Le cose si toccano

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As ter oi d i

Paolo Calabro` Le cose si toccano R a i m on Pa ni kkar e le scienze moderne

La materia è libera. Il mondo ha una coscienza. Il pensiero modifica il pensato. Il tutto è maggiore della somma delle parti. Le teorie di Raimon Panikkar, filosofo catalano che ha dedicato la vita all’incontro tra i saperi, possono talvolta sembrare lontane dalla tradizione metafisica e scientifica dell’Occidente. La verità è che la realtà è la trama delle relazioni che legano ogni cosa ad ogni altra. Non esistono cesure. Le cose si toccano. Paolo Calabrò, laureato in Scienze dell’informazione e in Filosofia, è redattore del Centro Interculturale Raimon Panikkar Italia e collabora con diverse riviste, tra cui «Il Caffè» di Caserta, «Testimonianze» di Firenze e «l’Altrapagina» di Città di Castello. È inoltre referee per la rivista peer reviewed «ReF». Ha pubblicato diversi saggi su Panikkar, l’ultimo dei quali è Tra il dire e il fare. Parole e termini nel pensiero di Raimon Panikkar.

Le cose si toccano. Raimon Panikkar e le scienze moderne

Paolo Calabro`

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Paolo Calabro` LE COSE SI TOCCANO raimon panikkar e le scienze moderne

€ 15,00

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Asteroidi

Collana diretta da Pietro Barcellona, Roberto Mancini, Fabio Merlini


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Progetto grafico e copertina BosioAssociati, Savigliano (CN)

ISBN 978-88-8103-753-7

Š 2011 Edizioni Diabasis via Emilia S. Stefano 54 I-42121 Reggio Emilia Italia telefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047 www.diabasis.it


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Paolo Calabrò

Le cose si toccano Raimon Panikkar e le scienze moderne

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Questo libro è dedicato ai miei genitori, perché senza di essi non sarei niente. È una cosa sulla quale non si riflette mai abbastanza.


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Paolo Calabrò

Le cose si toccano Raimon Panikkar e le scienze moderne

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Prefazione, Pietro Barcellona Introduzione Parte prima

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Cosmoteandrismo Il mito e il simbolo: l’approccio alla realtà Pluralismo e verità Una filosofia contro la scienza? Parte seconda

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Pensare ed essere Critica dell’universalità Critica della “cosa in sé” Critica dell’oggettività Oggettivo e simbolico Il ruolo della soggettività Vitello d’oro La libertà della materia Anima mundi Il pensiero modifica il pensato Il tutto è maggiore della somma delle parti Teofisica: un progetto

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Conclusioni

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Bibliografia


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Desidero ringraziare il prof. Pietro Barcellona, dell’Università di Catania, che ha preso a cuore questo scritto fin da subito con grande generosità e accoglienza. Ringrazio Achille Rossi, che mi ha donato aiuto e incoraggiamento sul piano intellettuale e personale, con quel suo modo peculiare, tra il paterno e il fraterno, che sa essere affettuoso e delicato anche quando è più severo e intransigente. Ringrazio il prof. Fabrizio Dal Piaz, della Facoltà di Farmacia dell’Università degli Studi di Salerno, per la lettura del manoscritto (la responsabilità del cui contenuto, tuttavia, è interamente e unicamente mia) e per avermi spiegato senza stancarsi che “la scienza” non esiste. Ringrazio anche il prof. Gaetano Fiore del Dipartimento di Fisica teorica dell’Università degli Studi “Federico II” di Napoli, per l’aiuto offertomi nell’approfondimento della meccanica quantistica e delle sue implicazioni filosofiche. Ringrazio il prof. Andrea Milano del Dipartimento di Storia dell’Università degli Studi “Federico II” di Napoli, per avermi presentato la filosofia di Panikkar proprio quando ne avevo bisogno, nonché il dr. Stefano Santasilia dell’Università della Calabria, per lo stimolo incessante ad andare avanti senza dar nulla per scontato. Ringrazio Paolo Vicentini, che mi ha offerto l’amicizia e l’ospitalità dell’Associazione Ecofilosofica di Treviso e che mi ha spronato ad andare avanti quando i miei passi erano ancora incerti. Un ringraziamento speciale va a mia moglie Mimma, mia prima lettrice e critica, ma soprattutto mio incrollabile punto d’appoggio; insieme a lei ho approfondito, meditato, rivisto le considerazioni espresse in questo libro. Ringrazio anche i miei due piccoli bambini, Mimma e Pietro, perché molto del mio entusiasmo lo devo a loro. Ringrazio infine Raimon Panikkar il quale, passeggiando sottobraccio in un pomeriggio autunnale a Città di Castello, mi disse: «la cosa in sé non esiste».


