Diari Dalla Bovisa # 0

Page 1

DIARI DALLA BOVISA MARZO 2007

GLI ESAMI NON FINISCONO MAI

...ANCHE PER I PROF!

PERIODICO UNIVERSITARIO STUDENTESCO POLITECNICO DI MILANO BOVISA ANNO 1 NUMERO ZERO

EDITORIALE di MAURO CASELLATO Caro Diario, sappi che fuori piove. E’ domenica pomeriggio e la sera oggi mi pare che non arrivi mai. Pensavo che io e te potremmo andar lontano per qualche istante almeno, oltre, perché no!?…dalla Bovisa, dalla periferia di strade e palazzi che dicono siano meglio di altri solo perché, prima del calar d’un sole feriale, si vede in giro qualche studente che va di fretta verso la stazione o a lezione -C’è differenza?- magari profugo di altre peggio disarmate periferie, ma in fondo tutte uguali alla nostra, adesso, bagnata d’un grigio scuro chimico e sporco che s’asciugherà solo dormendo, senza quel riflesso di luci d’auto scazzate o incomprensibilmente isteriche. E nasce nella prima pagina d’un diario la nostra avventura, che certamente ha già visto più cose di quante avremmo potuto ricordarne e che per parte mia, probabilmente, tu, solo nel tempo apprenderai, perché magari eri ancora giovane per giocare davvero sul serio, o eri distratto oltremisura dal sorriso di una donna, o finito steso strafatto sul divano(?)... troppo per viverle quando capitavano, mentre io..io sono in molti luoghi contemporaneamente. Qui addormentato su un foglio d’appunti, lì rappresentante in battaglia per costruire dei diritti che non sapranno mai, di là ad ascoltare con i piedi in fermento la fine della lezione. Sono il mio compagno che si dispera per un esame il giorno dopo, per un piano di studi andato a male, quello in coda al distributore del caffè a imprecare tanto per dirne una, perché dio magari esiste, ma non ha trovato il tempo, o il coraggio, di frequentare un giorno soltanto ingegneria in Bovisa -Noi lo sappiamo che serve a mandar giù quella broda zuccherata, quella che costa meno!- L’altro ieri durante la pausa pranzo sul prato a salvietta sono inciampata in una discussione se DICO a destra oppure perché non DICO a sinistra, sarò franca se giuro che io sono per dirle a tutti indifferentemente e basta; e non m’hanno inteso perché io ero la timida del primo anno e avevo quella vistosissima macchia di caffè che pendeva sulla maglietta bianca attillata…E sono la prof con gli occhi illuminati dalla follia dei giusti, le labbra ammorbidite dalla sofferta passione per quelli che nel ‘progresso’ non c’è mai posto, per la vita in cerca di una speranza normale. Ti ricorderai di me, perché sono quella che racconta l’impegno in un paesino del Perù, e lassù a far che non ricordo, io ero anche quello che scriveva un messaggino alla morosa in terz’ultima fila, che le volevo bene certo, ma si sbrigasse ché il nostro treno partiva (io ero fuori dalla porta); spiega ai pochi rimasti ad ascoltarla che ingegneria non è più quella di una volta, dev’essere molto, molto altro per non finire pressoché sterile a graffiare il mondo d’oggi globalizzato, interconnesso, intercambiabileabassocosto,babelicoperusi,costi,costumi, lingue, tecnica, idea di che sia la felicità o il progresso, sensibilità per metterla in una parola. E questo mentre la terra sotto i piedi si restringe in una rete che speriamo non si strappi mai, anche se così si sta più stretti che quando si stava sulla Pangea! Perché insomma io, che sono ancora lei, sottolineo

(continua a pag.4)

Cari lettori, attraverso l’edizione 0 del neonato giornale dalla Bovisa, vorrei ringraziare la redazione per aver dato la possibilità a noi studenti del Campus di poter realizzare uno strumento informativo. Questo giornalino è per me la premessa a qualcosa di attivo, operativo, dialettico che possa impegnare la nostra mente sempre avvolta in un involucro di formule e numeri a liberare le idee, le conoscenze, le passioni e rendere i propri colleghi partecipi e nello stesso tempo parte coinvolgente del difficile processo di formazione e maturazione di un cittadino. (continua a pag.2)

