La mongolfiera di Humboldt

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15-06-2012

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Massimo Quaini

Nel corso della mia esplorazione dell’universo ligure sono stato conquistato da un’oscura e appunto labirintica valletta – la mia “isoletta”, potrei dire – che porta il nome di Gambatiggia. Da essa proviene il manoscritto che ora raccomando alle tue amorevoli cure. È certo che Gambatiggia, come suggerisce il nome (che evoca la zoppaggine) e come ancor più rivela il manoscritto, partecipa più del lunare mondo appenninico che della solare Riviera che pure si distende a pochi minuti di cammino. In realtà è una manciata di minuti che, se ben considerata, si trasforma in anni di distanza. E tuttavia sarebbe fuorviante, soprattutto per il passato, contrapporre le due realtà e separare Gambatiggia dal mondo delle Cinque Terre. Un grande naturalista ligure, negli appunti di un suo viaggio compiuto in questa regione esattamente duecento anni or sono, rivisitava a modo suo, in questi luoghi, la citata metafora mediterranea dell’olivo e dell’olivastro: «Non ci vuole di meno che tutta l’industria di cotesti abitanti delle Cinque Terre per ritener a forza di muri uno strato forse assai sottile di terra vegetabile che cuopre questo nòcciolo. Se un momento si rallentano le cure per impedire gli effetti dell’acque che precipitano per questi piani inclinati, addio tutte le speranze degli agricoltori. La sterilità la più indomabile regna dove questo nòcciolo rimane allo scoperto. In Gambatiglia trovasi ancora circondato di vigneti e oliveti attorno, ma le case agricole collocate su di esso sono state abbandonate». Oggi che il nòcciolo appare spolpato come un osso di seppia, perché la nostra generazione, dimentica anche di Eugenio Montale, ha colpevolmente lasciato sprofondare in mare la straordinaria “opera d’arte” che era, e solo in parte è ancora, il millenario paesaggio delle Cinque Terre, il monito profetico di questo nostro antenato e la funzione anticipatrice acutamente riconosciuta a Gambatiggia non ci consolano. Né può confortarci l’ombra dell’olivastro, a meno che, come fanno i protagonisti della narrazione, non si prenda lo slancio dall’inferno o dal deserto che ci circonda, accettando fino in fondo il labirinto, per ricostruire un’altra geografia… Ma prima di anticipare alcuni dei temi del manoscritto, vorrei raccontarti del misterioso modo in cui ne sono giunto in possesso. Meno di un anno fa, nel corso del mio abituale pendolarismo accademico, viaggiavo in treno fra Roma e Torino. Era notte piena, quando la strana e netta sensazione di essere giunto a destinazione mi svegliò di soprassalto. Accorgendomi di aver da poco passato la Spezia, mi rimisi a dormire, senza riuscirci se non dopo che il treno aveva lasciato Genova. Nei mesi successivi la cosa si ripeté con una regolarità sconcertante e ogni volta nello stesso luogo: non appena il treno si accingeva ad uscire o si inoltrava dalla galleria che congiunge Monterosso con Levanto. Tutto si svolgeva come se, in quel preciso punto, la mia mente entrasse in un campo magnetico dal quale non riusciva a sottrarsi se non


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