Never - Yvonne dei Lupi

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Non è un vampiro. Non è un lupo. Ma è sangue quello che scorre misto al veleno nelle sue vene. E vive con i lupi. Vive come i lupi. La sete di un vampiro. La ferocia di un lupo. Il cuore di una donna.


SOLO NEBBIA

Una coltre fredda e pungente culla la mia memoria. Ricordo perfettamente però, di non aver avuto paura. Neanche per un istante. Neanche quando mi sono resa conto di essere rimasta sola. Completamente sola. L’aria era impregnata dall’intenso odore che i corpi fracassati dei lupi emanavano. Un odore che feriva la mia gola con terribili torture. Ero certa però, che nessuno se ne sarebbe accorto: nessuno di loro avrebbe sentito il mio odore. Almeno, non in quelle circostanze. Sentivo i riccioli che scendevano lungo le mie gote incollarsi alla fronte, impiastrati di terra e secco fogliame bagnato. Ero in grado di trattenere il respiro meglio di come vi ero riuscita durante le esercitazioni a cui mi avevano sottoposta. Nessuno avrebbe potuto trovarmi lì dentro. Nessuno che non avesse avuto un olfatto attento e sottile e, fino a quel momento, non avevo incontrato altri che possedessero questa dote almeno quanto me. Era stato facile aprire con le mie piccole dita bianche, forti come tenaglie, il varco che accedeva a quella grotta sotterranea, sovrastata da un’inosservata collinetta di bruna roccia. La visuale che la fessura lasciata aperta mi offriva, permetteva ai miei occhi di vedere tutto quel che mi accadeva attorno. Di sentire le grida. Gli squarci della carne lacerata. I rombi dei cuori che balzavano nel petto di quelle mostruose creature che i miei simili avevano voluto attaccare. Percepivo ogni vita che esalava il suo ultimo respiro. Eppure, continuavo a non provare alcuna emozione. La mia mente varcava saltando sopra ogni corpo esanime lanciato al suolo, finché non raggiunse quel che voleva. Quando riuscii a vedere i miei genitori, un moto di straziante dolore mi pervase invadendo ogni mia facoltà, come farebbe uno sciame d’insetti con un frutto marcito. Non ricordo i loro volti. Né qualcosa che mi possa far pensare di esser mai stata legata a loro. L’unica cosa che non smetterà mai di accompagnare la mia esistenza nel corso dei secoli, sarà solo la viva e terrificante immagine dei loro volti disfatti dal fumo della mia flebile memoria, lanciati nel vuoto, staccati dai loro flessuosi corpi come mele dal ramo. Il sordo e gelido rumore degli arti spezzati, simile a lastre di marmo che si spaccano in due. Il lacerante fischio delle loro ossa frantumate e l’intenso odore d’erba bruciata che le viscere smembrate dei loro corpi emanavano. Ed anche…sì, un altro diafano ricordo bussa alla mia mente: la fluente chioma dorata che incorniciava il volto d’avorio di quella che sarebbe dovuta essere mia madre. Le onde d’oro bronzato navigarono per pochi eterni istanti nell’aria, durante il volo che avrebbe portato la sua testa a rimbalzare proprio vicino al varco da cui osservavo con terrore lo sfacelo creatosi fuori dal mio rifugio. Ricordo ancora…lo sconcertato stupore nei loro occhi quando sentirono la mia presenza così vicina, ed il muto avvertimento che sentii provenire da quel


qualcosa che per un attimo unì i miei pensieri ai loro. Non era ancora giunto il momento di espormi allo scoperto. Dovevo attendere. Ma cosa? Nell’aria si espandevano i profumi dei nostri corpi mescolati al forte odore delle pellicce dei lupi, e sorde grida squarciavano il cielo, gli alberi, le rocce, la terra. Grida simili allo stridore di artigli sul metallo. Poi, tutto tacque. Un improvviso, terrificante silenzio avvolse ogni respiro. D’un tratto, folate di vento alzarono la polvere che la pelle di noi vampiri crea, quando viene frantumata. A mezz’aria, galleggiava come sabbia. Insieme ad essa, il fogliame appassito che faceva da tappeto alla terra umida e le ultime scie di odori familiari che fuggivano da quell’inferno. Erano tutti andati via. I superstiti avevano deciso di battere in ritirata, e il resto del branco sopravvissuto non li aveva fermati. Io ero rimasta sola. Con i lupi. Con la mia nuova famiglia. Contro ogni razionalità, fu solo in quel momento che il sapore della paura venne a bussare al mio cuore. Forse fu il suo battere frenetico che richiamò la loro attenzione, o anche il respiro che improvvisamente, non riuscii più a controllare. Uno di loro avvicinò il suo muso umido e peloso all’unica apertura che accedeva al nascondiglio. Annusò il mio odore per una quantità interminabile di secondi. Poi vidi un bagliore di perla brillare attraverso le sue mostruose fauci: un sorriso. Il primo sorriso che la mia nuova vita mi regalava. Non so perché, non so cosa mi spinse a prendere questa decisione, ma in quel momento sentii di potermi rendere visibile agli occhi dei nemici. Fu facile riaprire il varco di terra che avevo chiuso sopra la mia testa, aiutata dagli enormi artigli del licantropo. Mi appoggiai alla sua folta e ruvida pelliccia argentata per risalire. Questo, l’ultimo ricordo che accompagna quella notte. Una notte annegata nell’odore del sangue dei lupi e dei corpi spezzati dei vampiri che giacevano privi di vita attorno a noi. Non mi voltai per guardare un’ultima volta le carcasse dei miei genitori. Chi per primo, aveva deciso di attaccare? Perché era esplosa quella guerra senza speranze? Non erano domande alle quali avrei potuto dare risposta. Da quel momento in poi, i miei ricordi si polverizzarono nella nebbia che li nascondeva. Come se la mia vita avesse avuto inizio da lì, dal mio seguire l’invito dei lupi che mi presero con loro. Adesso però, forse…è giunto il momento di ripormi la stessa domanda alla quale allora non riuscii o non volli dare alcuna risposta. Perché?


IL mio BRANCO

Italia. Venezia.

«Odio questo dannato posto! Troppo umido per le mie povere ossa. Cosa aspettiamo ad andar via?». Detesto quando il vecchio John inizia a lamentarsi. Prolungherebbe le sue lagne per ore ed ore, se potesse. E a volte c’è chi gli permette di farlo. Come me, del resto. Stavolta però, non posso essere del tutto contraria al suo malumore, questa città ha un che di afoso. Forse è semplicemente colpa della calda stagione durante la quale siamo stati costretti ad affrontare l’inaspettato viaggio per cui io e John abbiamo ricevuto brevi ma chiari ordini. È veramente strano quel che provo. Forse, sarebbe meglio dire, quel che non riesco a provare. Ero certa che l’emozione mi avrebbe scossa a tal punto da rendermi incapace di portare a termine la missione affidatami. Invece mi ritrovo qui, sopra questa vecchia e sbiadita gondola, fredda nel cuore e nei pensieri. Credevo che sapere di dover incontrare qualcuno molto più simile a me che alla mia famiglia adottiva, avrebbe fatto sorgere nel mio animo sentimenti sconosciuti. Ma non riesco a provare nulla. Niente che somigli ad ansia, trepidante attesa, paura, rabbia. Solo una parola brulica nella mia mente, inquietante ma assidua, sin dalla mia partenza: curiosità. Sì, brucio realmente dal desiderio di vederli. Somiglio molto alle gelide, mostruose e spietate sanguisughe che mi sono state descritte dai giovani lupi della mia famiglia? Almeno, so di non essere completamente come loro. Solo per metà. Meglio di niente. Mi sono continuamente chiesta però, se sia realmente come mi ha sempre detto Marchal, la mia madre adottiva: sono davvero l’unico esemplare mezzosangue della mia specie? Possibile che nella storia dei vampiri, nessuno abbia mai posseduto le mie caratteristiche? A sentir dire tutti quelli che mi circondano, no. Nessuno che somigliasse minimamente ad uno solo dei miei requisiti. «Yvonne? Ma dove hai la testa?». John mi è seduto di fronte, con i suoi piccoli occhi neri mi osserva da sotto le folte sopracciglia che gli pendono sulle palpebre: «Temi un loro confronto, eh piccina?». Mi chiede, preoccupato. «Oh, no. Davvero, John. È tutto ok. Ero solo soprapensiero...credevo che questo giorno non sarebbe mai arrivato e invece…» «Invece eccoti qui. Pronta ad affrontare te stessa». L’anziano lupo grigio, ora ricurvo nelle proprie ossa irrigidite, è uno di quegli elementi della mia famiglia divenuti, nel corso degli anni, fondamentali per la mia stabilità. Lui, insieme ai miei fratelli Ricky ed Albert, mi hanno resa in grado di divenire una degna componente della famiglia Smith. I loro insegnamenti sono stati preziosi, il loro affetto insostituibile. John non è mai stato legato a noi Smith da alcun vincolo di sangue, ma ha sempre fatto parte della famiglia, almeno così ricordo sin da quando vi entrai io stessa. Il padre di Albert e Ricky, un certo Benjamin, capo branco della nostra congrega da ben due secoli, era morto già da qualche anno quando giunsi in casa Smith, durante l’ultimo periodo che