INTERVISTA AD UNA NEOLAUREATA

Prime esperienze nel mondo del lavoro di Giulia, ingegnere informatico

I

ngegneria, si sa, è sempre ai primi posti nelle statistiche dei neolaureati assunti in un arco di tempo relativamente breve, tuttavia è sempre utile informarsi su come funziona il mondo del lavoro per noi futuri ingegneri! Ecco allora che abbiamo pensato di intervistare una giovane laureata, che è stata una fonte di informazioni di prima mano sul mondo del lavoro in Italia e all’estero e allo stesso tempo ci ha fornito uno sguardo retrospettivo sull’efficienze dell’esperienza di studio al Politecnico. Ciao Giulia. Di te sappiamo che ti sei laureata nell’Aprile del 2006 in Ingegneria Informatica al Politecnico di Milano. Come è iniziata la tua esperienza nel mondo del lavoro e di cosa ti occupi? Dunque, subito dopo la laurea ho lavorato circa cinque mesi in Francia, presso la società Amadeus di Sophia Antipolis (non lontano da Nizza). Amadeus è un’azienda poco conosciuta in Italia. La sua mission è produrre, manutenere e fornire in uso il software per la gestione delle transazioni fra le compagnie aeree e i clienti (prenotazioni dei voli, emissione dei biglietti, pagamenti, ecc.) E’ stata costituita in joint venture dalle cinque maggiori compagnie aeree europee, esclusa Alitalia chiaramente (ridacchia..”noi rimaniamo sempre fuori”). Nella sede di Sofia Antipolis, la società impiega 2200 dipendenti. Da fine ottobre ho “preso servizio” nella filiale italiana di SAP, in un reparto che si chiama HUB. In questi primi mesi sto seguendo un training per diventare “solution consultant”. E’ un lavoro che mi piace e credo di essere stata fortunata a trovare un lavoro dove mi è offerta la possibilità di imparare, crescere e viaggiare. Cosa puoi dirmi di questa primissima esperienza? Innanzitutto che ho imparato cosa vuol dire lavorare in una grande azienda. Il lavoro era interessante (scrivevo specifiche tecniche, niente coding), parlavo inglese tutto il giorno e sono riuscita pure a imparare il francese necessario alla sopravvivenza quotidiana … però vivere fuori dal tuo paese di origine ha anche i suoi lati negativi. Ti senti come tagliato fuori. Se parli la lingua del paese dove sei” immigrato” va già meglio, ma la cultura e la politica sono diverse, non te ne senti parte, non so se mi spiego. Tutti gli italiani che lavorano in Amadeus usano le loro ferie per rimpatriare…e alla fine sono rimpatriata anch’io.

diaridallabovisa@studentipolitecnico.it

Dai uno sguardo retrospettivo alla tua esperienza universitaria: come valuti, con il senno di poi, la formazione che il Politecnico di Milano è riuscito a garantirti? Devo dire che ho la sensazione che molte persone sottovalutino la formazione che il Politecnico di Milano dà ai propri studenti. Si celebrano percorsi triennali seguiti da un biennio in altre università, si esaltano master negli Stati Uniti…. Io ti riporto la mia esperienza. In Amadeus France ho avuto modo di lavorare con ingegneri informatici di 26 nazionalità diverse e anche in questo momento, in SAP, faccio parte di un team costituito da ingegneri e specialisti di diverse nazionalità, distribuito in più paesi. Non credo che un ingegnere del Politecnico di Milano abbia niente da invidiare ai suoi colleghi laureati all’estero. Per certi versi la nostra formazione di tipo ingegneristico (fisica, matematica, chimica, ecc) ci dà la possibilità di affrontare con mente più aperta e flessibile i problemi che si possono incontrare nella vita lavorativa reale. Entrando poi nello specifico del profilo dell’ingegnere informatico ho notato che spesso i colleghi che ho incontrato all’estero hanno fatto stage in azienda e si sono specializzati molto su tecnologie proprietarie. Il Politecnico invece dà una formazione più generale,

(continua a pag.2)

ALL’INTERNO

Ai miei tempi... quando studiavo io Salvatore Gentile

So inseguire i miei sogni Giovanni Bono

Questa è solo un’opinione

Alessandro De Giorgi

Numero Zero la Redazione


2

non focalizzata sull’apprendimento di uno specifico linguaggio o sull’ultima tecnologia “di moda”, non risponde all’esigenza momentanea e volubile del mercato. Il Politecnico ti offre gli strumenti per impadronirti da solo delle nuove tecnologie che nasceranno, te ne dà i mezzi di interpretazione. Credo che questa sia la cosa che mi è stata più utile. Nonostante tutto si parla tanto di fuga di cervelli, e anche la tua esperienza conferma le statistiche. Cosa ti ha condotta a svolgere le tue prime attività lavorative all’estero, scelta o necessita?

prima parte

Sarà bene che i neo-laureati dei prossimi anni si preparino all’idea. Non potranno dire che non sapevano. Se continueranno a subire passivamente la retorica della globalizzazione (in primo piano - quello virtuale- lustrini e i fuochi d’artificio, in secondo piano – quello della vita reale - un destino di instabilità che non risparmierà nessuno), o addirittura a farsene consapevolmente portavoce, il mondo reale riserverà loro delusioni atroci. A questi processi storici non c’è mezzo di resistere se si resta sul piano individuale.

