I primi italiani in America del Nord

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Diplomatici, soldati, operai, commercianti, viaggiatori, contadini, artisti, missionari, giornalisti, intellettuali, piccoli avventurieri e perseguitati religiosi e politici: questo dizionario raccoglie le biografie e i frammenti di vita degli emigrati liguri e piemontesi in Canada e negli Stati Uniti tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento. Una emigrazione composita e pionieristica, limitata nel numero ma fortemente intrecciata con i grandi avvenimenti storici di quella parte del continente, la quale era allora attraversata – come l’Europa – dai complessi processi di fondazione delle nuove nazioni: la frontiera e la costruzione del territorio nazionale, la fondazione delle città, la guerra e le altre forme di contatto con le popolazioni native, e, negli Stati Uniti, la Rivoluzione, lo scontro tra Nord e Sud, la corsa all’oro.

Fondazione Casa America

INDICE

I primi italiani in America del Nord

Repressione, libertà e conoscenza: Gli aspetti dell’emigrazione sabauda in America, Chiara Vangelista

Dizionario biografico dei liguri, piemontesi e altri Storie e presenze italiane tra Settecento e Ottocento

Prefazione al Dizionario storico biografico dei liguri e piemontesi in America del Nord, Roberto Speciale Mobilità e migrazione: dal contribuzionismo alle reti di relazioni, Luca Codignola Bo

I primi italiani in America del Nord

Fondazione Casa America

MONTEFALCONE STUDIUM STUDI e RICERCHE

I liguri del Dizionario, Adele Maiello Dal Regno di Sardegna agli Stati Uniti, Maddalena Tirabassi L’attenzione per il sistema politico statunitense: il viaggio di Carlo Vidua (1825-1826), Francesco Surdich Schede Frammenti Indice dei nomi

Risultato del lavoro di ricercatori e studiosi di diverse discipline, il volume è un

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utile strumento di analisi e insieme l’occasione di una piacevole lettura.

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Il volume è pubblicato con il contributo di

Coordinamento editoriale Giuliana Manfredi Redazione Sara Vighi Progetto grafico BosioAssociati, Savigliano (CN) Copertina Emanuela Nosari In copertina Rielaborazione grafica da Eduardo Charton, La vuelta al mundo, Administración del Correo de Ultramar, Paris 1863 ISBN 978-88-8103-668-4 © 2009 Edizioni Diabasis via Emilia S. Stefano 54 I-42100 Reggio Emilia Italia telefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047 www.diabasis.it info@diabasis.it


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I primi italiani in America del Nord Dizionario biografico dei liguri, piemontesi e altri Storie e presenze italiane tra Settecento e Ottocento Ricerca coordinata da Chiara Vangelista

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Ringraziamenti Omar Balbiano Renzo Calegari Marco Cassini Luca Codignola Bo Anna D’Albertis Dario Decimo Maria Camilla De Palma Antonio Gibelli Fedora Giordano Roberto Maccarini Anna Maria Lazzarino Del Grosso Adele Maiello Augusta Molinari Cesare Pitto Irene Poggi Yael Razzoli Mauro Reginato Roberto Risso Matteo Sanfilippo Franco Sborgi Francesco Surdich Maddalena Tirabassi Umberto Torretta Archivio di Stato di Genova Archivio di Stato di Torino


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I primi italiani in America del Nord

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Repressione, libertà e conoscenza: gli aspetti dell’emigrazione sabauda in America, Chiara Vangelista

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Prefazione al Dizionario biografico dei liguri e piemontesi in America del Nord, Roberto Speciale

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Mobilità e migrazione: dal contribuzionismo alle reti di relazioni, Luca Codignola Bo

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I liguri del Dizionario, Adele Maiello

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Dal Regno di Sardegna agli Stati Uniti, Maddalena Tirabassi

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L’attenzione per il sistema politico statunitense: il viaggio di Carlo Vidua (1825-1826), Francesco Surdich

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IMMAGINI

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Schede

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Frammenti

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Indice dei nomi


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Partenza da Genova, attracco negli Stati Uniti, fine Ottocento.


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Prefazione al Dizionario biografico dei liguri e piemontesi in America del Nord Roberto Speciale

Con questa pubblicazione mettiamo la prua sull’America del Nord. Lo facciamo con un approccio storico-culturale e cioè la redazione di un dizionario dei primi italiani (liguri, piemontesi, sardi, savoiardi) che si sono avventurati negli USA e nel Canada tra il Settecento e l’Ottocento. Questo è il frutto di un lavoro di ricerca coordinato dalla professoressa Chiara Vangelista e che ha visto la collaborazione di alcuni docenti universitari e ricercatori. Il lavoro, anche se contenuto dal punto di vista quantitativo, è significativo e i nomi individuati sono di notevole interesse. Parliamo di quasi un centinaio di biografie. Non è stato semplice metterle assieme ma costituiscono la prima ricerca riferita ad un ambito territoriale italiano circoscritto e a un periodo definito. Ci auguriamo che possa sollecitare altre e più consistenti ricerche. La Fondazione Casa America ha svolto qualche anno fa un’attività simile per l’America Latina mettendo assieme 2100 nomi che ha raccolto nel “Dizionario storico biografico dei Liguri in America Latina”*, ma l’iniziativa aveva un ambito geografico più ampio, non conteneva analoghi limiti temporali, ed ovviamente in America del Sud e in particolare sul Rio della Plata si è assistito ad un’emigrazione precoce (soprattutto ligure), ancora prima della grande emigrazione del Novecento, di più grande dimensione. La missione storica della nostra fondazione è, e continuerà ad essere in buona misura, rivolta all’America Latina ma ora vogliamo esplorare anche la parte nord del continente per valorizzare gli aspetti culturali del passato e del presente più coerenti con i nostri obiettivi. Con questo volume riaffermiamo questo intento che già avevamo voluto sottolineare con la pubblicazione “Garibaldi. Iconografia tra Italia e Americhe” pubblicata da Silvana Editoriale nel 2008, nella quale con le immagini e con alcuni saggi storici avevamo testimoniato la diffusione del mito del generale anche in America del Nord. * Edizione Affinità Elettive, Ancona 2006.


