Cultura Commestibile 76

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SCENA&RETROSCENA

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n 76 PAG. sabato 17 maggio 2014 o

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di Sara Chairello esse.chiarello@gmail.com

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i Violet, spettacolo della coreografa americana Meg Stuart in prima nazionale, ne avevamo parlato quando abbiamo lanciato il festival Fabbrica Europa, come di uno degli spettacoli di punta di questa edizione. E così è stato, nessuna aspettativa delusa, anzi. La scena regala cinque danzatori su un palcoscenico vuoto, allestito in maniera suggestiva all’interno della Stazione Leopolda, che si conferma il luogo ideale per accogliere il mondo artistico della contemporaneità. Sulla sinistra c’è il musicista Brendan Dougherty, presente con il suo laptop e le percussioni, mentre al centro, su un pavimento bianco che contrasta sul fondale nero riflettente, sono schierati cinque interpreti (Marcio Kerber Canabarro, Varinia Canto Vila, Renan Martins de Oliveira, Kotomi Nishiwaki e Roger Sala Reyner). Piano, con movimenti impercettibili, gli artisti si muovono spinti da un’energia dapprima latente, che soffia quasi fosse un fil di vento. Sono pochi istanti, poi inizia il gorgo sonoro e motorio: non si sa se a muovere i corpi siano le note di Dougherty, artefice di pulsazioni elettroniche e percussive, o viceversa, ma musica e coreografie si fondono perfettamente, segno di uno spettacolo che nasce completo. Le azioni dei danzatori sono manifestazioni di fenomeni invisibili, che li scuotono, li agitano, li attivano e li spengono, in un crescendo vorticoso. I danzatori interpretano un loro percorso solingo, sempre più isterico, ancestrale, fino a fondersi in un turbinio di forme

L’ultimo colore dello spettro energetiche e di sculture cinetiche. L’ambiente sonoro è perfetto, incandescente, per 75 minuti ti avvolge in maniera così ipnotica da perdere la concezione dello spazio e del tempo. Precipi al cuore della coreografia, con singhiozzo spezzato: una corrente ondivaga, a volte rapida e spasmodica, a volte statica e riflessiva, ti trascina, e ti trovi a fare i conti con sensazioni tue, a combattere con le tue paure ancestrali. D’altronde, lo spettacolo richiama un’esperienza devastante,

quella dello tsunami. Racconta Meg Stuart, artista che vive e lavora tra Berlino e Bruxelles: ‘Io ho voluto pormi la sfida di spogliare del tutto le cose, e, prendendo il movimento come punto di partenza, di capire come arrivare ad un’astrazione. Ho cominciato ad indagare i modelli energetici presenti in natura e i simboli alchemici che oggi hanno perso il loro significato (...). Abbiamo così provato a trasferire, attraverso il movimento, i simboli nel corpo,

come se i danzatori facessero un viaggio rituale. Il lavoro non ha un tema specifico, ma io ricordo una prova particolarmente significativa: stavamo lavorando su alcune idee nel tentativo di imbrigliare l’energia cinetica e di immaginare la devastazione che essa potrebbe causare. Uno dei ballerini stava per andare in vacanza in Giappone quando, all’improvviso, ci fu lo tsunami. Non dico che la performance sia su quello, ma certamente gli eventi esterni hanno influito in qualche modo sul mio lavoro’. Violet è forse il pezzo più astratto della lunga carriera della Stuart, e porta il segno della sua ricerca, che si focalizza su una fragile ‘condition humaine’ nel suo intenso apparire. Dice: ‘Violet è l’ultimo colore nello spettro, prima della luce ultravioletta, prima dell’ignoto, prima dell’impercettibile’.

