Gli spazi della globalizzazione

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Roberto Panizza

tro volte superiore rispetto a quello dei nostri concorrenti. Questi ultimi erano assolutamente tranquilli in proposito, dato che, anche nell’ipotesi più favorevole che il nostro Paese fosse riuscito con drastiche politiche restrittive a rispettare formalmente i parametri imposti dal patto di convergenza, questo sforzo avrebbe comportato un collasso per l’economia: dunque, o l’Italia non entrava nell’euro, o, se vi fosse entrata, lo avrebbe fatto a condizioni così penalizzanti che la sua economia non avrebbe potuto reggere in termini competitivi. Invece, nulla di tutto questo è avvenuto: l’Italia è riuscita a rispettare i parametri imposti e, una volta entrata nell’euro, ha retto molto meglio dei suoi concorrenti francesi, tedeschi e olandesi, che ancora oggi soffrono della forte recessione generata proprio da quelle condizioni troppo restrittive e penalizzanti che si erano autoimposti189. La ragione di questo eccezionale successo del nostro sistema economico è molto meno nobile di quanto non si voglia far credere. Il nostro Paese è infatti entrato nell’euro, sopravvivendo alle sue rigide condizionalità, grazie al consistente rientro di quei capitali che erano usciti negli anni Settanta e Ottanta per evitare i danni generati dalle politiche compiacenti verso la svalutazione della lira, perseguite dalle nostre autorità, conniventi con la speculazione senza scrupoli sostenuta da una parte della grande industria italiana. Al momento della necessità, la media e alta borghesia ha attinto a questi capitali per pagare le imposte straordinarie introdotte per risanare i conti pubblici e per stabilizzare il cambio della lira e, di conseguenza, la nostra bilancia dei pagamenti. Oggi, sono i nostri concorrenti a pagare i duri costi della pena del contrappasso e a subire l’umiliazione, soprattutto la Francia, di vedere gli investitori italiani più abbienti acquistare le più prestigiose proprietà immobiliari nei posti più esclusivi del loro Paese e quelli meno abbienti rilevare proprietà nelle megalopoli costruite di recente sulla Costa Azzurra. Nel 1999, una volta varato l’euro con la partecipazione anche dell’Italia, le autorità statunitensi non disdegnarono e forse pilotarono l’azione della speculazione internazionale contro la moneta unica, in quegli anni presente in forma esclusivamente virtuale di unità di conto: tale speculazione portò l’euro a perdere in un brevissimo arco di tempo oltre il 40% del suo valore originario. Da un cambio di 1,18 dollari per euro si scese rapidamente a un cambio di 0,80, e questa fortissima svalutazione disincentivò chiunque avesse avuto l’idea di utilizzare la moneta europea in alternativa al dollaro. In questo frangente, però, le autorità americane sbagliarono completamente le loro strategie: l’Europa era giunta al varo della moneta unica stremata dai rigorosi vincoli che si era imposta. A questo punto un euro forte avrebbe inferto all’economia europea un duro colpo, innescando una pericolosa recessione. Invece, paradossalmente, la speculazione, indebolendo notevolmente l’euro, fece un favore inatteso al sistema industriale e produttivo in generale, che – nonostante la moneta unica – riuscì a migliorare la propria competitività e a non subire ulteriori traumi. Dopo tre anni (1999-2001) di esistenza virtuale, mantenuto a livelli di grande debolezza, dal primo gennaio 2002 l’euro divenne una moneta circolante, che finì per affermarsi progressivamente sui mercati mondiali, ricuperando molto rapidamente il suo valore nei confron-


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