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Roberto Speciale

Nel libro di Andrew F. Rolle “Gli emigrati vittoriosi. Gli italiani che nell’Ottocento fecero fortuna nel West americano” sono già contenute, mi sembra, alcune spiegazioni della difficoltà di queste ricerche. L’autore afferma che: “La scarsità delle ricerche sull’influenza esercitata dagli stranieri nel West americano ha reso possibile quella deformazione dei fatti per cui si è ritenuto che la composizione del West fosse essenzialmente anglo-americana”. E scrive: “… gli italiani pur contribuendo al pari dei francesi, degli olandesi e dei tedeschi alla colonizzazione dell’America, non pervasero di sé la società e la politica americana e non formarono nel West delle sacche etniche durature”. Stiamo parlando ovviamente del periodo precedente alla grande emigrazione che porterà più di 13 milioni di italiani in America del Nord e si fa riferimento esplicito al West mentre per le città dell’East la situazione è in parte diversa. L’autore cita poi l’opinione di Eric Hoffer che afferma che gli italiani “vennero con l’ardente desiderio di mutare la vecchia identità europea e di rinascere a nuova vita; ed è naturale che fossero forniti di una illimitata capacità di imitare ed assimilare il nuovo”. Insomma, ritornando a Rolle, per tutti questi motivi: “l’italiano letteralmente scomparve come entità etnica. L’acculturazione fu talmente rapida che la ricostruzione della storia degli immigrati italiani nel West è impresa molto difficile”. Ed è un vero peccato perché tanti segni sembrano indicare invece una presenza attiva di emigrati italiani in quel periodo in alcune città e territori, lungo il corso del Mississippi o sulle coste atlantiche e pacifiche. Probabilmente erano nell’ordine delle migliaia (ma la popolazione complessiva era scarsa allora: al momento dell’indipendenza si contavano 3 milioni di americani) ma mi piace pensare che gli italiani abbiano avuto un’incidenza non trascurabile. Già precedentemente vi furono, con tutta probabilità, degli italiani al seguito della presenza spagnola o francese nel continente come dimostrerebbe la costituzione dei reggimenti canadesi Italia e Carignano nel Seicento. Lo storico piemontese Carlo Botta nei suoi due volumi “Storia della guerra dell’indipendenza degli Stati Uniti d’America”, pur non interessandosi a questi aspetti e mirando solo a ricostruire gli avvenimenti e le tappe più significative dell’indipendenza americana, ed esclusivamente attraverso giornali inglesi e francesi, probabilmente fa riferimento in qualche caso, senza volerlo, a questa presenza italiana. Per esempio ricorda


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da chi era capeggiata la rivolta nel Massachusetts e cita questi nomi: Giovanni Averino, Enrico Velles, Stefano Cleverlino, Enrico Basso, Beniamino Edesso. Se non c’è una sua involontaria italianizzazione, che però non mi sembra che compia in altri casi, è facile scorgere in quei nomi delle origini italiane. Ed anche tra gli inglesi in America vi sono queste tracce se viene richiamato il medico Tommaso Mofatto e poi tal Giovanni Conelli, agente di collegamento tra gli inglesi e gli indiani poi preso prigioniero dagli americani e del quale non conosciamo la fine ma possiamo immaginarla. Ed ancora quando gli americani per contrastare la potenza inglese sui mari costruiscono nuove navi a Philadelphia e nel Rhode Island le chiamano, guarda caso, Caboto, Colombo, Andrea Doria. In particolare il nome di Andrea Doria potrebbe svelare la presenza, tra i costruttori o i marinai, di persone di origine italiana. Ed infine, ritornando al libro di Rolle, è chiaro il riferimento a comunità italiane quando ci si riferisce alla costituzione di colonie che portano il nome di Genoa, Genoa Bluff, Turin, Garibaldi, Verdi. Nel suo racconto di viaggio, nella seconda metà dell’Ottocento, Vigna Del Ferro quando raggiunse San Francisco la descrisse come “la città degli Stati Uniti con la maggiore componente latina” e fu preso dall’entusiasmo quando constatò che i quattro quinti dei pescatori erano genovesi! Nella biografia che pubblichiamo in questo volume l’ecclesiastico ANTOINE CAUVIN (v.) di Nizza, rispondendo al nunzio apostolico di New York nel 1853, che gli chiede maggiori informazioni sugli immigrati italiani, divide in due la comunità: gli italiani propriamente detti arrivati di recente e i genovesi da più tempo oltreoceano. Insomma una storia affascinante in parte ancora da scrivere, se ve ne fossero le tracce, e che testimonierebbe il ruolo avuto dai primi “italiani” nelle diverse tappe della formazione di quegli stati. Un’emigrazione precedente a quella grande emigrazione che caratterizzerà il Novecento e imprimerà un carattere marcato, in particolare agli Stati Uniti. Un’emigrazione pionieristica, molto limitata nel numero ma forse fortemente intrecciata con i grandi avvenimenti storici di quella parte del continente, si potrebbe dire costitutiva di quegli stati: la guerra di indipendenza, la costruzione delle città, lo scontro tra Nord e Sud, la corsa all’oro, le guerre contro i pellerossa. Ancora una considerazione. Anche in America del Nord, come in America Latina nello stesso periodo, la gran parte di questa prima emigra-


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zione italiana veniva dal Nord. Fino al 1876 in tutti gli Stati Uniti l’85% degli italiani e la quasi totalità nel West proveniva dalle regioni settentrionali del Paese. Indagando quindi, come noi abbiamo fatto, in questa porzione del Nord-Ovest d’Italia abbiamo valutato uno spicchio considerevole dell’emigrazione totale fino a quel periodo. Rimangono fuori personalità notevoli come, per esempio, alla fine del Seicento il cartografo Francesco Kino (o Chino o Chini), trentino, del quale si conserva una sua statua nel Campidoglio o il bergamasco Giacomo Costantino Beltrami, personalità di assoluto rilievo, geografo ed esploratore, e tanti altri. In conclusione ho avuto un’idea strana della quale do conto. Ho riletto o, in qualche caso, letto per la prima volta alcuni libri di autori europei sull’America, quelli che avevo a disposizione o che conoscevo, per vedere se in quegli autori vi fossero cenni diretti o indiretti all’emigrazione europea e particolarmente a quella italiana. Ho già detto di Carlo Botta. Ho ripassato poi Alexis de Tocqueville “La democrazia in America”, un libro straordinario. Nato nel 1805 (come Mazzini e lo stesso anno in cui Bolivar viene in Italia e giura di lottare per l’indipendenza dell’America Latina) compie un viaggio negli Stati Uniti nel 1831 per conoscerne le istituzioni e la democrazia e pubblica la prima parte del suo studio nel 1835. L’autore ha altri intenti ovviamente, e nella sua opera non c’è nulla di quello che potevo sperare. Vi sono però due passaggi che mi hanno colpito e che mi sembra interessante citare. Il primo: “Alla fine del secolo scorso arditi avventurieri cominciarono a puntare sulla vallata del Mississippi. Fu una specie di nuova scoperta dell’America e ben presto il grosso dell’emigrazione si diresse verso quella zona facendo sorgere nuove società in pieno deserto. Stati di cui qualche anno prima non esisteva neanche il nome presero il loro posto nella Unione Americana. Proprio nell’Ovest si può vedere la democrazia giunta al suo ultimo limite”. Gli “avventurieri” come parte costitutiva dello stato e come sale della democrazia! Parlando poi della Marina americana e del commercio si domanda perché essa stia sbaragliando la concorrenza. Non è il costo della costruzione delle navi né la paga perché dice Alexis de Tocqueville “La paga dei marinai americani è più elevata di quella dei marinai d’Europa e ne è prova il gran numero di europei che si trovano nella marina degli Stati Uniti”. Notizia interessante per noi! La spiegazione sulle capacità concorrenziali sta nel fatto che gli