TEMPO PERSO di Paolo Marini p.marini@inwind.it

Sono passati settanta anni. Era il primo mattino del 18 maggio 1944 quando una lacera bandiera bianca fu issata su quel che rimaneva della abbazia di Montecassino. Erano gli ultimi paracadutisti tedeschi, quelli che non si erano ritirati, che si arrendevano a Kasimierz Gurbiel, giovane ufficiale del 12° reggimento di cavalleria polacco, e a dodici dei suoi uomini, inviati a salire al monastero per vincere l'incredulità: dopo oltre quattro mesi di quella che viene considerata “la più grande battaglia terrestre combattuta in Europa” (M. Parker, Montecassino), gli strenui difensori della linea Gustav, “bendati, laceri, non rasati, sudici” si consegnavano al nemico, chiudendosi in tal modo una pagina, al contempo, tragica ed eroica della storia del XX° secolo. C'è uno straordinario concentrato di riflessioni e di emozioni che essa è capace, malgrado il tempo trascorso, ancora di suscitare. Non è solo il carattere logorante e durissimo della, anzi delle (quattro) battaglie che si susseguirono tra gennaio e maggio, del prezzo di vite umane - militari ma anche civili -, di quel misto di spirito di sacrificio, di abnegazione e di superficialità, un concentrato di virtù e di stupidità che

Una prece per Montecassino

caratterizza praticamente ogni evento bellico ma che qui pare aver raggiunto un'espressione esponenziale. Montecassino, Cassino e la valle del Liri furono il teatro violento - un'area di non più di 20 chilometri quadrati - in cui trovarono la morte decine di migliaia di soldati di svariate nazionalità, europei e non (italiani, francesi, tedeschi, inglesi, polacchi, statunitensi, canadesi, indiani, neozelandesi, marocchini, algerini, ecc.): un'ecatombe internazionale. Montecassino fu/è anche la battaglia che sembra scardinare la facile e, per certi versi, inevitabile contrapposizione tra 'buoni' e 'cattivi', se è vero che qui i tedeschi non si ricordano per gli eccidi e la barbarie ma per il valore, l'irriducibilità, la straordinaria temperie (riconosciute dagli Al-

leati), il rispetto per i civili e la premura, se così si può dire, per i luoghi sacri e le opere d'arte; al contrario, gli Alleati passano alla storia per uno degli errori più clamorosi del secondo conflitto mondiale (il massiccio bombardamento dell'abbazia, ove a torto fu ritenuto che le truppe tedesche si fossero insediate, così offrendo alle stesse un ampio cumulo di macerie dove approntare, allora sì, una difesa ben organizzata e temibile), nonché (precisiamolo: con riferimento ai Goumier, soldati marocchini e algerini inquadrati nell'esercito della Francia libera) per stupri e violenze di ogni genere – finita la battaglia - che a tutt'oggi restano impunite. Infine, non si può non rammentare che l'edificio di Montecassino - 'l'abbazia' quasi per antonomasia era stato eretto nel VI secolo d.C. per volontà di San Benedetto, che a buon diritto è padre e patrono d'Europa. Nel 1943 esso conteneva una delle più importanti biblioteche al mondo, con oltre 40 mila manoscritti e gran parte delle opere di Tacito, Orazio, Virgilio, Cicerone e molti altri altri autori latini: luogo/testimone di un'opera insostituibile di raccolta, traduzione e conserva-

zione della cultura antica, cioè della nostra autentica storia 'patria' (cioè dei padri). Montecassino, quale battaglia o successione di battaglie in cui questo gioiello dell'Alto Medioevo fu raso al suolo, era e resta per ciò un monito, profondo e commosso, a tutti gli uomini, ai cittadini del mondo: a coltivare l'amore per la cultura, che è pietra d'angolo della civiltà e insegna l'amore per la libertà e per la pace; a comprendere, a leggere bene, con partecipazione ma anche con lucidità e spirito critico gli eventi della contemporaneità e del passato; a fondare/ripensare le ragioni della convivenza nel rispetto della identità dei popoli, della volontà e della libertà degli individui. Ci sono molte ragioni per pensare che la storia di Montecassino, dalla fondazione alla sua distruzione, sarebbe, volendo, di grande aiuto a rimpolpare l'attuale miserrimo confronto 'politico' (sob!) sull'Europa. Ma forse è pretendere troppo. E' più semplice o meno pretenzioso, in questo 70° anniversario, recitare in silenzio una preghiera: per l'abbazia e per tutti coloro che alla sua storia hanno legato la propria vita e/o la propria morte.


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