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Prefazione Pietro Barcellona

Le cose si toccano: la trama delle relazioni che legano ogni cosa ad ogni altra, descritta dalla straordinaria sensibilità di Raimon Panikkar, l’intreccio di differenti culture per una conoscenza “altra” delle cose, fulcro del pensiero del filosofo indo-catalano, ci vengono proposte da Paolo Calabrò come feconda critica del pensiero scientifico: «non c’è nessun motivo per il quale tutti gli uomini dovrebbero accettare le premesse della scienza (cioè il suo mito). La terra è veramente una madre per gli animisti quanto un corpo cadente dalla Torre di Pisa è veramente un grave per Galileo. La verità è relativa (nel senso di relazionale) al mito». Se «in questo modo non esiste una sola realtà, ma tante realtà quanti sono i miti», allora «la realtà non è oggettiva, ma simbolica. E questa situazione non è frutto di una debolezza della nostra mente, incapace di “unificare” le nostre visioni parziali, ma della specifica natura della realtà, che è relazionale». Oggi la visione proposta dal discorso scientifico tende a cancellare la relazionalità e l’irriducibilità al pensiero razionale di ciascun essere umano, l’interiorità che si sviluppa all’interno di un corpo vivente, attraverso i sensi, le esperienze affettive, l’incontro con l’altro da sé; tende ad imporre una desacralizzazione totale del mondo ed una progressione lineare della storia dell’evoluzione umana, agli antipodi dalla visione cosmoteandrica del filosofo catalano. 7


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Quando l’essere umano viene assorbito dalla macchina, la macchina diventa una parte integrante del suo corpo e del suo funzionamento mentale e l’elemento enigmatico, misterioso, sacro tipico della vita, viene perduto. Infatti, come sostiene Panikkar, le tecniche non sono neutrali; la cultura globale dominante è permeata dalla terminologia figlia delle nuove tecniche informatiche e del nuovo modo di guardare ai processi mentali: nel linguaggio comune è entrato, al posto di “vita” e “tempo”, il concetto di “flusso”, che non conosce discontinuità, rottura, cambiamento, e nemmeno rivoluzione. Anche i linguaggi utilizzati per descrivere le funzioni cerebrali, tendono ad esautorare i significati simbolici, risolvendo tutto in una descrizione che aspira ad essere totale. Questo comporta un enorme rischio di disumanizzazione e di perdita della parola; l’“anima mundi” di Panikkar rischia di non esistere più nella natura e nelle persone. Poiché le parole fanno “essere” un mondo, tramite l’alienazione del linguaggio si crea una vera e propria alienazione sociale; come scrive Panikkar: «la vittoria di una parola su di un’altra non è meno importante di una vittoria politica». Le parole, infatti, non sono solo un mezzo con il quale ci mettiamo in contatto, ma molto di più; ogni parola dice un universo, ogni lingua è davvero espressiva quando si sviluppa sulla condivisione del mito fondativo che organizza il rapporto degli esseri umani con il mondo. Il linguaggio, dunque, non può essere ridotto a un mero strumento tecnico. La scienza cerca di narrare tutto il mondo tramite le sue parole-chiave, che sono in gran parte parole descrittive che non hanno nessuna reale valenza simbolica; da questo punto di vista, oggi siamo di fronte ad un vero e proprio prosciugamento della dimensione spirituale, in8


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tesa come amore per la vita e come esperienza della vita, di cui parla Panikkar. Come scrive Calabrò: «delle parole è intessuta la trama di ogni cultura umana, la quale dipende dal significato che loro si dà; la cultura a sua volta fa da sfondo ad ogni comprensione del mondo da parte dell’uomo, ad ogni relazione tra questi due poli della realtà. Distorcere o, peggio ancora, manipolare il senso delle parole può avere ripercussioni di enorme portata sulla cultura e sulla vita degli uomini». Alla pretesa oggettività del discorso scientifico – che non può che essere utilitaristico, in quanto misura l’efficacia dell’azione svolta rispetto ad un obiettivo con il risultato che si produce, risultato che deve sempre essere, in qualche modo, contabilizzabile e descrivibile in termini di assoluta obiettività – si può rispondere mettendo in campo discorsi “altri”, che producono trasformazioni dello sguardo, cambiamenti nella visione del mondo, e non risultati pratici operativamente misurabili. Sono quelli che chiamo “discorsi gratuiti”, perché non hanno alla base una logica strumentale, non sono fatti usando l’interlocutore per ottenerne qualcosa in cambio: sono discorsi “affettivi”, che tendono a realizzare quella che Panikkar definisce “comunione”, una forma dello stare insieme in cui non c’è alcuna valutazione di convenienza, bensì un legame affettivo e relazionale. Le parole si creano sempre insieme agli altri. Bisogna restituire alla relazionalità il carattere della condivisione di esperienze: non si tratta di restituire alle parole un certo significato ma di inventarne uno nuovo, che esprima il collegamento all’esperienza effettiva. L’esperienza sociale è un’esperienza vera se crea significati nuovi, non è dunque un compito per “pensatori solitari”, ma qualcosa che compete e spetta, al di là di ogni specialismo, a tutti noi. 9