vide la seconda guerra mondiale. Marchal, donna di grande forza e nobiltà d’animo, nonché giovane lupa dalle notevoli doti da cacciatrice, era riuscita a crescere i suoi cuccioli di licantropo senza mai far loro mancare nulla, aiutata sempre dal resto del branco che fece di tutto per starle accanto nei momenti più bui. Parlo del resto dei nostri amici, ovvero i grossi lupi rossi, una famiglia formata da ben cinque ragazzoni dalla ribelle capigliatura fulva, in ordine d’età Valiant, Robert, Henry, Giosuè ed infine il più piccolo, ma solo cronologicamente, Sam, e dai loro genitori, gli eccentrici coniugi Sarah e Rudi Johnson. Come non citare le sorelle Lilian e Tiffany, eleganti e raffinate lupe dal pelo biondo. Vivono solitarie nella loro bella villa dal tetto verde, a pochi metri dal nostro cottage. Se ne stanno sempre per i fatti loro, si sanno ben poche cose della vita da umane che conducono e si uniscono a noi molto più volentieri in sembianze da lupo che da stangone biondo platino quali sono. A due isolati abitano Ronald e Claire Thomson con i loro tre figli adottivi: Daniel, il moro aitante e senza cervello dalla pelle di cioccolata. Nancy, graziosa ragazzina dai riccioli castani e il viso tempestato di piccole lentiggini. E Nico, introverso albino dagli occhi blu. Attorno ai lupi con cui trascorro la maggior parte del mio tempo nella piccola cittadina in cui vivo, al nord della California, incombe un’insolita cerchia di licantropi. Non sono una vera e propria famiglia, piuttosto un nucleo di solitari lupi vagabondi, riunitisi in un compatto gruppo deciso a volersi civilizzare per entrare a far parte del nostro branco. Dieci belve feroci con troppa bava tra le fauci, desiderosi di volersi sentire sempre un gradino sopra gli altri. Chi li comanda è un certo Peter: occhi grigio tempesta su pelle ambrata, lisci capelli castani i cui riflessi dorati donano luce al volto tenebroso. Lupo dalla pelliccia bianca come la neve pervasa da una macchia nera che si estende dal muso fino all’ampia fronte. Bello da mozzare il fiato. Ma nello sguardo, una flebile ombra inquietante mi ha sempre indotta a pensare di star bene alla larga da lui e i suoi seguaci. Non riesco a fidarmi completamente della sua insolita indole, e non capisco perché Walter, il nostro alfa, abbia spinto il branco a decidere unanimemente di accogliere Peter e il suo seguito. John ha smesso di remare e si accosta alla banchina per poter scendere finalmente sulla terra ferma. Piazza S. Marco brilla tra la coltre di polvere dorata che i raggi del tramonto donano attraverso le nuvole tinte d’arancio. «Eccoci qui, piccola mia. Manca poco». I piccioni si alzano improvvisamente in volo, come se spaventati da qualcosa di apparentemente invisibile. La gente cammina freneticamente, ognuno immerso nei propri pensieri, ognuno vincolato dalla propria rete di problemi. Problemi di vite semplici e ignote. Sorrido, scostando i miei capelli sfumati dal fuoco della luce del sole morente. «Sono pronta, John. Non lo sono mai stata più di così». Un bianco bagliore attira la mia vista d’aquila. Attraverso con lo sguardo l’intera piazza, fino a giungere all’ombra dell’entrata di un vicolo che si trova alla mia destra. Un ampio sorriso mostra una perfetta sequela di denti bianchi. Una voce accarezza le mie orecchie, come lo strisciare di una fredda lama sulla mia pelle. «Era l’ora, mezzosangue. Benvenuta tra i tuoi simili, sporca traditrice».


SĂŹ. Sono realmente pronta ad affrontare la mia parte piĂš oscura. Il vero volto della mia vita.


I SENZA ANIMA

Seguiamo la snella figura che, sinuosa, cammina a passo veloce lungo lo stretto e tetro vicolo che ci condurrà al luogo dell’incontro. I capelli arruffati in una moderna capigliatura, corti e ribelli, sono di un arancio troppo forte per apparire ordinari. La sua pelle diafana riveste una muscolatura guizzante, a giudicare dalla lieve protuberanza sulle braccia che compare aderente alla camicia di seta rossa. Non è un caso che abbiano mandato lei a darci il benvenuto: riesco a sentire il veleno che scorre nelle sue vene. L’odore di vampiro tra queste vecchie mura umide è talmente intenso da dare la nausea a chiunque. Non a me, ovviamente. Ma lo stomaco del povero vecchio John sarà già in subbuglio, mi chiedo come stia resistendo così a lungo senza cedere all’istinto di trasformarsi. Di solito, basta molto meno perché ciò avvenga senza indugi. Per quanti anni mi sono chiesta come sarebbe stato quest’ incontro? Nella mia mente si fanno spazio le mostruose descrizioni sempre fattemi dai lupi per dare un’immagine ai simili della splendida creatura che ci precede. Ogni dettaglio prima immaginato carico di brutture, diviene adesso fumo innanzi la sua superba bellezza. Perché la mia famiglia aveva deciso di mentirmi su questo aspetto? Marina, il nome della vampira che ci sta guidando. I suoi occhi di pece mi hanno guardata con un odio impossibile da decifrare nel chiamarmi sporca traditrice. Di certo, loro non avrebbero fatto la stessa scelta dei lupi. Sono sicura che mi avrebbero lasciata morire abbandonata a me stessa o, ancora peggio, avrebbero assaggiato il mio sangue, curiosi di conoscerne il sapore misto allo stesso veleno che scorre dentro i loro corpi freddi. Se i licantropi non mi avessero accolta nel branco, sarei mai potuta crescere con i miei quasi simili? Il rumore ritmico dei tacchi delle sue scarpe di vernice nera, rimbalza sulle pareti cariche d’acqua. Una minuscola porticina sbiadita dal tempo -la vernice doveva essere verde prima di divenire color senape-, si apre al nostro arrivo. Qualcuno ci stava attendendo. «Loro sono con te?», gracchia una voce bassa, di uomo…forse. «Certo. Ne dubitavi? E poi, non senti il loro odore? Dai, lasciaci passare». Marina è di casa, lì dentro. Il suo aspetto curato e impeccabile, stona a dismisura con l’ambiente in cui ci troviamo. So che dietro quella porta si nasconde la mia mezza verità. La stessa mezza verità che la mia famiglia fugge e con la quale vorrebbe trovare finalmente un compromesso per dare fine alla guerra ancora in atto che decima da secoli entrambe le razze. Fino ad oggi, Marchal, Walter, i miei fratelli, persino John, l’intero branco ha fatto di tutto per tenermi lontana da loro. Dalla mia vera famiglia. Sono stata protetta e tenuta sempre al sicuro da quella che sarebbe stata di certo la mia rovina. «Seguitemi e non parlate finché non sarò io a farvi cenno». L’aria intraprendente della giovane vampira è svanita nel varcare l’inquietante entrata. Il rumore sordo della porta richiusa alle nostre spalle ha fatto trasalire John, tremante al mio fianco. Sento il suo respiro caldo e profondo


scontrarsi con il freddo della buia stanza in cui ci troviamo. Un profumo delizioso investe i miei sensi. La camera dev’essere inondata da parecchie rose. Rabbrividisco al pensiero di ritrovarmi in una specie di catacomba, circondata da bare elevate da piccoli altari recintati da splendidi fiori. Ma, improvvisamente, una luce violenta travolge questo luogo segreto all’occhio umano, catapultando John in un autentico stato di panico e me in una totale meraviglia. La luce proviene da enormi lampadari di cristallo posti simmetricamente sull’alto soffitto color rosso porpora. Le pareti che ci circondano sono di un elegante broccato dorato. Nessuna bara, nessun fantomatico altare. Solo un mobilio classico e austero. Nelle enormi vetrine, sfilze di argenteria sono in bella mostra. Sul pavimento tappeti orientali d’indiscutibile valore. In ogni possibile base, vasi dalle svariate forme straripano di rose rosse, bianche, gialle e arancio. Impossibile pensare che dietro quella sbiadita e rigonfia porta verde, si celasse questo mondo. Solo i due grandi divani angolari, dalla linea certamente moderna, avrebbero stonato con il resto dell’arredamento, se non fosse stato per la loro tinta neutra. Seduti su essi, undici vampiri assetati ci osservano con espressione impenetrabile. Marina si rivolge finalmente a noi. La sua presenza quasi mi rassicura adesso. Senza che io abbia aperto bocca, mi lancia uno sguardo indagatore da sotto le folte ciglia brune. Poi si volta verso il suo clan con noncuranza, ignorando il turbamento che, ne sono certa, ha sfiorato per un attimo anche lei: «Yvonne dei lupi e il licantropo che l’accompagna». Ci indica con un gesto grazioso della mano. «Il mio nome è John», interviene il mio amico, impettito e contrariato dal modo crudo usato dalla vampira per presentarlo. «Vecchio, vi avevo detto di aprire il becco solo e quando ve l’avessi detto io. Siete nel nostro territorio e dovete attenervi alle nostre regole». La voce trillante di Marina è adesso simile a un ringhio sommesso. «Per lui non è facile ritrovarsi chiuso in una stanza senza aria, con undici vampiri che lo fissano con sguardo famelico». La mia voce risuona calma, nonostante il mio cuore traballi. Meglio così. Anche se sono certa che il suo pulsare frenetico è subito giunto alle orecchie di chi continua a puntare lo sguardo sul mio volto. «Mentre per te non è poi così difficile ritrovarti tra i tuoi simili. È questo che vuoi dire, mezzosangue? Perché dunque non sei venuta da sola? Ma certo. Hai bisogno del tuo…cane da guardia». Dal petto di John fa eco il rombo della rabbia che rischia di spingerlo ad un’imminente trasformazione. Di già? Pensavo avrei almeno avuto il tempo di poter parlare con loro, di riuscire finalmente a confrontare le reali differenze che, oramai ne ero sicura, sussistono tra l’idea che ho sempre avuto dei vampiri, con ciò che in verità sono. Sebbene sin dalla nostra partenza, Ho continuato a temere che l’incontro si sarebbe rivelato solo un pretesto, facile e veloce, per una nuova lotta alla quale stavolta sarei stata anch’io partecipe.


Chi ha appena parlato in maniera spropositata, occupa il terzo posto del sofà alla mia destra. Un uomo la cui altezza è evidente persino mentre siede sul bianco divano con la schiena poggiata ad esso in posizione di relax. I capelli biondo platino, attraversati da riflessi argentei, sono raccolti in un codino basso, e sottili ciocche lisce cadono ordinate sul volto lungo e cereo. Le magre braccia conserte lasciano intravedere una notevole muscolatura. Il naso dalla linea diritta sovrasta labbra sottili e contratte. Occhi neri e penetranti sotto sopracciglia dall’arcata ampia. «Non fate caso a Jack. È solito parlare a vanvera». Ridacchia sotto i baffi un tipetto alto la metà del nominato Jack, dai capelli ricci e blu. Usano davvero delle strane tinte. Marina si muove di qualche passo, avanza con innata grazia: «Non è questo il momento di scherzare. Il mio compito l’ho svolto, e in maniera egregia, direi. Adesso tocca a te, Dorothy». Si siede con noia vicino il ragazzino che aveva stuzzicato l’uomo dai capelli di platino e gli dà una pacca sulla spalla a mo di rimprovero. Adesso sono in dodici, seduti innanzi a noi, in attesa di una nostra qualsiasi mossa per poterci attaccare. Una di loro, certamente Dorothy, si alza dal posto che occupa e rivolge a me e a John un improvviso e caldo sorriso di benvenuto: «Marina ha perfettamente ragione. Prima d’ogni cosa, è giusto che si passi alle presentazioni». I capelli di un arancio molto più tenue di quello della spavalda Marina, ricadono in folte onde fino alla sottile vita. Gli occhi -seppur neri- sembrano velati di mitezza, e la sua pelle è spruzzata qua e là da piccole lentiggini all’altezza delle gote e dell’incavo del naso. Si volge verso i suoi compagni e li indica uno ad uno, mentre al pronunciare del loro nome ognuno si alza ed effettua un inchino elegante e dall’impronta antica. «Lui è Yari. Il più anziano tra noi presenti». Anziano? Assurdo pensarlo. Più o meno avrà trent’anni o giù di lì. Capelli sciolti, mossi e di un caldo dorato che sfuma sul verde corteccia. Negli occhi brilla una sfumatura rossastra mentre mi sorride. «Loro sono i fratelli Jonatan e Carl». Gemelli. Capelli bianchi come la neve su pelle di candido marmo. Mi chiedo come riescano ad uscire tra la gente passando inosservati. Anche loro mi sorridono divertiti, forse hanno intuito il mio pensiero. «Paul». Il ragazzo dai capelli blu. «Sara e Rebecca». La prima è una bellezza da sballo. La seconda un po’ meno. Sara, capelli corvini che le scendono in lunghe trecce sulle spalle scoperte dalla striminzita maglietta che indossa, mi osserva con diffidenza continuando a masticare una caramella tra le labbra tinte di rosa corallo. Rebecca, piuttosto magrolina e insipida, mi osserva -come l’altra- attraverso gli occhi cupi in un’espressione che mette in risalto i lineamenti marcati del volto spigoloso. Non può dirsi certamente brutta, ma la sua meno appariscente bellezza sfuma accanto la vampira seducente che le è al fianco. «Marina. Jack. Isabella e Susan». Per Isabella, parla da sé il suo nome: riccioli d’oro incorniciano il volto perfettamente ovale, dove labbra a cuore lasciano intravedere i denti bramosi di sangue.