DIARI DALLA BOVISA subisce e basta e poi non serve a niente lamentarsi. Diceva Elie Wiesel: “Al mondo molte sono le atrocità e moltissimi i pericoli. Ma di una cosa sono certo: il male peggiore è l’indifferenza. Il contrario dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza; il contrario della vita non è la morte, ma l’indifferenza. Il contrario dell’intelligenza non è la stupidità, ma è l’indifferenza. È contro di questa che bisogna combattere con tutte le proprie forze. E un’arma esiste: l’educazione. Bisogna praticarla, diffonderla, condividerla, esercitarla sempre e dovunque. Non arrendersi mai.”

Il mio consiglio è di non considerare “la politica” o il Direi un mix. Non penso che sarei riuscita a trovare “leggere i giornali” come una cosa inutile: se si conoin Italia le condizioni lavorative che mi hanno offerto sce si può fare qualcosa, insieme, se non si conosce si Un ultima domanda: quanto è importante la conoall’estero. Ho una foto che ho scattato a fine scenza delle lingue, e in particolar modo luglio ad alcuni miei colleghi ingegneri informadella lingua inglese? tici. Le tre persone al centro sono tre dei primi laureati in ingegneria informatica del nuovo orE’ importante, è importante. Soprattutdinamento: tre 110 e lode. Beh…lavorano uno to l’inglese. All’estero, sul posto di lavoro, a Tokio, una a Londra e l’altro a Lugano. E non sono solo i 110 e lode ad andarsene. Da sinistra a destra Bazzano MariaPia, Bianculli Domenico, Perathoner Simon nelle grandi aziende, è richiesto soprattutto un buon inglese. Se Non c’è da stupirsi. poi ci si destreggia con la lingua Sai cosa pubblicano sul sito della del posto, ancora meglio. SapeFacoltà di Ingegneria Elettronica re una lingua bene è importandell’Università di Nizza? Scrivono tissimo…si hanno molte più che un neolaureato della facoltà possibilità di trovare lavoro. (ingenieur debuttant) può aspettarsi uno stipendio che va dai 2.100 ai Grazie della tua disponibilità! 2.800 euro al mese (anche se fosse un importo lordo non sarebbe Grazie a voi, e in bocca al lupo male!), e parlano di un contratto per il giornale! a tempo indeterminato (n.d.r.. http://portail.unice.fr/jahia/ page437.html). Cerchiamo un/una È una dichiarazione importante: vignettista! scrivi a: mi chiedo quante università in Italia siano in grado di dichiarare diaridallabovisa che i loro laureati troveranno rapi@studentipolitecnico.it damente lavoro ( in patria ) e che si possono aspettare queste condizioni.

“All’estero, sul posto di lavoro, nelle grandi aziende, è richiesto soprattutto un buon inglese. “

Forse sei ancora giovane per poter fornire una valutazione globale, però ti chiedo: dal tuo punto di riferimento privilegiato e un po’ avulso dalle dinamiche nazionali, cosa ne pensi della situazione del mondo del lavoro (soprattutto dei neolaureati) all’estero? Beh, non saprei generalizzare. Quello che posso dirti è che ho colto la tendenza, da parte dei datori di lavoro, ad offrire contratti di lavoro precari, non raramente indegni, non soltanto in Italia. Ai neo-laureati, per lo più vengono offerti contratti di lavoro a tempo determinato. In Francia non sono ancora arrivate le bestialità che vanno per la maggiore in Italia, come i contratti a progetto. Ma il contratto a tempo indeterminato, che ai tempi dei nostri padri era un’ovvietà al momento della prima assunzione, oggi, molto spesso e quasi ovunque in Europa, ti viene fatto intravedere come un lontano miraggio, una straordinaria concessione, dalla quale ti separa un lungo percorso ad ostacoli. Nella formazione di team che devono agire in ambienti multilingue vengono privilegiate in modo esasperato logiche di depressione dei salari: si preferisce l’assunzione di personale basato su paesi con livelli salariali più bassi (spagnoli, italiani, polacchi, ungheresi), addirittura si trasferiscono dipendenti da paesi più protetti a paesi meno protetti. Conosco singoli casi di italiani che hanno vissuto la loro intera vita in un paese estero, che dovranno continuare a lavorare nella stessa sede estera, ma sono stati assunti con base in Italia. In questo modo il costo aziendale è minore,ma per i dipendenti, sono minori anche i salari e le tutele normative. Insomma, la situazione generale non è allegra. La famosa “delocalizzazione” è in opera potentemente, anche nelle alte tecnologie. Noi giovani ingegneri ci illudiamo che la globalizzazione sia un fenomeno che riguarda al massimo i lavoratori manuali. La maggior parte di noi non è preparata all’idea che la globalizzazione rarefà e precarizza anche le professioni intellettuali. Eppure abbiamo sentito che le manifatture migrano in Asia orientale, che la produzione e manutenzione del software vengono delocalizzate in India….