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Introduzione

Studiando con continuità il pensiero di Raimon Panikkar nel corso degli ultimi dieci anni, mi sono spesso imbattuto in affermazioni sorprendenti come: “la materia è libera”, “la materia è viva”, “il pensiero modifica il pensato”. Mi sono chiesto se – e quanto, e come – tali affermazioni potessero venir conciliate con la visione del mondo tipica della scienza moderna; d’altro canto Panikkar non lasciava dubbi circa la sua posizione al riguardo: «la fisica non offre una visione del mondo, ma ne fornisce il materiale alla metafisica, così che una metafisica che ignori la fisica non sarebbe valida. La metafisica deve “ascoltare” la fisica. [...] Non c’è metafisica senza fisica»1. Nessun dubbio, dunque: l’accordo tra fisica e metafisica è necessario. Tuttavia Panikkar non spiega la compatibilità delle sue affermazioni con quelle della fisica. Da qui la domanda: e se la fisica non fosse d’accordo? Se la scienza reputasse incompatibile la metafisica cosmoteandrica di Panikkar – cornice di quelle affermazioni – con le proprie acquisizioni più recenti? Mi sono messo quindi sulle tracce del pensiero di quegli uomini di scienza – soprattutto del secolo scorso – che si sono interrogati circa i fondamenti filosofici della loro scienza: Heisenberg, Planck, Schrödinger, Bohr, Mach, Einstein e tanti altri. Per scoprire – con nuova sorpresa – che, rispetto alla loro stessa interpretazione della fisica, non solo la filosofia di Panikkar non è incompatibile, ma 10


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mostra addirittura una sensibilità comune, spesso un’affinità più spiccata di quell’ontologia dell’oggettività e della cosa in sé maggiormente adatta a una visione del mondo prequantistica. Questo libro nasce dall’intento di illustrare appunto questa compatibilità. Ciò a partire dalla “reticenza” del filosofo su tali questioni2 e dal fatto singolare che – a dispetto della sua grande notorietà (basti pensare che Pasolini ne parlava già nel 1961 come del “famoso” Panikkar)3 – la letteratura secondaria sul pensiero di Raimon Panikkar è incredibilmente scarsa, e quasi interamente rivolta ai temi maggiormente di moda: il dialogo tra le religioni e le culture, la pace, la cristologia4. Credo inoltre che il collegamento che cerco di stabilire qui tra la scienza moderna e la filosofia di Panikkar possa liberare quest’ultima da quell’impressione di esotismo che può dare in superficie la sua originalità, e nella quale essa rischia di arenarsi. Il pensiero occidentale, abituato da millenni alla rigida e mutuamente esclusiva alternativa tra monismo e dualismo, resta spiazzato dalla proposta cosmoteandrica (nonostante il confronto serrato che Panikkar tiene con la filosofia occidentale): così il rischio è che essa venga presa come una sospetta commistione di teologia cristiana e filosofia indiana, e Panikkar come un erudito dai modi orientaleggianti e dalle parole inclini al mistico, che rifiuta la scienza e avversa la tecnologia. Scopo di questo scritto è allora andare oltre questa scorza e scoprire che alcune delle convinzioni più radicate nell’immagine ingenua che la scienza e la tecnologia offrono di sé nella percezione dei non specialisti (come ad esempio la presunta universalità della scienza) non sono né evidenti né scontate5. Non ho la pretesa di fondare scientificamente la filosofia di Panikkar, né tanto 11


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meno di giustificarla in tal senso (ciò che il filosofo per primo non ha mai inteso fare). Non pretendo nemmeno che Panikkar sia d’accordo con ciascuna delle opinioni di questo o quel fisico citato; cerco soltanto di mostrare la consonanza tra l’immagine del mondo offerta dalla sua filosofia e quella offerta dalla scienza occidentale moderna. Come dicevo, ho dato ampio spazio al pensiero degli uomini di scienza, limitando al massimo le citazioni di filosofi della scienza. E questo non perché si possa dire che «i maggiori filosofi del Novecento sono stati Einstein e Dirac»6 (che è un’esagerazione; anche se è vero che a volte «le migliori analisi filosofiche di un concetto o di un problema scientifico provengono proprio da scienziati»7); bensì perché ho preferito dare un peso maggiore alla filosofia della scienza nel senso del genitivo soggettivo, anziché oggettivo. Nessun disconoscimento del ruolo e del peso della filosofia della scienza; piuttosto, la scelta fatta mi è sembrata adeguata allo scopo, che non è calare il pensiero di Panikkar all’interno del dibattito filosofico contemporaneo (della filosofia della scienza, in particolare), ma mostrare che esso è tutt’altro che incompatibile con il pensiero scientifico. Questo libro ha anche un ultimo ambizioso intento: quello di contribuire a restituire a certe parole il loro giusto significato. Delle parole è intessuta la trama di ogni cultura umana, la quale dipende dal significato che loro si dà; la cultura a sua volta fa da sfondo a ogni comprensione del mondo da parte dell’uomo, a ogni relazione tra questi due poli della realtà. Distorcere o, peggio ancora, manipolare il senso delle parole può avere ripercussioni di enorme portata sulla cultura e sulla vita degli uomini8. È più facile aderire alla mafia se se ne fa una questione d’onore, o alla massoneria, se si tratta di “fratellanza al 12


