239 dialoghi Locarno – Anno 47 – Dicembre 2015
di riflessione cristiana BIMESTRALE
I migranti due volte vittime
Ricordate la foto straziante del piccolo Aylan Kurdi, il bimbo di Kobane ritratto sulla copertina del n. 238 di «dialoghi»? Sembrava che da lì in avanti, da quell’icona scioccante e al tempo stesso delicata del dramma delle migrazioni, l’Europa avesse preso di colpo coscienza delle proprie responsabilità nei confronti dei popoli in fuga. A quell’epoca risalgono le più nette prese di posizione dei politici del Vecchio continente a favore di un’apertura delle frontiere. Non potevamo più permettere che altri bimbi così composti e normali, così uguali ai nostri, spirassero sulla sabbia dell’Occidente. Così come non potevamo permettere che altri migranti soffocassero dentro un camion abbandonato lungo un’autostrada in Austria. Mentre l’Ungheria di Orban erigeva barriere di filo spinato lungo i suoi confini, illudendosi di contenere l’ondata dei fuggiaschi, il resto del continente sembrava affrontare con maggiore sensibilità la tragedia dei moderni esodi dalle guerre e dal terrore. Ci furono perfino cartelli di benvenuto ai siriani che approdavano sfiniti alla stazione di Monaco di Baviera: per qualche tempo la Germania era diventata la locomotiva europea dell’accoglienza. In un anno, nel Paese della Merkel, sono entrati
un milione di stranieri. La solidarietà europea, tuttavia, funziona a corrente alternata. La Francia, un Paese con una lunga tradizione di accoglienza, ha fatto muro quest’estate con i flussi provenienti dall’Italia mostrando lo sconsolante spettacolo delle comunità di profughi accampati al vento sugli scogli di Ventimiglia. A Calais, davanti allo stretto della Manica, si è creata una zona per immigrati che i media hanno ribattezzato «la giungla». Da lì i più temerari tentano la traversata del tunnel verso l’Inghilterra di Cameron, rischiando la vita. Abbiamo scoperto la via balcanica della migrazione, ma questo non vuol dire che nel frattempo gli sbarchi in Sicilia siano cessati. L’Italia è e rimane un Paese «al fronte», dove sbarcano soprattutto gli eritrei. E la Grecia, già confrontata ad una crisi economica senza precedenti e per nulla attrezzata per l’emergenza, si è trovata a far fronte all’arrivo in massa di rifugiati sulle isole dell’Egeo. Di fronte all’«invasione» gli europei continuano ad oscillare tra solidarietà e chiusura. Il peggio è capitato dopo il 13 novembre. Il peggio si chiama Bataclan, si chiama jihadismo, si chiama
morte assurda di decine di persone nel cuore dell’Europa, a Parigi. Di fronte a quest’aggressione anche il dramma della migrazione è stato derubricato dall’agenda delle emergenze. La priorità è diventata la lotta al terrorismo, il controllo delle frontiere (e delle moschee). Persino il trattato di Schengen vacilla. Reazione comprensibile, ma che rischia di colpire doppiamente i migranti. I terroristi entrati in azione in Francia, infatti, non vengono da fuori, sono immigrati di seconda generazione nati e cresciuti in Occidente. Non sono arrivati nel XI arrondissement di Parigi a bordo di un vascello partito dalla Libia. Chi indica nelle migrazioni di massa il canale da cui giungono i jihadisti mente sapendo di mentire. Le popolazioni in fuga dalla Siria e dall’Iraq scappano proprio dagli stessi jihadisti che stanno colpendo l’Occidente: i seguaci del sedicente Stato islamico. E così rischiano di trovarsi nella condizione impossibile di chi è costretto a scappare perché minacciato dall’ISIS, ma allo stesso tempo è costretto a rimanere fuori dai nostri confini perché accusato di introdurre l’ISIS nei nostri Paesi. C.S.