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americani sfidano, secondo Tocqueville, ogni pericolo e perciò navigano più rapidamente e a costi più bassi, “mettono una specie di eroismo nella loro maniera di fare il commercio”. Il secondo libro ottocentesco è “America” di Charles Dickens. Nato nel 1812 va per la prima volta negli Stati Uniti poco dopo Tocqueville, nel 1841. Per lui l’America è la terra promessa, ne è un entusiasta apologeta, ne ritorna irritato e deluso. Salvo Boston, le cascate del Niagara e qualche cosa del Canada, vede tutto in negativo: la stampa, i diritti d’autore negati, il cibo, la sporcizia, le condizioni di vita, il carattere degli americani, la schiavitù, la situazione dei manicomi in America. Dickens conosce ed apprezza l’Italia ma in America ovviamente cerca altre cose anche se a Boston vede, sorprendentemente, “un cielo degno dell’Italia”. C’è, dal nostro punto di vista, solo un cenno di un certo interesse: “Come sono tranquille le strade! Come? Non ci sono suonatori ambulanti e grattate di strumenti a corda? No, nulla del genere. E di giorno non ci sono burattini, cani danzanti, orchestrine, giocolieri oppure organetti? No. Niente di tutto questo. Ah sì, ricordo un organetto e una scimmia che ballava… a parte ciò nulla di vivace”. C’è in queste parole il riflesso di una situazione molto diffusa allora in molte città europee ed anche a Londra, e presente evidentemente anche in America, costituita da girovaghi, per lo più italiani, spesso bambini (una specie di tratta) provenienti in particolare dall’Appennino tra Liguria, Emilia e Toscana, una sorta di emigrazione della quale non andare troppo fieri. E poi arrivato a Saint Louis incontra le missioni cattoliche: “C’è un collegio di gesuiti e un convento per le suore del Sacro Cuore…c’è anche, per giunta, una cattedrale dedicata a San Francesco Saverio e un ospedale…da qui partono missionari per le tribù indiane”; così in effetti vediamo anche in alcune biografie contenute in questo dizionario. Tra i libri del Novecento ho riletto “America” di Franz Kafka, scritto tra il 1911 e il ’14, ma qui c’è poco da dire perché l’autore non è stato in America, scrive sulla base di racconti orali degli anarchici cechi e dei suoi familiari e alla fine questo non è certamente il racconto più ottimistico della cosiddetta “trilogia della solitudine” dei romanzi di Kafka. E poi ho letto “America primo amore” di Mario Soldati. L’autore s’imbarca a Genova sul Conte Biancamano nel novembre del 1929, in un periodo quindi molto posteriore a quello da noi esaminato, durante la Grande Crisi, e rimane due anni. “L’America – dice


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Soldati – è terra di europei fuggiaschi e ribelli… l’America è uno stato d’animo, una passione. E qualunque europeo può, da un momento all’altro, ammalarsi d’America, ribellarsi all’Europa e diventare americano”. Qua e là ritrova un po’ d’Italia. Dice l’autore: “E così Bronx, East Side, perfino Harlem: nonostante l’autenticità ignota al Quartiere cinese, l’emigrato latino vi circola subito a suo agio, vi ritrova sempre qualche cosa di Barcellona, Marsiglia, Genova o Napoli”. Quella che frequenta Soldati è però un’America molto diversa, quella della Grande Crisi e anche di Al Capone. Ci sono molti emigrati italiani, nelle città soprattutto, ma è un’altra emigrazione. È interessante proprio per questo, risalta la distanza rispetto al periodo precedente anche attraverso le parole ironiche e un po’ aristocratiche di Soldati. Lo si vede nella descrizione di un invito a pranzo di una famiglia italoamericana, meridionale: le urla, la musica, la quantità di cibo. “Tagliati fuori dall’America come dall’Italia hanno riprodotto, cristallizzato… la mentalità e la società italiana come erano all’epoca della loro emigrazione… è possibile riconoscere la società provinciale e borghese di Avellino, o di Aquila, Benevento, Potenza, eccetera, prima della guerra. Uno storico serio dell’epoca umbertina dovrebbe vivere un anno a Brooklyn o a Bronx. Come certi glottologi per studiare il francese parlato del Seicento vanno al Canada…”. Non c’è più la rapida assimilazione, la non distinguibilità dell’immigrazione italiana precedente. Infine nel volume di John Steinbeck L’America e gli americani, una raccolta di scritti brevi in un periodo a noi più vicino, fin troppo. La cosa che personalmente più mi ha incuriosito è il racconto sulla sua polemica con il giornale «l’Unità» in Italia nel 1952, ma questo non ci riguarda. Di Steinbeck, che come dice lui stesso viene da una famiglia massonica affiliata alla loggia dei Cavalieri di Colombo, mi sembra interessante citare la seguente affermazione che si ricongiunge all’inizio di questo intervento e a ciò che Rolle ricordava sulle difficoltà a ricostruire la storia degli italiani seppure riferito a ben altro periodo. “… i giovani dei vari gruppi etnici hanno negato le proprie radici e la propria lingua d’origine. Malgrado la rabbia, il disprezzo, la gelosia, i ghetti, la segregazione, in questa terra chiamata “America” stava succedendo qualcosa. I suoi abitanti erano americani. Le nuove generazioni volevano essere americane più di quanto volessero essere polacche, tedesche, italiane o inglesi. E ci sono riuscite. Da nazione poliglotta l’America è diventata la nazione dove si conoscono meno le lingue”.


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Così si chiude il cerchio nonostante gli italoamericani del Novecento che mantengono le radici, anche troppo forse, e le mischiano con il paese dove vivono. Forse oggi vi sono le condizioni per recuperare con più distacco le proprie origini e per ricostruire una grande storia che non è stata fatta solo da inglesi ma che comprende anche gli italiani del Settecento e dell’Ottocento. È uscito per la prima volta in Italia un testo di John F. Kennedy che parla dell’immigrazione negli Stati Uniti, al cui esercito lui stesso rivendica la sua appartenenza. È un testo molto bello che va letto soprattutto da chi guarda solo con disprezzo le migrazioni dei popoli. Quasi all’inizio cita Franklin Delano Roosevelt che dichiara: “Ricordate sempre che tutti noi, io e voi in special modo, discendiamo da immigrati e rivoluzionari.”


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Dal Regno di Sardegna agli Stati Uniti Maddalena Tirabassi