GLI ESAMI NON FINISCONO MAI (continua dalla prima pagina)

Le verifiche si sono appena concluse, abbiamo se- dati sono noti solo al Presidente dell’Osservatorio delguito i corsi del primo semestre e abbiamo avuto la la Didattica di ogni singola Facoltà e al Preside di Fapossibilità di valutarli. Ricordate bene, infatti, che ne- coltà. È infine compito del Preside prendere i dovuti gli ultimi giorni di lezione giravano tra le aule alcuni provvedimenti per correggere le eventuali anomalie e ragazzi per distribuire i cosiddetti “questionari per la le imperfezioni sia di tipo didattico che infrastrutturale e comunicarlo poi al Rettore. All’interno della facoltà valutazione della didattica”, che abbiamo compilato. Cosa sono questi fogli? Bene, il questionario per la di Ingegneria Industriale si è svolto un Consiglio di Favalutazione della didattica è uno degli strumenti che coltà in cui c’è stata un’ampia discussione sulla relaziohanno gli studenti per poter dare un giudizio sulla ne del presidente dell’OdD, segnale che qualcosa si sta qualità della didattica e delle strutture formative e ve- facendo e che alcuni risultati iniziano ad aversi. rificarne l’efficacia. È un questionario composto da Resta ancora il legittimo dubbio, e non solo degli stualcune domande che riguardano l’organizzazione del denti, sul perché i risultati non siano “totalmente” visicorso di studi, dell’insegnamento, le attività didattiche, bili agli studenti ne agli altri professori, al fine di poter le infrastrutture e l’interesse generale verso ogni singo- innescare, a mio avviso, un processo virtuoso che possa la disciplina. È un questionario ministeriale comune a migliorare l’attuale condizione. Ma a riguardo qualcotutti gli Atenei italiani sa sembra che rappresenta uno “Dare un giudizio sulla qualità della didattica muoversi! dei criteri di valuta- è importante soprattutto per noi studenti che Resta il fatzione della qualità to che certi siamo i primi a subirne gli effetti.“ della didattica. Ogni strumenti singolo ateneo, o facoltà (come per esempio avvie- possono essere efficaci se a discutere ci sono degli inne in IV facoltà a Bovisa) può decidere di integrare il terlocutori seri. Se i docenti decidessero di mettersi in questionario con ulteriori domande al fine di ottenere gioco, noi studenti non potremmo agire con la solita informazioni più utili e pratiche per i docenti e in ge- inerzia che ahimè spesso ci contraddistingue!!! Dobnerale per la propria università. biamo essere seri, responsabili, partecipi; dobbiamo Dare un giudizio sulla qualità della didattica è impor- metterci anche noi in gioco senza nessun timore. La tante soprattutto per noi studenti che siamo i primi responsabilità di noi studenti è fondamentale per poa subirne gli effetti. Dalla qualità della didattica infatti ter avere dei risultati più attendibili, per aiutare i docendipende la nostra preparazione, le nostre competen- ti a migliorarsi, per dare una mano alle strutture delle ze sia da studenti che da futuri tecnici, lo stimolo del singole facoltà ad intervenire con più decisione nel nostro ingegno a migliorarsi e la possibilità di essere correggere le deficienze della didattica, per dimostrare che noi studenti vogliamo essere parte attiva del procompetitivi con i nostri colleghi europei e mondiali. Ma una volta compilato e consegnato il questionario, cesso di miglioramento dell’Università perché sappiacosa succede? Ehhh… a questa domanda non si può mo che siamo i primi ad esserne interessati, e perché dare una risposta univoca, nemmeno qui, all’interno solo di fronte alla piena responsabilità si ribadisce la del Politecnico. L’iter corretto sarebbe quello di rac- centralità del nostro ruolo. cogliere i questionari, elaborare i risultati, verificarne Ecco perché già da subito possiamo dare i primi l’attendibilità, stilare due rapporti in cui uno viene segnali: diamo un voto al Poli anche noi!!!! pubblicato, è visibile anche agli studenti ed è oggetto di dibattito tra tutti, ed un altro rapporto invece i cui Vincenzo Spallina

diaridallabovisa@studentipolitecnico.it

vincenzo.spallina@mail.polimi.it


open source

DIARI DALLA BOVISA

...AI MIEI TEMPI QUANDO STUDIAVO IO

Q

uante volte abbiamo sentito dire da un genitore, un professore, una persona più grande di noi, le frasi: “Ai miei tempi le cose dovevo sudarmele…” oppure “Quando frequentavo io l’università…”. Quante volte veniamo accusati del fatto di essere una generazione di qualunquisti, di gente che non si sforza di ottenere le cose, che ha ogni confort a disposizione, che preferisce una partita alla playstation piuttosto che leggere un giornale. Traslando tutto in ambito universitario, che poi è l’habitat dello studente, il qualunquismo sembra essere il leitmotiv della vita in ateneo. Tutti hanno almeno una cosa di cui lamentarsi, molti hanno idee migliorative, buona parte partecipano alle attività organizzate dai gruppi studenteschi, pochi si