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di là d’ogni casta e ceto”; così è più facile far guerra sul territorio altrui, se la si chiama “operazione di polizia internazionale”, ed è più facile odiare e uccidere il prossimo se invece che nemico o partigiano è “barbaro” o “terrorista”9. La scienza moderna, che non è né neutrale né universale, ma una prospettiva culturale al pari di ogni altra, è a suo modo corresponsabile, seppur indiretta, di tale deformazione del linguaggio. Non è certo casuale che l’uomo occidentale moderno, le cui categorie di riferimento sono quelle scientifiche, percepisca ad esempio il tempo come un contenitore vuoto da riempire in maniera ottimale con ogni sorta di attività remunerative o ricreative, e se stesso come un progetto da realizzare a lungo-medio-breve termine, una macchina il cui obiettivo è fare sempre di più e sempre più velocemente. Né la tecnologia, figlia prediletta della scienza moderna (per dirla con Panikkar), per la quale «la felicità è avere a disposizione un’ampia scelta di tecnologia e l’ottimismo è trovare le marche migliori al prezzo più basso», è in tal senso da meno10. Tempo, spazio, forza, felicità, ottimismo, libertà, sono soltanto pochi esempi del fenomeno in questione. «Tutto inizia dall’uso rispettoso e appropriato delle parole»11. Il libro si articola in due parti. La prima parte descrive sinteticamente la metafisica di Panikkar: dalla critica del monismo e del dualismo all’idea di cosmoteandrismo, passando per quella di pluralismo e per le nozioni di mito e di simbolo, mostrando come Panikkar rifugga dalla demonizzazione della scienza moderna e anzi ponga quest’ultima accanto a forme di sapere più antiche e tradizionali, integrandone i risultati nella sua stessa filosofia. La seconda parte è dedicata a mostrare il sostanziale accordo tra la posizione di Panikkar e quella della scienza 13


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moderna su argomenti comunemente ritenuti ovvi e pertanto indiscutibili al pari di tabù: l’oggettività e l’universalità della scienza, l’esistenza della cosa in sé e della materia “inanimata”. Lo sforzo è stato quello di evidenziare come certe convinzioni si radichino in una visione scientifica prequantistica12, che la fisica ha già da tempo superato ma alla quale la percezione comune è rimasta ancorata. In tal modo spero non di “dimostrare” l’accordo della filosofia di Panikkar con la scienza moderna, né tanto meno, come ho già detto, di donarle alcun suggello di validità13. Cercherò semplicemente di mostrare che esiste un’ampia fascia della scienza moderna (intendo: di scienziati, soprattutto fisici) che non troverebbe né scandalosa né inverosimile la concezione metafisica di Panikkar alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, e che anzi la riterrebbe molto più adeguata a esse di una metafisica fondata sul postulato della “cosa in sé”, che per una disciplina così fortemente basata sulla sperimentazione rimane una terribile spina nel fianco14. Note 1. R. Panikkar, La porta stretta della conoscenza, pp. 178-182. Le referenze complete dei testi citati sono riscontrabili nella bibliografia finale. 2. Pur essendosi occupato di “fare scienza” per parecchi anni (com’egli stesso racconta nella conferenza “Ambiguità della scienza”), Panikkar ha dedicato alla scienza moderna – oltre alla citata conferenza e agli interventi più o meno ampi disseminati in quasi tutti i suoi libri – solo i testi Pensare la scienza, l’Altrapagina, Città di Castello 2004 (che tra l’altro è un testo a più voci) e Id., La porta stretta della conoscenza, RCS, Milano 2005. Cui va aggiunto il libro R. Panikkar, H.P. Dürr, L’amore fonte originaria dell’universo, pubblicato mentre questo libro è in bozze, febbraio 2011, nel quale Panikkar dialoga con il fisico tedesco Dürr sul tema dei rapporti tra la fisica e la filosofia. L’Opera Omnia prevede un unico volume (in preparazione) dedicato – parzialmente – al tema della scienza.

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3. P. P. Pasolini, L’odore dell’India, pp. 87-88. Ma, al di là di questo, è noto l’impegno politico oltre che intellettuale di Panikkar, ad esempio all’interno dell’Unesco o come membro del tribunale permanente dei popoli. Cfr. a tal proposito R. Panikkar et al., Federalismo o pluralismo?, p. 185, nonché la Sentenza del Tribunale Permanente Dei Popoli. Nel 2001 gli è stato assegnato il premio Nonino “a un maestro del nostro tempo”. Per ulteriori indicazioni di carattere biografico, cfr. i testi S. Calza, La contemplazione e P. Barone, Spensierarsi, nonché D. Veliath, Theological Approach and Understanding of Religions. 4. Fa eccezione l’ottimo testo di introduzione alla filosofia di Panikkar di A. Rossi, Pluralismo e armonia. Per una presentazione puntuale della letteratura inerente allo stato della questione si può far riferimento alla bibliografia finale. 5. Ai fini di una maggiore chiarezza all’interno del singolo contesto, ho utilizzato talvolta il termine “scienza”, talvolta il termine “fisica”. Sperando di essere riuscito a evitare ogni confusione, sottolineo che le conclusioni possono essere applicate (salvo ove diversamente specificato) all’una come all’altra. 6. Come sostiene E. Bellone, introduzione a M. Planck, La conoscenza del mondo fisico, p. 4. 7. M. Dorato, Cosa c’entra l’anima con gli atomi?, p. 14. 8. Cfr. ad esempio A. Rossi, Il mito del mercato, che recita a p. 59, a proposito della riduzione della “libertà” a “libertà di mercato” operata dal liberismo: «le trappole del linguaggio sono meno innocue di quanto sembri, e chi ha l’astuzia di appropriarsi del valore simbolico delle parole ha in mano un potere enorme. Smascherare queste appropriazioni indebite mi sembra un compito culturale di prim’ordine». 9. Il tema, come noto, è stato trattato dal giurista e filosofo tedesco C. Schmitt (cfr. la bibliografia finale). 10. Come recita lo slogan della catena di prodotti elettronici Unieuro, autunno 2007. 11. R. Panikkar, Lo spirito della parola, p. 8. 12. Spesso ancora precedente, facente capo a Newton e a Laplace. 13. Va da sé che non esiste una opinione ufficiale della fisica moderna, né tanto meno la scienza può venir considerata come un monolite dall’opinione compatta e recisa. Per questo motivo il sottotitolo parla di “scienze moderne” piuttosto che di “scienza moderna”, anche se nel