La storia delle migrazioni dalla penisola italiana in epoca preunitaria non ha ricevuto che di recente l’attenzione della ricerca, anche se la lunga durata del fenomeno costituisce un tratto caratterizzante l’esperienza italiana rispetto agli altri paesi europei (Pizzorusso, 2007; Pizzorusso G. e Sanfilippo, 1990; Romano, 1992; Franzina, 2005; Gabaccia, 2003). Gli ormai numerosi studi effettuati sulla cosiddetta montagna Mediterranea, che comprendo tutte le zone montane italiane, lo hanno ampiamente dimostrato (Albera, Corti, 2000). È solo il momento dell’unificazione politica del paese che scandisce una data significativa per i movimenti migratori: da quel momento l’emigrazione iniziò anche a essere registrata, attraverso il controllo nell’emissione dei passaporti e, dal 1876, i censimenti, che si iniziarono a tenere a scadenza decennale, entrando a far parte dei fenomeni di competenza del nuovo stato. Come ricorda Dora Marucco (2001, p. 62), fu l’armatore ligure Jacopo Virgilio a sollecitare la compilazione di statistiche generali sull’emigrazione. In secondo luogo, per i suoi effetti sui confini: un problema riguardante l’analisi di fenomeni migratori su scala regionale deriva infatti dalla difficoltà a definire i confini di queste ultime. I confini amministrativi non sempre coincidono con quelli sociali, economici e culturali che attraversano il territorio e che determinano quella che è stata anche definita come produzione storica dei luoghi. Alcune regioni, peraltro, sono storicamente ben caratterizzate, grazie a una lunga tradizione amministrativa risalente a stati preunitari, come il Piemonte e la Liguria, eredi del regno di Sardegna (Audenino e Tirabassi, 2008). Fu proprio il Regno di Sardegna che registrò, nel 1850, ottomila presenze di sudditi negli Stati Uniti. I rapporti consolari del Regno Sabaudo, conservati presso l’Archivio di Stato di Torino, che sono stati oggetto di una recente analisi da parte di Marco Mariano e Duccio Sacchi, costituiscono una preziosa fonte per l’analisi delle migrazioni preunitarie dal Piemonte e dalla Liguria (Mariano e Sacchi, 2007). A partire dalla


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prima sede consolare istituita nel 1919 a Philadelphia, si trovano le prime descrizioni delle comunità italiane, soprattutto liguri, presenti nel paese. A metà degli anni venti si potevano contare viceconsolati nelle principali città della costa orientale: Boston, New Orleans, Norfolk, Charleston e Savannah. Nell’ottica della ricerca biografica che qui viene presentata, la fonte è tanto più importante, in quanto, come fanno notare Mariano e Sacchi, il servizio consolare era composto da funzionari e consoli reperiti sul territorio, che erano prevalentemente commercianti del Regno di Sardegna. La loro funzione di trait d’union tra la comunità e le élite locale viene ampiamente documentata traverso i rapporti consolari. Come nota lo storico Giovanni Pizzorusso, in questi anni “lo studio microanalitico di casi singoli o di famiglie è necessario ai fini della ricostruzione dei flussi” (Pizzorusso, 2001). L’emigrazione italiana verso gli Stati Uniti in epoca preunitaria fu infatti caratterizzata dalla sua eterogeneità: le centinaia di esuli e rifugiati politici in seguito al fallimento delle insurrezioni per l’Unità nazionale italiana, vennero ad aggiungersi a un numero considerevole di artisti, musicisti ed esponenti del mondo letterario, professori, artigiani, commercianti, venditori ambulanti, artisti di strada (fra i quali i “piccoli schiavi dell’arpa”) figurinai lucchesi (Durante, 2001; Incisa di Camerana; Franzina, 1995). Queste avanguardie dell’emigrazione di massa negli Stati Uniti che, come risulta dal censimento del 1880 risultano solo 44.230, sono quindi spinte a varcare l’Oceano da diverse motivazioni politiche ed economiche. Il rientro in patria era il primo obiettivo degli esuli politici, ma almeno per un po’ furono costretti a fare la vita degli emigranti: negli Stati Uniti spesso privi di un mestiere, si improvvisano insegnanti. E proprio a due di essi si deve la fondazione delle prime scuole italiane a Boston e New York (Franzina, 1995, p. 112). Una corrente importante in questi anni è quella degli artisti italiani illustrata dalla storica Regina Soria che dedica all’argomento un dizionario biografico, American Artists of Italian Heritage, 1776-1945 (1993). Soria elenca 350 artisti: scultori e pittori, ma anche scalpellini, intagliatori di marmo, figurinai e stuccatori, fabbricanti di burattini, intagliatori del legno, poster designers, di fatto chiunque lavorasse nelle arti figurative. Alcune delle icone americane sono state prodotte da italiani: da citare lo scultore del Campidoglio, Giuseppe Franzoni, Enrico Causici,


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scultore della prima statua di Washington e dei busti di Jefferson e Moore, Costantino Brumidi, che introdusse in America la tecnica dell’affresco. Tutti questi artisti esercitarono un ruolo importante nel “dar forma” all’America prima che la grande ondata migratoria giungesse a plasmare a sua volta il panorama. Bibliografia AA.VV., La via delle Americhe. L’emigrazione ligure fra evento e racconto, SAGEP, Genova 1989. ALBERA D., CORTI, P. (a cura di), La montagna mediterranea. Una fabbrica d’uomini? Mobilità e migrazioni in una prospettiva comparata (secoli XV-XX), Gribaudo, Cavallermaggiore 2000. Archivio storico dell’emigrazione italiana, anno 2, 1, 2006, Modelli di emigrazione regionale dall’Italia centro-settentrionale, anno 3, 1, 2007, Modelli di emigrazione regionale dall’Italia centro-meridionale. AUDENINO P., TIRABASSI M., Storia e storie. Migrazioni italiane dall’Ancien Régime a oggi, Bruno Mondatori, Milano 2008. BEZZA B. (a cura di), Gli italiani fuori d’Italia. Gli emigrati italiani nei movimento operai dei paesi d’adozione (1880-1940), Franco Angeli, Milano 1983. FRANZINA E., Gli italiani al nuovo mondo. L’emigrazione italiana in America 1492-1942, Mondadori, Milano 1995. GABACCIA D., Emigranti. Le diaspore degli italiani dal Medioevo a oggi, Einaudi, Torino 2003. GALANTE GARRONE A., L’emigrazione politica italiana del Risorgimento, in «Rassegna storica del Risorgimento», XLI, 1954, pp. 229-242. GIBELLI A., La risorsa America, in A. GIBELLI, P. RUGAFIORI (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’unità ad oggi. La Liguria, Einaudi, Torino 1994. MACK SMITH D., Mazzini, Rizzoli, Milano 1994. MARIANO M., SACCHI D., La costruzione della rete consolare sarda nelle Americhe (18151860), in Annali della Fondazione Einaudi, XL, 2007, pp. 327-368. MARUCCO D., Le statistiche dell’emigrazione italiana, in Storia dell’emigrazione italiana, vol. I, Partenze, a cura di P. Bevilacqua, A. De Clementi e E. Franzina, Donzelli, Roma 2001, pp. 61-75. PARIS R., L’Italia fuori d’Italia, in Storia d’ Italia, vol. 4, 1, Dall’unità a oggi, Einaudi, Torino 1975, pp. 509-818. PIZZORUSSO G., SANFILIPPO M., Rassegna storiografica sui fenomeni migratori a lungo raggio in Italia dal basso Medioevo al secondo dopoguerra, in SIDES (a cura di), Le migrazioni internazionali dal Medioevo all’età contemporanea. Il caso italiano, Bollettino di demografia storica, 13, 1990. PIZZORUSSO G., Mobilità e flussi migratori prima dell’età moderna: una lunga introduzione, in «Archivio storico dell’emigrazione italiana», anno 3, n. 1, 2007, pp. 205-222. PIZZORUSSO G., I movimenti migratori in Italia in Antico regime, in P. BEVILACQUA, E.