So inseguire i miei sogni, ma loro sanno seminarmi.

L

preoccupano di investire il loro tempo per organizzare le attività, pochissimi ascoltano e tentano di risolvere i problemi in ambito didattico e non. Il motivo? Beh, sarei curioso di conoscerlo. Vorrei sapere perché gli studenti vengono all’università solo per studiare, seguire una lezione, magari una chiacchiera e poi via a casa. Perché non vivono il campus? Facile la risposta di molti: non ci sono spazi, cose da fare, ecc… Ancora più facile la ribattuta: CREATEVELE!!! Il politecnico mette a disposizione ogni anno un bel po’ di soldi, che tra l’altro provengono dalle tasse che tutti noi paghiamo, per finanziare le attività culturali degli studenti. E se raccogliere 50 firme per la richiesta vi sembra un’impresa insormontabile ci sono sempre i gruppi studenteschi che lo fanno per voi. Le attività sono le più svariate: giornalini studenteschi come questo, mostre, conferenze, viaggi, concerti, tornei….ve ne servono altri????? Sicuramente qualcuno obietterà che sono una perdita di tempo, che vogliamo diventare ingegneri e il tempo è inesorabile eccetera eccetera….io non ci credo

3 a queste menate…. sono le frasi di gente statica, di gente noiosa, di qualunquisti. Tirate fuori il carattere e migliorate il posto in cui vivete…informatevi sulla vita universitaria…seguite una conferenza…scrivete un articolo di giornale…spendete meglio il vostro tempo all’interno del campus…oppure, e qui sfido chiunque abbia letto questo articolo, scrivetemi una mail per mandarmi a quel paese se pensate che tutto ciò che avete letto non assomiglia molto alla realtà. Salvatore Gentile salvatore.gentile@mail.polimi.it

Volete collaborare anche voi con la redazione? Studenti, prof, ricercatori, scriveteci e commentate a:

diaridallabovisa@studentipolitecnico.it

QUESTA E’ SOLO UN’OPINIONE

Questa è solo un’opinione, il titolo non mente. E in questa sezione ognuno di voi potrà argomentare liberamente su qualsiasi tema dello scibile umano o rispondere agli articoli altrui: potrà esprimere la propria opinione insomma! Non abbiate paura di dire la vostra, di venir corretti o di scoprire di esservi sbagliati… in fondo la vostra (come anche la loro) è solo un’opinione!

giovanni bono lanevecadesuicedri@hotmail.com

a considerazione e la conoscenza che un essere umano avrà mai di te dipende da un pregiudizio iniziale insindacabile. L’ho sperimentato nel corso delle mie, poche a dir la verità, esperienze. Ho concluso che il genere umano fa ridere, onestamente. La gente non ti conosce, e vuole saperne di te. Io non mi conosco, ma non voglio saperne degli altri. Forse è mio allora, il problema. Sanno di me solo qualcosa, eppure sanno tutto. Sanno di me che mi lavo i denti prima di andare a letto, ma dicono di sapere il colore dello spazzolino. E forse sì che lo sanno. Perché come non credo ci sia differenza tra la felicità e il credere di essere felici, magari non c’è differenza tra il sapere e il credere di sapere. Io cerco, e spero, di non sapere. Vi dico le cose che non so, anche se so che le sapete già. Io non so aggiustare la catena di una bicicletta. Non sono ferrato in nessun campo del sapere. Non so aggiustare una finestra che non si chiude bene, non so lavare i piatti, figuriamoci cucinare. Non so stare in piedi a parlare con la gente, non so cantare né suonare uno strumento, non so che cosa prendere al ristorante, e non faccio sport perché non ne sono capace. Io non so prendermi cura di un bambino, e nemmeno di un animale. Comprai un pesce rosso, tanti anni fa, e la mattina dopo lo trovai boccheggiante sul pavimento della cucina. Non so ringraziare le persone, né fare loro complimenti. Non so cosa è la vera perdita, perché non l’ho mai subita. Non conosco il passato del mio paese, non conosco il mio paese. Non conosco la vostra vita. Non so trattare bene i miei genitori. Non so credere nell’amicizia, non conosco il sudore del sacrificio, né la fede del religioso. Non so pisciare nel gabinetto per bene, non so usare la lavatrice, non so stendere il bucato in ordine. Non so sciare. Non so alimentarmi con cura, non so collezionare esperienze, non so credere nel futuro. Non sono in grado di progettare un’endoprotesi, non so usare nessun programma, non sono interessato ai codici informatici. Non sono veramente competente in nulla. Non so stupire nessuno, né fare sorprese, non so cosa voglia dire alzare una Coppa dei Campioni. Non so cosa sia la malva, non conosco i percorsi per fare trekking con gusto, né i metodi per sviluppare il fisico in due giorni. Non voglio annegare nell’oceano del vostro bicchiere. Morirò di sete, meglio.