Susan è un tipetto tutt’ossa, sui sedici anni, dagli occhi allegri e capelli castani resi vivaci da ciocche fucsia , tagliati in un caschetto sbarazzino. «Alain». In quel nome, il mio cuore ha posato un suo battito. Cerco di guardarlo come ho fatto con tutti gli altri, ma temo di lasciar trasparire il tumulto nel quale sono appena caduta. Si alza dall’ultimo posto che occupa, con sulle labbra stampato un lieve sorriso che lascia intravedere i denti. Capelli castani, di un ordinato liscio, dove lingue nere scendono in sottili ciocche sul ciuffo ribelle che gli carezza la fronte. Pelle cerea, chiara e diafana, somigliante a quella degli altri; caratteristica indiscutibile dei vampiri, certo, ma dotata di una leggera tonalità ambrata. Gli occhi neri scrutano i miei come nessuno mai prima d’ora ha mai fatto, denudandomi di ogni maschera, d’ogni corazza con la quale mi sono sempre difesa. Alain. Il suo nome fischia nelle mie orecchie. I miei occhi non riescono a posarsi nei suoi come vorrebbero. «Ed io sono Dorothy». Sorride, terminando le presentazioni in grande stile. Bé, avevo già capito chi fosse. Tocca a me? «Bene. Come Marina ha prima detto, il mio nome è Yvonne. Lui è John, il più anziano del branco. Viene in vece del nostro alfa, rimasto dentro i limiti del territorio da noi occupato per mantenere compatte le difese». «Hai detto di chiamarti Yvonne dei lupi?». Domanda una voce dal timbro caldo e pacato. «No. Ho detto di chiamarmi semplicemente Yvonne. Questo attributo credo l’abbiate aggiunto voi. Ma a dire il vero, non mi dispiace poi tanto». Rispondo. È stato Yari a parlare, dalle cui labbra sento provenire un ghigno derisorio. Non mi volto per dargli una risposta, continuando a rivolgermi sempre in direzione di Dorothy. «Non dispiace neanche a noi». Ammicca il simpatico Paul. «È forte come nome! Yvonne dei lupi. Non fa pensare a uno di quei romanzi d’avventura?». Ma nessuno risponde alla domanda. È la volta di Rebecca, che si alza dalla sua postazione con espressione circospetta: «Adesso che le presentazioni sono finite e conosci i nostri nomi, ti saremmo grati se ci spiegassi il reale motivo della vostra venuta. Cosa vogliono i lupi da noi?». Avevo quasi dimenticato il vero perché del mio viaggio. «Chiediamo una tregua». Un silenzio tagliente invade la stanza arredata in pompa magna. Smettono di fissare me e John, e scrutano a vicenda i loro volti per trovare una spiegazione alle mie parole. «Spiegati meglio». Rebecca si toglie elegantemente gli occhiali dalla linea intellettuale che porta appesi al sottile naso. Ovviamente è impossibile che senta il reale bisogno d’indossarli, ma l’abitudine nel voler apparire più umana possibile agli occhi della gente comune, la induce di certo ad assumere simili pratiche anche quando si trova tra la sua razza.


«Semplice». Stavolta mi rivolgo a tutti, ampliando il mio arco visivo persino verso il vampiro Alain, il quale mi scruta con espressione indecifrabile. «Il nostro branco è stanco di combattere. I secoli che hanno visto morire centinaia dei nostri cari, sono stati sommersi dal sangue di troppi innocenti». «Innocenti?». Sara stropiccia il bel tessuto candido del divano su cui siede con le unghie affilate simili ad artigli. «I licantropi non sono meno sanguinari di noi. Noi abbiamo sete di sangue, perché questa è la nostra natura. Ma loro…loro non hanno motivo di attaccare la povera gente! Godono nel fare brandelli dei malcapitati che finiscono tra i loro denti». Dal centro del mio stomaco sento pervadere il mio corpo da un intenso calore. I miei arti s’irrigidiscono per poi riscaldare i muscoli, pronti a flettersi attorno al nemico per avvinghiarmi alla sua testa e staccarla dal corpo di ghiaccio su cui si erge. «Potrei sapere di chi state parlando? La mia famiglia non ha mai torto un capello a nessuno. Noi proteggiamo chi di fronte alla nostra forza è impotente. Il nostro unico e vero nemico…siete voi». Le mie parole escono fluide, ma solo dopo aver finito di parlare, mi sono resa conto di aver reso la mia voce più simile ad un ringhio che ad altro. In questo non differenzio molto da Sara o dagli altri che le sono accanto. «Parli così facilmente del vostro nemico. Ma come hai fatto…come fai a rinnegare te stessa?». L’espressione poco prima così ostile della splendida vampira, è adesso ridotta ad una maschera di sconcerto. «Ti rendi conto di avere il nostro veleno che scorre nel tuo sangue, e non quella sorta di magia che trasforma un uomo in un raccapricciante cane randagio?». Chi è stato fino ad ora in silenzio, pone una mano su di una mia spalla e blocca la risposta che stavo per sputare in pieno viso a quella sporca assassina. Gli occhi di John sono socchiusi in una sottile fessura, le labbra irrigidite: «La sanguisuga non mente». Stavolta tutti posano i loro occhi carichi di sete sul volto imporporato del mio amico. Cosa vogliono dire le sue parole azzardate? «È vero. Esistono dei lupi che non si fanno scrupoli nell’uccidere la povera gente». «Allora lo ammetti, vecchio lupo?». Il sorriso vittorioso di Sara fa vibrare in me un nuovo ringhio. «Sarebbe inutile negarlo. Ma posso affermare con certezza che nessuno del nostro branco prende parte alla carneficina a cui vi riferite. Questi lupi di cui parlate non sono dei nostri». Negli occhi scuri di Alain, una sfumatura d’accesa curiosità ha fatto brillare il suo volto di una bellezza quasi ultraterrena. «Vuoi dire che il branco di Walter non ha mai ucciso le nostre prede e non ha mai varcato i confini del nostro territorio?». Prede? Distolgo il mio sguardo silenziosamente incantato da quel mostro omicida che usa l’aggettivo “preda” per indicare una vita umana distrutta dai suoi denti bramosi di morte.


«No, mai. Il nostro rancore nei vostri confronti vive e si nutre per il più antico dei motivi. Semplicemente: noi odiamo i vampiri. Ma oggi siamo qui perché abbiamo riscontrato delle caratteristiche notevoli che differenziano il vostro clan dal resto dei nostri nemici». I dodici effettuano dei mezzi sorrisi che mettono in risalto le terribili fauci. Cerco di cacciar via l’espressione incredula dipinta sul mio viso nell’ascoltare John. Una cosa è perlomeno certa: è molto più bravo di me nel trattare con l’avversario. La mia indole tende ad infuocarsi troppo facilmente. Dorothy si avvicina in un batter di ciglia, ma con la stessa velocità si allontana dal corpo caldo del licantropo per tornare al suo posto di partenza. Certamente l’aroma troppo intenso del sangue di John non le rende facile parlargli a così poca distanza. «Crediamo alle tue parole, saggio John. Ma, se come dici, non desiderate appropriarvi del nostro…cibo, non avete nulla da temere. Non vi saremo più ostili». Dunque era solo questo il motivo per cui siamo venuti fin qui? Come bestie senza cervello ci contendevamo lo spuntino di mezzanotte? Il mio stomaco inizia a far cilecca, temo di sentirmelo rivoltato da un momento all’altro. La mia metà antropica fortunatamente, impedisce ai miei sensi da vampiro di desiderare più d’ogni altra cosa, sangue umano. La mia sete di sangue è facile da placare con la caccia. In fondo, credo sia un compromesso più che ragionevole, tra le mie due metà così in contrasto tra loro. Quella umana...e quella del mostro che vive in me. «Bene. Yvonne voleva solamente dire questo. La guerra tra vampiri e licantropi, almeno per quanto riguarda il vostro clan e il nostro branco, può dichiararsi…sospesa. Nulla impedisce alle nostre genti di vivere lontane le une dalle altre, nel rispetto reciproco delle proprie leggi. Vincolate, ovviamente, dal territorio di appartenenza». La voce di John è autoritaria e risoluta, dimostrando di poter essere degno sostituto di qualsiasi alfa. «Possiamo dire che l’accordo è concluso. Non è così, ragazzi?». Il trillo gioioso di Dorothy invade la stanza di leggerezza. L’aria che poco prima tirava è svanita e i corpi di tutti si rilassano dallo stato di allerta in cui li aveva gettati il dibattito tra me e la loro Sara. Di tutti, eccetto che della sottoscritta. «Puoi contarci, cara Dorothy. Noi non siamo come Stephen e suoi seguaci. Cacciamo vite umane per necessità, non per divertimento». Asserisce Jack, gesticolando un po’ troppo con le mani scheletriche. Bella differenza. Una vita in più, una vita in meno…l’importante è uccidere unicamente per sete…e il loro peccato sarà assolto. Anche i muscoli di John smettono di tremare. Continuo a guardarlo con occhi carichi d’interrogativi. «Molto bene. Speravamo avreste accettato la nostra proposta. Riguardo i clan che continueranno a spargere vittime…ci garantite che non lotterete al loro fianco contro noi?».