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Maddalena Tirabassi

FRANZINA, A. DE CLEMENTI, Storia dell’emigrazione italiana. Partenze, Donzelli, Roma 2001, pp. 3-16. PORCELLA M., Premesse dell’emigrazione di massa in età prestatistica (1800-1850), in Storia dell’emigrazione italiana, vol. I, Partenze, a cura di P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina, Donzelli, Roma 2001, pp. 17-44. RIALL L., Garibaldi. L’invenzione di un eroe , Laterza, Roma-Bari 2007. ROMANO R., Il lungo cammino dell’emigrazione italiana, in «Altreitalie», 7, 1992, pp. 19-30. ROSI M., Dizionario del Risorgimento nazionale. Dalle origini a Roma capitale. Fatti e persone, Vallardi, Milano 1930-1937. SORIA R., American Artists of Italian Heritage, 1776-1945, Associated University Presses, Rutheford 1993. SORIA R., American Artists of Italian Heritage, (1776-1945), in «Altreitalie», 15 gennaiogiugno 1997. ZUCCHI J., The little slaves of the harp. Italian child sreet musicians in Nineteenth century Paris, London and New York, McGill-Queen’s University Press, Montreal 1992.


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IMMAGINI

Canada. Regione dei Grandi Laghi.

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Veduta del porto di QuĂŠbec. Veduta del fiume Hudson.

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Sono di seguito elencati gli autori delle schede presenti nell’opera. Ad ogni autore viene indicata a fianco la corrispondente sigla identificativa, che il lettore troverà al termine del testo di ogni scheda, prima delle indicazioni bibliografiche. Luca Codignola Bo Anna D’Albertis Dario Decimo Maria Camilla De Palma Fedora Giordano Anna Maria Lazzarino Del Grosso Alessandro Pagano Cesare Pitto Irene Poggi Yael Razzoli Roberto Risso Matteo Sanfilippo Francesco Surdich Umberto Torretta

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AFFRANCHINO, ANGELO SJ Borlasca, Genova 14 ago. 1834 – Santa Clara, California 13 lug. 1879 Entrò come novizio della Compagnia di Gesù il 10 novembre 1852. Di costituzione cagionevole, nel 1856 venne ricoverato in una casa di salute di proprietà dell’Ordine a Bertinoro (Forlì). Ristabilito, nel 1859 fu mandato in Inghilterra, a Stonyhurst, per prepararsi all’ordinazione. Nel 1860 ottenne l’incarico di insegnante di greco, latino, inglese e spagnolo nel Collegio di Sant’Ignazio a San Francisco (California). Appassionato di musica, per molti anni svolse anche la funzione di maestro del coro e compose una messa che venne pubblicata. Nel 1866 fu trasferito a Santa Clara in California, punto d’appoggio per i pellegrinaggi religiosi nell’America del Nord: da qui, infatti, iniziò la sua opera missionaria. Nel 1877 ritornò definitivamente a Santa Clara, dove morì nel 1879. yr BIBLIOGRAFIA

Dizionario biografico dei liguri, Consulta ligure, Genova 1992, tomo I, pp. 58-59; G. MCKEVITT, Brokers of Culture: Italian Jesuits in the American West, 1848-1919, Stanford University Press, 2006.

AMATEIS, LUIGI Torino 13 dic. 1855 – West Falls Church, Virginia, 16 mar. 1913 Studiò architettura all’Istituto di Tecnologia e scultura all’Accademia Reale di Belle Arti, entrambi a Torino e ricevette una medaglia d’oro dall’Accademia per il suo eccezionale lavoro. Nel 1880 gli fu conferita una medaglia d’argento all’Esposizione Nazionale a Torino. Proseguì gli studi artistici a Parigi e Milano, per poi decidere, nel 1883, di emigrare negli Stati Uniti. Soggiornò prima a New York, dove eseguì alcune sculture, in particolare per


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le imprese di McKim, Mead e White. Venne naturalizzato cittadino americano e nel 1889 sposò Dora Ballin da cui ebbe quattro figli. Dopo il matrimonio, A. si trasferì a Washington, dove fondò la Scuola di Architettura e di Belle Arti alla Columbia University. Dal 1892 al 1902 fu il direttore del Dipartimento di Belle Arti in quella Università. Tra alcuni dei suoi lavori più conosciuti, vi sono le porte bronzee (1909) progettate per l’entrata principale occidentale del Parlamento degli Stati Uniti, un monumento agli eroi della rivoluzione del Texas (1900) a Galveston e i busti di alcuni importanti personaggi tra, i quali il presidente Chester A. Arthur, il generale Winfield Scott Hancock e il filantropo Andrew Carnegie. A. eseguì numerosi monumenti in Texas. Quattro delle sue sculture si trovano a Galveston: oltre al monumento agli eroi commissionato da Henry Rosenberg, una statua dello stesso Rosenberg (1906), un monumento eretto sulla tomba del generale John Bankhead Magruder e un monumento bronzeo ai soldati confederati della Guerra Civile americana (1894-1912). Altri suoi lavori in Texas includono “Spirito della Confederazione” (1907) a Houston e “Chiamata alle Armi” (19071908) a Corsicana. I suoi lavori furono presentati alla Pan-American Exposition di Buffalo nel 1901 e al Louisiana Purchase Exposition di Saint Louis nel 1904. Esibì le sue opere anche all’Accademia Nazionale del Disegno di New York e alla Società d’Arte di Philadelphia. Fu membro della Società degli Artisti di Washington, della Società Nazionale di Scultura e della Società Nazionale d’Arte. Suo figlio, Edmond Romulus Amateis, divenne un importante scultore durante la prima metà del ventesimo secolo. yr BIBLIOGRAFIA

R. SORIA, American Artists of Italian Heritage, 1776-1945: A Biographical Dictionary, Associated University Presses, London and Toronto 1993. SITOGRAFIA TSHA Online: a digital gateway to Texas history http://www.tshaonline.org/handbook/online/articles/AA/fam2.html


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AMATIS, PAUL ? – Charleston, dic. 1736 I primi italiani giunti in Georgia erano stati ingaggiati come operai specializzati per lavorare nelle fabbriche tessili della seta perché erano considerati i lavoratori migliori in Europa. Molti erano emigrati dal Piemonte a Lione dove avevano lavorato con profitto nelle aziende tessili locali e da qui erano partiti per l’Inghilterra e poi per il Nuovo Mondo. Il generale Oglethorpe, quando aveva fondato la Georgia nel 1732, aveva posto come obiettivo quello di farne un importante centro per la lavorazione della seta. Il commercio di questo prodotto con la Gran Bretagna creava molto profitto e la domanda era in continua crescita. Tra i primi italiani a giungere in Georgia si trova citato il piemontese A. che lasciò l’Inghilterra il 16 novembre 1732 per stabilirsi nella nuova colonia. Appena giunto chiamò suo fratello Nicholas che era residente a Lione, il quale partì nel 1733 con altre sette persone. Tra queste troviamo Giacomo Luigi Camuso con la moglie e 3 figli, indicati come di origine piemontese, mentre per gli altri viaggiatori non è specificato il nome. Gli italiani avevano firmato un contratto di lavoro a Londra che prevedeva un salario di 25 pounds all’anno per 4 anni, una casa e 100 acri di terra per nucleo famigliare. Alla fine dei 5 anni del contratto A. avrebbe ricevuto i soldi per pagare il viaggio di ritorno in Europa, oppure una somma qualora decidesse di rimanere in Georgia. A. morì nel 1736 a Charleston, in South Carolina. A. si era sposato con Catherine, che morì nel 1739. ip BIBLIOGRAFIA