QUESTA E’ SOLO UN’OPINIONE

Q

uesta è solo un’opinione appunto. Lungi da me l’intento di pontificare su un argomento così delicato e complesso. Anzi, spero sia proprio la tipologia d’argomento a spingervi a suggerirmi idee più brillanti o aderenti alla realtà di quelle partorite dalla mia mente annichilita. Il mio intento è argomentare su due parole dal significato diametralmente opposto, ma che sono casualmente molto simili morfosintatticamente: causalità e casualità. Possiamo renderci conto che quelle due parole appena scritte nascono da un’unica identica matrice, e si confondono e si alternano, a seconda delle occasioni. Possiamo spingerci ancora più a fondo ed affermare con una certa sicurezza che la casualità non esiste in natura, ma è solo un’illusione figlia della carenza di informazioni sullo stato di un determinato sistema complesso. Qualsiasi sistema che non riusciamo a determinare compiutamente con misure quantitative può dare esiti governati dal caso: la mancanza di dati sufficienti a descrivere totalmente lo stato di un sistema complesso in un determinato momento ci impedisce, ovviamente, di predirne le sue configurazioni future, ammesso che sia fisicamente possibile determinare lo stato esatto di un sistema. Da qui è nato storicamente il concetto di caso e tutte le parole ad esso correlate, quali fortuna e coincidenza: concetti legittimi e necessari per noi, limitate menti al carbonio. Se siete riusciti a seguirmi fin qui senza farvi vincere dalla tentazione di accartocciare il tutto e provare tiri liberi con il primo cestino adocchiato, avete la stoffa per andare avanti!

diaridallabovisa@studentipolitecnico.it

In altri termini, tutta la storia della conoscenza della specie umana è stato un continuo passare dalla casualità alla causalità, passare da un universo governato dal fato e da demoni capricciosi ad uno descritto da leggi fisiche, dove l’approssimazione è l’ultimo residuo di incertezza che ci permettiamo, ma anche per l’approssimazione, a dire il vero, ci sono leggi e scienze apposite. Prendiamo ora ad esempio il più semplice dei problemi sul moto dei gravi sulla Terra, descritto con buona approssimazione dalle leggi di Newton. Si può assumere una situazione semplificata (assenza di attriti, rotolamento senza strisciamento…), ottenendo un risultato apprezzabile ma relativamente lontano dal valore vero ideale. In questo modo non si è fatto altro che eliminare variabili, a nostro parere trascurabili, che al prezzo di una minore precisione ci restituisce un sistema più semplice con cui operare. Si possono quindi introdurre dati che descrivano più accuratamente il fenomeno, ottenendo un sistema via via più complesso da risolvere, ma anche un risultato sempre più simile alla realtà, al netto di inevitabili errori di approssimazione. I fenomeni, in buona parte, possono quindi essere modellizzati mediante equazioni che ne illustrino il funzionamento. Detto questo, analizziamo ora il fenomeno archetipo della casualità, il lancio di un dado da gioco. E’ facile rendersi conto che questo fenomeno presenta molte più variabili del moto rettilineo uniforme di una sfera ideale su una superficie ideale: la sua forma irregolare, la posizione iniziale delle facce, gli attriti dell’aria e del pavimento, la forza impressa e il momen-


