mente straordinarie ma narrativamente inerti, in attesa di entrare in un contesto più ampio. L’“effetto-Kulesov” ˘ è di conseguenza assai importante (ben più corposo del “fantasma” cui molta critica recente tenderebbe a ridurlo) ma resta ripiegato su se stesso proprio perché non prevede interazioni successive tra pubblico, regista e attore. Il montaggio dovrà essere qualcosa di più. Se attraverso di esso il regista vorrà investire e far propria completamente la struttura diegetica del film ricomponendola a partire dal proprio punto di vista (che, proprio in quanto tale, non
può coincidere con quello dello spettatore) dovrà essere in grado di condurre quest’ultimo sulle proprie posizioni attraverso la “messa in ordine” dei fotogrammi che ha girato. Il film vivrà nel rapporto tra i punti di vista dello spettatore e quello del regista che intrecciandosi e inseguendosi produrrà l’“effetto di visibilità” voluto. Senza punto di vista non c’è montaggio – ovvero il montaggio non si ridurre ad altro che all’atto fisico del proiettare le immagini girate senza che su di esse si sia intervenuto attraverso l’“estrazione di senso” che esse permettono. Il montaggio, allora,
non è tanto il mettere e rimettere insieme tanti frammenti quante sono le scene girate (è noto che i film non vengono girati seguendo temporalmente la lettura della sceneggiatura ma a seconda della disponibilità delle locations e degli attori) quanto l’attribuire ad essi un senso più profondo che permette allo spettatore di giudicarle adeguatamente giustificate e/o comprensibili. Roland Barthes ha definito questo senso “ottuso” – il termine sembra ovviamente spregiativo ma nell’ottica del semiologo francese non lo è affatto.
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