G. SCHIAVO, Italians in America Before Civil War, The Vigo Press, New York-Chicago 1934.

AMICO, MATTEO Loano, Savona 1827 – Callao, Perù 1868 Fin da giovane A. lavorò nei cantieri navali del porto di Loano come maestro d’ascia, nell’epoca in cui l’industria dei velieri non era ancora stata minacciata dalla concorrenza della navigazione a vapore. Nel 1846 lavorò alla costruzione di un veliero che venne fatto salpare alla volta del Pacifico. Si imbarcò come membro dell’equipaggio e approdò sulle coste americane. Dopo aver toccato


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numerosi porti dell’Atlantico e del Pacifico, il veliero giunse a San Francisco nel 1849, quando in California era scoppiata la cosiddetta febbre dell’oro: come quasi tutti i membri dell’equipaggio, decise di disertare per dedicarsi alla ricerca dell’oro, attività che lo impegnò per diversi anni. In seguito intraprese un viaggio verso il Perù e giunse a Callao, dove risiedeva già suo fratello Sante. Qui arrivò l’altro fratello, Francesco, insieme alla moglie Maddalena Massa. I fratelli A. decisero di stabilirsi definitivamente a Callao, dove si dedicarono al commercio di cabotaggio nei porti peruviani a bordo di vari brigantini. Nel 1860 A. sposò Rosa Valle, figlia di una coppia di emigranti di Sori, dalla quale ebbe due figli, uno dei quali morì prematuramente. Nel 1868 scoppiò un’epidemia di febbre gialla che mieté molte vittime tra la popolazione di Lima e del Callao: tra queste A., il quale, contratta l’epidemia quando era sul suo brigantino nel porto di Hualco, riuscì a far ritorno a Callao, dove morì. yr BIBLIOGRAFIA

G. BONFIGLIO, Dizionario storico biografico degli italiani in Perù (a cura di L. Guarnieri Calò Carducci), Collana dell’Istituto italo-latino americano, Il Mulino, Bologna 1998; G. BONFIGLIO, F. CROCI, El baúl de la memoria: testimonios: escritos de inmigrantes italianos en el Peru, Fondo Editorial del Congreso, Lima 2002, pp. 37-70. SITOGRAFIA

http://www.peruan-ita.org/personaggi/baule1.htm http://www.peruan-ita.org/2002/immigrati.htm#Immigrati%20italiani

APPIA, GIORGIO EDOARDO Francoforte sul Meno, Germania 8 gen. 1827 – Parigi, Francia 19 set. 1910 Figlio di Paolo, pastore della Chiesa Vallone di Francoforte sul Meno, ma originario delle Valli Valdesi, A. compì gli studi classici a Boenigheim e Hanau, e quelli teologici a Bonn, ad Halle e infine a Ginevra, dove terminò gli studi di teologia sotto la guida dei professori Cellérier, Diodati, Pilet, Chenevière. Sostenne la tesi di teologia all’Università di Strasburgo nel 1853. L’11 agosto dello stesso anno venne consacrato nelle Valli valdesi con altri quattro candidati. L’anno successivo fu chiamato come professore al Collegio e alla Scuola Normale di Torre Pellice, dove aveva già insegnato l’anno precedente, e vi rimase fino al 1857, svolgendo un’intensa attività anche come predicatore d’occasione nelle


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chiese della zona. In questi anni, nell’estate del 1856, compì un lungo viaggio nella Francia meridionale per visitare e organizzare i numerosi valdesi che vi si erano stabiliti in quegli anni. Nel 1858 intraprese un viaggio fino a Parigi, ma venne presto richiamato con insistenza alla sua attività nelle Valli, dove divenne ministro della Chiesa di Pinerolo dal 1858 al 1860. Il 12 luglio 1859 sposò Elena Sturge, nipote di Giuseppe Sturge, filantropico quacchero di Birmingham. In seguito venne chiamato come ministro della Chiesa di Palermo, dove rimase dal 1861 al 1862, e in quella di Napoli dal 1862 al 1865. Andò poi a Firenze in qualità di professore della Scuola Valdese di Teologia, dove esercitò dal 1866 al 1867. Fra il 1867 e il 1868 si recò, a sue spese, in America con lo scopo di cercarvi i mezzi finanziari per la costruzione di una chiesa valdese a Napoli. L’anno seguente si trasferì a Parigi chiamato come pastore della Chiesa Luterana della capitale francese e cappellano della Casa delle Diaconesse. Vi rimase per quarantun anni consecutivi, fino alla sua morte, avvenuta il 19 settembre 1910. Fu un uomo di grandi talenti, il più illustre rappresentante della famiglia valdese degli Appia. A. fu anche scrittore e pubblicò la sua tesi di teologia Essai biographique sur Moïse, The Vaudois emigrants in South America, L’Exil et la Rentrée des Vaudois. Recits authentiques, Guillaume III et son rôle dans l’histoire de la Rentrée, in Bull. Soc. Hist. Vaud. n.6, 1889, Chants et chanteurs de la Réforme, Noël à travers les âges. yr BIBLIOGRAFIA

T.J. PONS, Actes des Synodes des Eglises Vaudoises 1692-1854, in «Bollettino della Società di Studi Valdesi», anno LXIX, n. 88, dicembre 1848, pp. 284-285.

AVEZZANA, GIUSEPPE Chieri, Torino 19 feb. 1797 – Roma 25 dic. 1879 Figlio di commercianti, A. si trasferì in giovane età, nel 1812, a Torino per seguire l’attività paterna. In questo stesso anno, preso dall’entusiasmo rivoluzionario scatenato dalle imprese di Napoleone, si arruolò volontario nell’esercito napoleonico, prendendo parte alle campagne del 1813-1814. A soli 15 anni la sua attitudine militare lo portò prima a entrare tra i leggendari Ussari e poi nella Guardia d’onore imperiale. Nelle file francesi A. sarebbe rimasto fino al 1815: costretto a riparare fortunosamente al disastro napoleonico e a un serio infortunio alla gamba, ritornò a Torino dove, grazie all’interessamento del padre, riu-