open source

4 to angolare forniti dalla mano, gli ostacoli contro cui avvengono gli urti del dado e altri aspetti ancora più dettagliati costituiscono fonti di casualità di indubbio vigore. Ecco perché si ritiene il lancio di un dado un evento dominato dalla casualità: contiamo proprio su tutti questi fattori ingovernabili per garantire un esito quanto più casuale possibile, anche se l’aggettivo più appropriato sarebbe imprevedibile. Siamo ragionevolmente sicuri che nessuno sarebbe in grado di calcolare in tempo reale la faccia che il dado mostrerà una volta fermo semplicemente vedendolo girare. Ecco allora che l’idea di partenza prende vigore: il lancio di un dado non è un evento intrinsecamente soggetto al caso, ma relativamente alla nostra incapacità di prevedere l’esito del lancio: ecco perché nessuno ci lascerebbe lanciare il dado semplicemente appoggiandolo sul tavolo con la faccia desiderata rivolta verso l’alto: tutte le adduzioni di casualità verrebbero meno! Anzi, permettetemi questa domanda: siamo proprio sicuri che le facce di un dado (non truccato ovviamente) abbiano la stessa probabilità di uscire, che siano equiprobabili, dato che alla fine è solo una ad uscire? E’ chiaro che il lancio mescola le carte, introduce variabili di imprevedibilità, altera le probabilità e determina quale delle sei facce debba verificarsi storicamente; ma siamo sicuri che, tenendo conto anche della posizione iniziale del dado, non vi sia una faccia che abbia più probabilità delle altre di verificarsi? Se consideriamo tutto ciò vero, inoltre, diamo un’importanza senza eguali anche alla storia personale del dado, il percorso (a ritroso) delle sue posizioni da fermo che hanno avuto influenza sugli esiti dei lanci e sulle sue posizioni nel suo futuro anteriore. Più semplicemente, se noi potessimo conoscere le esatte forze in gioco durante il lancio, gli esiti degli urti, la perfetta equazione di un moto così vario e irregolare, unita alla conoscenza della posizione iniziale, allora potremmo asserire a priori, con un certo margine di errore, il risultato del lancio. L’onniscienza elimina ogni aspetto di casualità nella stessa visione della realtà e nella correlazione dei suoi eventi:è in questo modo che la casualità lascia pian piano posto alla causalità. Facciamo ora un esperimento ideale, per chiudere il cerchio: se è vero che le sei facce di un dado abbiano la stessa probabilità di verificarsi, e se è vero che sono le condizioni contingenti del lancio a determinare quale delle sei si verificherà, allora eliminando tutte le condizioni contingenti il dado non dovrebbe dare alcun esito, dovrebbe continuare a girare all’infinito senza riuscire a darci una risposta, come bloccato dall’impossibilità di scegliere tra sei esiti tutti esattamente uguali. Dovrebbe essere ormai chiaro che per condizioni contingenti intendo tutti quegli attriti, urti, e interferenze in senso lato che vanno ad alterare il moto del dado, introducendo imprevedibilità all’interno del sistema. E questo esperimento da ideale diventa reale se lo effettuiamo nel vuoto dello spazio interplenetario, dove davvero riesco ad eliminare tutte le forze e gli attriti esterni! Provate a far girare un dado su se stesso nel vuoto cosmico: continuerà a roteare per sempre! La spiegazione fisica è che nello spazio vuoto non ci sono attriti che possono arrestarne il moto: ma dopo aver letto queste righe potremmo interpretarlo anche come l’impossibilità del dado di offrirci un esito univoco tra sei eventi equiprobabili in assenza di fattori discriminanti, come gravità, attriti e urti su di un tavolo sulla Terra. Nello spazio vuoto elimino tutti i termini contingenti che introducono un elemento di determinazione, che permettono al dado di arrestarsi e alterano la probabilità di successo associata ad ogni faccia, altresì uguale per ognuna delle sei. In questa nuova ottica nulla sembra più casuale: casualità e causalità appaiono finalmente la stessa faccia della stessa medaglia. Alessandro De Giorgi

Numero Zero

DIARI DALLA BOVISA

corsivo

Numero Zero: zero come Principio, come caos primordiale da cui germoglia il seme dell’Ordine. Zero come il nero, un colore che vale zero? Zero come vuoto, vuoto nelle nostre teste che proprio non hanno saputo partorire qualcosa di meglio con cui riempire questo spazio. Zero come il Nulla, anche se il Nulla non è propriamente nulla se stiamo qui a parlarne. Zero come inizio, come il primo pulcino di una grande lunga covata, si spera. Zero come qualcosa di nuovo, come O, semplicità e perfezione. Zero come zero, zero come uno, come questo primo numero, questo primo Numero Zero.