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testo – per comodità e per abitudine – utilizzo quasi sempre i termini “fisica”, “scienza”, “scienza moderna” al singolare. All’interno del mondo scientifico (ma, scendendo man mano, all’interno della fisica e della stessa meccanica quantistica) coesistono le posizioni più disparate e le opinioni più distanti, talora perfino opposte. Cfr. ad esempio A. Tontini, La formula chimica di struttura, p. 2: «chi si propone di indagare con i mezzi della filosofia la struttura e il significato della scienza dovrebbe innanzitutto, a mio avviso, tenere in considerazione la diversità delle dimensioni, della struttura e del comportamento degli oggetti di studio di questa e, conseguentemente, dei linguaggi usati per descrivere tali oggetti. Siamo capaci di indicare in maniera schematica il significato di termini come “botanica”, “immunologia”, “teoria della relatività”, eccetera. Rispondere alla domanda: “che cos’è la scienza?” è molto più arduo». La questione verrà ripresa nel seguito. 14. Ove non diversamente specificato, le traduzioni dall’inglese e dal francese riportate nel seguito, sempre accompagnate dal testo originale, sono mie.

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La libertà della materia

La realtà è costante novità. [...] La natura è meno bizzarra dell’uomo, ma supporre che essa sia solo “materia” inerte che segue leggi deterministiche è un’ipotesi infondata. Anche la materia ha i suoi gradi di libertà.

Raimon Panikkar* La materia è libera!

Georges Charpak e Roland Omnés**

Dire che la materia è libera può far subito pensare a una pietra che, d’improvviso, si metta a levitare nel cielo. Siamo abituati a considerare la materia come qualcosa di inanimato, immobile, che se ne sta lì fermo “fino a che non intervenga una forza” (per dirla con il primo principio della dinamica). Panikkar ha spesso sottolineato che la libertà della materia non è la stessa libertà dell’uomo. La materia e l’uomo però, in quanto inseriti nella stessa realtà cosmoteandrica, partecipano entrambi della stessa dimensione di libertà. Il discorso di Panikkar è qualitativo, non quantitativo; in questo senso gli è sufficiente affermare che la materia abbia “un certo” margine di libertà. Egli non pretende di stabilire un margine maggiore di quello che la fisica (quantistica, in particolare) riconosce alla materia. È vero che di rado gli uomini di scienza si esprimono utilizzando la parola “libertà” a proposito della materia, anche se non mancano singole suggestioni, quali ad esempio quella di Prigogine, che parla di «creatività della * R. Panikkar, La porta stretta della conoscenza, p. 148. ** G. Charpak e R. Omnés, Siate saggi, diventate profeti, p. 81.

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natura»1 o di Feynman, che a sua volta parla di «immaginazione della natura»2, di Laughlin, per il quale la materia può avere «opinioni proprie», oltre alla «capacità di fare delle scelte»3, o ancora di Charpak e Omnés: la libertà, o la moltitudine dei possibili che ne rappresentano la forma radicale, è dunque profondamente inserita nel cuore stesso della meccanica quantistica e delle sue leggi. Dietro al caso assoluto c’è la libertà totale4.

Tuttavia il termine non è inadeguato alla situazione di tanti esperimenti quantistici classici, dove non è possibile prevedere da che parte andrà la singola particella, né stabilire la causa che l’ha indotta a scegliere un passaggio piuttosto che l’altro. (Ciò non significa che le particelle si comportino in maniera arbitraria: statisticamente esse tenderanno sempre a distribuirsi in maniera omogenea)5. In definitiva, quella che a tutta prima può sembrare un’affermazione discutibile (o provocatoria, se non addirittura inconcepibile) da parte di Panikkar, circa la libertà della materia (che i profani concepiscono ancora à la Laplace, secondo un meccanicismo che la fisica ha abbandonato da più di un secolo), si rivela perfettamente compatibile con l’attuale assetto della scienza. Note 1. I. Prigogine, Le leggi del caos, p. 85. 2. R. P. Feynman, Il senso delle cose, p. 20. 3. R. Laughlin, Un universo diverso, p. 53. 4. G. Charpak-R. Omnés, Siate saggi, diventate profeti, p. 81. 5. Si presti attenzione al fatto che in fisica il determinismo, la causalità e la predicibilità sono tre concetti distinti. Per questa distinzione cfr. F. Laudisa, La causalità in fisica.