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scì a entrare nell’esercito sabaudo con il grado di sottotenente. A. però non riuscì ad aderire alle idee reazionarie, al sentore di nuove insurrezioni, l’ufficiale abbandonò la divisa per legarsi ai cospiratori. Partecipò ai moti del 1821 e sfuggì alla pena capitale andando in esilio in Spagna, dove combatté tra i costituzionali contro il corpo di spedizione della Santa Alleanza comandato dal duca d’Angouleme, sotto le insegne del quale militava anche Carlo Alberto di Savoia. Caduto prigioniero, fu deportato a New Orleans. Dopo pochi mesi riuscì a fuggire in Messico, nella cittadina di Pueblo Viejo. Qui si mise subito in evidenza per l’intraprendenza e la preparazione tecnica. Avute notizie circa un progetto governativo mirante a creare un insediamento urbano e un porto sul fiume Panuco, riuscì a ottenere un incarico e si gettò con entusiasmo nella progettazione e nella realizzazione di quella che sarà la città di Tampico. In pochi anni la nuova città divenne un vivace centro commerciale e allo stesso A. verrà richiesto di organizzarne la difesa contro l’esercito spagnolo che, agli ordini del generale Barradas, tentava la riconquista del Messico. Nel giugno 1827 partecipò alla guerra d’indipendenza del Messico combattendo alla difesa dello Stato di Tamaulipas contro gli invasori spagnoli. A. nell’assedio diede grande prova di coraggio e di acume strategico, resistendo fino all’arrivo dei rinforzi e adoperandosi poi per la riedificazione della stessa città. Nel 1832 A. tornò ad abbracciare le armi, questa volta contro il vice presidente Bustamante, colpevole di aver eliminato il presidente Guerrero con l’inganno. A Ciudad Victoria, a San Luis de Potosí, il piemontese fece ancora una volta mostra della sua eccellente preparazione militare sconfiggendo l’esercito usurpatore e salendo al grado di generale dei quattro stati d’oriente della Repubblica. Nel 1834, stabilitosi a New York per aprire una casa di commissioni, A. entrò nei salotti dell’intellettualità romantica e avventurosa. Qui conobbe Maria Mourogh, una ricca ragazza irlandese che presto sposò. Maria gli diede sei figli prima di morire in un incidente nel 1850. Due anni più tardi A. ne sposò la sorella Fanny, divenendo padre altre due volte, prima di rimanere ancora vedovo. I drammi familiari arriveranno alla fine di un periodo costellato di successi personali in campo militare. Nel 1848 infatti A. si imbarcò alla volta di Genova per partecipare ai moti nazionalistici. Divenuto triumviro della città, A. deve combattere anche contro i vari dissidenti accettandone le richieste: in nome della città si opporrà così all’ingresso dell’esercito sabaudo comandato da Lamarmora, organizzando ancora una volta le opere difensive. Capitolata Genova, A. si imbarcherà con 450 uomini fedeli su una nave americana per raggiungere Roma. Qui conobbe Bixio e Mameli ed entrò nella cerchia della giovane repubblica romana. Nominato Ministro della guerra


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della città nel 1849, A. diede a Garibaldi i gradi di generale dell’esercito, organizzò la strategia difensiva e ottenne l’illusoria vittoria contro i francesi del generale Oudinot. Anche l’esperienza romana durò però soltanto pochi mesi e A. tornò a lavorare a New York con GARIBALDI (V.). Nel 1860 ritornò per combattere con le camicie rosse al Volturno. Per i suoi numerosi servigi egli viene inquadrato nell’esercito regolare nel 1861, meritandosi l’Ordine Militare di Savoia all’assedio di Capua. Nel 1862 fu ammesso nell’esercito italiano con il grado di generale e collocato a riposo nel 1866. In questo stesso anno, nonostante la carica di deputato del parlamento italiano (venne eletto per cinque legislature), combatté ancora con Garibaldi nella battaglia del lago di Garda e l’anno successivo partecipò alla battaglia di Mentana. Terminata l’epoca delle guerre, A. resterà vicino ai numerosi italiani all’estero interessandosi soprattutto dei problemi legati alla migrazione verso il Venezuela e il Brasile. Nel 1878 diede vita, insieme ad un gruppo di patrioti, alla Società Italia Irredenta, che ebbe anche l’appoggio di Garibaldi, Saffi, Carducci, e ne fu il presidente. A. morì nel 1879, vivendo fino alla fine di una piccola pensione. yr BIBLIOGRAFIA

F. DURANTE, Italoamericana. Storia e letteratura degli italiani negli Stati Uniti 1776-1880, Mondadori, Milano 2001. SITOGRAFIA

http://famousamericans.net/giuseppeavezzana/ http://www.globusetlocus.org/it/italici/storie_italiche/giuseppe_avezzana

AVOGADRO COLLOBIANO, AUGUSTO OTTAVIO MARIA MARCELLINO Chambery, Savoia 18 giu. 1783 – Torino 10 mar. 1858 A. discendeva dall’antica casata nobiliare degli Avogadro, ramo di Collobiano, conti e signori di Vigliano, Valdengo e Montecavallo. Era figlio di Luigi Ottavio (1748-1836) e di Marianna Caresana di Carisio († 1802). A. fu paggio di Vittorio Amedeo III e poi intraprese la carriera diplomatica al servizio del Regno di Sardegna: dal 1806 al 1817 servì alla corte di Napoli. In seguito fu segretario di legazione in Portogallo, in Brasile e a Costantinopoli, oltre che ministro in Baviera, in Russia e nella stessa Napoli. Sposò Augusta di Gruben († 1872), dama di croce stellata.


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Nel 1838 C. giunse a Washington come incaricato d’affari sardo e si occupò della stesura e approvazione del trattato commerciale tra Torino e Washington. Nel 1838 erano state aperte le relazioni diplomatiche tra la corte sabauda e gli Stati Uniti ed erano in corso importanti trattative per la stesura di trattati commerciali bilaterali. Dal 1838 al 1842 C. rivestì la carica di console del Regno di Sardegna nella sede di New York. Nel 1843 arrivò il suo successore a Washington e C. fu trasferito come ministro plenipotenziario a St. Pietroburgo. ip BIBLIOGRAFIA

H.R. MARRARO, L’unificazione italiana vista dai diplomatici statunitensi, Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, Roma 1971, A. MANNO, Il patriziato subalpino, Torino 1906; V. SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Arnaldo Forni, Sala Bolognese 1981.

BALBO, ANTONIO B. era piemontese e si era trasferito a Filadelfia, dove nel 1853 fondò il settimanale La Gazzetta italiana. Il giornale aveva un taglio patriottico e cattolico che attirò le attenzioni negative della comunità degli esuli politici italiani rifugiati negli Stati Uniti. Il gruppo più ostile al giornale era quello degli anticlericali e, in particolare, B. fu impegnato in causa legale contro un ex sacerdote di cui ci è giunto solamente il cognome, Baldassarre, che lo aveva denunciato per diffamazione e aveva vinto la causa. B. dovette scontare un anno di prigione e ciò pose fine alla pubblicazione del giornale. ip BIBLIOGRAFIA

F. DURANTE, Italoamericana. Storia e letteratura degli italiani negli Stati Uniti, 1776-1880, Mondadori, Milano 2001.

BARRETTO SPINOLA, FRANCIS Stony Brook, New York 19 mar. 1821 – Washington, D.C. 14 apr. 1891 Figlio di un emigrato genovese di nobile famiglia e di una donna di origine irlandese il cui padre aveva combattuto con George Washington, B.S. visse in una realtà prettamente rurale, prima di trasferirsi, ancora ragazzo, a