«Assolutamente». Risponde in fretta, Yari. «Noi siamo indipendenti. Nessuno ci comanda, nessuno eccetto la nostra natura. Siamo liberi di scegliere dove andare e con chi stare». Con un buffo cenno delle dita sulla fronte, John saluta il gruppo di assetati vampiri con il quale è stato tutto sommato facile scendere a compromessi: «A mai più rivederci». Senza più volgere un solo sguardo a nessuno dei presenti. Ma quando mi accingo a seguire il mio affezionato lupo grigio, l’inaspettato richiamo di Paul arresta i nostri passi. «Ferma un attimo, Yvonne dei lupi. Prima di andar via…puoi rispondere ad una sola domanda?». La mia risposta è solo un impercettibile segno di consenso del capo. «Cosa sei in realtà? Voglio dire…non sei umana. Non sei vampiro. Non sei un lupo. Eppure il tuo cuore pulsa, e il tuo sangue profuma a tal punto da far bruciare la gola di sete a tutti noi. Ma il veleno che scorre nelle tue labbra è vivo, e il tuo aspetto è più vampiresco di tutti i qui presenti. E vivi con i lupi…vivi come i lupi». La domanda mi trafigge ad ogni affilata parola. Il mio cuore smette di battere per un istante. Stringo le mani a pugno fino a farmi davvero male. Per fortuna, la risposta che non saprei dare mi viene risparmiata dal salvifico intervento di Marina: «Alain, stavolta tocca a te fare da scorta ai nostri ospiti». Detto ciò, ci dirigiamo tutti e tre verso la piccola porta verde da dove siamo entrati. Ma un’ultima domanda, posta sempre da Paul alla mite Dorothy, accende in una fiamma il mio udito: «Dorothy…pensi che anche lei, come noi, sia senza anima?».


SCHEGGE DI MEMORIA

Ripercorro con la mente gli ultimi istanti in cui la mia fragile vita si è scontrata, per pura fatalità -o perché era scritto così che dovesse accadere- con Alain dei vampiri. È questo un modo tutto mio per identificarlo, similare al soprannome appioppatomi dalla sua famiglia. Tra poco sarò di nuovo a casa, in California. Adoro la sensazione che provo ogniqualvolta mi ritrovo galleggiante nell’aria, protetta solo da questo mostro di ferro chiamato diplomaticamente aereo. Attraverso il soffice tessuto inconsistente delle nuvole, intravedo la mia fumosa esistenza, troppo ricoperta da spessi strati di nebbia per riuscire a collegarne i tasselli spezzati dal tempo. Prima di risalire sulla vecchia e rigonfia gondola per ripercorrere la strada che ci aveva condotti nell’abbraccio del nemico, il misterioso Alain -il quale aveva ricevuto la richiesta di scortarci fin lìaveva iniziato a fissare i suoi occhi senza luce nei miei. John ha osservato la nostra immobilità per qualche istante, poi, rassegnato, ha deciso di lasciarci soli salendo sulla barca e fingendo un riposino prima dell’imminente partenza. Non respirava. Il corpo statico sembrava essere scolpito su marmo, e riuscivo e sentirne la freddura che emanava. Il volto dai tratti regolari, di quel pallore dorato che lo rendeva così diverso degli altri vampiri che avevo finalmente conosciuto, rimaneva inalterato da qualsiasi emozione stesse vivendo in quel momento, al mio fianco. Chissà, forse non gli era mai capitato di ritrovarsi talmente vicino ad un cuore vibrante di vita, senza che potesse cedere alla tentazione di sentirne il sapore del sangue pompato. Mi beavo del mio autocontrollo! In quel preciso istante, fui felice come mai prima d’allora di essere una mezzosangue. A dispetto della derisione subita da alcuni giovani licantropi durante la mia adolescenza, a dispetto delle domande di Paul a cui non avrei mai saputo rispondere, la gioia che provavo nel poter usufruire di entrambe le mie metà mi colmava di soddisfazione, ridendo in pieno viso alle afflizioni che in passato avevo dovuto superare, a causa di queste due. Al contrario di lui -e di tutti i comuni vampiri- io posso continuare a respirare tranquillamente qualsiasi aroma di sangue umano, senza dover ridurre il mio volto ad una maschera di sofferenza. In più, posso avere il vantaggio di possedere un olfatto di gran lunga superiore alla norma. Ero certa di non sbagliarmi, ma avrei scommesso che l’intenso profumo di rose selvatiche provenisse dalla sua pelle. I suoi occhi neri pervasero la mia anima d’ombre. «Dunque dobbiamo salutarci qui…Yvonne dei lupi». Sorrise tristemente. Mi chiedevo quale mistica sensazione si dovesse provare nel baciare quella fonte di veleno quali erano le sue labbra. Lo stesso veleno che scorre nelle mie vene. «Direi di sì…Alain». Dei vampiri, pensai muta. «Non posso che augurarti dei giorni sereni. Sono certo che la tua parte umana può garantirtene una quantità sufficiente per colmare il lato oscuro che di noi vive in te».


Iniziavo a sentirmi davvero a disagio. La gola serrata in un freddo nocciolo: «Vorrei tanto che le tue parole si rivelino vere, Alain. Per quanto mi riguarda, sebbene non ti conosca affatto, voglio farti un augurio diverso. Sicuramente ti apparirà strano quel che sto per dire, ma…spero tanto che tu possa ritrovare la tua anima». Il sorriso che gli porsi era sincero, dettato dall’inspiegabile desiderio che bussava -bussa silente persino adesso- e richiedeva di carezzare, anche solo per un istante, quel volto mesto e perfetto. Non rispose nulla, ma non potei fare a meno di notare che iniziò a respirare regolarmente, facendo entrare l’aroma del mio sangue nelle sue vene. Tese una sua mano verso me e l’incertezza svanì in un sol battito di cuore. Sapevo che sarebbe potuto essere pericoloso, sfacciatamente fatale, ma non fui turbata minimamente dalla sua vicinanza. Mosse un ultimo passo per annullare le distanze che lo separavano dal mio corpo febbricitante e, finalmente, sfiorò con le sue, le mie dita tremanti. La sensazione provata rimarrà sempre impressa nella mia memoria, nei miei sensi, nel mio cuore. Nulla potrà farmi dimenticare il gelo delle sue dita immerso nel calore tiepido e morbido della mia mano. Ma, sopra ogni cosa, niente potrà annientare -neanche l’eternità- il brivido che provai in ogni piccola parte di me al contatto avuto con lui: come un lampo che attraversava le mie carni, ho sentito l’onda fredda del suo veleno sotto pelle sfiorare il mio così bruciante, così fluido, così libero di scorrere in ogni parte di noi. Poi, una visione. Tutto è svanito per la durata di un secondo. Un secondo interminabile in cui, ne sono certa, una verità nitida, scolpita in chissà quale angolo remoto della mia memoria, è riemersa violentemente: il volto di Alain, scosso e alterato dalla fatica, sorridere silenziosamente verso qualcuno che cammina al suo fianco, qualcuno che lo costringe a posare gli occhi verso il basso. Il suo non era il viso freddo e quasi impassibile di un vampiro, no. Erano i tratti, nitidi e sinceri, di un ragazzo. Dove, quando il mio destino si era già scontrato con il suo? Il flebile ma vivo ricordo si rituffò nella mia mente annebbiata. Gli occhi di Alain erano ancora fissi nei miei. Dall’espressione sconvolta che ne delineava i tratti, intuii che avesse avuto la mia stessa visione o qualcosa del genere. Strinse la presa della sua mano tentando di trattenermi ancora per qualche istante con lui, mentre dei leggeri movimenti, provenienti dalla gondola, cercavano di richiamare la mia attenzione: era giunta l’ora di andar via. Di allontanarmi, ancora una volta, da coloro che rispecchiavano la parte più pericolosa di me stessa. «Quando potrò rivederti, Yvonne?». Chiese il vampiro in un sussurro. «Mai. Mi più». Fu la risposta, fredda e irrevocabile che giunse dalle mie labbra. Non era quello che volevo. Ma era ciò che avrei dovuto dire. Feci scivolare le mie dita dalle sue e strisciai fin dentro la gondola, senza più voltarmi indietro. Questo, il ricordo di Alain che porterò sempre dentro me. Il ricordo di Alain dei vampiri.


Una hostess si avvicina a passo elegante e con espressione cordiale chiede sorridendo: «Gradisce qualcosa?». «No, grazie». Rispondo garbatamente. Poi posa lo sguardo su John: russa pesantemente al mio fianco e la spinge ad allontanarsi con una smorfia di disgusto stampata sulle seducenti labbra tinte di rosso. Sento ancora il suo profumo pervadermi dentro. Riuscirò a far rimanere ben stretti i frammenti di ricordi che mi legheranno per sempre a lui? Saranno questi a farmi compagnia nel silenzio che mi fa da veste nella vita di tutti i giorni? Sorrido al solo pensiero di poter presto riabbracciare quei mattacchioni di Albert e Ricky. Cos’avranno combinato durante la mia assenza? Marchal se la sarà vista davvero male, senza il mio sostegno. A volte, immagino come sarebbero state le loro vite senza la mia intrusione improvvisa nel branco…avrebbero avuto minori preoccupazioni? O semplicemente, si sarebbero annoiati a morte senza una sorella metà donna metà vampiro d’addestrare fino a farla divenire più simile ad un lupo che ad ogni altro essere vivente? Adesso voglio solo dimenticare. Dimenticare i volti degli splendidi e terrificanti vampiri conosciuti ieri notte. Lo strano senso di sicurezza e lo slancio interiore provato nei confronti della bella Marina. La dolcezza di Dorothy. La simpatia di Paul. Persino l’arroganza della bellissima Sara e la diffidenza di Rebecca. Gli occhi di Alain. La sua voce di velluto, il profumo della sua pelle. E l’acuto dolore provato durante la breve visione avuta attraverso il suo contatto. Voglio solo dimenticare e tornare alla mia vita. Tornare nel mio branco. «Si comunica ai passeggeri il previsto atterraggio tra dieci minuti. Si prega di allacciare le cinture di sicurezza. Grazie». La voce carezzevole e suadente dell’annuncio risveglia John dal suo sonno profondo. «Siamo arrivati?». Farfuglia, mentre con la manica del maglione rossiccio cerca di levarsi il brillante strato di saliva scivolatogli dalle labbra. Piccole perle salate pungono i miei occhi. Mi volto per celare il magone sopraggiunto improvviso e rispondo cercando di apparire entusiasta: «Si, John. Siamo a casa».