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Anima mundi

Intendo per animismo l’esperienza della vita in continuità con la natura. Ogni entità naturale è cellula vivente, parte di un tutto e riflesso del tutto al tempo stesso. Non solo le piante e gli animali sono viventi, ma anche le montagne e le rocce; come lo spirito, anche la materia è vivente.

Raimon Panikkar* Le cose hanno un’anima, Nathanaël, e l’anima è la stessa in tutte le cose e in tutto ciò che vive; un filosofo di un tempo, Plotino, la chiamava “l’anima del mondo”, ora si dice “le leggi”. Si tratta di questo.

Georges Charpak e Roland Omnés**

Secondo Enrico Bellone, dobbiamo abbandonare l’opinione «che esista una profonda alleanza tra la natura e l’uomo»1. Sembrerebbe che l’obiettivo lo abbiamo quasi raggiunto: l’idea che la natura sia una risorsa da sfruttare fino all’osso (cosa che non si fa con un alleato) e che la sua forza vada domata, ove non addirittura combattuta, è piuttosto radicata nel mondo occidentale moderno2. L’animismo è una convinzione molto più antica: l’idea che la terra nel suo insieme sia un animale, un essere animato, risale alla notte dei tempi. Così ad esempio per Plotino, «l’anima dell’universo è simile all’anima di un grande albero che, senza fatica e in silenzio, governa la pianta»3. Ma, ben più vicino a noi, anche Marsilio Ficino la coltiva: e, cosa che è della massima importanza, nel mondo, che è, come sappiamo, un animale, anzi il più perfetto, c’è più unità che in qualsiasi alto animale4. * R. Panikkar, Ecosofia, p. 151. ** G. Charpak e R. Omnés, Siate saggi, diventate profeti, p. 50.

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Senza dubbio il corpo del mondo, per quanto appare dal moto e dalla generazione, è ovunque vivo, cosa che i filosofi degli Indi provano a partire dal fatto che da ogni parte genera da sé esseri viventi. Pertanto vive per mezzo di un’anima che è presente ovunque a se stessa e perfettamente commisurata a esso5. La vita del mondo, in verità, che è insita in tutte le cose, si propaga in modo evidente nelle erbe e negli alberi, che sono quasi i peli e i capelli del suo corpo. Cova inoltre nelle pietre e nei metalli, come nei denti e nelle ossa. È diffusa anche nelle conchiglie viventi, attaccate alla terra e alle pietre. Tutti questi esseri infatti non vivono tanto di una vita propria, quanto della stessa vita comune del tutto6. Quanto il tutto è più perfetto che la parte, tanto è più perfetto il corpo del Mondo, che il corpo di qualunque animale. Certo inconveniente cosa sarebbe che il corpo imperfetto avesse l’anima, e il perfetto fosse senza anima. Chi è sì semplice che dica la parte vivere, e il tutto non vivere? Vive adunque tutto il corpo del Mondo. [...] Chi negherà viver la Terra, e la Acqua, le quali danno vita agli animali generati da loro?7

Per Panikkar la terra, partecipe come l’uomo della stessa realtà cosmoteandrica, ha una sua coscienza. Sui generis, certamente; come si è visto nel capitolo precedente, l’obiettivo di Panikkar non è stabilire un’equivalenza (peraltro impossibile) tra le caratteristiche dell’uomo e quelle delle cose: la terra non ha la stessa coscienza dell’uomo. Ma ne ha una, particolare: essa «ha una coscienza sui generis e un tipo particolare di desiderio, o impulso. Quello che è importante sottolineare qui è sia la differenza che la continuità con quei fenomeni che sperimentiamo dal di dentro e ai quali diamo significato antropomorfico»8. Ci si domanda se la posizione di Panikkar, alla luce della fisica moderna, vada rigettata come mero residuo 113


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di un’epoca “primitiva” (per riprendere un epiteto dello stesso Bellone). Al riguardo, si noti solo la vicinanza di tale posizione a quella di alcuni scienziati moderni. Per Heisenberg, ad esempio, «non è certamente possibile fare una netta distinzione tra materia animata e inanimata»9. Allo stesso modo Capra sostiene che a livello macroscopico, gli oggetti materiali che ci circondano sembrano passivi e inerti, ma quando ingrandiamo un frammento apparentemente “morto” di pietra o di metallo, vediamo che ribolle di attività. Quanto più lo guardiamo da vicino, tanto più esso appare vivo. Tutti gli oggetti materiali nel nostro ambiente sono costituiti da atomi10.

Tuttavia la questione oltrepassa i confini della fisica atomica e bagna le coste di tutte le scienze positive11. Ad oggi, pare che la scienza non sappia tracciare una precisa linea di confine tra ciò che è vivo e ciò che non lo è (se non di comodo, al livello della definizione delle categorie di oggetti da indagare all’interno di singole discipline)12. Ed è d’accordo con questa scienza che Panikkar può affermare che «ogni entità naturale è cellula vivente, parte di un tutto e riflesso del tutto al tempo stesso. Non solo le piante e gli animali sono viventi, ma anche le montagne e le rocce; come lo spirito, anche la materia è vivente»13.

