240 dialoghi Locarno – Anno 48 – Febbraio 2016
di riflessione cristiana BIMESTRALE
A pagina 8 della modesta edizione su cui leggevo tanti anni fa (Lucrezio, La natura, Garzanti 1975) la frase è sottolineata: tantum religio potuit suadere malorum. Il poeta romano concludeva con questo verso terribile («a tali crimini ha potuto persuade re la religione»!) la narrazione della scena straziante in cui Ifigenia veniva sacrificata exitus ut classi felix faustusque daretur («per assicurare alla flotta [diretta alla guerra di Troia] una partenza felice e il favore degli dei»). Mi pare che nessuno abbia citato que sto verso dopo la strage di Parigi del 13 novembre 2015: ma lo si sarebbe ben potuto ripetere di fronte all’odio insensato di chi sparge sangue inneg giando ad Allah. Esegeti improvvisati, sulle pagine ri servate agli scritti dei lettori dei nostri giornali, da tempo insistono, citando questa o quella sura, che il Corano è all’origine del terrorismo di matrice islamica. Ma nella Bibbia si potrebbe trovare altrettanto riferito agli Israe liti, ai quali per esempio un salmo imputa un mancato sterminio come un’omissione: «Non sterminarono i popoli come aveva ordinato il Signo re» (Salmo 106, 34). Il problema della coesistenza di un tale comando di Dio e del suo contrario (il detto di Gesù: «a chi ti percuote sulla guancia, por gi anche l’altra», Vangelo di Luca, 6, 27-38) è conosciuto da sempre nella religione cristiana e certamente anche tra gli esegeti dei primi scritti del mu sulmanesimo. «Dialoghi» è in grado di offrire ai suoi lettori, in argomento, la sintesi della lezione che un caro e stimato biblista, Giuseppe Barbaglio, tenne a Pallanza nel 1994. Ma il tema oltrepassa i confini del re ligioso e invade la sfera politica, in quanto la religione – come nel mito antico – plasma la pratica civile e
Foto Sébastien Amiet
Ma davvero fa male la religione?
Parigi, Place de la République, dopo l’eccidio del 13 novembre 2015. influisce sul comportamento dei cit tadini soggetti alla legge. Due posi zioni sono illustrate su questo numero dedicato al tema: quella dei filosofi Habermas e Rawls, che ritengono im possibile, anzi negativo, negare acces so alla religione nella sfera politica, e quella del giurista, Alberto Lepori, che definisce un esercizio defatigan te per la legge «inseguire» le infinite varianti della pratica religiosa. Tutto questo abbiamo raccolto in risposta alla conclusione affrettata che solo attraverso la «laïcité» (intesa come espulsione di ogni segnale religioso) possa ottenersi quella pace sociale che tutti auspicano. Soprattutto in Francia, dopo gli atti terroristici del 13 novembre, questa tesi è di nuovo
sostenuta. A noi pare invece che non nella separazione ma nel dialogo gli uomini trovano la soluzione ai conflit ti, anche ai più acuti: lo spiega Remo Bodei in un’intervista che pure pubbli chiamo per gentile concessione. In definitiva, il problema si pone nel cuore dell’uomo – di ogni uomo – che riflette sulla pratica sociale del le sue credenze. È vero che la fede è sempre vissuta dentro un contesto storico, ma è altrettanto vero che la storia la fanno gli uomini secondo le loro volontà e possibilità. E tra le possibilità, quella di una società pa cificata in cui le religioni (e la nonreligione) possano vivere, convivere, dialogare è quella che a noi continua a parere la migliore. E.M.