NEI SUOI PENSIERI

«Pensi ancora a quello che abbiamo visto?». Gli occhi di Jack sono puntati verso una meta indecifrabile, mentre mi lancia la sua domanda colma d’aspro sarcasmo. Sento il suo disprezzo, l’irritazione insanabile per essere stato a contatto di un lupo senza potergli aprire il ventre e smembrarlo di ogni sua interiora. Sento, inoltre, il suo sconcerto per la mezzosangue giunta a farci visita. Giunta a capovolgere il nostro equilibrio per mai più rimetterlo in sesto. L’odore dell’aroma delizioso del suo sangue è ancora nei suoi ricordi. Ha dovuto desiderare ardentemente di poterlo assaggiare…il suo profumo assumeva una consistenza a dir poco irresistibile per noi comuni vampiri, e credo che l’essenza del veleno scalpitante nelle sue vene dovrebbe esserne la causa, ma non ne sono certo. Una mezzosangue. Né bianco, né nero. Dev’esserci una spiegazione alla sua incredibile natura… «Alain, mi senti?». «Certo, Jack. No…non penso a nulla. Cerco solo di concentrarmi sulle tracce d’uomo che si aggirano verso est». Il profumo del sangue umano si è finalmente fatto vivo. Cacciare in città sarebbe impossibile, quindi l’unica alternativa è addentrarci tra le montagne nei pressi di Belluno e attendere il passaggio di qualunque malcapitato incroci il nostro olfatto. La sete è diventata insopportabile per tutti noi, dopo l’incredibile incontro avuto con la ragazza che non riesco a rendere sbiadita nella mia mente. Abbiamo dunque deciso di dividerci in coppie per iniziare lo sterminio notturno e placare il desiderio che inizia a bruciare le nostre gole. La mia anima…ne ho mai avuta una? Sicuramente sì. Ma è passato così tanto tempo oramai, da aver perso persino buona parte della memoria che riguardi la mia vita da umano. Eppure, ne sono sicuro: da qualche parte… non so quando o dove, i miei occhi si sono già incontrati con quelli della misteriosa creatura conosciuta con il nome di Yvonne dei lupi. Quel volto l’ho già visto. È questa forzata amnesia che impedisce di ricordare il momento esatto del nostro primo incontro; quest’ultimo dev’essere certamente avvenuto circa sessant’anni orsono: quando ancora possedevo un cuore vivo e non l’organo freddo e immobile che adesso mi ritrovo ad avere. Devo assolutamente rivederla per cercare di dare una risposta ai misteri che le aleggiano attorno. Che rivestono il suo corpo snello, agile, forte…eppure non indistruttibile come il mio. Che velano i suoi occhi d’ametista e albergano in un cuore pieno di veleno, ma pompante al ritmo delle proprie emozioni. «Eccoli». Jack mostra i denti taglienti come lame, accovacciandosi in posizione d’attacco. Il profumo del sangue umano è giunto anche a me.


«Aspetta«. Fermo il mio compagno di caccia afferrandolo per un braccio e arrestando il suo slancio imminente. «Che diavolo ti prende, Alain?!», sibila lui tra i denti gocciolanti di veleno. «C’è un bambino con loro». Indico con una mano tra il fogliame della fitta vegetazione che ci protegge dalla vista dei passanti. «Che tu possa bruciare all’inferno, Alain! Era fatta. Cosa può mai significare per te, la vita di un marmocchio fastidioso? Non capirò mai questa tua insana decisione nel voler risparmiare a tutti i costi la vita dei bambini. Se solo assaggiassi la dolcezza del loro sangue -e ti assicuro che possiede una sfumatura più zuccherina rispetto quello di un adulto-, cambieresti idea. Sei libero di decidere per te stesso, ma non puoi pretendere di estendere le tue sciocche leggi personali ad altri». Sono certo che, se avessi ancora qualcosa in me che si avvicini all’essere umano, sentirei le tempie esplodermi dalla rabbia. Ma a tanta malvagità, il mio vuoto involucro d’acciaio riesce a rispondere solo con un mezzo sorriso colmo d’ironia: «Ovviamente. Ma non quando si caccia al mio fianco, Jack. Fino ad allora, si gioca a modo mio». Lo sbuffo profondo e indispettito del mio amico vampiro, attira l’attenzione del bimbo che gioca con il proprio cagnolino scorrazzando lungo la strada lastricata di ghiaccio, poco distante dal padre che tiene in spalla un fucile. Anche lui si sta ritirando dalla caccia. Si avvicina incuriosito verso la montagnetta di roccia sovrastata da alta sterpaglia, dietro la quale ci troviamo noi. I suoi occhi ridenti brillano sopra le guance arrossate dal flusso di sangue che la corsa gli ha provocato. Sorride, sono certo ci abbia intravisti. Jack digrigna i denti e arretra di un passo, io ne avanzo di uno. Ricambio il sorriso ed effettuo un lieve cenno di saluto con la mano. Il piccino raccoglie in una paffuta manina un po’ di candida neve e la scaglia nella mia direzione, anche se il debole lancio impedisce persino che mi raggiunga. Poi, il richiamo del padre distoglie la sua pericolosa curiosità dai suoi possibili carnefici e, voltandosi, corre via. Ma si gira durante la corsa affannata e ancora, per un’ultima volta, mi rivolge il suo simpatico saluto. La mia anima…posso anche farne a meno. Ma ho deciso di non liberare del tutto dalle catene il mostro che vive in me. E così continuerò a fare…finchè ne avrò la forza.


Il RITORNO

Nord California.

«Passala a me! No, non in quella direzione!». Albert lancia l’arancione palla da baseball verso Ricky. Giocatore troppo pigro per i miei gusti. Henry mi sta alle costole mentre corro carezzata dal vento verso la mia postazione. Amo la sensazione di sentire i miei piedi quasi sollevati da terra. La nostra gara di velocità non ha fine, continuiamo a sfidarci senza mai rinunciare ad una prossima rivincita, il che elettrizza entrambi. «Volete finirla, voi due? C’è un’importante partita in corso, non potreste rimandare le vostre stupide competizioni a dopo?!». Dimenticavo: troppo pigro, Ricky. Troppo zelante Albert. Oltre ogni misura, quando l’argomento è il baseball. La grande distesa che circonda il nostro cottage, permette a me e ai miei fratelli di poter correre e giocare quanto vogliamo, allontanandoci parecchio da casa, pur rimanendo dentro i limiti del podere degli Smith. Isolati come siamo da una moderna cittadina, è per noi uno dei più grandi divertimenti alla portata di mano -o di zampa- per far scorrere il tempo senza dover essere costretti a morire dalla noia. Oltre alla caccia, ovviamente. Per quanto mi riguarda, cerco comunque di riuscire ad ottenere, quando posso, il permesso di andare in città. Nulla è per me più affascinante, più inquietante e misteriosamente bello di una notte trascorsa tra le strade illuminate dalla luce dei negozi blindati e dai lampioni. Non è facile convincere Marchal ma, a dire il vero, me la cavo niente male quando si tratta di persuadere la volontà altrui: riesco ad essere piuttosto convincente. Certo, non sono belli i piccoli compromessi ai quali devo scendere, ma in fondo è l’unico modo che mi rimane per riuscire ad avere un piccolo ritaglio di tempo tutto mio. Ed è solo nelle ore in cui le tenebre carezzano la terra e le gelide mura dei palazzi, in cui l’aria fresca e pungente si scontra con le mie tiepide membra -fredde esternamente, ma roventi nel sangue misto al veleno che mi scorre dentro-, che mi sento realmente libera. Libera di essere me stessa. Avvolta e trascinata dai miei sensi, da quella parte ignota del mio essere che mi permette di ascoltare, di sentire, di vedere, di vivere il mondo che mi circonda sotto le mie vere e nascoste sembianze. «Yvonne, sei incredibile! Mi batti sempre su soli tre secondi di vantaggio!». «Henry, Henry…come pensi di potermi superare se continui a mangiare quanto un branco di dieci lupi affamati?». «Sciocchezze. La mia è tutta massa muscolare».


Mi diverte un mondo vedere l’imbarazzo accendersi sulle sue guance attraverso rosee vampate di sangue. Riesco a sentire il lieve ribollio interiore che lo rende gonfio di offesa e umiliazione. Sa bene che nessuno del branco mangia realmente quanto lui. Sarebbe in grado di abbuffarsi sbranando da solo tre grasse vacche e non sentirsi ancora del tutto sazio! Per Sarah Johnson deve avere rappresentato un vero problema riuscire a stare al passo con la sua crescita. «Yvonne, non essere così pungente con il povero Henry. Sai quanto ti vuole bene». Sorrido, mostrando i miei splendidi denti: «Certo che lo so bene. Meglio di chiunque altro. Proprio per questo ne approfitto volentieri». Fine della partita. I miei amici Valiant, Giosuè, Sam, Henry e Robert, seguiti dai miei amati fratelli, si lanciano nello spericolato inseguimento alla loro prediletta ragazza vampiro. I nostri occhi sorridenti s’incrociano, attenti ad ogni invisibile mossa che potrebbe dare il via al tallonamento. Come sempre, sono io a proiettarmi nella fuga: il mio slancio impercettibile, più veloce della luce, lascia alle mie spalle un leggero vortice di vento; i fili d’erba più alti del resto del tappeto verde ai nostri piedi, danzano tra il fogliame sollevato dalla mia corsa. La trasformazione dei miei amici non dura che un secondo, forse anche meno. Ma posso esser certa che in quel piccolo, insignificante attimo, qualcosa di estremamente fantastico prende vita attraverso i loro corpi febbricitanti. Riesco a percepire il bollente flusso del sangue scorrere nella spina dorsale di ognuno di loro, le membra allungarsi e protendersi in qualcosa di bestiale e terribilmente forte. Senza voltarmi, sento i loro pesanti respiri inseguirmi. Le falcate sprofondare nella terra umida dalla pioggia di ieri notte. L’aria fredda scontrarsi con le loro lingue penzolanti, il vento filtrare attraverso il folto pelo delle loro pellicce: rossicce, quelle dei fratelli Johnson. Grigie, quelle di Albert e Ricky. D’un tratto, qualcuno dei sette lupi accelera e si slancia in un salto per avvinghiarsi alle mie spalle. Sento la massa portentosa del suo corpo vibrare a mezz’aria, fin quasi sopra il mio capo. Ed è in momenti come questi che gl’insegnamenti del branco effettuano un balzo dalla mia mente all’azione: tra l’umana e il vampiro, subentra in me la lupa radicatasi nel corso di tutti questi anni. Istantaneamente mi volto rimanendo con i piedi ben piantati al suolo, il mio corpo si rannicchia a terra, tutto il mio peso viene sostenuto dalle gambe come se fossero gli arti posteriori di un autentico lupo. Mentre mostro a Valiant -galleggiante nell’aria con la bava alla bocca- i mie denti brillanti, non sono più una vampira assetata di sangue. Ma solo e semplicemente: Yvonne dei lupi. Lo scontro è imminente. Il resto dei ragazzi arresta la propria corsa per non perdere un solo attimo della lotta corpo a corpo che sta per iniziare tra me e il mastodontico lupo dal pelo rosso. La linea snella e agile della mia corporatura mi permette di slanciarmi in un salto che supera in altezza quello di Valiant, cedendo a me la possibilità di scagliarmi su lui con le mie mani dalla presa ferrea, adoperate con tutte le funzioni di due vere zampe. Fluttuo anch’io a mezz’aria per una frazione di