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Note 1. E. Bellone, Il Regno e le tenebre. 2. Nel quale all’idea tradizionale di “madre natura” va sostituendosi pian piano quella di “natura ad alta tecnologia” (slogan pubblicitario di un prodotto della Garnier, 2005). 3. Plotino, Enneadi, IV 3, 4, cit. in Breviario, p. 32. Cfr. anche Platone, Timeo, XXXIV. 4. M. Ficino, Sulla vita, III, 2, p. 193. 5. Ivi, III, 3, p. 197. 6. Ivi, III, 11, pp. 220-221. 7. Id., Sopra lo amore ovvero Convito di Platone, p. 92. 8. Cfr. R. Panikkar, Anima mundi. 9. W. Heisenberg, Fisica e filosofia, p. 182. 10. F. Capra, Il Tao della fisica, p. 225. 11. Per Marcello Cini (La mercificazione della conoscenza, pp. 64-65) non è possibile «tracciare un confine con l’accetta», si tratta più che altro di una questione di “convinzioni” personali. 12. Cfr. il dossier sulla natura dei virus in «Le Scienze», 438, febbraio 2005. 13. R. Panikkar, Ecosofia, p. 151.

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Il pensiero modifica il pensato

L’osservatore modifica l’osservazione. Ma io vado molto più in là: il pensatore modifica il pensato. Questo sarebbe il mio principio.

Raimon Panikkar* Gli dèi della Grecia hanno cessato per sempre di governare il mondo, da quando gli uomini hanno smesso di tributare loro sacrifici. [...] A suo tempo gli antichi dèi hanno veramente governato il mondo greco. Chi volesse dire che questo avveniva solo nell’immaginazione degli uomini, può intendere con una simile affermazione che, in linea di principio, anche allora potevano esserci dei miscredenti. Ma un’affermazione di questo tipo darebbe un’immagine completamente falsa degli eventi che realmente accadevano agli uomini di quell’epoca. A chi per esempio partecipava alle feste di Dioniso, poteva farsi veramente incontro il dio stesso.

Werner Heisenberg**

L’Occidente moderno, abituato alla rigida dicotomia teoria-prassi (per la quale solo la seconda è realmente in grado di cambiare le cose; la teoria è invece ciò che rimane “da applicare”), resta frastornato dall’affermazione di Panikkar in epigrafe. Res cogitans e res extensa sono separate: il presupposto cartesiano è talmente radicato che – a una frase del genere – il pensiero salta istintivamente all’occulto, all’esoterico, alla parapsicologia. Certamente non alla scienza. Prima di mostrare che quest’idea (cioè che il pensiero modifichi il pensato) è una conseguenza diretta della premessa cosmoteandrica di Panikkar (la quale si è già visto * R. Panikkar, Verità-Errore-Bugia-Esperienza psicoanalitica, p. 26. ** W. Heisenberg, Indeterminazione e realtà, p. 91.

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essere essenzialmente in accordo con la scienza moderna), riporterò di seguito alcune delle diverse enunciazioni che Panikkar ne ha dato. 1. La concezione di una cosa appartiene alla realtà e persino alla cosa stessa1. 2. Dal momento che la divinità [...] non possiede un referente al di fuori della coscienza umana, la sua struttura dipende dalle opinioni dell’individuo su di essa e da quelle di ogni coscienza umana per la quale la nozione stessa ha un qualche senso. In altre parole, quel che la divinità è, è inseparabile da quel che gli uomini credono che sia2. 3. Praticamente in tutti gli ambiti della vita la coscienza attuale si è resa conto che la conoscenza non è un’attività neutrale: il pensiero non modifica soltanto l’oggetto pensato, ma cambia anche il soggetto pensante. La misurazione altera la cosa misurata, gli strumenti di misura, e altera del pari anche la mente che agisce dietro l’operazione. Non esiste un mondo di puri oggetti “al di fuori”, così come non vi è una sfera di puri soggetti “dentro”; la loro interazione è reciproca, e nessuna visione di una cosa lascia immodificati la cosa vista e colui che vede. Non esiste una scienza puramente oggettiva senza presupposti, così come non esiste un soggetto puro di conoscenza senza storia, abitudini, modelli e inclinazioni. Inoltre, non solo ogni atto di conoscenza porta con sé tutto il passato del soggetto e perfino il passato della sua razza, ma invade la sfera intima della cosa conosciuta, e conoscendola la modifica3. 4. L’intenzione con cui son fatte le cose influenza le cose e modifica la cosa stessa che viene fatta. C’è un esempio, che voglio proporre con prudenza, perché potrebbe essere interpretato in termini di fanatismo o esclusivismo, ma ciò che mi interessa è ciò che vi è sottinteso. Un saggio ebreo, il grande rabbino Akiba, vietò ai fedeli e agli ebrei di leggere la Torah o il Pentateuco copiato da un infedele. Colui che scrive fa parte dello scritto. Se una cosa è fatta con amore, essa sarà diversa dalla medesima cosa fatta con