EDITORIALE

(continua dalla prima pagina)

che per me l’ingegnere non è solo un tecnico iperspecializzato trattino in qualcosa, e barra speriamo che serva a comprarmi una grossa pagnotta, ma un uomo, una donna o entrambe se vuoi! Ah! Una cosa mi manca…Bah, però ti confesso che se non m’hanno eletto Mr Q dell’anno, in presidenza, sta bene così! Siamo troppo giovani per le grane sopra quattro briciole di gloria. Che? Ti sarai mica perso a chiederti chi sono io!?! Io lo so chi sono! E te l’ho pur scritto sopra, no? Sono un diarista della Bovisa, uno dei tanti che passeremo a trovarti in un giorno, ad un’ora, e con l’occasione che vorremo nel cuore. Ti racconteremo una storia che pare a noi, una denuncia, la sconfitta in tasca con una delusione che brucia dentro, o la gioia di un passo nella vittoria che ti vien la smania istantanea di raccontarla per non trovarti a volare da solo, oppure la biascicheremo non conoscendo le parole giuste, ma non te ne fregherà nulla se avremobussatolo stesso alla tua porta per chiedere di te. Stanne certo, o auguratelo piuttosto, che qualcuno dirà anche ‘destra’ e l’altro subito ribadirà con ‘sinistra’, e noi gli mostreremo le mani e capiranno che sono due, e devono a volte lavorare insieme senza perdersi in guerre di religione a costo di bisticciare ciascuno il suo. Perché i buoni sono dappertutto e i cattivi li seguono a ruota tenendoli d’occhio. Ma forse..quello che non hai compreso è terra da seccare al sole, e mentre mi teneva gli occhi nei suoi chi sei tu, caro il mio Diario. Vedi, tu sei il nostro angolo di terra usava parole come ‘seminare non basta! Perché solo veder verde dove nessuno ha mai vinto una guerra e nessun’altro crescere un fiore e aspettare con lui un sole migliore rende sarà costretto a perdere la proprio giusta causa. Uno s’alzerà l’uomo veramente consapevole d’essere un uomo. A me, in piedi tanto per far capire a tutti che è lui a parlare, e la sua ancor fanciullo sorpreso a soffocarmi nel fascino misterioso esperienza, il suo progetto o l’opinione del momento meriteper quel viso segnato di storie a me ignote, entusiasmava ranno d’essere condivise comunque, e che io e te lo crediamo soprattutto l’idea del fiore, i colori che mi esplodeva sempre o meno, anche fossero quattro chiacchiere sui massimi sistemi, nella testa per rapida associazione erano davvero tanti. Poi siano benedette come il miracolo di un fiore che spunta su qui, in un buco di periferia da cui si tenterebbe l’evasione ad quest’asfalto di periferia. ogni varco aperto dallo stress da via d’uscita, morto il vecOk, ma perché!?! Perché?Azz…Vedi intorno un posto dove chio, ho inteso… la gente si fermi a raccontarsi? Un tavolo dove un prof potrebHo inteso come nella fretta di essere griffati ‘Politecnico’, o be parlare liberamente ad un gruppo di studenti su quel che sta simili, si confonda un seme per il suo germoglio; come non facendo? O cosa gl’impedisce di non farlo? Ha una cricca che sia risultato certo, di anni spesi nella speranza che ripetuti lo tormenta, è possibile annacquarla in modo umano e non tentativi di inseminazioni artificiali di teoria del Grande Procoprire tutto e sempre? Io del terzo anno quel giorno ho quegresso abbiano successo, che tunica nera e cappello, infine, sto d’attuale in testa. M’è scoppiata una guerra all’altro capo del lascino che si dica di lui, il neo laureato, che quello è senza mondo, ma io ci tengo alla pace, e ti spiego cosa succede. Piutdubbio un uomo. tosto a quell’ora io del primo, invece, ho subìto una mazzata tra Ché di masturbazione solitaria si può morire in vecchiaia, capo e collo perché il regolamento didattico l’han scritto in un ma il processo, com’è noto, è piuttosto sterile. dì di festa…Uhi!Oggi non se ne esce, così sei tu, mio Caro… ma potremo entrare sempre scrivendo all’indirizzo e-mail de mr.chips@lycos.it “I diari della Bovisa” per campeggiare in una tua pagina, Caro il mio Diario! Diremo le piccole cose d’intorno a noi in questo mondo che ci va stretto, e tu non t’arrabbiare se di tanto in tanto uno esagera, in fondo quel DIARI DALLA BOVISA conta è parlarsi. O scriversi. Lasciare la nostra Anno #1 Numero #0 Hanno collaborato a storia “postata” tra le tue pagine… questo numero: Ammetto che a volte mi annoio, magari an- Marzo 2007 Giovanni Bono che questo è un buon ‘perché’. Ho voglia di Tiratura: 1000 copie Mauro Casellato crescere nell’esperienza più vasta che sia. E DIREZIONE Salvatore Gentile ascoltare, e farsi ascoltare è sperimentare, no? Mauro Casellato Giulia Salvadori Una mia vecchia conoscenza sosteneva che Valerio Scupola Valerio Scupola quel che conta è l’esperienza. Era un povero GRAFICA Vincenzo Spallina contadino sfinito dagl’anni passati a girar la Lorenzo Spinazzi

diaridallabovisa@studentipolitecnico.it

REDAZIONE


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.