secondo e, finalmente, mi aggrappo alla sua schiena come un’amazzone sul proprio destriero, costringendolo a terra a zampe divaricate. La sua spina dorsale inizia però a sussultare, e con uno scatto improvviso mi getta al suolo. Se non avessi avuto la forza di un vampiro, se la mia carne avesse avuto la consistenza tenera e morbida di una comune ragazza mortale, non sarei mai riuscita a lottare contro la potenza dei suoi colpi feroci che mi avrebbero di certo ridotta a brandelli. «Colpisci, Valiant! Colpisci!», grida Sam euforico, gli occhi illuminati dal sapore della lotta. Di quella lotta che solo un vero lupo può essere certo di poter affrontare. Lupo contro lupo. È sempre stato questo il motto utilizzato quando uno dei miei fratelli o uno degli appartenenti al nostro branco ha deciso di sfidarmi nel corso del tempo. Come anche la volta in cui sono stata sottoposta ad un vero e proprio esame, in grado di stabilire se la mia presenza all’interno del branco, sarebbe mai potuta esser utile in caso di guerra. Quell’esame, lo superai. Ed anche egregiamente, direi. Ed ora eccomi qui. Nessuna differenza tra la ragazza vampiro e i lupi. Nessun segno di dovuta accortezza o tanto meno d’esclusione, a parte qualche eccezione. Sono davvero una di loro. Mi sento una di loro. E sono felice di appartenere al branco che sin da piccola ha deciso d’accogliermi nel suo abbraccio selvaggio. «Non lasciarti vincere, Valiant! Non puoi perdere anche stavolta!». Il ringhio offeso fa vibrare con violenti scossoni il lupo che mi sovrasta. Con la coda dell’occhio riesco a scorgere i fratelli del mio avversario: Giosuè, Roby, Sam ed Hanry, sono tornati sotto le loro sembianze umane, mentre Albert e Ricky, i miei inseparabili lupacchiotti dal pelo grigio, continuano a fissare il combattimento con occhi colmi d’aspettativa in una mia possibile vincita. «Non ancora una volta, Valiant! Non puoi farci questo!». Il ringhio a pochi centimetri dal mio viso si fa più cupo e profondo; capisco che l’ennesima sconfitta verrà incassata in malo modo da parte del mio amico. Del resto, per il branco non sarebbe di certo una novità che io riesca a vincere qualsiasi sfida di lotta a corpo libero lanciatami. «Oh, Valiant…perché tanta resistenza?», cerco di distrarlo. «Non vorrai mica che io superi un altro esame per poter continuare a vivere con voi?». Mi mostra i suoi denti famelici in un ghigno che la sa lunga. Intuisco che il suo intento sia quello di volermi dare una lezione per tutte quelle volte in cui l’ho costretto allo scherno dei suoi quattro fratelli dai riccioli rossi. Improvvisamente, sento il dolce aroma del sangue di nuovi elementi entrare nel cerchio dei presenti. Le riconosco. Sono di certo Lilian e Tiffany, le sorelle lupo.


«Se hai deciso di deluderci, Yvonne…giuriamo solennemente di non volerti più rivolgere la parola almeno per i prossimi duecento anni!». Grida Tiffany con la sua voce squillante che supera gli ululati dei miei fratelli e le grida eccitate dei Johnson, i quali continuano ad incitare il lupo che cerca di schiacciare con il suo peso le mie gambe, per ben affondare le grosse zampe tra i miei capelli sparsi sopra l’erba bagnata e tirarli attraverso i lunghi artigli. Che mossa sciocca. Possibile che il maggiore dei fratelli Johnson non abbia ancora capito che la mia pelle è immune a qualsiasi graffio, stiratura o lesione? È certamente il mio aspetto quasi del tutto umano a causargli seri sospetti su questo reale dato di fatto. Un altro punto a mio vantaggio. Chissà…magari a volte è stata proprio questa mia facciata da semplice ragazza mortale ad impedire ai lupi di utilizzare completamente la forza di cui godono, per sconfiggermi. Questa è comunque solo una mia teoria. Potrebbe anche darsi che il vero motivo per il mio personale elenco di vittorie, sia la sovrumana energia che il mio corpo apparentemente fragile nasconde. Nessun affanno nei miei polmoni, solo la fatica nel dover trattenere la sonora risata che cerca di sgorgare dalla mia gola nel vedere la smorfia di ardente impegno sul peloso muso rosso del povero Valiant. Ma la mia mossa decisiva, quella che avrebbe posto fine alla lotta senza speranza di vincita del mio amico lupo, viene interrotta dall’assordante rimbombo che sento battere sulla terra, provocato dalla corsa di un gruppo piuttosto numeroso di lupi che avanzano nella nostra direzione. Non è difficile intuire chi possa essere. «Che noia…se avessi saputo di doverlo incontrare, avrei proseguito la mia corsa verso casa», bofonchia Tiffany. «Non riesco neanche ad esser contenta per te, sorella. Sono certa che il tuo umore grigio stia per diventare di un bel rosa acceso all’idea di poter vedere Peter e il suo seguito di cani rognosi». «Credo che sia felice solo di vedere Peter, cara Tiffany. Il resto fa solo da contorno». «Hai sicuramente ragione, piccolo Sam». Gli occhi azzurri di Lilian si accendono di stizza per pochi istanti, alle parole cariche di sarcasmo della sorella e del ragazzino, i quali cercano invano di deridere i suoi sentimenti per Peter, il secondo di Walter. Le falcate si fanno sempre più vicine. Ancora pochi metri e saranno da noi. Io e Valiant ci allontaniamo l’uno dall’altra. Mentre lui riacquista lentamente quell’aspetto umano che tanto poco gli si addice, la sua cupa espressione mostra apertamente il disappunto per l’argomento da poco trattato. Il suo profondo e sincero affetto per Lilian è evidente a tutti. A esclusione, purtroppo, della diretta interessata. «Chi non muore si rivede, amici miei». La sua voce dal timbro basso e caldo pervade la chiazza di radura nella quale siamo tutti riuniti. I suoi occhi riflettono un inquietante bagliore. Sembra quasi


che si celi un velo d’inspiegabile imbarazzo dietro quella sfacciata maschera di boria di cui ora, come sempre, fa mostra. «Yvonne…ci sei anche tu. Strano, non ho sentito il tuo odore lungo la strada». Fisso i miei occhi nei suoi. Spero che il mio mal celato disprezzo riesca a fargli capire di dover tenere chiuso il becco: «Sturati bene le orecchie, Peter. Sta lontano da me». La mia voce esce aspra. Forse fin troppo stizzosa, ma…meglio esagerare. Tipi come lui hanno bisogno di una bella strigliata, ogni tanto. E poi, non sopporto di dover vedere stampata quell’espressione di triste umiliazione sul volto della povera Lilian. Nonostante Peter conosca bene i sentimenti della ragazza più bella del branco nei suoi confronti, persiste nel voler ad ogni costo riuscire a suscitare il mio interesse. Se solo sapesse quanto la sua sola presenza riesca ad irritarmi… «Sei sempre così acida?». Non mi guarda neanche. Parla portandosi una mano sotto il mento, carezzando con piccoli movimenti circolari la barba leggermente incolta. Si guarda intorno con espressione scrutatrice, come se si stesse accorgendo solo adesso della presenza di altri nella radura, oltre me e sé stesso. «Abbiamo forse interrotto qualcosa? Non assisto ad una sfida da tanto, mi piacerebbe se ricominciaste da dove siete rimasti. Soprattutto se l’incontro coinvolgeva anche te». Finalmente inchioda i suoi occhi nei miei. Posso linciarlo con uno sguardo che non promette nulla di buono, nella speranza che riesca a cogliere la mia minaccia. «Stavano solo dando libero sfogo alla loro natura…selvaggia. Fossi in te non resterei qui a perdere tempo. Piuttosto…torni dalla caccia?». A volte penso che potrei tranquillamente darmi minore pena per quell’antipatica di lupa bionda. In presenza di Peter, Lilian è sempre pronta a dare gratuite manifestazioni di disprezzo nei confronti della mia famiglia. Che sciocca. Ma non vede quanto riesce a rendersi ridicola? «Un po’ di divertimento ci vuole, cara Lilian. Sai, non vado al circo da…almeno trent’anni». Questa Peter me la paga davvero. «Perché devi sempre trovare il modo per offendere i tuoi stessi fratelli, Peter? Non credi di non rendere onore al titolo che porti, così facendo?». Nel dire ciò, l’espressione di Giosuè è sinceramente contrita. I suoi grandi occhi verdi osservano la reazione che spera le sue parole possano far avere al secondo capo branco. Ma con tristezza nota la totale assenza di risposta nello sguardo dell’insensibile ragazzo che continua a guardarmi con insistenza. «Amico mio…dovresti ormai conoscere il mio modo di scherzare. Non vorrai credere alla serietà delle mie parole? Tutto sommato, direi che non sia male il simpatico paragone tra la nostra razza e un bel gruppo di cani da circo. In fondo, non differiamo poi così tanto da loro, non credi?». Il suo mezzo sorriso irresistibile, appare realmente sincero. Perché non sono mai riuscita, in tutti questi anni, a carpire la sua vera natura?


Peter. Freddo, assente, imperscrutabile. Ma allo stesso tempo gioviale, onesto, schietto e impeccabile. La sua condotta a dir poco perfetta all’interno del branco, gli ha permesso di occupare il posto che, in caso contrario, sarebbe di certo spettato a John, per l’anzianità raggiunta. Nessuno, tra i lupi, in un arco di tempo di gran lunga maggiore rispetto a quello impiegato da Peter, è mai giunto ad un livello di forza, destrezza nella lotta, capacità di adattamento, intuito e fiuto pari a quelli toccati da lui. In davvero pochissimo tempo, Peter e i suoi fedeli seguaci hanno rappresentato per l’intero branco un punto fermo di riferimento nella lotta contro i vampiri a favore della sicurezza dell’uomo. Mi sono sempre chiesta però, chi sia realmente Peter Callaghan. Non sappiamo nulla sul suo passato, addirittura nulla del suo presente. Non vive sempre a stretto contatto con noi, preferendo la compagnia dei suoi dieci compagni persino per le battute di caccia. Eppure, presiede solo un posto più in basso di Walter, il nostro alfa. Le sue imprese devono essere state davvero grandiose, per meritare tutto ciò in così breve tempo. E a dire il vero…alt. Cosa sto sentendo? Questo…sì, ne sono sicura: è odore di sangue umano. Ma da dove viene? Le ondate giungono ancora fresche alle mie narici. Sento il suo lieve calore venire meno attimo dopo attimo. Quello che non riesco a capire è da dove inizi la sua scia…il chiacchierio dei ragazzi è divenuto simile al ronzio di uno sciame di mosche fastidiose. Peter. Adesso ne sono sicura. La scia proviene da lui. La sua sgorgante e rauca risata mi riporta al vivo presente. Sembra che la tensione di poco fa sia del tutto scemata. «Callaghan?», gli occhi di tutti mi si piantano addosso. «Dimmi pure, Yvonne. Spero tu non abbia ancora voglia di cacciarmi via in malo modo». «Hai detto di essere andato a caccia, non è vero?». Immobile, resta in silenzio. L’espressione un attimo prima divertita, torna ad essere glaciale. Poi, riaffiora sereno il sorriso sulle sue labbra piene e ben delineate. «No, non l’ho detto. Ma posso asserirlo adesso, se vuoi. Sì, sono stato a caccia con i miei ragazzi. Perché me lo chiedi?». I suoi ragazzi? «Curiosità. Mi chiedevo come mai la tua pelle porta con sé odore fresco di sangue umano». Linee di contrizione piegano improvvisamente la pelle bronzea di Peter, i suoi occhi si velano di lacrime. «Speravo nessuno se ne accorgesse. Ma avevo dimenticato che il tuo sottile olfatto da vampiro superi di parecchio quello grezzo di noi licantropi». Si volge verso il gruppo dei suoi ragazzi, ricevendo da loro sommessi cenni del capo. «Cosa vuoi dire?». Un fremito di tensione pervade le mie membra. Sento il veleno avanzare lentamente verso i denti.