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rabbia o per soldi. E ciò riguarda tutti gli ambiti, poiché oggi noi facciamo meccanicamente migliaia di cose senza importanza4. 5. La scienza fisica ha scoperto finalmente che l’atto dell’osservazione modifica ciò che viene osservato. Quasi tutte le religioni sapevano già che il nostro pensiero modifica ciò che viene pensato. Quanto alla preghiera, a un livello superiore, essa modifica la realtà. Rendendomi attento, ascoltando il ritmo del reale, io mi inserisco in questa realtà e invio una energia che appartiene all’ordine del pensiero e che contribuisce a completare la realtà. Chi è in pace con se stesso, cambia realmente l’universo5. 6. Aggiungerei ancora qualcosa che la cultura moderna, nella sua dicotomia, ha largamente dimenticato – e sono pronto a difendere questa tesi filosoficamente; si tratta del punto seguente: l’intenzione di un atto appartiene intrinsecamente all’atto stesso. Da questo punto di vista, non c’è un atto su cui si possa esprimere un giudizio puramente oggettivo. Se io ti curo per la sola ragione che intendo consolidare il mio prestigio e farmi un nome nella mia specializzazione, questa intenzione modifica l’atto stesso dell’intervento chirurgico, dell’eventuale guarigione, ecc.6

La prima enunciazione discende dalle definizioni di mito e di pluralismo date in due capitoli precedenti, e dalla tesi dell’inesistenza della cosa in sé. Infatti, se la cosa in sé non esiste; se due soggetti vedono un oggetto in maniera diversa (secondo i loro rispettivi miti); se nessuno dei due è in errore; allora la differenza non può che risiedere nel mito. Detto in altri termini: è il pensiero dei due soggetti che costituisce (in senso fisico) la differenza. Panikkar è ancora più preciso al riguardo, quando afferma – come già riportato nel capitolo sul pluralismo, a proposito del criptokantismo – che quella dell’altro «non è una diversa concezione dell’universo, è un universo differente»7. Ciò è 118


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intrinseco alla nozione di simbolo data in precedenza. Per la precisione: non è che il pensiero modifichi il pensato (questo modo di esprimersi presuppone una cosa in sé che possa venire in seguito modificata), bensì il pensiero fa la differenza tra i diversi modi d’essere del simbolo. Quindi non è corretto dire che gli uomini vedono la divinità ciascuno a proprio modo; è corretto invece dire, con la seconda enunciazione, che la divinità non è indipendente da ciò che gli uomini credono che sia. Il rapporto che si instaura attraverso il mito (cioè attraverso il pensiero) è reciproco. Passa dalle cose a noi e da noi alle cose (cfr. la terza enunciazione). Il pensiero, l’intenzione, appartengono ai “pensati” quanto ai “pensanti” (cfr. la quarta enunciazione). Questa è un’idea strana (se non addirittura inconcepibile) in una visione della realtà divisa tra due res eterogenee. Ma non lo è nella prospettiva cosmoteandrica, dove le tre sfere sono in relazione reciprocamente costitutiva e ogni evento in una di esse ricade, per così dire, “automaticamente”, nelle altre. Non ci sono cose che non presentino al tempo stesso tutte e tre le dimensioni. La quinta enunciazione non ha nessun sapore esotico o new age: essa esprime il legame imprescindibile fra le tre sfere del reale. Non esistono compartimenti stagni, a nessun livello. Questa posizione (descritta dalle sei citazioni) e il cosmoteandrismo si implicano a vicenda. Rifiutare questa, vuol dire rifiutare quello; viceversa, ammettere il cosmoteandrismo vuol dire accettarne le conseguenze: la materia non è l’unica dimensione della realtà, né vi sono dimensioni separate (ancorché occasionalmente comunicanti). La realtà è una e ha tre dimensioni (il senso della parola “dimensione” è stato chiarito nel capitolo sul cosmoteandrismo). 119


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Si è visto nei capitoli precedenti che, dal punto di vista dei fondamenti, del rigore e delle esigenze della scienza, non vi è motivo di rifiutare il cosmoteandrismo, e che anzi esso consente di gettare luce su alcune discutibili assunzioni ipotetiche come la cosa in sé. Anche in questo caso vi è ogni motivo per sostenere che la scienza moderna sia perfettamente compatibile con l’idea che «il pensatore modifica il pensato». Note 1. R. Panikkar, La nuova innocenza, vol. 3, pp. 232-233. 2. Id., Divinità, p. 25. 3. Id., La visione cosmoteandrica, p. 524. 4. Id., Deux personnages en quête de hauteur. 5. Id., Tra Dio e il cosmo, p. 88. 6. Ivi, p. 141. 7. R. Panikkar, Politica e interculturalità, p. 21.

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Dedicato alla grandezza di un Maestro Maestro dei saperi questo secondo libro negli Asteroidi di Pietro Barcellona viene stampato nel carattere Simoncini Garamond su carta Arcoprint delle cartiere Fedrigoni dalla tipografia Sograte di Città di Castello per conto di Diabasis nel marzo dell’anno duemila undici


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