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Brooklyn dove troverà lavoro come impiegato nel consiglio cittadino. A soli 22 anni fu nominato Consigliere al Common Council di Brooklyn e nel 1844 fu ammesso nell’ordine degli avvocati, per essere in seguito eletto nel Board of Supervisors di Kings County. Inizialmente aderì al partito Whig, ma in seguito divenne un democratico e un sostenitore del Tammany Hall: da quel momento non abbandonerà più le sue convinzioni politiche. Allo scoppio della Guerra di Secessione, si schierò a favore della chiamata alle armi indetta dal Governatore Morgan dello Stato di New York e si mise al comando di quattro reggimenti. Ottenne il grado di generale e venne ferito in due occasioni. Terminata la guerra, riprese la sua carriera politica di successo, riuscendo a farsi rieleggere più volte nella legislature dello stato di New York. Dal 1886 concorse per entrare nel Congresso degli Stati Uniti, dove fu eletto per due mandati. B.S. fu il primo italo-americano ad entrare a far parte del Congresso degli Stati Uniti d’America. È ricordato soprattutto per aver perorato un disegno di legge per erigere un monumento a Brooklyn che ricordasse i patrioti morti nelle navi-prigione inglesi durante la Rivoluzione Americana. Recentemente è stata messa in discussione la sua origine, che non sarebbe italiana (se non per discendenza remota) ma portoghese. Gli Spinola furono infatti un’antica famiglia nobiliare genovese di vocazione politica ghibellina, attiva nel Comune di Genova già nel XII secolo. ap SITOGRAFIA

http://www.niaf.org/milestones/year_1886.asp http://en.wikipedia.org/wiki/Francis_Barretto_Spinola

BASSINI, CARLO Cuneo 1812 – Irvington, New Jersey 26 nov. 1870 Figlio di genitori musicisti, sin da bambino fu allievo dei migliori maestri di violino del suo tempo e a vent’anni si diplomò con il massimo dei voti come strumentista. Subito dopo il diploma, B. partì con una compagnia operistica genovese verso il Sud America. Poco dopo il suo arrivo all’estero, ottenne l’incarico di direttore della compagnia. Grazie al denaro guadagnato durante la tournée in Sud America, B. partì per New York per tentare di intraprendere la carriera da solista, ma la decisione si rivelò fallimentare. Diede un concerto che ebbe scarso successo e si trovò senza risorse finanziarie. Iniziò allora a


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impartire lezioni di musica e di canto, rinunciando così alle sue ambizioni di direttore d’orchestra. B. si rivelò un ottimo insegnante e un buon compositore. Fino alla sua morte, avvenuta nel 1870, visse dando lezioni di canto, redigendo manuali, componendo opere. Collaborò inoltre come critico musicale con L’Eco d’Italia, periodico pubblicato da Giovanni Francesco Secchi de Casali. Fra i suoi scritti: Art of Singing: an Analytical, Physiological and Practical System for the Cultivation of the Voice (Boston, 1857), un manuale di canto edito ancora ai giorni nostri; Melodic Exercises (1865), Method for the Tenor (1866), Method for the Baritone (1868) e New Method (1869). Alcune delle sue migliori composizioni: A te accanto, canzone d’amore dedicata alla fidanzata deceduta poco prima del matrimonio, O Salutaris, preghiera per soprano, e There is Light in the Sky, composta poco tempo prima la sua morte. yr BIBLIOGRAFIA

E. ALEANDRI, Images of America. Little Italy, Arcadia Publishing, Mount Pleasant, South Carolina 2002.

BAUBI, JOSEPH E PETER Moconesi, Genova 1845 – Waterbury, Connecticut, 1924 (Joseph) Moconesi, Genova sett. 1847 – Waterbury, Connecticut 24 ott. 1934 (Peter) Giunsero a Waterbury agli inizi degli anni ’70 dell’Ottocento; i due furono i primi italiani ad arrivare in paese, pionieri di una comunità etnica che già nel 1920 potrà vantare quasi diecimila anime. Il cognome “Bauby”, di per sé ben poco italiano, fu probabilmente frutto di una delle innumerevoli incomprensioni che si venivano a creare tra gli emigranti e i funzionari delle dogane statunitensi. Nel 1872 aprirono un negozio di frutta a Waterbury, sfruttando la loro conoscenza dei grossisti italiani di New York che col passare degli anni divenne un luogo di riferimento per i cittadini, il “Bauby Corner”. Joseph si sposò con una compaesana, Candida Musante e Peter la sorella di lei, Rosa. Nel 1916 estesero la loro attività con la vendita di sigari e giornali. La discendenza di Joseph sarà il ramo della famiglia maggiormente legato al negozio; dei figli di Peter, quelli più noti alla comunità furono Charles e Frederick, che divennero avvocati, Joseph Jr., vicesceriffo, e Mary, impegnata in numerose attività di beneficenza. ap


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AA.VV., La via delle Americhe. L’emigrazione ligure tra evento e racconto, SAGEP, Genova 1989. SITOGRAFIA

http://www.findagrave.com/cgi-bin/fg.cgi?page=pv&GRid=31890609

BAVASTRO, GIUSEPPE Sampierdarena, Genova 27 mag. 1760 – Algeri 10 mar. 1833 Eroe leggendario di ben tre mari, partecipa al servizio della Francia alle Guerre Napoleoniche e, tra le altre imprese, vince due navi inglesi tra Tarifa e Tangeri, e giunge ad ottenere, nel 1804, le insegne di Cavaliere della Legion d’Onore. Le sue capacità e la sua fama di comandante di corsa lo porteranno nel Nuovo Mondo, dapprima nella lotta per l’indipendenza della Nueva Granada (Venezuela, Colombia, Ecuador), poi nei Caraibi come corsaro per conto dell’Isola di Margherita. Vi furono voci, mai confermate, di aggressioni da lui condotte anche verso navi statunitensi. Nel 1821, probabilmente stanco di una vita condotta tra guerre e pericoli, dirige la sua nave, la Poupe, a New Orleans. Qui, per cinque lunghi anni, condurrà un vita da “corsaro in pensione”, comprando una tenuta e vivendo da gentiluomo coltivatore di cotone. In questo periodo passa le sue giornate sia con i notabili più in vista della città, sia tra la gente comune del porto. È noto che in questi anni respinse diverse richieste di Simon Bolívar, che intendeva riportarlo in Venezuela. Il suo ritiro terminò nel 1826, quando tornò in Europa per poi imbarcarsi al servizio della Francia nello sbarco di Algeri del 1830. Nominato governatore del porto di Algeri morirà, detenendo tale carica, in seguito ad una caduta da cavallo. ap BIBLIOGRAFIA

AA.VV., Dizionario storico biografico dei Liguri in America Latina, a cura di Fondazione Casa America, Affinità Elettive, Ancona 2006; L. GRASSIA, Sioux, cowboy e corsari. L’America degli “altri” italiani, CDA&Vivalda, Torino 2008.


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Cataratta del Niagara.

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Dizionario biografico degli emigranti italiani del Nordovest nell’America del Nord alle origini dei nostri flussi migratori nel loro contributo di lavoro carne e sangue alla costruzione degli USA e del Canada così come – pensatori diplomatici missionari scienziati di ritorno – alla conoscenza culturale e al dibattito politico europeo questo libro viene stampato nel carattere Simoncini Garamond su carta Arcoprint delle cartiere Fedrigoni dalla tipografia SAGI di Reggio Emilia per conto di Diabasis nel mese di dicembre dell’anno duemila nove


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