«Semplice. Durante la nostra escursione di caccia sui monti ad est, abbiamo trovato i resti di un uomo. Non c’era più niente da fare per lui. Non è così ragazzi?». Ancora cenni di consenso, stavolta più enfatici. «Le sue carni erano straziate dalle fauci assetate di vampiro. Devono essere stati di certo in due ad attaccarlo. Così, prima di continuare la nostra caccia -sebbene avessimo oramai quasi del tutto perduto la fame-, io stesso ho provveduto a togliere ogni traccia della carcassa. Se l’avessi lasciato lì dov’era, si sarebbero creati troppi allarmi nelle città vicine». Ancora loro. Ancora i vampiri. Sono trascorsi tre anni da quando siamo riusciti ad allontanare il clan di Stephen Dan dalla California. La vita, dalla fine della sanguinosa faida, è scivolata in un clima di armonia e stabilità. Ricky e Albert sono tornati a lavorare la terra lasciata loro in eredità dal padre, e la nostra famiglia ha riacquistato in tal modo un più che agiato benestare. Una felicità contagiosa, poiché anche il resto delle famiglie di nostra conoscenza hanno ritrovato una certa quiete. Dalla radice più remota della mia memoria, non riesco a ricordare un periodo bello come questo. Ed ora…Perché sono ricomparsi? Qual è l’origine del loro ritorno? «Oh…ma è terribile!», esclama Tiffany portandosi una mano alla bocca. «Quelle luride sanguisughe…», digrigna tra i denti Henry. «Vigliacchi!». Sam è in preda a violente scosse. È ancora troppo giovane per controllare il fulmineo attimo che intervalla l’umano dal lupo. Il processo di trasformazione è quasi automatico. «Hanno per caso lasciato delle tracce? Forse, se tornassimo sul luogo potremmo seguire le loro scie e…» «No, non servirebbe. Non vi era nessun indizio che potrebbe esserci utile». Se fossi anch’io un licantropo, sarei già stata un lupo con la bava alla bocca, pronta a correre verso il nemico. «Ma l’hai detto tu stesso! Il mio olfatto è certamente più potente del vostro. Potrei riuscire a scovare qualsiasi scia, e l’odore del sangue è ancora troppo fresco. Non possono essere andati lontani». Lo sguardo compassionevole di Peter mi dà sui nervi. «Credimi, Yvonne. È impossibile per noi licantropi non percepire l’odore dei vampiri. Se io stesso non sono riuscito a sentire nulla, sarebbe impossibile persino per te». Perché. Perché?! Perché tutti vogliono tenermi lontana dai vampiri? Perché non ho mai potuto combattere al fianco della mia famiglia, vivendo giorno dopo giorno nel terrore che uno dei miei fratelli potesse morire attraverso il veleno di un vampiro? Dello stesso veleno che scorre inesorabilmente anche nelle mie vene?


Se non sono in grado di essere d’aiuto a nessuno, a cosa serve la mia presenza all’interno del branco? Perché i lupi hanno deciso di tenermi con loro? Sarebbe stato meglio se mi avessero fatta a pezzi, come fanno del resto con ogni vampiro che incontrano nel loro cammino. «Per fortuna, ci siamo imbattuti noi in quel pover’uomo. L’immagine che regalava avrebbe sconvolto chiunque». Continua Peter. «Grazie a nome di tutti noi, Peter. Ti sobbarchi di responsabilità così gravi…risparmiando al resto del branco molti problemi». «Non devi ringraziarmi, Lilian. Compio solo il mio dovere». «Non puoi porgere ringraziamenti da parte di chi non ha espresso alcun parere, Lilian. Per quanto mi riguarda, farei volentieri a meno di simili premure. Non è assolutamente corretto da parte tua, Peter, escludere il resto di noi giovani licantropi dalle tue perlustrazioni e da tutto quel che ne comportano». Gli occhi di Valiant bruciano di rabbia nel pronunciare tali parole a denti stretti. Walter ha esteso pene alquanto severe per i duelli consumati tra i membri appartenenti allo stesso branco, altrimenti…ne sono certa, lo scontro tra loro sarebbe avvenuto già da parecchio tempo. «Non era un giro di perlustrazione, Valiant. Eravamo a caccia». La voce di Peter diviene grave. Quello appena assunto è il tono del comando: «Non c’è alcun motivo per cui tu e i tuoi fratelli dobbiate ritenervi esclusi dalle incombenze del branco. Il branco agisce unito, mai diviso. Dovresti saperlo almeno quanto me». «La notizia non è affatto da sottovalutare. Bisogna avvisare immediatamente Walter, ci darà subito le disposizioni per l’improvviso allarme lanciatoci». «Brava, Yvonne. Vedo che il tuo senso di responsabilità supera la voglia di mostrare a tutti le capacità di cui sei dotata. Questo ti fa onore». Non ho bisogno dei suoi elogi. Sento riaffiorare in me il conato di disprezzo per il nostro secondo. Meglio deviare il discorso. «Hai riconosciuto l’odore del clan di Stephen Dan?». Chiedo con sincero interesse. «Questo è il punto della vicenda che più mi preoccupa. L’odore che ho riconosciuto non appartiene al clan di Stephen». Sibili di stupore echeggiano nella radura, salendo in alto, fino a sorpassare il verde fogliame degli alberi tempestato di rugiada. «Veramente assurdo…ma se dici di averlo riconosciuto, sapresti individuare chi sia la nuova minaccia per le nostre terre?». Le labbra di Peter si piegano in una smorfia di disgusto. I suoi occhi brillano di rabbia. «I vampiri di Venezia. Il loro odore è inconfondibile».


RESPIRI

Chiusa nella mia stanza, resto ferma sotto il soffice piumino del mio letto. L’aria della notte è sempre piuttosto fresca, ma nel mio caso non è la bassa temperatura che m’induce a coprirmi. Semplicemente, adoro la piacevole sensazione del tepore sulla mia pelle. La giornata di oggi è stata a dir poco sconvolgente…da domani, sono certa che nulla sarà più come prima. I vampiri di Venezia. Ho fatto di tutto per cancellare il loro ricordo dalla mia mente, senza mai riuscirci. Ma ero fiduciosa di poterli un giorno dimenticare. Invece, eccoli di nuovo. Ancora vivi e presenti. E non solo nei miei pensieri, ma nella realtà. Perché rompere il patto con i licantropi? Perché proprio ora, dopo aver ottenuto finalmente la pace così tanto desiderata? Eppure, avrei giurato che questa fosse un obbiettivo anche dei dodici vampiri che io e John abbiamo affrontato sette anni fa. L’immagine dei loro volti freddi, privi in apparenza di qualsiasi emozione, spesso ha fatto salire qualche brivido lungo la mia schiena. Ma non porto con me solo inquietanti ricordi di quell’incontro che ha segnato per sempre la mia esistenza, no. L’episodio della visione avuta durante il primo ed unico contatto fisico con il vampiro Alain, non è mai più ricapitato con nessuno. È difficile ammetterlo, ma il solo suono silente del suo nome nei miei pensieri, spezza ogni mia resistenza nel voler allontanare il suo ricordo. Alain. Chissà cosa avrà pensato di me…della mezzosangue. Se ripercorro i miei giorni con la mente, riesco a vedere una bambina di soli sei anni abbandonata dai propri genitori nel bel mezzo di una sanguinosa battaglia contro i licantropi. Accolta poi in seno ai lupi stessi, dimostratisi in grado di possedere un cuore. Una bambina successivamente divenuta donna, cresciuta circondata dall’amore della sua famiglia adottiva e sostenuta da un branco rivelatosi unito, confortevole come una vera casa. Il tempo scorre e, anno dopo anno, sono divenuta più forte. Più veloce. Più scattante. Più astuta. Più…vampiro. Pur continuando a mantenere inalterato il lato umano che non mi ha mai abbandonata. Giunta ai miei fulgidi vent’anni, la mia crescita si è improvvisamente arrestata. Dopo anni di ricerche, Marchal e i ragazzi hanno rinunciato ad ogni possibilità di scoprire il mistero che avvolge la mia esistenza. Sappiamo solo che -da ben circa quarant’anni- il processo della mia crescita ha deciso di fermarsi, proprio nel momento in cui l’età raggiunta mi ha permesso di avere il pieno vigore di ogni mia facoltà soprannaturale. Da allora, direi che il titolo ricevuto dai vampiri -Yvonne dei lupi- mi calzi a pennello. Eppure non mi sono ancora arresa. Un giorno, riuscirò a svelare l’arcano segreto che mi rende così diversa da ciò che dovrei essere. Che vorrei essere.


