostante le numerose proteste che si levano contro l’ operazione, soprattutto fra le personalità emergenti della colonia di residenti stranieri,4 nel 1885 hanno inizio le demolizioni. Non appare dunque casuale il fatto che il 1885 segni anche l’avvio di due iniziative di tipo diverso orientate a fronteggiare la mancanza di case per i meno abbienti. Si tratta della proposta avanzata da due tecnici al municipio e della costituzione di una associazione caritatevole privata; se la prima è destinata a restare sulla carta, la seconda, viceversa, nell’arco di alcuni anni realizzerà un numero cospicuo di alloggi nelle diverse zone della periferia. La proposta presentata al Municipio di Firenze dall’architetto Piero Berti e dall’ingegner Gino Casini5 si configura come un tentativo di dare al problema abitativo una risposta in qualche modo
coordinata alle previsioni di espansione urbana, tale da coinvolgere l’ente pubblico nella gestione di una operazione globale di sviluppo. Questo appare l’aspetto più significativo del piano che tendenzialmente vede nell’alloggio popolare un elemento fondamentale fra i fattori di organizzazione della città “Il Comune potrà coordinare fra loro i due fattori (lato tecnico e lato economico) della trasformazione materiale di una parte della città, che sono l’uno all’altro così intimamente collegati; e potrà coordinare quelle nuove costruzioni al piano edilizio in rapporto al suo stato presente e in rapporto all’evenienza dei suoi futuri ingrandimenti”.6 Se ordine pubblico, morale sociale ed efficienza produttiva sono i punti di partenza dai quali muove il movimento riformista-conservatore nel campo dell’housing a livello europeo, la proposta presentata dai due tecnici fiorentini non si discosta troppo, in questo senso, dai termini su cui si articola il dibattito. La necessità di rialloggiare la popolazione allontanata dal vecchio centro “per ragioni di igiene, di moralità e di decoro” si propone al contempo l’obbiettivo di non riprodurre gli inconvenienti sociali di una concentrazione di classe simile a quella precedente, decentrando quindi opportunamente le aree da investire con questa iniziativa, senza tuttavia intaccare le zone privilegiate dalle classi abbienti. È evidente che non potendo rivolgersi alle zone migliori della città, le case economiche andranno ubicate in periferia e collocate addirittura al di fuori della cinta daziaria, nei casi in cui questa non sia troppo lontana dall’area edificata, un po’ ipocritamente “per far risparmiare alle classi povere il dazio d’ingresso dei generi di quotidiano consumo” e ai costruttori quello sui materiali da costruzione. L’esproprio per ragioni di pubblica utilità delle aree investite dall’operazione nell’ambito delle previsioni del piano regolatore è lo strumento che i tecnici suggeriscono, così come la cessione gratuita dei lotti per la costruzione delle case economiche e la vendita dei lotti per le costruzioni private, in modo da compensare le spese per l’esproprio e per l’urbanizzazione dei suoli. Le aree individuate come ottimali per l’ubicazione delle case economiche si localizzano in tre parti della città: fuori porta San Frediano, nel tratto compreso fra il viale da porta S. Frediano a porta Romana, via Pisana e Monte Oliveto; fuori della barriera S. Niccolò, nei terreni retrostanti il sobborgo della Colonna; nel