Scanso le coperte che mi proteggono, sento arrivare qualcuno. È di certo Marchal, e busserà alla porta tra meno di…quattro secondi. Tre. Due. Uno. Bussano. «Yvonne? Posso entrare?». «Certo, Marchal. Entra pure». Mia madre. O meglio dire, colei che per me è da sempre stata madre, amica, sorella. Queste tre parole, insostituibili e di fondamentale importanza, sono in lei perfettamente rappresentate e racchiuse. Alta più o meno fino alla mia spalla, dalla capigliatura riccia e ribelle di un biondo opaco e sbiadito, e dai grandi occhi espressivi, di un caldo color miele. Difficile pensare che la sua corporatura apparentemente così fragile e minuta, nasconda una lupa snella e dal pelo biondo dotata di un’incredibile velocità. Nessuno all’interno del branco corre più veloce di lei. «Per fortuna sei sveglia. Avevo bisogno di parlarti». Si avvicina al mio letto con passo incerto. Non dev’essere un argomento facile quello che sta per tirare in ballo, lo intuisco dai suoi movimenti. «Sono tutt’orecchie. È successo qualcosa?». Ha un’aria davvero preoccupata. Sapere che qualcosa le impedisce di essere serena, fa stare male anche me. Si siede al mio fianco e raccoglie una mia pallida mano tra le sue: «Non puoi dirmi di no. Te lo chiedo in ginocchio, se non dovessero servire le mie parole». Sono certa di aver avuto poche volte l’espressione colma di stupore che il mio viso deve adesso avere assunto nell’udire queste frasi. «Cosa succede, Marchal? Non mettermi nel panico. C’entrano forse i vampiri?». Un suo impercettibile segno del capo mi fa capire di aver centrato il segno. «C’è stato un nuovo attacco?». Le chiedo, quasi tremando. «Oh, no. Ma non ci faranno aspettare molto, stanne certa. Se hanno già iniziato, sarà difficile fermarli». La parola fermarli mi fa salire un brivido lungo la schiena. Cerco di scacciar via le immagini terrificanti che tentano di tormentare i miei pensieri, concentrandomi su quello che Marchal sta per dirmi. «E allora? Cosa ti preoccupa tanto?». Mi guarda intensamente, mentre le lacrime iniziano a velarle gli occhi. «La tua incolumità». Ci risiamo. So già cos’ha da dirmi, ancor prima che termini il discorso. «Yvonne, so bene che sei stanca di sentirti ripetere sempre le stesse cose. Questa volta per, non seguire i miei consigli porterebbe ad una conclusione davvero tragica per te e per noi tutti. Non devi assolutamente e per nulla al mondo unirti agli attacchi che presto sferreremo ai nostri nuovi nemici».


Lentamente, tolgo la mia mano dalla sua stretta colma d’attesa. Vedo l’ombra dell’angoscia più cupa pervaderle il volto. Non vorrei mai ferirla in alcun modo, ma non posso più permettere a nessuno di condannare la mia esistenza ad un insieme di perché senza risposta, di opprimente impotenza e assoluta confusione. «Non posso promettertelo. Ho aspettato troppo a lungo, Marchal. Per decenni mi avete tenuta chiusa qui dentro, all’oscuro di tutto. E adesso…ora che persino i vampiri con i quali io stessa ho stretto una sorta di patto di tregua, hanno deciso di rompere ogni parola data, non posso non intervenire. Non puoi chiedermi questo!». La mia calma apparente ha ceduto del tutto. Un moto improvviso di tetra ribellione ha infranto ogni mio buon proposito. Non posso. Non voglio accettare di dover rimanere chiusa tra quattro mura, mentre la mia famiglia corre a fare a pezzi gli unici vampiri con i quali ho avuto un seppur minimo contatto. Se guerra dev’essere, voglio esserci anch’io. «Tu non capisci!». Anche Marchal ha raggiunto il tetto massimo del suo autocontrollo: «Ti uccideranno senza pietà. Non avranno alcuno scrupolo per una mezzosangue cresciuta insieme ai lupi. E io, i tuoi fratelli, non vogliamo perderti sapendo che avremmo potuto evitarlo. Ascoltami, ti prego!». Il rumore della vibrazione di una chiamata al mio cellulare posto sopra il comodino, interrompe la supplica della povera Marchal. Ci guardiamo un istante negli occhi, entrambe consapevoli che la discussione non sia affatto terminata. Mi avvio per rispondere e, leggendo sul piccolo schermo luminoso il nome di chi sta telefonando, un sorriso affiora tra le mie labbra. «Mary?». Marchal porta gli occhi al cielo, visibilmente infastidita per aver capito di chi si tratta. «Ma certo! Devi assolutamente raccontarmi tutto. Sono pronta ad ascoltare la tua odissea!». L’espressione alquanto seria di mia madre, m’induce ad apparire meno allegra di come evidentemente devo essere tutto d’un tratto diventata. «Aspetta solo un attimo, Mary». Porto una mano alla cornetta e mi rivolgo verso lei nel vano tentativo di tranquillizzarla: «Dobbiamo interrompere la nostra discussione, Marchal. Posso solo garantirti che ci penserò, ok? Nulla di certo, però». I suoi occhi s’illuminano di gioia. Vorrei sempre vederla così raggiante. «Bene..ci conto, piccola mia. Buonanotte». «Buonanotte, Marchal». Appena richiude la porta alle sue spalle, chiudo gli occhi e tiro un silenzioso sospiro di sollievo. «Mary, sei ancora in linea? Mi hai salvata, non sai quanto ti ringrazio…se hai la pazienza di aspettarmi, vengo subito e stiamo un po’ insieme. Ho bisogno di uscire…così potrai raccontarmi di Jacopo, senza la fretta per gli scatti della chiamata».


La luna carezza, con i suoi pallidi raggi, il grigio selciato della strada che percorro verso Mary: totalmente umana, il mio contatto più intimo con quel genere. L’unica ragazza con la quale da cinque anni ho potuto scoprire la bellezza di un’amicizia limpida e sincera, disinteressata. Da allora, una nuova sfumatura ha colorato la mia cinerea esistenza. La sua amicizia è per me un’ancora di salvezza, di evasione dal soprannaturale, seppure in un atterraggio a breve termine. Sebbene il nostro rapporto non sia ben visto né accettato dal branco, nessuno mi ha mai completamente vietato di frequentarla al di fuori delle nostre terre. Ed anche se qualcuno l’avesse fatto, fosse stato persino Walter in persona, avrei ignorato gli ordini. Per Mary questo e altro. Conosce bene la mia vera natura, le ho raccontato tutto di me…bè, quel poco che io stessa ricordo. Ma dei miei sessant’anni di esistenza da mezzosangue, è al corrente di ogni dettaglio. Del resto non c’è stato molto da raccontare…il tempo, per quelli come me, è un aspetto piuttosto relativo. Quel che mi ha sempre lasciata sconvolta, però, è stata la sua totale predisposizione ad accettare -ed anzi-, a ritenersi una privilegiata nel poter avere un’amica come me. Incantata direi, affascinata dalla mia storia che si allontana dalle leggende, non ha mai dimostrato alcun disagio al mio fianco. Ed è persino rimasta sempre ben attenta nel non infrangere mai la promessa di rimanere lontana dal territorio del branco. Per i lupi è già un grave problema sapere che un essere umano sia a conoscenza della loro esistenza...averla tra i piedi sarebbe stato veramente troppo. Ho sempre sospettato che la mia simpatica amica avesse qualche rotella fuori posto, e forse non mi sbaglio. Chiunque si sarebbe dato a gambe levate o addirittura avrebbe denunciato la nostra esistenza, al suo posto. È stato bello stasera aver potuto trascorrere delle ore spensierate in sua compagnia. Per poco, ho quasi dimenticato le oscure novità che, minacciose, stanno per invadere di nuovo la mia vita. E stavolta…è molto peggio di quanto potessi temere. Perché di una cosa sono certa: combatterò. La mia falsa promessa concessa a Marchal, è servita solo ad allentare la tensione già creatasi tra le quattro mura domestiche in cui fingiamo di esser quel che non siamo. E se anche questa scelta dovesse provocare serie fratture nei rapporti con la mia famiglia…sono pronta ad affrontarle. Non soccomberò al volere degli altri ancora una volta. Come sempre, la strada del ritorno verso casa costituisce un importante momento della mia ritagliata libertà. Casa Smith dista circa trenta chilometri dalla piccola, ma graziosa cittadina in cui abita Mary, e i dieci minuti che impiego di solito all’andata percorrendo a tutta velocità la distanza che ci separa, divengono ore al ritorno verso casa. Spero d’impiegare più tempo possibile cercando di assaporare ogni dettaglio, ogni in apparenza insignificante particolare che incrocia il mio cammino. E di portarlo con me. Nei miei ricordi, nei miei angoli di amata solitudine.


Giunge alle mie narici il profumo di alcuni sali che qualcuno sta usando nella propria comoda vasca da bagno. Un bel bagno alle tre di notte è un po’ insolito, ma sicuramente un’esperienza piacevole da dover provare. Sento ancora lo scalpitio delle zampette di alcuni roditori che si aggirano alla ricerca di cibo da mettere sotto i lori fragili denti. A circa cinquanta metri, i fogli di un vecchio giornale svolazzano incollandosi ad un lampione. Percepisco i miei sensi tesi e vigili come non mai. Sebbene usufruisca sempre delle mie facoltà , finché il sole è alto in cielo, queste ultime non possono essere nel pieno delle loro potenzialità come dal crepuscolo in poi. È, questo, uno dei maggiori motivi per cui la notte adoro starmene per i fatti miei: libera da ogni vincolo, libera di essere me stessa e di non vergognarmene. Ecco…adesso sento…un respiro? C’è qualcuno. Improvvisamente, mi rendo conto di non essere sola. Un respiro regolare, profondo e freddo, accompagna i miei passi su questo solitario cammino. Il mio istinto mi suggerisce di non voltarmi, continuando a far finta di non aver udito nulla. Proseguo il mio tragitto a passo moderato, senza lasciare trasparire alcuno stato di allerta o paura. Del resto, la paura è l’ultima delle sensazioni che potrei provare, soprattutto in circostanze come questa. Di cosa dovrei avere timore, possedendo denti affilati come lame in grado di succhiare intermente il sangue di un essere umano di grossa taglia in meno di venti minuti? E capaci di affondare nelle vene di chiunque iniettando un veleno che toglie la vita per regalare un’esistenza a dir poco terrificante? Il respiro si fa sempre più vicino. La presenza alle mie spalle ha deciso di seguirmi. Un maniaco? Un assassino? O forse, più semplicemente un ladro. Mi fermo. Il rumore dei miei stessi passi impedisce di capire realmente dove si trovi il mio inseguitore. Libera da ogni intralcio, mi rendo conto della distanza che ci separa: solo cinque passi. Nonostante la mia pelle sia dura come il marmo, dentro me scorre sangue umano e il mio cuore pulsa. Forse non sono poi così immortale come credo di essere. Non conosco ancora il metodo che potrebbe porre fine ai miei giorni, ma non sono sicura di volerlo scoprire proprio ora. Sarà meglio voltarsi ed affrontare il mio improvviso nemico guardandolo dritto negli occhi. Scorrono circa quattro secondi nel movimento che accompagna il mio sguardo verso lui.. «Yvonne. Non posso crederci…sei tu». Alain. Gli occhi di velluto nero, infiammati da una calda luce rossastra, si aprono per lo stupore. In lui nulla è cambiato dalla notte del nostro addio. Del resto, in noi abitanti di un eterno presente, nulla può mai mutare. Alain. Uno dei membri del clan di Venezia. Dovrei forse attaccarlo, annientare uno dei nostri nuovi nemici, distruggere colui che probabilmente ha partecipato allo strazio di quel pover’uomo trovato da Peter e il suo seguito. Alain…lo specchio di quel che non vorrei apparire, ma che in fondo so bene di essere.


Alain. L’unico vero motivo per cui combattere, stavolta, diventerebbe per me un fardello troppo grande da portare addosso. «Alain…cosa ci fai tu qui?».


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